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Autore: saltandpepper    12/08/2013    16 recensioni
Avere un'avventura di una notte da ubriachi fa schifo.
Avere un'avventura di una notte da ubriachi mentre si è al liceo fa più schifo.
Avere un'avventura di una notte da ubriachi mentre si è al liceo e si è un ragazzo è il massimo dello schifo.
La vita di Louis Tomlinson crolla su di lui dopo un incontro con il calciatore Harry Styles mentre erano ubriachi. Tutto ciò che ha mai conosciuto e mai creduto viene gettato fuori dalla finestra e lui è improvvisamente costretto a venire a patti con il fatto che il suo cuore non batte più solo ed esclusivamente per lui.
ATTENZIONE: Questa storia non è nostra. Noi ci limitiamo a tradurla!
Slash, Louis/Harry esplicito.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg
Capitoli:
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ATTENZIONE: Questa storia non è nostra. Dopo averla trovata in uno dei tanti siti di Fan Fiction Inglesi, abbiamo deciso di tradurla anche qui su EFP, sapendo che sicuramente a qualcuno avrebbe fatto piacere. Tutti i diritti di autore vanno alla fantastica Blindfolded.
LINK DELLA STORIA ORIGINALE: http://onedirectionfanfiction.com/viewstory.php?sid=53225&ageconsent=ok&warning=4
REVISIONATO IL:        
11.05.2015

 
_________________
 
Capitolo 1



Sembra che tu sia incinto.

 
Era un Lunedì della metà di Agosto il giorno in cui la mia vita sarebbe cambiata per sempre. E' stato un cambiamento che non mi sarei mai aspettato, che non avrei mai sognato, mai pensato. Ma è successo, ed il viaggio che è iniziato quel giorno ha cancellato tutto quello che avrei voluto fare in questo mondo.

