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Autore: hirondelle_    10/08/2013    3 recensioni
[Sostituzione de "Il Re dei Ladri"] [linguaggio volgare] [tematiche carine e coccolose (?)]
Ember cercò con lo sguardo tra i letti e si fermò appena trovò Silver. Chino su un corpo, come sempre ad accarezzargli i capelli castani. – Ti reggi ancora in piedi, Sakuma?
Silver si voltò di scatto, scrutandolo con astio. Da quella volta che l’aveva scoperto nel secondo reparto ed era stato rimproverato, sembrava volerlo sfidare. Non si sarebbe allontanato dal malato –il ragazzo steso da giorni in perenne sofferenza, il ragazzo che non parlava, il ragazzo di cui era innamorato, Genda si chiamava, prima ancora di Belva, Genda dell’oltreoceano – per niente al mondo. Davvero.
- Te l’ho detto mille volte che sei da primo reparto.
- Te l’ho detto mille volte di non impicciarti.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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                                                                                                                               Autore: Macareux
Titolo: Death Mask
Titolo del capitolo: L’Isola I
Genere: Introspettivo, Romantico, Angst.
Avvertimenti: AU, Violenza, Contenuti Forti.
Rating: Arancione (tendente al rosso)
Pairing: Varie.
Desclaimer: I personaggi presenti in questa fanfiction non mi appartengono ma sono proprietà del rispettivo Autore. Questa fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli avvenimenti descritti in questa fanfiction non sono mai esistiti, ogni avvenimento a fatti o persone reali è puramente casuale (… ci mancherebbe)
Attenzione!:Chiunque plagerà e/o prenderà ispirazione indebitamente da questa fanfiction verrà perseguitato dal sommo regolamento di EFP (?). Insomma, se volete scrivere qualcosa di simile avvisatemi, non vorrei che si creino dispiaceri come è già successo in passato.
Si ringrazianoe si chiede scusa a: Chiedo scusa innanzitutto a Cha-sensei (Flaine) per aver rubato la sua idea, ovvero scrivere nomi in codice per ogni personaggio. Diciamo che qui, come del resto nell’Isola che non C’è, i nomi in codice sono necessari. E volevo chiedere scusa a Roby, perché ruberò (?) la caratterizzazione di uno dei personaggi che ama di più. Cercherò di farmi perdonare…
Note 1: Questa fanfiction è ispirata al libro “L’Isola dei Liombruni” di Giovanni De Feo, a sua volta ispirato alla nota “Isola che non C’è” di Peter Pan.
 

 
 
