Buongiorno a
tutti/e!
È da
tantissimo tempo che non pubblico più una fanfiction, e
guardate un po’, torno nientemeno che con un bel carico
d’angst! Durante
l’ascolto della versione ungherese di Gloomy Sunday
(sì, proprio la canzone “maledetta”
che induce al suicidio, oggetto di una striscia di Himaruya su Birz!)
mi è
venuto in mente il plot per raccontare l’Holodomor, la storia
del massacro
della popolazione ucraina perpetuata dalla Russia nel modo
più crudele che
possa esserci (neanche i racconti dello sterminio nazista mi hanno
impressionato come l’Holodomor), tanto da venir ufficialmente
riconosciuto
dalle comunità internazionali come Crimine contro
l’Umanità.
Avviso:
Non ci sono
pairing, non c’è sesso, non
c’è yaoi. Don’t
like, don’t read.
Moryty Holodom
Anno 1933
Camminava
meccanicamente, il piccolo Iosif, a passo lento,
strascicato. Era un piccolo burattino che avanzava nella neve per
inerzia,
eppure mettendoci tanto sforzo, una cosa insolita per un bambino di
soli sette
anni, di ritorno da scuola.
Andrey non si
era presentato a scuola. Era l’unica
informazione che Iosif aveva tenuto in memoria. Quali argomenti erano
stati
trattati quella mattina? Non riusciva a ricordarli. Non era per
distrazione,
non era nemmeno per mancanza di volontà. Gli era piaciuto
andare a scuola, un
tempo. Era sempre stato grato per quelle ore sottratte al duro lavoro
nei campi
della sua famiglia. Questo, una vita fa. Ora avrebbe barattato tutte le
ore di
scuola della sua vita per tornare a lavorare in quei campi benedetti. Si chiedeva se sarebbe tornato
il tempo di una nuova
mietitura. Ancora non sapeva quello che gli adulti non potevano
più ignorare e
che mormoravano tra loro a denti stretti (almeno chi i denti ancora non
li aveva
perduti) e occhi spiritati in risalto sui volti scavati: non ci sarebbe
stato
alcun raccolto, indipendentemente dal fatto che fosse o meno
abbondante....
perchè loro non ne
avrebbero
beneficiato.
Iosif era quasi
arrivato a casa di Andrej, doveva solo andare
in fondo alla strada e poi svoltare dietro alle case sulla destra.
“Non
andare”.
La voce
femminile, tesa ma dolce, distolse il bambino dai
suoi pensieri. Trattandosi di una voce mai udita prima, e quindi
appartenente
ad una sconosciuta, doveva stare in allerta. Si voltò a
guardare la donna che
aveva parlato.
Era giovane,
anche lei magra e con l’espressione angosciata,
eppure bella. Una fascia azzurra fermava i corti capelli biondo cenere.
Il
seno, malgrado la magrezza, era florido, il che rese Iosif ancor
più
sospettoso: quello di sua madre era ormai avvizzito per la fame, forse
quella
sconosciuta non subiva la carestia come la maggior parte della
popolazione
ucraina? Poteva essere magari una spia russa?
“Torna
a casa tua” disse la ragazza. Una tristezza infinita
traspariva dietro al velo di lacrime che ancora non cadevano, no, non
voleva
turbare ulteriormente il bambino.
Iosif non era
cieco, se n’era accorto. Eppure, scelse di non
obbedirle. I suoi genitori erano stati categorici: mai dare retta agli
sconosciuti, e men che mai seguirli. Quelle istruzioni di prudenza
erano sempre
state impartite, eppure mai come in quell’ultimo anno avevano
assunto, nella
voce dei genitori, un connotato di estremo allarme, seppur
incomprensibile alla
logica di un bambino.
E poi,
perchè mai non avrebbe dovuto andare a trovare
Andrej? Corse
dunque verso la sua casa,
per quanto la corsa, nella sua debolezza, gli costasse parecchia
energia.
Svoltò
l’angolo in fondo alla strada... e fu bloccato da un
cappannello di gente, muta per l’orrore, che osservava quanto
stava accadendo.
Alcuni
poliziotti stavano portando via i genitori di Andrej
in stato completamente catatonico.
La notizia si
era sparsa velocemente di bocca in bocca. “Hanno
mangiato il loro stesso figlio!”.
Nessuna condanna nel tono della loro voce, solo l’angoscia,
la consapevolezza
di una tragedia annunciata...
Iosif avrebbe
voluto urlare, urlare il suo dolore, la sua
paura. Eppure, proprio la paura gli tappò la bocca: non
doveva mostrare la sua
presenza a quelle persone, suoi potenziali carnefici – e ora
sì che gli
ammonimenti dei genitori assumevano un nuovo significato nella mente
del
bambino!