Lunedì 16 Agosto

La musica era forte, troppo forte per chiunque. Non che un adolescente sano di mente abbia a cuore il suo udito comunque. Il mio cuore batteva allo stesso ritmo del basso che faceva vibrare il pavimento sotto le mie Toms. La gente intorno a me era ubriaca - tanto ubriaca - e occupata a fare tutto ciò che non si dovrebbe fare in una casa piena di quasi tutti gli studenti della propria scuola. Stavano facendo passi di danza volgari, togliendosi le camice, versandosi la birra sopra la testa, facendosi ditalini e masturbandosi davanti ad una folla che applaudiva.
Sospirai, chiedendomi perchè avessi deciso di andare a quella festa. Non ero amico di nessuno lì, nessuno mi prestava attenzione - come sapevo che sarebbe successo - e in tutta onestà, mi stavo annoiando. Eppure eccomi lì, con un bicchiere di Coca Cola e Vodka in mano, sorseggiandolo di tanto in tanto, mentre guardavo i miei compagni di classe fare gli idioti fuori di se stessi.
La scuola era iniziata da due giorni e la festa era stata un "party di fine estate" che uno dei fighetti organizzava ogni anno. Quello era un altro mistero per me: perchè ero stato invitato ad una festa organizzata da un atleta di cui non sapevo nemmeno il nome? Sicuramente io non ero un atleta. Non ero altro che Nessuno che stava vivendo una vita noiosa; Andavo a scuola, tornavo a casa, facevo ciò che dovevo fare e andavo a letto. Non socializzavo con nessuno e l'unica amica che avevo mai avuto era Eleanor, la mia vicina di casa e migliore amica. Non che fossi vittima di bullismo, la mia scuola era a posto riguardo questo; nessuno era mai stato vittima di bullismo, la gente pensava con la propria testa e viveva la propria vita, senza preoccuparsi di perdere tempo e energie a torturare qualcun altro. No, non sono mai stato vittima di bullismo, semplicemente non ho mai avuto nessun amico.
E' stato difficile capire il motivo però. Non ero nè timido, nè stupido, nè brutto, nè avaro, nè eccentrico, nè goffo, nè particolarmente fastidioso o socialmente ritardato. La gente semplicemente non mi prestava alcuna attenzione a meno che non fossi in mezzo ad una quantità molto piccola di persone che sapeva il mio nome, forse sei o sette persone in una scuola di mille studenti. Anche se ad alcuni mi ero avvicinato ed avevamo avuto una conversazione piacevole, dimenticavano il mio nome e, le successive volte che ci incontravamo, dimenticavano della mia esistenza. Non doveva necessariamente piacermi come stavano andando le cose. Diventai piuttosto solitario dopo un po' ed iniziai a sedermi da solo in mensa tutti i giorni - visto che Eleanor si era trasferita in una scuola privata fuori dalla città - lavoravo sempre da solo nei progetti di gruppo a meno che i gruppi non li scegliesse l'insegnante, non avendo nessuno con cui uscire quando tornavo a casa. No, non mi piaceva, ma le cose stavano così e ormai, in due anni di liceo su tre, mi ero abituato. In quel momento, ad un anno dalla fine, sarebbe stato inutile cercare nuovi amici.
Guardai il mio bicchiere, che era ancora mezzo pieno, e sospirai di nuovo. L'alcool non era mai stato il mio migliore amico. Ogni volta che bevevo, non molto spesso considerando che non avevo nessuno con cui farlo a parte Eleanor, finivo per fare qualcosa che poi avrei rimpianto il giorno dopo quando mi sarei svegliato con un mal di testa atroce. Tuttavia svuotai il resto del bicchiere in tre grandi sorsi. Il liquido mi bruciava la gola e feci una smorfia, chiedendomi se avessi messo un po' troppa Vodka di quanta ne era prevista nel bicchiere.
"Hey," disse una voce dietro di me. Stavo per girarmi, ma poi mi resi conto che, chiunque fosse, non stava parlando con me, così avevo roteato gli occhi per il pensiero stupido e avevo continuato a guardare il casino di gente sulla pista da ballo.
"Hey? Non potresti almeno girarti?" Disse la voce, questa volta più persistente.
Corrugai la fronte e girai la testa un po' di lato solo per vedere chi fosse. 
Qualche atleta, riuscii a capire dopo una veloce occhiata ai capelli ricci e alla sua bella faccia. Non riuscivo a ricordare il suo nome, ma lo avevo visto in giro a scuola, tutte le volte con una divisa da calcio addosso.
"Uhm, mi stai ascoltando?" Disse il ragazzo con tono confuso.
"Hey? Sto parlando a te con la maglietta bianca e i pantaloni rossi," continuò.