Free spostò lo sguardo sulla luna di mezzanotte, talmente bella da sembrare quasi diafana. Le campane suonavano lentamente, con fare cadenzato, tutti i rintocchi della notte. Si diffondevano per le strade deserte, strisciavano lungo i vicoli solitari, si insinuavano sotto i portoni delle case disabitate nel freddo vento serale. Le luci dei lampioni illuminavano tristemente il vecchio viale principale, apparentemente vuoto sotto i brividi del freddo.
- Dobbiamo muoverci. – mormorò appena, la sabbia della spiaggia che attraversava vorace la strada per insinuarsi tra i suoi vestiti. Spirava il vento dal mare, un vento freddo e deciso, quasi volesse cacciarli da quel posto desolato. – Si sta avvicinando una tempesta.
Fiamma lo fissò, per nulla turbato da quella decisione. Scese dal muricciolo dal quale, da diversi minuti, controllava immobile il piccolo quartiere di periferia. Buttò la sigaretta a terra, spegnendola con un silenzioso scalpiccio del suo stivale, poi lo guardò senza una parola. Il capo era sempre stato lui, anche se Fiamma lo superava di diversi centimetri ed era più esperto nel nascondersi nel buio.
Presero a camminare lungo la strada, Fiamma si accese un’altra sigaretta e in breve iniziò a lasciare una scia di fumo lungo il loro percorso, come una presenza diafana e misteriosa. Ma erano solo loro, Free e Fiamma, due ragazzi cresciuti troppo in fretta. Nulla di più.
Solo quando il vento iniziò violento a battere contro i loro giacconi scuri Free decise di prendere qualche strada secondaria, piccole scorciatoie che con il tempo aveva imparato a conoscere come le proprie tasche. Proseguirono appoggiandosi ai muri di pietra, ascoltando il lamento dei cunicoli del paese. Forse, in quell’interminabile labirinto di acciottolati, avrebbero trovato Donnola… ma non era semplice, troppe cose da constatare, troppi rumori da percepire. Donnola non era facile da scovare.
Free fece segno a Fiamma di seguirlo per la strada che portava alla chiesetta. Il compagno semplicemente annuì, limitandosi a camminargli a fianco, come a proteggerlo: ma non c’era nessuno lì, solo loro due. Niente li avrebbe mai attaccati, non c’era nulla da temere.
I ragazzi si strinsero nei loro giacconi in silenzio, ogni parola sarebbe stata trascinata via. Salirono osservando biechi le case pallide e smunte, file di portoni dall’aria dimessa pronti a volare via. Ma c’era ancora qualcuno, lì, dietro quelle finestre simili ad occhi: nessuno lo sapeva. Nessuno lo sapeva, tranne Free e Fiamma ovviamente, ma entrambi non volevano avere a che fare con quella gente. A loro bastava l’oro, nulla di più.
- Mettiti questa. – borbottò Fiamma guardandolo di sottecchi, prima di porgergli la sua sciarpa: aveva notato da parecchio che il più piccolo stava tremando, a Free non era mai piaciuto il freddo della pioggia. Egli non accettò comunque la sciarpa, troppo orgoglioso e troppo attento al mondo che lo circondava per percepire il compagno. Troppo distante, si era sempre detto Fiamma. Si rimise la sciarpa senza una parola, socchiudendo gli occhi al vento sempre più imperioso.
Arrivarono alla chiesetta che aveva già iniziato a piovere, una pioggerella fine, apparentemente tranquilla. Presto il cielo avrebbe iniziato a piangere.
Free spalancò la porta principale con un gesto freddo, entrando nel barcollante edificio senza una parola. Osservò con cipiglio l’enorme squarcio sul tetto cadente, ma non fece alcunché: si limitò a sedersi per terra vicino a un cumulo di macerie, facendo posto all’altro con naturalezza. – Qui staremo al sicuro. – mormorò,  stringendosi le ginocchia al petto. Fiamma non rispose, si limitò ad accendere un’altra sigaretta, guardando con muto interesse l’altare spaccato rovinosamente in due, le cere delle candele ancora sul pavimento polveroso, i segni di un piccolo incendio dove un tempo doveva esserci stata la statua di una Madonna. Una chiesa cristiana. Ne aveva viste tante, in vita sua.
- Gli altri se la caveranno? – mormorò assente Fiamma ascoltando la furia delle onde lontane. Free gli prese la sigaretta dalle dita e fece un tiro intenso, chiudendo estasiato gli occhi come sotto l’effetto di una droga. – Conoscendoli, saranno a scopare da qualche parte.
Fiamma si mise a ridere, una risata cupa e leggera: - Oh sì, ci staranno dando dentro a quest’ora. In fondo a nessuno piace fare i turni.
Non si erano accorti di essersi avvicinati l’uno all’altro, sotto gli spifferi incessanti della tempesta. Troppo intenti ad ignorarsi per comprenderlo, troppo stupidi, forse troppo insofferenti alla presenza del proprio compagno. Eppure entrambi sapevano che nessuno dei due sarebbe riuscito a sopravvivere senza l’altro.
- Domani è il mio compleanno. – borbottò assente Free guardando il cielo plumbeo oltre lo squarcio. – Cosa mi regali?
- Una stella.
Free si voltò verso di lui, serio. Odiava quando il compagno lo prendeva in giro, sebbene sapesse che il segreto stava tutto nell’indifferenza. – Dico sul serio, Fiamma.
- L’uomo libero vuole un regalo. – mormorò assente il compagno sorridendo accattivante. – L’uomo libero vuole rimanere ancora legato per un po’.
Free non rispose. Si stese semplicemente tra i calcinacci e le immondizie, percependo che la tempesta sarebbe passata presto. Nulla traspariva dalla sua espressione immobile ed eterea, Fiamma non provò nemmeno a comprenderla. Stette lì, seduto accanto al ragazzo, a fumare una sigaretta dopo l’altra.
Non ci fu spazio per dirsi nulla.

