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Autore: Codivilla    10/08/2013    2 recensioni
E se dopo l'ultima partita contro i Dallas Ropers, finito lo sciopero dei giocatori professionisti di football, a qualcuna delle "Riserve" dei Washington Sentinels fosse stata riservata una ulteriore chanche?
• Dal primo capitolo:
Abbassò lo sguardo all’orologio che portava per vezzo al polso destro invece che al sinistro. Sbuffò pesantemente sotto i baffi grigi e si aggiustò la visiera del cappellino di paglia che portava calcato sul capo per coprire la calvizie che si faceva sempre più incipiente con l’avanzare degli anni.
«Avanti, giochiamo a football!» gridò infine, verso i suoi giocatori, battendo le mani un paio di volte.
Shane Falco, giuro che appena ti prendo ti uccido.

• Disclaimer: i personaggi citati, a parte quelli creati da nuovo, non mi appartengono e sono proprietà degli autori del film "Le Riseve" (titolo originale: "The Replacements") del 2000, diretto da Howard Deutch. C'è qualche riferimento ad alcune battute del film, ma in maniera sporadica. I nomi delle squadre non sono reali: sono quelli citati nel film, inventati dagli autori dello stesso. Mi scuso per eventuali svarioni in merito alle regole del football che, nonostante la mia documentazione in merito, possono essere presenti.
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Prologo -
Un'altra occasione



***


 

La palla ovale sibilò in alto nell’aria fresca di quel pomeriggio di Settembre. Veloce scavalcò la traversa della porta a sud del campo da football, atterrando poco lontano dal primo anello degli spalti, quello più vicino ai margini dell’erba appena tagliata e curata di fresco. Quello dove sedevano, durante le partite, i tifosi più accaniti. E anche quelli che avevano una passione particolare per le cheerleader.
«Cazzo, Nigel, certo che non potevano trovarti soprannome più azzeccato!»
Nigel “Il Piede” Gruff voltò il viso smilzo ed affilato verso il proprietario di quella voce, abbozzando un sorriso sornione e portando la mano destra alle labbra. Aspirò un tiro profondo da una sigaretta, soffiando poi via il fumo con noncuranza.
«Due anni che giochiamo insieme e ancora non te ne fai una ragione, Franklin? Dalle mie parti cresciamo a pane e calcio, quante volte devo ripetertelo!» disse infine col suo marcato accento gallese.
Clifford Franklin scosse il capo adorno di corti dread scuri, ridacchiando ed avvicinandosi all’allampanato ragazzo europeo. Biondo e pallido com’era, Nigel Gruff faceva un buffo contrasto accostato alla pelle scura di Clifford, marchio inequivocabile delle sue origini afro-americane.
«Meglio per noi, amico! Non sono molte le squadre che possono vantare qualcuno in grado di tirare un calcio piazzato da sessantacinque yarde![1] »
Nigel aspirò una nuova boccata di fumo e gettò la cicca della sigaretta a terra. Il sorriso sul suo volto si fece più ampio mentre guardava il suo compagno di squadra.
«Puoi dirlo forte, cazzo!» esclamò, porgendo a Clifford un “cinque” che il ragazzo ricambiò energicamente, facendo schioccare la sua grossa mano destra contro quella del compagno.
«Ehi, Franklin, Gruff! Qualcuno sa dove diavolo sia finito Falco?!»
La voce imperiosa e autoritaria del coach McGinty si fece largo nella conversazione dei due, che si voltarono immediatamente a quel richiamo, entrambi facendo spallucce.
«Non s’è ancora visto, coach! Avrà trovato traffico per strada» rispose Clifford, ma Nigel riuscì a malapena a trattenere un sorriso malizioso a quelle parole dell’amico. Jimmy McGinty girò sui tacchi e si allontanò dai due borbottando, coi baffi grigi che ondeggiavano buffamente sulle labbra ad ogni parola che pronunciava. Tornò nuovamente a sbraitare verso i due, puntando l’indice della destra con fare minaccioso.
«E voi andate a cambiarvi, di corsa, finitela di fare gli sfaccendati!»
Nigel guardò negli occhi il suo compagno di squadra.
«Già…traffico» disse soltanto, inarcando le sopracciglia, prima di dirigersi a passi lenti e cadenzati verso gli spogliatoi, fischiettando sommessamente una vecchia canzone gallese.