Guardai i miei vestiti e mi resi conto di star davvero indossando una maglietta bianca e un paio di pantaloni rossi. Ancora un po' titubante mi voltai e affrontai il ragazzo. Si stava allontanando un bicchiere dalle labbra, apparentemente solo dopo aver preso un piccolo sorso del contenuto, e sorrise.
"Finalmente! Stavo iniziando a pensare che fossi sordo o cosa,” disse.
Gli sorrisi di rimando.
"Scusami, non ero sicuro ti stessi rivolgendo a me,” dissi.
"Beh era ovvio. Ti ho visto in giro per la scuola, come ti chiami?"
Sospirai. Ovviamente non sapeva il mio nome. Allo stesso tempo però, nemmeno io sapevo quale fosse il suo.
"Louis.”
"Giusto, Louis,” disse con un ampio sorriso.
"Non hai intenzione di dirmi il tuo nome?" chiesi.
Il ragazzo alzò le sopracciglia, guardandomi come se volesse capire se stessi scherzando o meno.
"Harry,” disse dopo un paio di secondi.
"Beh, è un piacere conoscerti Harry," dissi e sorrisi.
"Allora, Louis, ti sta piacendo la festa?" 
Mi strinsi nelle spalle.
"Se devo essere sincero, non è proprio il mio genere. Non so esattamente perchè sono venuto."
"Perchè è l'ultima occasione per ubriacarsi prima dell'inizio della scuola mi sa," disse Harry e alzò il bicchiere in segno di saluto prima di bere un altro sorso.
Sorrisi storto.
"Si, questa festa non fa per me comunque, sai non conosco nessuno qui."
"Beh, ora conosci me. Posso offrirti da bere?"
Stavo per rifiutare l'offerta, pensando che per quella notte avessi bevuto abbastanza, ma poi realizzai che era la prima volta nella mia vita che qualcuno della scuola era venuto da me ed aveva iniziato una conversazione di sua spontanea volontà, e non volevo rovinare tutto.
"Si, grazie," dissi e il sorriso di Harry si allargò.
"Ottimo! Che cosa bevi?" chiese.
"Vodka, ma non Bacardi, liscia,"  risposi.
"Mi piaci,” sorrise.
"Torno subito,” aggiunse prima di girarsi ed andare verso la cucina.
Sorrisi leggermente, congratulandomi con me stesso per aver trovato qualcuno con cui parlare. Ok, lui aveva trovato me, tuttavia ero molto felice di parlare con qualcuno che volesse la mia compagnia.
Harry tornò dopo pochi minuti, portando due bicchieri, uno dei quali diede a me, e una bottiglia piena di liquido chiaro.
"Stai pianificando di ubriacarmi?" chiesi scherzosamente con un cenno del capo verso la bottiglia.
"Forse,” disse. "Ti va di uscire fuori? E' un po' rumoroso qua dentro."
Vero. Era un miracolo che non avessimo bisogno di urlare per riuscire ad ascoltare l'altro. Annuii e mi lasciai guidare fuori da una porta di vetro, nel cortile, dove Harry si sedette con la schiena appoggiata al muro della casa.
"Vieni, siediti,” mi invitò dopo aver visto che non avevo alcuna intenzione di muovermi, ma non lo feci e continuai a guardarlo. Dopo essere stato obbligato, mi lasciai cadere accanto a lui rovesciando un po' del contenuto del bicchiere sui miei pantaloni.
Poi tutto successe molto velocemente. Eravamo rimasti seduti in silenzio per un po', finendo le nostre bevande e poi procedendo a turno per bere direttamente dalla bottiglia. La mia mente era diventata sempre più appannata, sempre più stordita dall'alcool, e prima di capire altro, mi ritrovai seduto in braccio ad Harry, ridacchiado per qualcosa che aveva detto e che probabilmente non era nemmeno divertente.
"Dai, facciamo una passeggiata,” disse Harry con determinazione. Mi spinse giù da lui prima di alzarsi in piedi e guardarmi.
"Ma perché?" mi lamentai.
"Perchè non voglio più stare seduto qui, duh."
"Oh... si, certo."
In qualche modo la passeggiata si era conclusa con le mie mani e le mie ginocchia sul prato, lontano dagli sguardi curiosi delle persone, i pantaloni e i boxer calati intorno alle mie ginocchia mentre Harry si spingeva violentemente dentro di me. Faceva male, troppo male, come se mi stessero squarciando, e le lacrime colarono rapidamente dai miei occhi. Ma allo stesso tempo era incredibile. Il misto tra piacere e dolore mi causava piccoli e rotti gemiti di volta in volta e sentivo il suo respiro irregolare sopra la testa. Teneva la presa salda sui miei fianchi e sapevo che proprio lì, il giorno dopo, mi sarebbero comparsi dei lividi. Non ci misi più di cinque minuti a raggiungere l'orgasmo e a crollare sull'erba sotto di me, respirando pesantemente, sentendo la sensazione di dolore nel corpo e delle fitte di dolore al culo. Avevo sentito Harry sdraiarsi accanto a me e avevo aperto gli occhi trovando il suo volto coperto da un ghigno.
"Non sei stato male," disse.
"Grazie,” sospirai, "Nemmeno tu."
E quella fu l'ultima cosa che ricordai prima di addormentarmi.