 

 
Astro uscì dalla cascina malmessa che si era già fatto giorno. Per le strade tuttavia non c’era ancora anima viva, tutti erano probabilmente ancora tra le lenzuola smesse di qualche casa in disuso come loro. Eppure, di solito, i ragazzi prestanti a quell’ora si affrettavano lungo le stradine di ciottoli con ceste di pesci in mano, felici dopo una notte proficua, e le ragazze tornavano dal fiume con la biancheria da stendere cantando qualche canzoncina sciocca tipica delle donne.
Il ragazzo si appoggiò allo stipite guardando assonnato il sole già alto sul mare. Sbadigliò, tastando nella tasca dei jeans alla ricerca del suo fidato pacchetto di sigarette: maledizione, le aveva finite quella sera.
Spostò lo sguardo sul matrimoniale sfondato al centro della stanza, dove una figura si contorceva ancora nel letto cercando l’ultimo barlume di calore tra le lenzuola, nuda, lì dove l’aveva lasciata. Non era sveglia, semplicemente sembrava voler rincorrere un sogno.
Si avvicinò di soppiatto a Bijou, salì sul letto e gli morse un orecchio, leccando voluttuosamente l’orecchino. Quello aprì appena gli occhi chiari, prima di sorridere impacciato ed affondare la testa nel cuscino.
- Un tuffo in mare prima di darcela a gambe? – propose accattivante Astro sussurrandogli quelle poche parole con tanta sensualità da far arrossire di botto il ragazzino, il quale annuì dopo aver alzato il capo dalla stoffa.
Tuttavia nessuno dei due volle alzarsi subito da quel letto che, alla fin fine, aveva fatto da scenario a chissà quante scopate come la loro. Ma del resto, quando si trattava di Bijou, il pudore rimaneva una cosa a parte.
Astro addirittura si assopì, cercando calore nel corpo dell’altro, badando bene di ricoprirlo di attenzioni. Furono, come al solito, gli sbuffi del compagno a risvegliarlo. Gli buttò le lenzuola sporche addosso senza grazia, per poi alzarsi sistemandosi la zip dei pantaloni. Faceva freddo dopo la tempesta di quella notte, ma la maglietta era, almeno per il momento, inutilizzabile.
 Fu sentendo il tintinnio familiare delle collane che Astro si girò verso di lui, guardandolo serio: nonostante fossero passati anni da quel giorno, le cicatrici erano ancora ben visibili sulla sua schiena bianca, come provocati da laceranti artigli rossi. Era passato talmente tanto tempo che nessuno dei due lo contava davvero, eppure i ricordi sbiaditi erano ancora là, appiccicati alla pelle come tizzoni ardenti: Astro sentiva di voler proteggerlo. Di voler proteggerlo da tutto: dalle orgie in riva al mare, dalla droga spacciata sulla spiaggia come zucchero filato, dagli sguardi di chi ormai considerava Bijou pazzo..
Bijou non era pazzo. Non era pazzo. Non ancora, almeno.
Sentì il proprio nome pronunciato da quelle labbra sottili, le vocali strascicate di chi ha ancora sonno. – Mi aiuti?
Astro era consapevole che Bijou, per allacciarsi le cinque collane che soleva portare al collo, non aveva bisogno d’aiuto. Eppure quei gesti semplici e intimi erano diventati quasi un rito, da quando si erano conosciuti: Astro sorrise e si sedette di nuovo sul letto, a sistemare i gancetti. Bijou piegò la testa alla ricerca di un bacio.
Scesero in spiaggia mano nella mano, vestiti solo dai jeans aderenti. Bijou avanzava con le collane che tintinnavano sul suo petto latteo, i bracciali d’argento mandavano bagliori alla luce del mattino, l’orecchino dondolava pigro accompagnato dalla brezza del mare. Semplicemente meraviglioso, pensò Astro, prima di rubargli un altro bacio.
- La coppietta innamorata. Che tenerezza. – soggiunse una voce sarcastica dalle ripide scalette del vicolo. Astro si guardò attorno indispettito, riconoscendo la figura di Black appoggiata a un portone sudicio di salsedine. Mancava davvero poco al mare.
- Ma guardalo. – rispose a tono, fissandolo superiore. – Hai finito di leccare il culo al tuo capo e sei venuto a rompere le scatole a noi, non è così?