***


 

La stagione del football sarebbe ricominciata di lì ad una settimana. L’intera Washington andava in fermento, mano a mano che si avvicinava la domenica in cui si sarebbe giocata la prima partita: i Washington Sentinels sfidavano in casa i Detroit Ironmen, dando come ogni anno l’occasione ai propri tifosi di tornare a godersi lo sport che era il vanto nazionale americano.
L’interesse per il football, già presente e vivo fra i cittadini, si era acuito e rafforzato in quegli ultimi due anni, susseguiti ad uno sciopero dei giocatori che aveva fatto scalpore[2]. Due stagioni prima, praticamente tutti i giocatori di football del campionato si erano rifiutati di scendere in campo, lasciando le proprie squadre in cattive acque, con la pretesa di stipendi aumentati a dismisura. Quelle moine da primedonne pluripagate avevano profondamente irritato il presidente dei Washington Sentinels, Edward O’Neil. Anzi, per dirla tutta, l’avevano fatto incazzare come una belva. Ma il vecchio volpone non era rimasto a piangersi addosso, così come non l’avevano fatto i presidenti delle altre squadre. Non poteva permettersi di ritirare la squadra dalla competizione. Chi avrebbe fatto fronte ai risarcimenti degli sponsor, agli impegni pubblicitari che sarebbero sfumati, se i Sentinels avessero rinunciato a giocare le ultime quattro partite, le più importanti della stagione?
L’idea gli balenò alla mente durante l’ultima partita prima dello sciopero, contro i Miami Barracudas, e precisamente durante una azione sconsiderata d’attacco mandata in fumo da Eddie Martel, lo strapagato quarterback dei Sentinels, e il più spocchioso e prepotente dell’intero spogliatoio. La soluzione era pazzesca, ma poteva funzionare. Ricostruire una squadra intera in meno di una settimana per finire la stagione ad ogni costo. Una squadra di semi-professionisti. Una squadra di riserve, insomma. E quel compito l’aveva affidato all’unica persona al mondo di cui si fidava: Jimmy McGinty.
McGinty, per la verità, non era stato trattato coi guanti bianchi dal presidente dei Sentinels. Bruscamente liquidato dallo stesso, dopo una lite furiosa con un quarterback dalla rabbia facile e dal gioco pretestuoso, ma molto amato dal pubblico, si era ritirato dall’allenare, disgustato da quel branco di puttanelle miliardarie che erano diventati, negli anni, i giocatori di football. Nonostante quell’episodio turbolento, era rimasto in buoni rapporti con quel vecchio figlio di puttana di O’Neil. Forse fu per quella sorta di amicizia che non seppe dire di no alla sua richiesta di allenare una squadra improvvisata, fatta di giocatori non professionisti. O forse ad averla vinta fu il pensiero che quella sfida lo allettava, immensamente. Niente primedonne capricciose pronte a reagire ad ogni sgridata. Niente giocatori che credevano di essere chissà chi e avevano perso di vista le emozioni pure che provocava lo stringere fra le mani la palla ovale. Una squadra di giovani, ognuno a suo modo speciale, che avrebbero giocato per il piacere di farlo, senza pensare solo ed unicamente alla propria retribuzione. Con questo pensiero fisso nella mente, Jimmy McGinty acconsentì a guidare i Washington Sentinels, completamente rivisitati nel loro organico, nelle ultime quattro partite della stagione durante il periodo dello sciopero dei giocatori ufficiali.
Il coach volle il controllo completo della sua squadra. Aveva scelto personalmente i giocatori sui quali fare affidamento. Un gruppo di semi-professionisti, che non avevano mai sfondato nella League, chi per un motivo, chi per un altro. Ognuno di essi era dotato di talento, ma i rovesci della vita, si sa, giocano spesso brutti scherzi.
Era il caso di Clifford Franklin, wide receiver[3], che McGinty aveva appellato come “il più veloce figlio di puttana che avesse mai visto”. Sfortunatamente, Franklin aveva mani incerte e tremolanti alla presa della palla ovale, difetto che Leo Pilachowski, il coordinatore offensivo, aveva corretto almeno in parte, in quelle quattro settimane, a suon di allenamenti e lanci improbabili lungo il campo da football. Per Clifford, abituato a lavorare in un minimarket e a sfruttare la propria velocità per inseguire piccoli ladruncoli di merendine, quel traguardo era servito come monito a ritagliarsi un posto in quello sport che aveva, a malincuore, abbandonato.
