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Autore: PassengerXX    12/08/2013    5 recensioni
Sam ha da poco compiuto diciotto anni e sta vivendo quella che comunemente viene definita una grandissima giornata di merda ma la ragazza che ha una forte allergia nei confronti del mondo sembra non farci caso più di tanto. New York la sta aspettando e questa è l'occasione per dare una svolta alla sua vita. Anche la giornata di Spencer non è andata alla grande .. La ragazza infatti ha deciso di fare coming out..risultato?Una bottiglia di Vodka a farle compagnia. Ma la vodka non sarà l’unica compagnia della ragazza che ha una grandissima cotta per Sam nonostante un piccolo dettaglio: le due infatti non si sono mai rivolte la parola. A poche ore dalla "partenza" l'incontro che cambierà queste due giovani vite.
“Ed in quel momento che decido di resettare completamente tutto. Annullo violentemente la distanza che c’è tra di noi e le nostre labbra non si toccano ma si scontrano. La sua lingua fa cadere ogni residuo di barriera, spazzando vie i detriti di quel muro che credevo impenetrabile.
In quel momento non vi sono ne tempo, ne luogo, ne spazio. Ci siamo solo io e Spencer.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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“Okay, questa è decisamente una giornata di merda”.
In effetti questa è la frase che potrebbe racchiudere un po’ il mio pensiero sulla vita in generale, ma mai come oggi ogni lettera ha assunto pieno significato.
Stamattina ho appreso la notizia di esser stata bocciata, o meglio ancora, di non essere stata ammessa agli esami di maturità. Il mio ragazzo mi ha lasciata da circa cinque ore e per giunta poche ore fa mi è venuta la brillante idea di dare un senso a questa giornata di merda. Quale?
Mentre camminavo per cazzi miei dopo una brutta lite con Marcus, il mio ex ormai, ho visto un gattino incastrato tra delle grate del marciapiede.
 La gente ha usato diversi aggettivi per definirmi nel corso dei miei diciotto anni: Asociale, Anti-Affetto, Ghiacciolo e chi ne ha più ne metta, ma il fatto che odi profondamente ogni essere che parli, respiri o cammini non vuol dire che non ami gli animali. Così la mia voglia di redenzione nei confronti del mondo intero mi ha spinto a precipitarmi in soccorso di quel povero gattino.
Ora che ci penso? Il karma esiste e oggi non è decisamente la mia giornata.
Dopo aver salvato quel povero gattino, il “povero gattino” si è aizzato contro di me, graffiandomi mezzo braccio sinistro e il mento.
Dato che il fattaccio ha avuto luogo praticamente sotto casa di Marcus, quest’ultimo ha proposto di portarmi in ospedale ricevendo le mie più che legittime bestemmie.
Proprio per non smentire il mio karma sono arrivata a casa e ho preso la macchina di mia madre e mi sono diretta al pronto soccorso mandando un vaffanculo mentale a tutti quelli che sostengono che quando si lascia una persona si soffre ancora di più della persona che viene lasciata. Che grande minchiata.
Ritornando a me al volante, fin qui tutto okay, se non fosse per il fatto che non ho la patente. Perché, vi starete chiedendo? Semplice, bocciata anche in quello il mese scorso.
Dopo un ora interminabile di attesa al pronto soccorso, rischiando con il mio super karma, che il braccio andasse in cancrena, mi hanno fatto entrare e ovviamente anche se non mi ero fatta illusioni sognando un medico super sexy, come quelli che si vedono in Grey’s Anatomy, mi ritrovo un vecchio pelato, strabico, e per giunta bavoso.
< Ti consiglio di farti venire a prendere da qualcuno, questi antibiotici sono davvero pesanti > Queste erano state le sue parole poco prima di congedarmi.
E beh ora che mi ritrovo in macchina da sola, di sera, senza patente e con la vista appannata mi risuonano nelle orecchie.
Faccio un profondo respiro e ingoio l’aria fresca d’estate che entra da finestrino. In fondo in questo caos che è la mia vita c’è qualcosa di bello. Domani si parte. Destinazione New York.
Darò una svolta alla mia vita e lo farò cominciando daccapo.
I miei genitori sono già partiti per una vacanza in Europa due giorni fa. La loro motivazione è stata “Vogliamo riscoprire il  nostro amore”. Col cazzo.