Martedì 17 Agosto

Quando mi svegliai la mattina dopo, mi ci volle qualche secondo per realizzare che fossi nascosto al sicuro sotto le lenzuola del mio letto. Battei le palpebre un paio di volte, cercando di ricordare la notte passata.
Party... vodka... Harry... cortile.. più vodka... bottiglia... prato... cazzo.
Gemetti. Mi ero fatto scopare da un tizio che non conoscevo mentre ero ubriaco, posizionato a quattro zampe su un prato. Quale tipo di persona farebbe questo? Soprattutto alla loro prima volta. Beh, la prima volta con un ragazzo almeno. Eleanor e io facevamo sesso almeno una volta alla settimana - come degli amici con benefici - fino ad un anno e mezzo fa. Ma Eleanor era una ragazza. Era stato molto diverso essere il ricevente. Me ne ero accorto quando mi ero spostato un po' dal letto e un dolore lancinante mi aveva colpito lungo la schiena.
"Oh mio Dio," gemetti prima di chiudere gli occhi.
Avevo fatto sesso con Harry. No, mi ero fatto scopare da Harry. Non poteva essere chiamato sesso dato che non c'era stato alcun tocco di pelle a parte le sue cosce contro il mio culo. Sospirai, dandomi dello stupido. Non è che sperassi in candele e fiori per la mia prima volta, ma sarebbe stato un po' più bello conoscere il tipo che mi avrebbe sverginato. Era un po' tardi per pensare a quello però.
Era passato più di un anno da quando mi ero reso conto di essere gay, ma visto che non avevo amici, non avevo mai avuto l'opportunità di provare qualsiasi cosa con un ragazzo. Ora l'avevo provato però ed era stato l'errore più grande che avessi mai potuto fare.
Non ebbi più tempo per pensare all'accaduto perché proprio in quel momento la porta della mia camera si spalancò e Owen, mio fratello quindicenne, entrò.
"Mamma vuole parlare con te,” disse con noncuranza.
"Ottimo,” borbottai.
"Di cosa vuole parlarti?” 
"Non lo so."
Sospirai prima di alzarmi dal mio letto - trasalendo per il dolore - uscì dalla porta con Owen proprio dietro di me e mi diressi giù per le scale verso la cucina. Mia madre era seduta al tavolo con il naso sepolto in un giornale e una tazza di caffè di fronte a lei.
"Vuoi parlare con me?" chiesi, appoggiato allo stipite della porta, cercando di trovare una posizione che avrebbe diminuito il dolore nella parte inferiore.
Mamma mi guardò, fermando i suoi occhi severi su di me.
"Si,” disse, "Puoi spiegarmi il motivo per cui ho ricevuto una telefonata da una donna, che ha detto di essere la madre di Liam, alle due di ieri sera, dicendomi che dovevo andare a prendere mio figlio perchè era svenuto sul prato, senza i pantaloni e la biancheria intima e con una bottiglia di liquore quasi vuota accanto?"
"Uhm... no, non posso davvero spiegartelo," le dissi.
"Allora puoi almeno dirmi perché non indossavi i pantaloni e la biancheria intima?" chiese con gli occhi stretti.
"Secondo te?" ribaltai la domanda a lei.
Sentii Owen ridacchiare alle mie spalle e mi voltai di scatto guardandolo di traverso.
"Su un prato? Questo è di classe Lou, davvero."
"Fatti gli affari tuoi, Owen,” sbottai.
"Louis! Lascia stare tuo fratello,” disse mia mamma ad alta voce facendomi voltare di nuovo per guardarla.
"Bene, allora dimmi cosa cazzo vuoi da me,” dissi acidamente.
"Prima di tutto voglio che tu smetta di usare quelle parole,” lo rimproverò, “E voglio anche sapere perchè eri ubriaco.”
"Abbastanza ovvio, no?"
Mamma sospirò.
"Chi era lei allora? Hai una ragazza?"
"Mamma, non pensi che se avessi una ragazza avrei mostrato un po' più di rispetto invece che fare sesso su un prato mentre ero ubriaco?"
"Sono contenta che almeno un po' capisci, ma hai fatto sesso con una ragazza e, anche se lei non è la tua ragazza, non meritava di essere trattata in quel modo."
Mi chiesi se avrebbe detto la stessa cosa se gli avessi detto che ero gay e che la persona con la quale avevo fatto sesso era un ragazzo. Probabilmente no. Se lo avesse saputo molto probabilmente mi avrebbe rinchiuso nella mia stanza per tre settimane, mentre cercava di capire cosa fare con me. Non che fosse omofoba, ma era un po' 'vecchio stile' ed era importante per lei mantenere una facciata perfetta per la nostra famiglia, soprattutto dopo che mio padre ci aveva lasciati sei anni prima.
"Si, lo so, e non accadrà di nuovo," dissi con calma. La mia testa aveva già inziato a pulsare ed avevo una strana sensazione di disagio nello stomaco per iniziare un litigio poco allettante.
"Beh, bene. Ora, se tu - Louis, che hai?"
Si interruppe a metà frase quando all'improvviso mi misi una mano davanti alla bocca e corsi verso il bagno. Caddi in ginocchio davanti al gabinetto e il contenuto del mio stomaco si rovesciò con un colore quasi giallo. Lacrime di dolore e disgusto mi scivolarono lungo le guance e chiusi gli occhi ermeticamente. Continuai ansante fino a che il mio stomaco fu completamente vuoto e la mia gola dolente, poi tirai giù il coperchio del gabinetto mentre arrossivo e appoggiavo la testa su di esso.
"Louis, sei malato?" chiese mia madre dietro di me. Girai la testa e la vidi in piedi guardarmi preoccupata.
"No, ho solo bevuto troppo ieri sera,” mormorai prima di pulirmi la bocca con la manica del maglione di qualcuno - probabilmente di mamma - che mi avevano messo durante la notte prima di addormentarmi.
Lei scosse la testa con rassegnazione, ma poi mi rivolse un piccolo sorriso.
"Devi smettere di bere. Finisce sempre così, Lou."
"Si, lo so. Smetterò,” dissi roteando mentalmente gli occhi.