Nigel Gruff aveva alle sue spalle una storia sportiva che si distaccava invece parecchio dal football americano. Ex-calciatore di una squadra della città di Cardiff, nel Galles, Nigel aveva appeso le scarpe al chiodo per aprire un pub. Gli affari erano andati male anno dopo anno, a causa anche del brutto vizio del gallese di scommettere ogni sterlina guadagnata ai botteghini. Che fossero corse di cavalli, incontri di calcio, partite di football, non gli interessava. Scommetteva su tutto e puntualmente ci rimetteva perfino i peli del naso. L’esile calciatore era ben noto al coach McGinty per il suo poderoso calcio, che gli era valso negli anni il soprannome di “Il Piede”; proprio per questa sua caratteristica egli l’aveva fortemente voluto nella squadra, rendendolo il kicker [4] ufficiale dei Sentinels.
Un nome più famoso degli altri spiccava fra quelli indicati da McGinty. Quello di Shane Falco. “Piedi Lunghi” Falco, dello stato dell’Ohio. Un ragazzo di venticinque anni con un grande talento, scelto per rimpiazzare lo spocchioso Martel nel ruolo di quarterback[5]. Un talento che era scemato a seguito di una disastrosa finale universitaria, persa sul punteggio di quarantacinque a zero, durante la quale l’intera squadra da lui capitanata si era smarrita nel gioco. Non era stato capace di tirarne le redini, e in quei minuti era lentamente crollato, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il suo rendimento in quella finale gli era valso il soprannome di “Piedi Lunghi”; era riuscito a completare solo pochi passaggi verso i ricevitori, e nella maggior parte delle azioni aveva scaricato velocemente la palla a qualche compagno per evitare i placcaggi della difesa avversaria, che la sua linea offensiva non riusciva a fermare in alcun modo. Aveva corso le mille miglia in quella partita, praticamente. Non si era più ripreso da quel duro colpo; abbandonò il football divenendo manovale nel piccolo porto di Washington, sul fiume Potomac. Passava le giornate a grattar via la merda dalle barche lussuose dei cittadini benestanti. Sempre col tormentoso ricordo di quella finale che era stata la sua rovina. Sempre con la consapevolezza che aveva tentennato, una volta trovatosi sul filo di quella partita. Non aveva retto alla pressione ed era rimasto sopraffatto.
Quando il coach gli aveva chiesto di unirsi alla squadra di non professionisti per portare a termine il campionato dei Sentinels, Shane ci aveva riflettuto su parecchio. La paura di ricadere in quell’incertezza durante le partite l’aveva fatta da padrone, nei primi momenti, ma aveva infine deciso di cogliere quella seconda occasione e di accettare il ruolo di quarterback per quelle quattro, sole partite.
Altri ricevettero una seconda occasione, al fine di completare quelle strana ed eterogenea squadra. Ad esempio l’agente speciale SWAT Danny Bateman, linebacker[6] nervoso ed assolutamente imprevedibile quando l’adrenalina della partita si faceva sentire; o il galeotto Earl Wilkinson, cornerback[7] di grande talento, che aveva mandato in fumo la sua carriera per una rissa in cui aveva picchiato due agenti di polizia, facendosi sbattere in galera. O ancora, il lottatore di sumo Jumbo Fumiko, “riadattato” al ruolo di bloccatore offensivo per la impressionante mole e la forza fisica devastante. Una squadra che nulla aveva di convenzionale.
I ragazzi giocarono come se non vi fosse un domani, in ogni singola partita. In effetti, non c’era nulla per loro dopo quell’apparizione fugace. Niente feste, niente cerimonie, niente fan che chiedevano autografi. Solo ossa rotte, sudore e consapevolezza di avercela messa tutta.
Al primo incontro, contro i Detroit Ironmen, dopo tentennamenti vari iniziali che avevano portato a un pesante svantaggio, la squadra aveva cominciato a funzionare. Rimontarono, facendo a spallate con gli avversari senza risparmiarsi. Ma Shane aveva ancora impresso nella mente il fallimento della finale universitaria. All’ultima azione, quella che avrebbe consentito quantomeno il pareggio, decise di andare contro gli ordini del coach. Cambiò schema, per paura di essere placcato, affidando immediatamente la palla ad un compagno di squadra invece di concludere personalmente l’azione. Persero miseramente la possibilità del touchdown[8], e con essa la partita.
Nell’affrontare i San Diego Stallions, invece, provvidenziale fu il calcio poderoso di Nigel; i Sentinels conquistarono la vittoria appunto con un calcio piazzato da sessantacinque yarde, mirabilmente trasformato dal gallese nell’azione che condusse i ragazzi alla vittoria.