Ormai ho perso il conto di quelle cazzate, divorziano per poi rimettersi insieme un anno si e due no.
E poi si chiedono perché mio fratello ha deciso di arruolarsi nell’esercito e non è più tornato.
Mentre con la mia testa navigo silenziosamente verso Time Square, Central Park e l’Empire State Building vedo qualcosa di verde alla mia destra. Se non fosse per lo strano colore direi che è un cane piegato su se stesso o un sacchetto della spazzatura lasciato lì da qualche incivile. Man mano che mi avvicino decido di rallentare incuriosita da quel “qualcosa” non identificato.
Quando gli sono ormai vicina accosto la Jeep di mia madre. Solo quando mi fermo capisco che quel qualcosa di non identificato è in realtà una persona. Intravedo i suoi capelli biondicci coperti dal cappuccio  che cela abilmente i lineamenti del suo viso. Da quel poco che vedo comprendo che è una ragazza ma il suo viso rimasto coperto non mi fa capire chi fosse.
Non so esattamente perché ho accostato e mi sono fermata a fissare quella ragazza ma qualcosa mi spinge a scendere dall’auto e ad avvicinarmi.
Resto comunque impassibile indecisa su cosa fare. Lei sembra accorgersi della mia presenza e alza lo sguardo e i suoi occhi verdi mi folgorano. Ecco, so chi è.
E’ la ragazza nuova. “Nuova” non è decisamente la definizione giusta … Spencer Harris oppure Harmie non so come si chiama, comunque Spencer si è trasferita  nella nostra prestigiosa scuola a metà semestre e dato che la nostra è una scuola di trecento allievi la nuova arrivata fa sempre scalpore. Lei però tranne per i primi minuti del primo giorno non l’ho mai vista parlare con nessuno. Che cosa strana … Non mi sono mai chiesta il perché fino a questo momento. Ora che ci penso il mio interesse verso il mondo esterno è talmente grande che non so nemmeno da dove viene quella ragazza o perché si è trasferita qui, a Cranfield, in provincia di Londra. Qui gli unici eventi interessanti sono i mercatini e le fiere di paese. Si, davvero molto interessanti.
Distratta dai miei pensieri quasi dimentico che la ragazza continua a guardarmi.
< Che cazzo hai da fissare? > Non sono stata io a parlare, vero? Quella che potrebbe essere stata tranquillamente una frase uscita dalla mia bocca, esce invece dalle labbra rosse di quella strana ragazza. Si, in effetti per accorgermi che la ragazza mi fissa devo averla pur fissata anche io. Scuoto la testa allontanando quei ragionamenti perversi e mi rendo conto della bottiglia di Vodka mezza vuota posta tra i piedi della ragazza.
La guardo di nuovo attentamente in viso. E’ bella da mozzare il fiato, i lineamenti sono gentili e la sua pelle è diafana, i suoi occhi sono verdi ed enormi tutto questo contrasta estremamente con quella bottiglia semi nascosta tra le sue gambe.
Mi guardo attorno. E’ tardi e la strada è decisamente deserta … Il tasso di criminalità non è alto in questo paese dimenticato da Dio, però trovo sbagliato lasciare lì sul marciapiede quella ragazza.
Sbuffando scendo dalla macchina, rimanendo la portiera aperta e mi dirigo velocemente verso Spencer Harris/Hermie. Lei continua a guardarmi con le sopracciglia aggrottate più confusa che mai. So per certo frequenta il quarto anno, quindi dovrebbe essere più piccola di me di un anno, credo, ma sembra se possibile ancora più giovane e uno strano istinto di protezione-mai provato-si manifesta in me.
< Ehi, fatti aiutare che ti riporto a casa > Affermo allungando il mio braccio. Non voglio fare movimenti improvvisi, ammetto di essermi trovata spesso anche io con una bottiglia di vodka fra le gambe ed è meglio essere prudenti in queste circostanze. Posso dire di avere un solo amico, Alex, per me è una specie di fratello, e lui mi ha sempre detto che le uniche circostanze dove sono socievole è sotto l’effetto di alcolici se poi ci aggiungo anche uno spinello, ecco … Meglio non scendere nei dettagli.
< Non voglio tornare lì > Afferma lei con la testa poggiata alle ginocchia.
