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Autore: shiratori_chan    18/02/2008    3 recensioni
Quante sono le dita delle mani? Dieci, lo sanno anche i bambini. Una bimba facendo un piccolo gioco con una sua prozia, scopre quanto in realtà questo numero non sia sempre corretto.
Crescendo, questo piccolo momento le torna alla mente proprio per ricordare questa donna.
In memoria di Diana, la mia prozia dalle nove dita.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’indice si muove veloce sopra le dita.


- Sei,


Si posa sul pollice.


- Sette,


Sfiora il proprio gemello.


- Otto,


Ne indica un altro.


- Nove!


Il dito finisce la sua corsa sul mignolo, e lo sguardo di stupore della bimba bionda provoca la risata sguaiata e sinceramente divertita dell’anziana che le sta seduta di fronte sullo stesso letto.


- Ma zia! Le dita sono dieci! Come fai?!?


Dopo aver protestato mettendo su un leggero broncio, la piccola le afferra stizzita il polso, contando anche lei una volta, due, tre, eppure non riesce a carpire il segreto di quella mano: sono entrambe perfette, che la sua vecchia prozia sia nata con un dito in meno? A quel punto appoggia la sua piccola manina sinistra contro il palmo destro dell’altra: è evidente, ne manca uno…

E mentre stranita la piccola continua a fissare la mano più grande che contrasta la sua, chiedendosi come mai non abbia mai notato un particolare simile, l’anziana sposta il braccio, per poi mostrarle una piccolissima cicatrice nascosta nell’incavo tra l’indice e l’anulare: - Non ho il medio perché me l’hanno tagliato! - spiega urlando e ridendo a voce altissima.


Lo sguardo di raccapriccio della bambina, provocato dalla sua fin troppo fertile fantasia, fa scoppiare l’altra nell’ennesima risata spaccatimpani, reazione che stupisce la piccola, la quale non ci capisce più nulla.









Una ragazza è seduta sul letto del suo appartamento da fuorisede: ormai lo chiama casa.

Tiene la faccia nascosta tra le ginocchia raccolte al petto che circonda con le braccia, racchiusa nel suo piccolo guscio.

Nelle orecchie gli auricolari di un lettore che trasmette una canzone triste.

Solo qualche singhiozzo rompe il silenzio della stanza.

Ad ore dalla notizia, ora, con il calar della sera e l’abbraccio delle tenebre, piange.

Piange, perché la sua zia non c’è più.

Piange, ed al pianto per questa ennesima perdita si aggiunge il dolore per gli altri che ha dovuto seppellire, sentendosi troppo giovane per aver dovuto vedere così tanti cari lasciarla.


Lei, che piange solo per rabbia, non riesce a fermare le lacrime.

E, nuovamente, si sente spezzata dentro. Le pare di essere un fragile vaso caduto troppe volte a terra, un vaso che ci si ostina a ricostruire ma che non riuscirà più ad essere perfetto, liscio e puro come una volta, che continuerà ad avere cicatrici che le rovineranno il cuore.


I capelli castano chiaro, scuritisi nel corso degli anni, nascondono le sue lacrime solitarie dallo sguardo altrui, come una tenda che va a coprire, ancora una volta, il suo dolore.

Nessuno la stritolerà più vedendola, avvolgendola in un abbraccio spaccaossa.

Nessuno le farà più scherzi stupidi e dolorosi perché non sa dosare la forza.

Nessuno la guarderà più con gli occhi lucidi mentre la saluta prima di andarsene.


E non ci sarà più una mano con sole quattro dita a stringere forte la sua.








A mia prozia Diana.
Se esiste un aldilà, spero tu sia finalmente in pace.
Con amore,

Ilaria
   
 
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