Black ghignò, si scostò dal muricciolo dal quale si era messo ad osservare la strada: da lì era facile osservare e restare inosservati, al riparo dalle ombre delle case. Estrasse il coltellino dalla tasca dei pantaloni con un gesto fluido, puntandolo alla sua gola. – Ho decisamente di meglio da fare.
- Noto. – sghignazzò Astro rispondendo sfilando il pugnale dalla cintura.
Per quanto riguarda Bijou, si era seduto su uno dei scalini di pietra, osservandoli con fare quasi annoiato. Perché era sicuro che, se fossero venuti alle mani, avrebbe vinto certamente Astro.
Lo sguardo di Black vacillò infatti appena vide il pugnale. Bello, dall’impugnatura d’oro zecchino, ben lucidato ma ancora con qualche incrostazione di sangue a deturpare la lama. Un’arma degna di un cacciatore di tesori. Ripose il misero coltellino nella tasca e ringhiò nella sua direzione, per poi caracollare giù per la discesa senza una parola.
Black era impulsivo, non stupido.
- Quelli lì sanno solo cazzeggiare. – commentò Astro riponendo il pugnale nel fodero. Rivolse uno sguardo dolce al suo Bijou e sorrise: - Andiamo?

 
 

 
 

- Una festa? – si accigliò sospettoso Night, guardandolo di sottecchi e aspirando una boccata dalla sigaretta. Perfect, la mente in parte distratta da una partita a solitario, annuì impercettibilmente. – Sì. Una festa. – ripeté piano,  senza smettere di fissare le quattro file di carte con assoluta calma. Perfect manteneva sempre la calma, una parte di lui che in un certo senso irritava la maggior parte della banda.
- Perché Donnola dovrebbe  invitarci a una delle sue feste? – mormorò il pensieroso Night, sedendosi sulla sua tappezzata poltrona di velluto. Il sole filtrava attraverso le persiane malamente chiuse, illuminando a spiragli il covo segreto del gruppo, di certo non conosciuto per il suo ordine: sedie e tavoli rovesciati, bottiglie di alcool abbandonati sul pavimento marcio e incrostato, mozziconi di sigaretta e un impregnante odore di vodka, fumo e sesso; quadri dal valore inestimabile rovinavano a terra, coperti dalla terra e dalla polvere. L’informatore si guardò attorno, impassibile, prima di concentrarsi sulle sue inseparabili carte. – Non ne ho idea. Io, del resto, sono un semplice messaggero.
Night lo guardò bieco: in realtà Perfect era molto più furbo e consapevole di quanto facesse intendere. Certo, lui era solo un informatore, un elemento neutrale in mezzo a tutte quelle bande che si contendevano l’isola… ma i suoi occhi, apparentemente sempre concentrati sulle sue carte da gioco, vedevano. E aspettavano.
Dei messaggeri, questo era certo, non bisognava fidarsi ciecamente.
- È tutto qui? Ti ho scopato per una cosa del genere?
- I messaggi hanno il loro prezzo. – mormorò semplicemente Perfect riunendo tutte le carte e riponendole nella borsa. Si alzò dal divano e si rivestì lentamente, il pudore abbandonato su uno di quei letti sudici, senza preoccuparsi dello sguardo ancora affamato e languido dell’altro. Si guardò poi allo specchio appoggiato alla parete vicino alla finestra, sistemandosi i capelli ribelli con un gesto semplice della mano nivea. – Lo sai Night? – disse poi voltandosi verso di lui, pronto per andarsene. - È sempre un piacere consegnarti i messaggi.
Night rise sommessamente, i suoi occhi azzurri si socchiusero appena squadrando la dolce e minuta figura di Perfect. – Torna pure quando desideri.
Il messaggero sembrò rimanere impassibile, ma al capobanda non sfuggì un sorriso ammiccante. Il ragazzino sparì tra le velate e calde luci dell’alba, senza una parola di più.
Night rimase a lungo seduto, abbandonando la testa sullo schienale a fissare il soffitto di muffa. Il fumo si spargeva per la stanza, nella penombra, disegnando volti astratti tra gli sbuffi biancastri.
Una festa. Per quale ragione? Night se lo chiese, alzandosi pigro per prendersi i vestiti. Appena i suoi occhi incontrarono uno spiraglio di luce sbatté le palpebre irritato, per poi dare un colpo forte a una delle persiane: essa crollò malamente, coprendo anche l’ultimo fiotto di sole.
Quali erano le intenzioni di Donnola? Una richiesta di favori, uno scambio di merci? No, non poteva essere, Donnola era fin troppo abile per procurarsi da solo tutto ciò che voleva: non c’era cosa che quel ragazzo potesse fare, rubare o procurare, tanto che era ben conosciuto nell’isola non solo per la sua fama di capobanda, ma anche per la sua infallibile astuzia.
Night ghignò, la cicca in bocca, infilandosi i jeans scoloriti. Qualunque cosa volesse Donnola da lui, di certo avrebbe preteso un pagamento equo.