Uno strano sentimento mi attorciglia lo stomaco … Non sarà mica tenerezza? Stupita da me stessa mi siedo accanto a lei e aspetto che dica qualcosa.
< Non voglio tornare lì > Ripete ancora una volta.
Mi alzo e lei alza la testa di scatto e mi guarda con occhi spauriti.
< Sali in macchina, ma ti avviso non ho la patente > Dico ironica e la ragazza accenna un piccolo sorriso. La aiuto ad alzarsi e la faccio sedere sul sedile del passeggero. Che diamine sto facendo? Dove porto quella ragazzina?
Salgo anche io in macchina e con un espressione alquanto confusa metto il moto. < Questa la dai a me > Dico prendendole la bottiglia di vodka da mano e gettandola nel primo cassonetto che trovo.
Non sapendo dove andare faccio due volte il giro dell’isolato, le mie mani sono insicure sul volante non riesco mai a guidare con qualcuno che mi fissa costantemente e ora ovviamente è cosi. Spencer Harris/Hermie da quando è salita sulla Jeep di mia madre non ha mai distolto lo sguardo da me. Io la guardo di sottecchi e mi rendo conto solo in quel momento che in effetti non mi sono nemmeno presentata.
< Comunque prima non ti ho detto neanche il mio nome … > Sto per dire ma la sua voce mi interrompe.
< Io so chi sei > Rido spudoratamente e lei mi fissa confusa. Non so se è l’alcol è la sua mimica facciale è davvero qualcosa di spettacolare.
< E chi sarei, dai spara > Dico cercando di trattenere le risate. Un anno fa, mi ubriacai a tal punto da sostenere fortemente che mio padre fosse un extra-terreste.
< Tu sei Sam Davis > Afferma come se niente fosse.
Per poco non inchiodo con la macchina. < E tu come conosci il mio nome? > Le chiedo perplessa.
Lei non mi risponde ma improvvisamente trova il tappetino della jeep molto interessante perché non distoglie lo sguardo da quel punto per circa cinque minuti.
Stanca di girare a vuoto, dopo quella giornata di merda, decido di tornare a casa, quella sera a quanto pare avrei tenuto un ospite.
< Senti, dato che non vuoi tornare a casa tua e penso che sia meglio così, in effetti, non so come reagirebbero i tuoi genitori vedendoti in questo stato, ti porto da me, ok? I miei non ci sono e domani mattina quando ti sarai ripresa ti riporto a casa tua > Affermo sperando vivamente che la ragazzina non vomitasse nella jeep.
La sua risposta non arriva e quando arrivo nel mio cortile capisco anche il perché. La testa di Spencer è riversa sul finestrino, la labbra leggermente schiuse fanno intuire che è già sprofondata tra le braccia di Morfeo. La guardo per un tempo non quantificabile. Non riesco a distogliere lo sguardo dal suo viso e non so per quale assurda ragione la mia mano le sfiora il piccolo ciuffo biondo che le cade sulla fronte.
Okay, sarò forse impazzita?! Scuotendo la testa scendo dalla vettura e mi dirigo verso l’inaspettata ospite.
Apro delicatamente la portiera per non farla cadere a terra e la prendo quasi in braccio. La sua statura minuta me lo permette e non se ne accorge nemmeno. Le avvolgo la vita con il braccio destro e lei mi si appende al collo, forse un riflesso spontaneo.
Fregandomene altamente dei vicini dietro le tende che sicuramente mi stavano fissando arrivo alla porta e con un movimento da abile contorsionista riesco ad estrarre le chiavi dalla tasca anteriore dei jeans e ad aprire anche la porta.
Rimango le luci spente per non svegliarla. Risultato? Sbatto rumorosamente nello spigolo del mobile in soggiorno e non emetto suoni per dignità. Zoppicando adagio Spencer sul divano, mettendole anche un cuscino dietro la testa.
Il suo corpo ha lasciato come un impronta sulla mia pelle rimasta di fuoco. La guardo dall’alto e trattengo a stento l’impulso di sfiorare la sua guancia rosea. Il mio sguardo si sofferma più del dovuto sulle sue labbra e mi chiedo mentalmente che sapore hanno.