La terza gara fu contro i Phoenix Scorpions. Ne vennero fuori, vincenti, alla fine, grazie a un touchdown messo giù da Clifford dopo aver intercettato un incerto passaggio di Shane. A dirla tutta, era un passaggio che Shane aveva quasi completamente sbagliato. Ma in quel momento non importava. Un’ultima partita, ancora, da vincere; un solo ulteriore ostacolo verso i play-off[9].
Shane si allenò duramente per non commettere lo stesso errore. Si concentrò ogni attimo in quella settimana per convincersi che avrebbe avuto la freddezza giusta, nel caso la partita con la squadra di Dallas si fosse messa sul filo del rasoio. Ma il presidente O’Neil aveva altri progetti in mente per i Sentinels e per quella partita in particolare.
Fu infatti Eddie Martel a scendere in campo con le riserve, contro i Dallas Ropers. Shane Falco era stato liquidato, perfino con una certa signorilità. O’Neil voleva essere sicuro di vincere. E con Martel, il miglior quarterback della League, quella vittoria era più che certa. Non poteva permettersi che Falco si calasse nuovamente le braghe, combinandone una delle sue. Ma c’era qualcosa che il vecchio presidente non aveva considerato.
I ragazzi della squadra credevano fortemente in Falco. Era diventato loro amico, prima ancora che loro capitano. Non sapevano adattarsi all’egoismo di Martel, al suo gioco presuntuoso, che non teneva in conto delle esigenze di gioco e fisiche degli altri ragazzi. Per quanto la tecnica del quarterback nel lanciare e passare la palla fosse perfetta, essa arrivava sempre un attimo prima del ricevitore, oppure andava a finire da tutt’altra parte rispetto a quello che il ricevitore stesso si aspettava. Il tutto perché Martel pretendeva di essere compreso al volo, facendo il suo gioco ad ogni costo. Alla fine del secondo quarto[10], i Sentinels erano sotto di diciassette a zero, e Martel continuava a fare la parte della primadonna isterica, suscitando l’incazzatura generale dei giocatori che l’avrebbero volentieri preso a calci nel culo.
Fu quasi un’apparizione l’ingresso di Falco negli spogliatoi. L’avrebbe guidata lui, la squadra. Non aveva bisogno di campioni strapagati. Gli bastava soltanto la fiducia dei suoi compagni, ed ogni lancio sarebbe andato a segno nelle mani del ricevitore, e poi oltre la linea di touchdown. Sotto la guida di Shane, le riserve dei Sentinels riuscirono nell’impresa che la squadra inseguiva, invano, da sette lunghi anni. Una rimonta sudata a suon di spinte, contusioni ed infortuni, fino a battere la squadra di Dallas passando ai play-off ed aprendosi, quindi, la strada di una possibilità verso il superbowl. 
Quella stessa sera, i ragazzi sgombrarono i loro armadietti. Sorridevano per la vittoria, ma dietro il sorriso amaro c’era la consapevolezza che era finita, dopo quell’ultimo, mirabolante touchdown. Lo stadio era andato in delirio. Le cheerleader avevano ballato con una grinta mai vista. Il pubblico li aveva ringraziati ed amati, per aver loro restituito quelle emozioni che da anni mancavano alla squadra di Washington. Misero via le protezioni e le magliette, appesero al chiodo i pantaloni e le ginocchiere, fasciandosi le braccia graffiate ed insanguinate ed asciugandosi il sudore. Un passaggio verso casa e via, ognuno verso la propria vita.
Ma per qualcuno di loro, dopo qualche giorno da quella partita, le cose andarono diversamente. Ricevettero tutti e tre la stessa telefonata. Gruff, Franklin e Falco. La voce di Leo Pilachowski li invitava a presentarsi nuovamente allo stadio di Washington.
Fu il sorriso di Jimmy McGinty ad accoglierli, quel giorno.
Fu la sua voce dura e un po’ burbera ad annunciare che i pesanti sederi delle alte sfere dei Sentinels avevano deciso di dar loro, addirittura, una terza possibilità. La grinta di Falco era piaciuta immensamente al vecchio O’Neil, che al cambiare del vento aveva immediatamente voltato anche la bandiera, facendo fuori Martel la sera stessa della partita coi Dallas Ropers. Franklin e Gruff, invece, li aveva voluti McGinty, senza ammettere repliche. Gli era dovuto, dopo il miracolo dei play-off, e soprattutto era fra i suoi diritti di allenatore (nuovamente ufficiale) dei Sentinels scegliersi i giocatori che riteneva più opportuni.
Da quel giorno, i tre furono ufficialmente iscritti alla lega professionistica dei giocatori di football degli Stati Uniti. Certo, avrebbero dovuto guadagnarsi il posto da titolari ancora con tanto sudore e tanta fatica. Ma quel pezzo di carta che firmarono era già, per loro, il realizzarsi di un sogno.