 

 
Due ore prima

 
Donnola fissò a lungo Soldier, prima di compiere un gesto d’assenso con la mano inanellata: - Non fare tardi.
Il ragazzo s’illuminò a quelle parole, e sotto l’elmo ammaccato dal quale non si separava praticamente mai nacque un dolce sorriso. Donnola sapeva quanto ci tenesse ai rari incontri con uno dei messaggeri, e di certo non si considerava abbastanza potente da fermarlo. Sapeva, però, che il loro amore “segreto” non sarebbe durato: lì, nell’isola, l’amore non durava mai.
- Ah, Scheggia, scopami più forte, di più… - iniziò dunque a gridare Masquerade rotolandosi sul letto, la voce alterata e le braccia a circondarsi la vita. – Mi piace, Scheggia, mi piace
- Ma finiscila, coglione. – sbuffò stizzito Soldier arrossendo appena, tirandogli dietro una cucinata che lo centrò in pieno. Tuttavia, grazie alla maschera che soleva portare la vittima, egli non si ferì minimamente. Scoppiò anzi a ridere, e l’intera banda con lui.
Soldier decise di ignorarli, del resto non aveva molto tempo a disposizione e bisognava fare in fretta. Il capobanda gli sussurrò il messaggio all’orecchio, le labbra fini a sfiorarlo leggermente come una carezza, e Soldier scese dal faro che usavano come covo a piccoli passi, evitando gli scalini marci con balzi calcolati.
Erano ben pochi i ragazzi in grado di scrivere, ancor meno coloro che sapevano leggere. I messaggi venivano da sempre trasmessi oralmente, ragion per cui bisognava rivelarli a persone ben fidate se si voleva mantenere le informazioni al sicuro. Di certo, ciò non poteva valere per il messaggio che in quel momento Soldier si ripeteva da un po’, come una cantilena: si trattava di un semplice invito a una delle tante feste del suo capobanda, una di quelle che si pensava sarebbe stata ricca di sorprese. Donnola aveva invitato quasi tutta l’isola, eccetto ovviamente i Figli del Traghettatore.
Soldier corse, elettrizzato, lungo la spiaggia disseminata di mozziconi di sigaretta. La strada era ancora lunga, ma il suo animo invincibile: già poteva scorgere, in lontananza, la scogliera adiacente alla foresta. Il ritrovo dei messaggeri si trovava lì, in mezzo alla boscaglia, al riparo da occhi indiscreti. Sarebbe bastato raggiungere l’enorme albero concavo che si erigeva sul promontorio.
Si arrampicò con destrezza, il messaggio offuscato appena dal pensiero di Scheggia: era passata solo una settimana dal loro ultimo incontro, e già sembravano anni. I muscoli di Soldier scattarono agili e forti come molle, e nel giro di mezz’ora fu già in cima, ad ammirare la distesa azzurra dell’infinito.
Non si fermò molto: proseguì lungo il sentiero di ciottoli che portava alla boscaglia, salendo il profilo della punta. I gabbiani si chiamavano in un coro stridulo di versi, scendevano in picchiata verso il mare per poi risalire, trionfanti, un pesce nel becco adunco. Era risaputo che i loro nidi dessero il nome al promontorio: lo Sperone dei Gabbiani era già attivo ancora prima che il sole sorgesse.
Soldier emise un fischio sordo, poi un altro più lungo: ai messaggeri non piaceva ricevere visite inopportune. Il segnale significava il recapito di un messaggio.
Pochi passi, e Soldier giunse nel piccolo covo degli informatori: poche capanne addossate all’albero più grande che gli occhi dei ragazzi avessero mai visto, assi di legno sovrapposte l’una all’altra a riparare pochi giacigli lerci. Eppure i messaggeri si definivano orgogliosi della loro dimora, e non c’era da ribattere assolutamente con loro.
Seduto ai piedi di un giovane albero, il capo degli informatori fumava paziente una sigaretta: come sempre, era intento a una partita a Solitario.
Soldier non conosceva bene Perfect, ma si era fatto un’idea abbastanza chiara sul suo conto: alto, smilzo, spalle ampie, portamento gentile ed educato con la maggior parte delle donne; ma a volte tanto ombroso da risultare persino inquietante. Ovunque andasse, c’erano le carte da gioco a parlare per lui: si diceva che fosse stato, oltreoceano, un fenomeno da circo. Nessuno però sapeva la verità.
- Cerchi Scheggia. Ho indovinato.
La sua voce arrivò con un sussurro, eppure chiara e limpida come se avesse parlato normalmente.  Soldier sussultò imbarazzato, accorgendosi solo in quell’istante di averlo fissato con troppa intensità. I suoi pensieri furono subito frenati da passi svelti e agili, poi un abbraccio soffocante: Scheggia era lì, i suoi riccioli ribelli illuminati appena dalla poca luce che spezzava la fitta volta di rami. – Sei tornato! – gridò in estasi. – Sei tornato per me!
Soldier sorrise e strinse forte il messaggero più giovane dell’isola: appena tredici anni, o almeno tutti avevano deciso così di comune accordo. Si diceva che fosse anche l’informatore più veloce, si poteva elogiarlo un po’ mano per la sua affidabilità: era risaputo che Scheggia amasse parlare. Soldier sentiva comunque di amarlo, dal più profondo del cuore: come poteva essere l’amore tanto sbagliato, lì nell’isola? – Ho un messaggio…
- Vieni. – lo interruppe Scheggia prendendolo per mano, ridendo civettuolo. – Vieni, parliamo dopo.
E le sue labbra si posarono sulle proprie, incandescenti e proibite, scarlatte quanto il fuoco di uno di quei falò che si accendevano sulla spiaggia. Una delle sue mani scivolò oltre l’orlo dei boxer facendolo mugolare: Soldier si separò da lui prima di perdere completamente la testa. – Me lo dimenticherò come l’altra volta! – protestò in completa balia del suo sguardo, assuefatto dal suo profumo pungente di muschio.
- Vorrà dire che me lo gemerai all’orecchio fin quando non sorgerà l’alba. – lo tentò Scheggia iniziando febbrile a spogliarlo, trascinandolo verso uno dei giacigli. – Ora baciami.
 