“Ma che cazzo ti passa per la testa?!” Mi allontano velocemente da quelle labbra e vado in camera mia. Do un ultima occhiata al mio trolley, sembra quasi che mi stia aspettando. “Poche ore e ci troveremo insieme sul quel dannato aereo” penso allontanando il pensiero della ragazza al piano di sotto.
Allontano il pensiero ma non riesco ad allontanare l’istinto di scendere le scale e di dirigermi da lei.
Quando arrivo in soggiorno mi rendo conto che il divano è vuoto. Spaventata mi volto e me la ritrovo a qualche centimetro dalla mia faccia.
Okay, è difficile ammetterlo, Sam Davis è una tosta che non si spaventa facilmente e tantomeno urla per così poco, come quelle stupide ragazze nei film horror, quelle che in un’ora e quaranta di film buttano nel cesso cinquanta anni di lotta e emancipazione femminile comportandosi come delle galline spennate.
< Non volevo spaventarti > Afferma lei mettendosi una mano sullo stomaco. < Bagno >. Non connetto inizialmente quella parola al resto della frase, poi mette in ordine i tasselli del puzzle e la scorto in bagno quasi correndo sperando con tutta me stessa che non vomiti sulla moquette.
Non appena arriviamo al bagno lei si fionda sul water e vomita anche l’anima. Chiunque altro si sarebbe voltato per non guardare la scena, probabilmente disgustandosi. Io invece, mi avvicino lentamente e le tolgo i capelli sudati e appiccicaticci dalla fronte.
In quel momento penso a tutte le volte che mi sono trovata in quella situazione e la mia delusione quando alzandomi mi accorgevo sempre che non c’era mai nessuno a tenermi la fronte.
Dopo qualche istante l’aiuto ad alzarsi e il suo sguardo quando si rende conto che la sto sorreggendo è per la prima volta in quella serata più lucido che mai. Sul suo viso avviene la cosi detta “parata di emozioni”. Prima sorpresa, poi confusa, poi spaventata, poi ancora imbarazzata, e infine avvilita.
< Dove mi trovo? > Afferma guardandosi intorno spaventata.
< Ehm … Ti ho trovata sul marciapiede, ricordi di aver bevuto? >  Chiedo leggermente in difficoltà. Con la sfiga di quella giornata ci mancava solo finire in prigione per rapimento.
< Oh mio dio > Esclama lei coprendosi la bocca.
< Devi vomitare ancora? > Chiedo io afferrandole una spalla.
Lei si scansa da quel mio contatto improvviso e poi scuote la testa imbarazzata. Afferma indecisa.
<  Se vuoi posso riportarti a casa > Affermo, quella frase l’avevo ripetuta diverse volte quelle sera.
< No, no. Non posso tornare a casa in queste condizioni > Dice appoggiandosi al lavello. < Ti ringrazio per quello che hai fatto e ti chiedo scusa per qualsiasi cosa abbia fatto o detto, forse è meglio che adesso tolga il disturbo … >.
< Ma non sai dove andare, giusto? > Chiedo guardandola bene in viso. Lei fa no con la testa. Sembra un cucciolo spaurito, e la mia corazza di ghiaccio si è ormai sciolta come neve al sole.
< Facciamo così > Dico risoluta. < Ti do’ un asciugamano così puoi darti una ripulita e ti do una mia tuta ho tre camere da letto praticamente vuote, perché dovresti trascorre la serata su un marciapiede? > Chiedo seguendo quello che dovrebbe un ragionamento più che logico, ma che mai avrei pensato potesse uscire dalla mia bocca.
Questo sembra sorprendere anche lei che mi guarda leggermente sbigottita ma infine annuisce accennando un debolissimo sorriso.
Mi dirigo in cucina appena dopo avergli portato un pantaloncino e una t-shirt grigia.
Il timer sul micro-onde segna l’una e dieci, avrei dovuto prendere il mio aereo alle undici del mattino e mi dissi che avrei recuperato le ore di sonno sicuramente nelle diciannove ore di viaggio fino alla Grande Mela.
< Non so ancora come ringraziarti > La sua voce arriva alle mie spalle ma questa volta non sobbalzo. Mi volto lentamente e resto folgorata dalla sua bellezza. I suoi occhi azzurri sotto la luce assumono sfumature del tutto nuove, le iridi che al buio erano azzurre con la luce tramutano un blu notte, mai visto prima.