Fuggì
verso casa.
Corse come se avesse avuto il diavolo alle calcagna, senza
mai voltarsi.
..... Katiuscia
avrebbe voluto risparmiargli una tale
rivelazione.
Per la sua
natura non umana, la morte di ogni singolo
cittadino ucraino la debilitava, fisicamente e, soprattutto,
spiritualmente.
Eppure non aveva fatto nulla di male, se non subire la follia di
Russia,
ansioso di compiacere il suo capo.
“Oh
fratello caro, perchè non riesci a vedere quello che mi
stai facendo? Vuoi dunque uccidermi?” aveva pensato molte
volte.
Era stata solo
una questione di tempo che episodi di
cannibalismo si erano presentati, non troppo spesso, ma abbastanza per
incrementare la paura tra le persone. Il sospetto verso gli sconosciuti
ma
anche il terrore, più primordiale, verso se stessi e verso
le persone amate.
Quel bambino non vivrà.
Pochi bambini sarebbero sopravvissuti a quell’inverno e Iosif
non sarebbe stato
tra quei “fortunati”. Katiuscia non avrebbe potuto
cambiare la sorte del
bambino, ma aveva sperato con tutto il suo cuore che non avrebbe
passato i suoi
ultimi giorni a guardare con sospetto e timore i suoi stessi genitori.
Avrebbe
voluto che provasse la tenerezza, prima dell’addio.....
Dove c'erano
sette
figli in una casa,
ne sono rimasti soltanto tre;
il loro padre li guardava con dolore
e diceva alla moglie:
“Quale dei tre dovrò ammazzare
perché gli altri due abbiano da mangiare,
chi dovrò sacrificare?
Non so scegliere,
quello più piccolo o quello più grande?”
Mentre parlava, prese un coltello
e se lo infilò nel petto.
Anno 2003
Ora arriva
l'estate
e il grano che sta crescendo
quest'anno
andrà perduto nel vento,
andrà perduto nel vento.
Ma il ricordo della gente di Kiev vivrà
finché queste parole saranno cantate,
in tributo ai milioni di persone
che sono morte in inverno.
Erano passati
molti anni da quei giorni bui, eppure Ucraina
aveva finalmente ottenuto il riconoscimento internazionale.
È stato genocidio,
un crimine contro l’umanità.
Anche
l’Holodomor aveva la data di commemorazione nel
calendario nazionale.
“Sorellona,
perchè sostieni queste brutte cose? È normale che
ogni tanto avvenga qualche massacro durante una guerra!”
Russia ci credeva
davvero, la sua voce esprimeva una genuina mancanza di consapevolezza
per
quello che aveva fatto alla propria sorella, che pure diceva di amare.
“Ecco,
appunto!” rincarò la dose in modo ben
più bellicoso la
sorella minore. “Scegliere di eliminare sistematicamente la
popolazione dell’Ucraina,
che razza di idea!”
Katiuscia
sospirò. No, non avrebbe mai convinto i fratelli
che ciò che aveva subito era stato non solo terribile ma
anche premeditato.
Eppure,
nonostante tutto, non riusciva ad odiare Russia.
“Anzi,
devo ringraziarti” disse pacatamente al fratello.
“Come,
ringraziarmi?” ribattè l’altro spaesato.
Esatto”
Katiuscia sorrise “ci hai privato del nostro cibo, ci
hai fatto terra bruciata attorno, hai pianificato lo sterminio del mio
popolo,
e per poco non ci sei riuscito. Ma nonostante tutto, noi siamo
sopravvissuti. Contro
di te, siamo riusciti a sopravvivere. Prima di tutto questo, non ne ero
affatto
sicura, ma poi ho raggiunto la piena consapevolezza. Senza di te, caro
fratello, noi possiamo vivere! Lo
so io,
lo ha scoperto il mio popolo. E così è
stato!”
FINE
Ebbene,
l’idea di scrivere qualcosa sull’Holodomor
(“assassinio
di massa per fame”) era germogliata nella mia mente dopo aver
letto la
testimonianza di un ucraino che aveva vissuto esattamente
ciò che
ho descritto nella fanfic: la scoperta che
un suo amico era stato mangiato dai suoi stessi genitori.
È
stato difficile, ammetto, trovare un finale, ma alla fine,
sembra che, nell’amarezza, si possa constatare come
l’Holodomor sia stata una
prova di forza, crudelissima e inumana, dalla quale quale
l’Ucraina ne è uscita
“vittoriosa”.
Qui un link con
maggiori informazioni sull’Holodomor, vi
troverete anche il testo della canzone da cui ho tratto le parti
scritte in
corsivo a sinistra à http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=38654&lang=it