Mercoledì 18 Agosto

Il giorno dopo mi ritrovai a camminare lungo i corridoi familiari della scuola che avevo avuto modo di conoscere bene nel corso degli ultimi due anni. Prima di andarmene di casa quella mattina mi preoccupai della possibilità di incontrare Harry dato che non avevo idea di come reagire dopo quella notte, ma quando a pranzo non avevo visto neanche una ciocca di capelli marroni e ricci, rilassai le spalle e smisi di guardare oltre di esse ogni dieci secondi.
Che si era poi rivelato un errore.
Quando mi alzai dal mio tavolo nella mensa, dopo aver mangiato il pranzo, mi diressi verso il cestino posto accanto alla porta d'ingresso e lasciai cadere il cartone vuoto del latte dentro esso. Proprio quando mi girai di novanta gradi per uscire dalla sala da pranzo affollata, entrò un gruppo di persone ed io mi scontrai con una di loro.
"Scusa,” disse il ragazzo, rivolgendomi un rapido sorriso che mostrava i denti storti.
Stavo per dire un 'non importa' quando i miei occhi caddero sul ragazzo dietro quello con cui mi ero scontrato. Oh, fantastico. Harry. Mi rivolse solo un rapido sguardo, nessun segno di riconoscimento evidente sul suo viso. Prima che io avessi avuto la possibile di dire qualsiasi cosa, tutto il gruppo aveva continuato a camminare e Harry insieme a loro.
La mia fronte si corrugò in un misto di confusione. Non si ricordava? Forse no. Era abbastanza fuori di sè. Probabilmente era meglio, in questo modo non avremmo dovuto pensare a cosa fare se ci fossimo incontrati. Avrei potuto semplicemente ignorarlo e lo stesso avrebbe fatto lui con me.

*

Le successive cinque settimane passarono in pace e tranquillità. Ero andato a scuola, tutti mi avevano ignorato, avevo fatto i compiti, ero uscito con Eleanor ogni volta che avevo tempo, mamma aveva smesso di interrogarmi riguardo al mio incidente ubriaco circa dopo una settimana che era successo e Harry rimase ignaro del fatto che era stato il primo a scopare Louis Tomlinson da dietro. In altre parole, le cose erano normali.
Questo fino a quando si stava avvicinando Ottobre, il momento in cui la mia vita avrebbe preso un improvviso cambio di rotta e che tutto il mondo sarebbe crollato su di me.

Giovedì 23 Settembre

Quando mi svegliai un Venerdì della fine di Settembre, la prima cosa che notai era che mi sentivo male. Nel senso, veramente malato. Mi arrampicai nel letto tenendomi le mani davanti alla bocca. Mentre ero a pochi metri di distanza dal bagno, sentii la nausea prendere il sopravvento su di me e alcuni conati di vomito mi finirono in mano prima che riuscissi a mettermi davanti al gabinetto. Mi sentivo come se le mie stesse viscere fossero state strappate e come se avessi vomitato tutto quello che c'era di liquido e solido nel mio corpo. Respirai faticosamente e strinsi una mano sulla pancia, desiderando che il mio corpo la smettesse di torturarmi.
Mentre me ne stavo lì, sentii dei passi dietro di me, ma non mi preoccupai di girarmi.
"Sei stanco?" chiese la voce di Owen. “Hai bevuto di nuovo? Mamma ti ucciderà.”
"Non ho bevuto,” mormorai mentre asciugavo un paio di lacrime cadute sulle mie guance. "Sono semplicemente malato. Puoi chiamare mamma, per favore?"
Non appena le parole uscirono dalla mia bocca, un'altra contrazione attraversò il mio corpo e mi chinai sulla tazza.
"Oddio, va bene, vado a chiamare mamma,” sentii dire da Owen.
Un paio di minuti più tardi sentii una mano morbida e calda iniziare a strofinare dolcemente la mia schiena.
"Non ho bevuto questa volta, lo giuro,” gracchiai.
"Lo so,” disse mia mamma.
"Dovresti tornare a letto. Ti porto un secchio e un po' d'acqua, va bene?"
Annuii, ma ancora non mi sentivo pronto a muovermi.
"Spero non sia qualcosa di grave,” disse mentre continuava a strofinarmi la schiena.
"Probabilmente solo un virus,” mormorai stancamente, “Passerà in un giorno o due."