Lei arrossisce rendendosi conto, probabilmente di come la stavo fissando.
< Vivi sola? > Chiede ancora rossa in faccia.
< Si, cioè no. I miei sono partiti > Affermo quasi balbettando. Ma cosa mi prende?! Sam Davis non balbetta mai!
< Tieni questo ti aiuterà > Dico porgendole un tazzone pieno di caffè.
< Perché sei così gentile con me? > Chiede lei allungando una mano per afferrare la tazza.
< Lo vorrei sapere anch’io > Il mio è poco più di un sussurro ma è tranquillamente udibile in quella casa semivuota.
< Posso chiederti il perché ti trovavi in quelle condizioni? > Chiedo non riuscendo a trattenermi.
< E’ complicato > Afferma lei sorseggiando il caffè in imbarazzo.
< Beh, credo che tu mi conosca di reputazione. Saprai sicuramente che le cose complicate mi piacciono > Affermo ed ecco che la Sam Davis ritorna piano, piano in se. La spavalderia e la finta sicurezza sono elementi che mi hanno da sempre accompagnato nella mia vita, per non parlare poi dei mio egocentrismo e narcisismo altamente fuori alla portata di tutti.
Scorgo un sorrisino celato dalla tazza. < Proprio conoscendoti di reputazione stento ancora a credere che mi ritrovi qui, adesso >.
< E’ vero che di me tutti dicono che non abbia un cuore, ma non potevo lasciare una ragazza ubriaca sul marciapiede in piena notte > Affermo alzando le spalle come se la situazione non mi riguardasse.
< Io credo che tu abbia un gran cuore > Quelle parole sembrano uscirgli per sbaglio dalle sue bellissime labbra, tanto è vero che subito dopo abbassa lo sguardo accorgendosene.
< Penso che sia nelle dimensioni standard > Affermo senza pensare minimamente perché il suo viso è a pochi centimetri dal mio, non so ancora come.
“Voglio baciarla”. Quel pensiero nasce spontaneo nella mia testa come se fosse la cosa più logica del mondo. Il sole sorge ad ovest. I cani hanno la coda. Io voglio baciarla.
Mi allontano di scatto e per poco non sbatto contro il tavolo. < Scusami > Sussurra lei intimorita.
< Non hai fatto niente tu > Affermo io in uno slancio di onestà. Si, perché lei non si era mossa minimante dalla sua postazione ero stata io ad avvicinarmi in maniera pericolosa.
Eppure non avevo mai dubitato sul mio essere etero. Nei miei diciotto anni ho sempre fatto sesso esclusivamente con ragazzi, non mi sono mai e sottolineo mai, interessata al mio stesso sesso. Perché Spencer Harris/Hermie mi faceva questo effetto?
Lei si appoggia improvvisamente al bancone della cucina sembra avere un capo giro. Ed ecco che subentra di nuovo il mio strano istinto che mi fa correre in suo soccorso e l’aiuto a sorreggerla.
< Ma quanto hai bevuto? > Le chiedo facendola sedere in soggiorno sul divano. < Non so esattamente quanto, non ricordo >. “Ah, bene” penso e non riesco a trattenere una risata.
< Che hai da ridere? > Chiede a metà tra l’essere confusi e indignati.
< Non hai affatto la faccia di una che beve > Affermo perdendomi nella notte dei suoi occhi.
< Ah, no? > Chiede divertita. < E che faccia avrei? >.
“Una da baciare” vorrei tanto risponderle ma il buon senso per una volta viene in mio soccorso.
< Perché ti sei scolata una bottiglia di vodka? Cosa c’è che non va? > E’ così strano il fatto che io non lo stia chiedendo per semplice curiosità ma esclusivamente per il fatto che vorrei aiutarla? In qualche modo assurdamente strano proteggerla?
Non riesco a trattenere quel pensieri, ormai sull’orlo della follia più totale.
< Facciamo un gioco: io rispondo a una domanda se tu poi rispondi a una mia > Afferma sicura che molto probabilmente non avrei accettato. A scuola, ma d’altronde come in tutta la città la mia fama mi precede e posso essere definita proprio come l’antitesi della persona socievole.
< Ci sto > Rispondo spiazzandola. < Ora rispondi alla mai domanda > Le ordino stando al gioco.