***


 

Erano passati due anni dalla firma di quel contratto. Falco era divenuto oramai il perno insostituibile della squadra, e pareva intendersi con Franklin senza neanche bisogno di guardare quale fosse la sua posizione nel campo. Dal canto suo, Clifford aveva insistito per allenarsi nelle prese della palla giorno e notte, facendo sfinire il povero Leo ma migliorando a tal punto da risultare essere estremamente completo nel ruolo di ricevitore. Capace di superare chiunque in corsa, e di acchiappare qualsiasi lancio. E Nigel…era rimasto il solito Nigel. Fumava come un turco, beveva come solo un gallese sa fare e aveva ancora quel fisico esile che faceva sorridere chi lo ascoltava definirsi un “chiodo d’acciaio”. Ma manteneva saldo e forte quel piede dalla rara potenza. Era una sicurezza sui calci piazzati. McGinty era fiero del rendimento di quei ragazzi così tenaci, eppure non lo dava mai a vedere. I modi autoritari e schietti di fare che aveva lo rendevano più che mai carismatico nel guidare la squadra e in questi atteggiamenti egli comprendeva il non dispensare troppo facilmente complimenti ai suoi ragazzi. A dirla tutta, dava loro addosso più spesso con rimproveri e grugniti di varia foggia che lo facevano somigliare a un vecchio orso imbronciato.
Era proprio questa l’idea che dava in quel momento, in piedi accanto alla panchina, con gli occhi fissi agli spogliatoi mentre i giocatori cambiati di tutto punto e con le divise indosso lo guardavano dal campo, aspettando che desse ordini per iniziare l’allenamento.
Abbassò lo sguardo all’orologio che portava per vezzo al polso destro invece che al sinistro. Sbuffò pesantemente sotto i baffi grigi e si aggiustò la visiera del cappellino di paglia che portava calcato sul capo per coprire la calvizie che si faceva sempre più incipiente con l’avanzare degli anni.
«Avanti, giochiamo a football!» gridò infine, verso i suoi giocatori, battendo le mani un paio di volte.
Shane Falco, giuro che appena ti prendo ti uccido.





