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Autore: _Nancy_    09/08/2013    0 recensioni
Dopo la morte del fratello Anthony la sorella minore scopre la verità sulla sua vita, non è sangue del sangue di Brook ha un altro padre.
Lei e Anthony hanno un padre di nome Gary Brime.
Kimberly è piuttosto cocciuta a trovarlo così parte per Rimini.
Ma non sa la vera storia della sua vita.
Misteri che verranno svelati con il tempo... basta solo non arrendersi mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era il 30 settembre 1995 quando Kimberly lasciò casa Sun.
Aveva diciassette anni. Era una delle più belle ragazze di Firenze, molto rimanevano incantati a vederla attraversare la strada ma lei ovviamente non ci dava peso, aveva la sua vita a cui pensare.
Aveva lunghi capelli neri che a volte legava con un elastico, il viso era delicato e morbido, le labbra sottili e gli occhi verdi che ti penetravano l’anima quando si accorgeva delle tue occhiate.
Kimberly era la seconda genita della famiglia Sun.
Brook era la piccola di casa. Era la copia spiccicata della madre, Jessy.
Infine c’era Anthony, il figlio maggiore. Aveva vent’anni.
In quella famiglia non esisteva una figura paterna, Jessy era sola.
Jessy era una donna molto bella per la sua età, era molto corteggiata eppure lei rifiutava, lei non diceva mai “si”. Era diversa.
Portava corti capelli biondi, occhi color caramello e un fisico asciutto completava l’opera.
Brook era la preferita della famiglia invece.
Portava i capelli biondi raccolti in corte trecce, gli occhi color caramello la rendevano una bambina dolce e vispa, solo Kimberly sapeva cosa si nascondeva dietro quella maschera: una pulce fastidiosa!
“Smettetela di bighellonare e venite ad apparecchiare la tavola!” Diceva tutte le sere Jessy.
Kimberly e Anthony erano complici l’una dell’altro, si levavano solo pochi anni di differenza eppure avevano un rapporto che poteva andare perfino ben oltre l’amicizia. Per Kimberly il suo unico fratello era tutto.
Anthony sapeva consolarla, ascoltarla, farla ridere … era un fratello speciale.
Nonostante tutto i figli della Signora Sun crescevano nel migliore dei modi. Molta gente di Firenze si era chiesta come Jessy fosse stata abbandonata dall’uomo che aveva generato i suoi tre figli, per poi sparire senza lasciare traccia. Ma Jessy era una donna che sapeva farci con le parole. Era molto astuta.
Quando le  pettegole chiedevano qualcosa su quell’uomo lei si limitava a sorridere e rispondere con dolcezza “Era un uomo fantastico. Sarebbe stato un buon padre.” Poi si dileguava.
Questa era la famiglia Sun.
***
Una camera singola, perfavore.- Disse Kimberly quando arrivò di fronte alla reception.
-Una notte?- Chiese l’uomo, squadrandola.
-Si.- Rispose Kimberly.
L’uomo annuì e le porse la chiave. –Secondo piano, stanza 119.-
Lei sorrise appena e prese la chiave.
Salì le scale con lentezza. Si ritrovò in mezzo al lungo corridoio dove ai lati una trentina di porte si mostravano di fronte a lei.
Camminò fino a metà corridoio per poi trovarsi la camera 119 alla sua sinistra. L’aprì.
L’odore di pulito la invase.
Le lenzuola bianche che ricoprivano il letto, il comodino su cui era poggiato un vecchio telefono e il bagno sulla destra della camera si poteva intravedere dalla porta semi aperta.
Chiuse la porta dietro di sé, posò a terra la borsa che conteneva quei pochi vestiti e si lasciò cadere sul letto morbido. Con la mano accarezzò il cuscino, mentre teneva gli occhi fissi sul soffitto.
“E’ vero quello che diceva Anthony nella lettera?” Chiese Kimberly stringendo il pezzo di carta.
“Si. Tu e Anthony non siete figli dello stesso padre di Brook.” Rispose Jessy. Dava più attenzione ai piatti da lavare che a lei.
“Gary Brime è mio padre?”
“Si.”