< C’è una qualche minima possibilità che io stia sognando? > Chiede strappandomi un sorrisino. Ma dove è rimasta nascosta questa ragazza per tutto questo tempo? Rimpiango mentalmente di non averle mai rivolto la parola e di averla ignorata come il novantanove per cento della popolazione mondiale.
< Si, forse potrebbe essere un sogno e stai parlando con una me parallela decisamente più socievole >.
< Ho avuto la brillante idea di fare coming out con i miei genitori > Afferma di slancio, tutto d’un fiato. Io resto agghiacciata, paralizzata, come se ogni muscolo o osso del mio corpo fosse diventato di porcellana e al primo contatto possa rompersi.
< Credo che passerò la serata sul marciapiede > Afferma delusa dalla mia espressione. Si alza con sguardo rassegnato scuotendo la testa.
Anche se con un po’ di ritardo le afferro il braccio ancora un po’ sotto shock.
 < Tocca a te ora > Dico aspettando la sua domanda.
Lei sembra trattenere un sorriso ma non ci riesce. Quel sorriso mi fa letteralmente perdere la testa. “Ora la bacio” quel pensiero ormai sta diventando una costante!
< Perché hai innalzato una corazza verso il mondo esterno? > Chiede guardandomi fissa negli occhi. I miei occhi non hanno niente di speciale, sono semplici occhi castani ma da come lei mi fissa sembra trovarci chissà cosa di importante.
<  Perché non volevo farmi male > Rispondo automaticamente. Le parole mi erano uscite spontanee dalla bocca, senza che io le avessi in un qualche modo pensate o programmate.
< Come mai sapevi già chi fossi quando ti ho fatta salire in macchina? > Chiedo e mi rendo conto che i nostri visi sono di nuovo pericolosamente vicini.
< Perché ho una cotta per te da quando ti ho vista il mio primo giorno si scuola … Stavi in cortile accanto al tuo motorino a fumarti una sigaretta, faceva freddo eri stretta nel tuo giubbino di pelle nero, ti guardavi attorno con la tua solita aria da “non me ne frega un cazzo di nessuno”, i nostri sguardi si sono incrociati per un secondo poi hai guardato da un’altra parte facendoti un altro tiro.  In quel momento ho capito che la tua era una semplice corazza > Afferma spiazzandomi completamente.
Io non so che ribattere, non so se fare battute, essere felice per il fatto che abbia una cotta per me , incazzarmi perché crede di conoscermi.
Sto per aprire la bocca ma lei mi interruppe mettendomi un dito sulle labbra. < Ora tocca a me, però … Che ne dici di togliere la corazza per questa sera? > Chiede ad un millimetro dalla mia bocca.
Ed in quel momento che decido di resettare completamente tutto. Annullo violentemente la distanza che c’è tra di noi e le nostre labbra non si toccano ma si scontrano. La sua lingua fa cadere ogni residuo di barriera, spazzando vie i detriti di quel muro che credevo impenetrabile.
In quel momento non vi sono ne tempo, ne luogo, ne spazio. Ci siamo solo io e Spencer e le nostre mani che si esplorano per la prima volta.
Per la prima volta nella mia vita sento qualcosa, qualcosa di reale. Sento quel qualcosa che ho sempre cercato in Marcus e in altri prima di lui ma che non ho mai trovato. In quel momento quel qualcosa lo sento, ed è magnifico.
Senza ancora capire il come e il quando mi ritrovo in cima alle rampe delle scale fuori alla mia camera. La apro violentemente e precipito direttamente sul mio letto. Le labbra di Spencer si sono spostate all’incavo del mio collo, permettendomi di respirare. Io ne approfitto per sfilargli la t-shirt che nemmeno un ora prima le avevo dato io stessa. Quella situazione ha dell’assurdo ma non voglio pensarci adesso.
I miei pantaloncini di jeans sono ormai volati dall’altra parte della stanza come la mia camicia e le labbra di Spencer scendono tra i sei fino all’ombelico provocandomi un piacere mai provato fino a quel momento.
Improvvisamente però le sue labbra si fermano, sussulto rumorosamente e mi sporgo per guardarla.
< Perché ti sei fermata? > Chiedo a corto di fiato.
< Perché hai una valigia in camera? > Chiede mettendosi seduta.