 

 

 

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Note:
[1]
In realtà, il record della NFL (National Football League) per il calcio piazzato realizzato dalla maggiore distanza è di 63 yards. Come per molti degli aspetti del film, il "Piede" di Nigel rappresenta una poderosa, quanto azzeccatissima, esagerazione! Una yard statunitense è pari a circa 0,9144 metri.
[2] Il film è liberamente ispirato allo sciopero dei giocatori della NFL del 1987, durante il quale i Washigton Redskins (vera squadra di football di Washington D.C.) andarono a vincere tutte e tre le partite rimanenti con la sola squadra di riserve, senza nessun giocatore titolare. Al termine della stagione, vinsero perfino il SuperBowl. Tra l'altro, la controversia raccontata nel film tra Shane Falco, quarterback di riserva, ed Eddie Martel, quarterback titolare aderente allo sciopero, è del tutto simile a quella che si ebbe in realtà fra Doug Williams e Jay Schroeder.
[3] Wide receiver: ricevitore esterno. Sono generalmente tra gli atleti più veloci della squadra, specializzati nel ricevere passaggi da lontano, devono avere una notevole abilità manuale ed energia nel saltare per anticipare gli avversari in elevazione.
[4] Kicker: calciatore. E' colui che calcia la palla sia per dare il via all'inizio di un tempo, sia per riprendere il gioco dopo un touchdown, per realizzare un calcio piazzato o per ottenere punti extra.
[5] Quarterback: è uno dei ruoli principali in una squadra di football americano. Il quarterback è definito "capo dell'attacco", la sua funzione principale è quella di far applicare gli schemi che gli vengono suggeriti dal Coach, leggere la difesa avversaria e guidare l'attacco (meglio definito come offense) in end-zone, la zona del campo dove la palla deve essere portata per realizzare un touchdown.
[6]
 Linebacker: giocatore di seconda linea difensiva. Probabilmente il ruolo chiave della difesa. Questi giocatori devono seguire e bloccare le azioni di corsa, difendere contro i passaggi (marcando i ricevitori che si portano nel mezzo del campo) e minacciare le azioni di lancio con corse improvvise contro il quarterback avversario, chiamate incursioni (blitz in lingua inglese).
[7] Cornerback: difendono i due lati esterni del campo, soprattutto contro i passaggi del quarterback avversario. Marcano direttamente un avversario specifico, di solito un ricevitore (marcatura a uomo), oppure marcano indistintamente chi venga a fare ingresso nella zona da loro presidiata (marcatura a zona).
[8] Touchdown: meta. Si segna essenzialmente in due modi: ricevendo un passaggio al volo all'interno dell'area di meta (end-zone) o varcando la stessa con il pallone in mano. Vale 6 punti.
[9] Alla fine di ogni stagione, i vincitori dei playoff dell'American Football Conference (AFC) e della National Football Conference (NFC) si incontrano nella finale del campionato, il Super Bowl, che si disputa in una città diversa ogni anno, e su campo neutrale per le due squadre.
[10] Le partite di football americano hanno una durata di 60' di tempo semieffettivo, suddivisi in quattro tempi (quarti) da 15' l'uno e con un intervallo di ulteriori 15' fra il secondo e il terzo quarto.


 

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- Angolo Autrice:
"Le Riserve" è fra i miei film preferiti in pratica da dieci anni.
Non avevo mai pensato però a scrivere qualcosa in merito, fino al mese scorso, quando l'ho rivisto per l'ennesima volta, e mi son detta: "Perchè non provarci?"
Bè, non ho idea di cosa ne verrà fuori. Sarà una long...molto long, quantomeno nei progetti che ho in testa!
In questo primo capitolo, facciamo conoscenza con alcuni dei personaggi principali della storia: Nigel Gruff, Clifford Franklin, l'allenatore Jimmy McGinty e, indirettamente, il protagonista principale, Shane Falco. E sembrano esserci guai in vista per il nostro quarterback, a giudicare dall'ondeggiare dei baffoni grigi del coach...!
Mi scuso ancora se c'è qualche svarione su regole e ruoli nel football: è uno sport che adoro ma sono completamente autodidatta in merito (è anche difficile informarsi non 'vivendolo' in prima persona come chi risiede negli Stati Uniti). Sarò felice di ricevere correzioni eventuali, di imparare non sono mai stanca!
PS: le immagini finali con questo stile sono ispirate alla bellissima storia Qui, dove tutto ha avuto inizio di Amartema, che vi consiglio di passare a leggere, merita davvero.
Grazie a chiunque passerà di qui e si fermerà a leggere. 


 

   
 
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