Perfect li osservò a lungo fare l’amore, in silenzio, per non interrompere la sfilza di gemiti e baci proibiti.
Quei due non sarebbero durati ancora per molto. Perché l’amore, nell’isola, non durava mai più del previsto.
Spostò lo sguardo sulle quattro file di carte ancora perfettamente allineate: in fondo, che ne poteva sapere lui? Lui era un semplice informatore.
Solo un semplice informatore.
 
Angolino di Macareux
Salve c:
Eccomi qui con una nuova long-fic.
Sicuramente vi chiederete: “Ma come, non dovevi riscrivere il Re dei Ladri?”
L’amara verità, purtroppo, è che non ce l’ho fatta. Al suo posto si è creata una long-fic completamente differente: diversi i personaggi, le ambientazioni, i caratteri, la trama. Ho cambiato davvero tutto, ragazzi. E non l’ho fatto per cattiveria, semplicemente non sono riuscita a creare una ristesura per quella long che molti di voi amavano e aspettavano con ansia…
Per chi volesse rileggere la vecchia creazione può comunque chiederla via MP: ve lo devo, del resto non ho mantenuto una promessa.
Spero che questa long vi aggradi comunque: l’ispirazione mi è venuta rileggendo “L’Isola dei Liombruni”, un romanzo di Giovanni De Feo ispirato appunto all’Isola che non C’è. Mi è sembrato carino riprendere un po’ uno dei libri che mi hanno attratta di più, sebbene non abbia intenzione di inserire alcun elemento Fantasy.
Sarei felice se qualcuno mi dimostrasse qualche suo parere attraverso una recensione: ogni critica è ben accetta! –purché abbia senso-
Ah… mi piacerebbe sapere se qualcuno ha indovinato le identità dei personaggi ;)
Un bacio!
 
 
   
 
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