Oh, porca puttana! < Ti prego dimmi che sei appena tornata da qualsiasi posto > Mi prega.
< Sono appena tornata da un posto qualsiasi > Affermo ma il suo bellissimo sorriso non arriva come invece io avrei voluto.
< Sam  … > Se voleva farmi impazzire del tutto, ora ci è riuscita.
< Partirò per New York … Mi trasferisco lì > Affermo consapevole che la magia si è interrotta.
Lei non risponde, si limita a fissare la trapunta del mio letto.
Le sfioro la guancia con le punta delle dita e mi accorgo che qualche lacrima solitaria le sta rigando lo zigomo.
< Quando? > Chiede trattenendo a fatica i singhiozzi nella voce.
< Domani mattina alle undici > Dico sedendomi a mia volta sul letto per poterla guardare meglio in viso.
< Che cogliona che sono > Afferma ad un tratto scuotendo la testa.
< Non sei una cogliona > Ribatto subito io prendendole una mano. < Ma credo di essere di parte, dato il fatto che mi hai fatto perdere letteralmente la testa > Affermo baciandola.
Lei ricambia ma subito dopo mi ferma. < Sono una cogliona, perché solo adesso ho trovato il coraggio di fare quello che desideravo fare da sei mesi > Afferma accarezzandomi i capelli.
Lacrime vere iniziano a scorrere silenziosamente sul suo viso e qualcosa mi si annoda nello stomaco. Chi è quel coglione che le ha chiamate farfalle? Quelli che io tenevo nello stomaco erano veri e propri elicotteri!
< Vieni via con me > Affermo all’improvviso dando sfogo ai miei desideri.
Lei non mi risponde ma le lacrime scorrono ancora più copiose sul suo bellissimo viso.
Bacio via quelle lacrime lasciandomi andare a gesti che non avevo mai pensato di fare in vita mia. < Non mi interessa cosa succederà domani mattina, ora voglio solo stringerti a me > Affermo e lei si abbandona totalmente alle mie braccia senza proferire parole.
Un pensiero mi passa per la testa senza che io potessi in qualche modo fermarlo … “Può una giornata di merda segnare il momento in cui inizi a vivere?”.
 
E’ stato tutto un sogno. Niente di quello che ho vissuto è reale. Io e Spencer non ci siamo mai incrociate quelle sera.
Mi ripeto quelle poche frasi stroncate dal pensiero di lei mentre l’hostess spiega a noi passeggeri dove si trova il paracadute di emergenza in caso di pericolo. Perché spiegano certe cose cinque secondi prima che l’aereo parte? E io che pensavo che dire le cose nei momenti più inopportuni era una mia esclusiva.  
Mi guardo attorno ma ogni dettaglio non fa altro che sbattermi in faccia la serata di ieri. Cerco di convincermi che tutto quello ho vissuto ieri non sia accaduto, cerco di trovare una giustificazione plausibile al sapore delle sue labbra, alle nostre mani che si cercano nel buio, ai suoi soffici capelli biondicci, ai suoi occhi blu profondi come una notte d’estate senza stelle, all’espressione beata che aveva quella stessa mattina quando silenziosamente sono scesa dal letto senza svegliarla e mi sono diretta in aeroporto e al sapore dell’ultimo bacio che le ho posato sulla fronte mentre una lacrima rigava silenziosamente la mia guancia.
< E’ occupato questo posto? > Una voce mi fa sobbalzare e come sempre a distanza di qualche secondo il mio cervello finalmente connette.
 I suoi occhi blu mi stanno guardando e le sue labbra disegnano un sorriso degno del migliore pittore del mondo.
< Ora si >.  SPAZIO AUTRICE : Ringrazio subito chi ha letto questa storia indipendentemente che sia piaciuta o meno. 
L'idea mi è venuta alle due del mattino e sono stata obbligata a scriverla, non potevo non dare voce a queste due ragazze. 
Forse un giorno questa One Shot potrebbe trasformarsi in qualcosa di più, questo dipende dalle vostre recensioni.. Il numero di visualizzazioni è alto però noto che siete tutti lettori silenziosi :S una recensione potrebbe fare solo bene giusto per capire se la storia effettivamente piace o meno. Confido in voi! 

Grazie di essere passati per qui, un bacio e alla prossima!!

  
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