“Bene.” Kimberly sospirò. Salì in camera sua e afferrò le prime cose che aveva a portata di mano, poi tornò giù.
“Dove vuoi andare?” Chiese Jessy, notando la borsa che Kimberly aveva sulla spalla.
“Via di qui? Ho sopportato te per troppi anni. Sono stufa di questa vita! Non voglio finire come te.”
Kimberly aveva chiuso la porta ed era uscita. Aveva dato un ultimo sguardo a quella che era stata per diciassette anni la sua casa e si era incamminata con le grida di sua sorella Brook che la chiamava.
“Non andartene.”
Nella testa di Kimberly risuonavano le parole della bambina.
Si sentiva crudele nei suoi confronti, aveva solo dieci anni .. era sola.
Sospirò un'altra volta e chiuse gli occhi.
“Anthony è morto.” La voce di Jessy era flebile quel giorno.
“Cosa?” Chiese Kimberly.
“Un muro gli è caduto addosso mentre lavorava, non sanno come sia potuto succedere ..” Jessy singhiozzò. Si mise una mano sulla bocca cercando di fermare un altro singhiozzo.
Brook corse a stringere la madre. Kimberly rimase ferma.
Come è possibile morire per il crollo di un muro? Anthony non l’avrebbe mai permesso.
“Kim ..” Sussurrò Brook, continuando a stringersi alla vita della madre.
Le due sorelle si guardarono per un attimo, Kimberly mandò giù il groppo alla gola e corse su in camera di Anthony. Aprì la porta con forza e si fiondò sul letto ancora sfatto da quella mattina.
“Kimberly, ce la faremo.” Era la voce di sua madre a dirlo.
Le accarezzava i capelli come non aveva mai fatto, Brook accanto a lei singhiozzava riempendo la stanza di dolore.
Era il 2 luglio 1995 quando Anthony Sun morì per il crollo di un muro.
La madre glielo aveva sempre detto “Stai attento a lavoro.”
“Tranquilla mamma, non mi cadrà addosso un muro.” Rispondeva Anthony.
Eppure eccolo lì.
Chiuso nella bara di legno con i fiori bianchi posati sopra.
Sembra sciocco, vero? La morte è così vicina e noi non ce ne rendiamo neanche conto.
Anthony amava la sua vita. Insieme a sua madre portava il pane in tavola alle sue sorelle minori, pensava prima agli altri che a sé stesso.
Kimberly riaprì gli occhi. Un altro ricordo l’aveva invasa.
Aveva trovato la lettera solo quel pomeriggio.
La verità era venuta a galla.
Si alzò dal letto, tolse la felpa leggera che aveva indossato quel giorno e la buttò a terra rimanendo a maniche corte.
Tolse le scarpe con un movimento deciso dei piedi e si infilò nel letto. Spense la luce, socchiuse gli occhi e aspettò il sonno.
“Le farfalle sono bellissime!” La piccola Kimberly saltellò qua e là nel prato cercando di acchiapparle.
“Non le prenderai mai così!” Anthony rise e la fermò. Le scostò una ciocca di capelli dagli occhi verdi. “Dobbiamo tornare a casa per il  pranzo.” Disse.
“Uffa! Però domani torniamo qui?” Chiese Kimberly, speranzosa.
“Certo!” Anthony le sorrise. Le scoccò un bacio sulla guancia e mano nella mano si incamminarono verso casa.
Drin. Drin. Drin.
Aprì gli occhi di scatto e puntl lo sguardo sul telefono poggiato sul comodino che squillava.
-Pronto?- Rispose con la voce impasta dal sonno.
-Vuole il servizio in camera, Signorina?-
-Si, grazie.-
-Tra cinque minuti sarà tutto pronto.-
Chiude la telefonata e butta la testa sul cuscino con un tondo.
Richiude gli occhi cercando di rivivere il sogno.
Anche se a dirla tutta non era un vero e proprio sogno, era accaduto veramente.
L’immagine di Anthony le si parò davanti.
I capelli neri e lisci, gli occhi verdi uguali ai suoi, il fisico asciutto, il sorriso gioioso che gli si formava sulle labbra ogni volta ..
I suoi abbracci e i baci sulle guance prima che lui andasse a lavoro ..
Neanche un singhiozzo. Sa che non le serve più a nulla.
L’unico problema sono i ricordi che la invadono.
Anthony ora è il suo punto debole.
Sa di non poterlo dimenticare, chiede solo un po’ di tregua da quel dolore che le scava nel petto.
Non chiede altro.
O forse si, un altro desiderio ce l’ha .. ridatemi Anthony.
Ridatemi Anthony dice la voce nella testa.
-Servizio in camera!-
***
Dopo aver fatto colazione ha pagato la nottata trascorsa in hotel e si è incamminata per le vie poco illuminata dal sole.
Sospira. Firenze non le è mai sembrata così orribile come ora.
Non riesce neanche a capire perché.
Vuole solo andare via. Vuole raggiungere al più presto Rimini e incontrare il suo vero padre, ha bisogno di capire e soprattutto scoprire come Anthony ha fatto a trovare la verità.
Possibile che abbia cercato informazioni nelle carte della madre custodite nel cassetto in salotto che teneva costantemente sigillato?
Probabile. Anthony non era stupido, sapeva la verità, aveva bisogno di una conferma.
Si guarda in giro, il sole sale sempre più in alto e questo vuol dire anche che deve sbrigarsi a raggiungere la stazione dei treni per partire.
Allunga il passo man mano che le finestre delle case e dei palazzi si aprono per dare il buongiorno.
-Kim! Come mai sei sveglia a quest’ora?- Marco la ferma con un gran sorriso.
Marco non è un suo amico, è una palla al piede che conosco da un paio di anni. Ha diciannove anni, è un bel ragazzo non lo nega ma lei non è in cerca di una relazione, ha altri problemi a cui pensare.
-Un giretto, prima di andare a scuola.- Sorride appena.
Gli passa davanti e continua a camminare spedita verso la stazione dei treni.
-Oggi vengo a trovarvi!- Dice Marco da lontano.
-Ci si vede lì allora!- Risponde Kimberly.
Si morde le labbra, odia dire bugie ma lo fa per un valido motivo.
Cammina per un'altra mezz’ora per poi arrivare di fronte la stazione dei treni. Va a comprare il biglietto con la carta di identità falsa.
-Kimberly Sun, sicura di avere diciotto anni?- Chiede il bigliettaio.
-Si, non si vede?- Kimberly sorride e indica la data di nascita.
-Non voglio problemi, ragazzina. Dove sei diretta?-
-Rimini.- Riprende la carta di identità e la ficca nella borsa.
-Ecco a te. Tra cinque minuti dovrebbe arrivare il treno.- Le porge il biglietto.
Tiene stretto il biglietto tra le mani e con la borsa sulla spalla aspetta.
Anthony ha pensato a tutto per lei.
Quando ha trovato la lettera non solo le ha dato una gran parte di informazione ma le ha anche procurato la carta di identità falsa.
Non lo ringrazierà mai abbastanza per questo.
Anthony conosceva Kimberly come il palmo della sua mano, sapeva che lei sarebbe scappata e magari l’avrebbero fatto anche insieme se solo lui non fosse mor..
-In carrozza!- Il macchinista del treno.
Si mette in fila mostrando il biglietto e sale sul treno.
Cerca uno scompartimento vuoto.
Arriva alla fine del treno per trovarlo, entra e si siede.
Lascia la borsa su un sedile e guarda fuori. Ci vorrà almeno un quarto d’ora prima che tutti salgano.
Sospira e butta la testa all’indietro contro il sedile.
E’ certa che Jessy la stia cercando ma non si preoccupa.
Ora ha un padre da ritrovare e due ore e mezza di viaggio.





Angolo autrice
Ho scritta questa storia qualche giorno fa, a dire il vero volevo scrivere un libro ma purtroppo non credo sarà possibile farlo quindi mi limito a mettere qui dentro le mie amate storie.
Il secondo capitolo l'ho già scritto, dovrei iniziare il terzo e postare domani forse tutti e due i capitoli.
Non penso sia una storia per cui faranno in tanti delle recensioni in ogni caso ci provo a renderla una bella storia.
Buona lettura.
:)

  
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