*

L'unico problema era che in un giorno o due non era passato. Mi svegliavo ogni mattina dovendo correre in bagno dove svuotavo il mio intestino a tal punto da diventare doloroso. Durò settimana dopo settimana e divenne abbastanza fastidioso. La cosa strana era che succedeva solo al mattino, durante il pomeriggio e la sera mi sentivo bene, a parte tre volte che avevo sentito improvvisamente il bisogno di svuotare lo stomaco nel bel mezzo della giornata. Mia madre non mi permetteva di andare a scuola e questo fece si che rimanessi indietro con il programma, e anche se avevo protestato, avevo capito che visto il modo in cui mi sentivo la mattina, non sarei nemmeno riuscito a raggiungere l'autobus.
Quando dopo quattro settimane non era ancora passato, sia mia madre che Owen stavano cominciando a preoccuparsi seriamente. Avevo cercato di convincerli – e di convincere anche me stesso - che andava tutto bene, e mentre i giorni passavano ed io continuavo a correre in bagno ogni mattina, diventava sempre più difficile. Oltre a vomitare, stavo cominciando ad avere una strana sensazione nello stomaco, non una malattia nè un dolore solo... strano.

Lunedi 25 Ottobre

Ancora una volta ero seduto sul pavimento del bagno, chinato sul gabinetto con gli occhi spalancati mentre continuavo a vomitare anche la bile. Mamma era seduta accanto a me, guardandomi spaventata. Non molto preoccupata, ma spaventata.
"Louis, dobbiamo andare dal medico, questo non è normale,” disse.
"Lo so che non è normale, ma non voglio andare dal dottore, va bene? Non voglio,” dissi e, nonostante mi sentissi esausto, riuscii a mantenere il tono di voce ostinato. “Passerà presto, ne sono sicuro.”
"E' passato più di un mese da quando è cominciato, non passerà così."
"Mamma, non voglio-"
"Lou, no," Lo interruppe lei. "Mi dispiace, lo so che hai diciotto anni ma fino a quando vivi sotto il mio tetto farai quello che dico io. E io dico che andremo dal medico. Ora."
"Ora? Mamma, non pensi che sia un po'-"
"No, Louis, questa storia va avanti da troppo tempo."
"Mamma, non voglio andare dal medico, non importa quale. E' il mio corpo e io deciderò cosa farci o non farci. Dal medico non ci vado, punto."
E così, un'ora più tardi, ero seduto nella sala d'attesa presso l'ufficio del medico con mia mamma accanto. Mi rifiutai di guardarla, arrabbiato con lei per avermi trascinato lì. I medici mi facevano andare fuori di testa, avevano aghi e siringhe ed ogni elemento necessario per la lobotomia.
"Louis Tomlinson,” disse una voce e mi guardò. Un vecchio uomo sorridente stava proprio fuori dalla porta aperta a pochi metri alla mia sinistra. Sospirai e mi alzai. 
Si alzò anche mia mamma ma io scossi la testa.
"Assolutamente no,” le dissi con fermezza mentre la fissavo. “Beh, mi hai trascinato qui ed ora ci vado, ma ho diciotto anni, mamma, e non ti voglio nella stessa stanza in cui mi vengono chieste domande potenzialmente dettagliate sul mio corpo. Se c'è qualcosa che non va, te lo farò sapere."
Lei mi guardò con sospetto per qualche secondo, ma poi sospirò e si sedette di nuovo sulla sedia.
"Va bene, ma mi dici se c'è qualcosa di grave, è chiaro?"
Annuii prima di dirigermi verso l'uomo. Tese una mano che accettai e si presentò come il medico Martin Wright. Almeno lui sembrava un brav'uomo, quasi dolce, il vecchio vicino di casa sessantenne con la pancia rotonda che hai sempre desiderato di avere.
"Allora, signor Tomlinson, cosa la porta qui?" Chiese, quando eravamo entrambi seduti - lui nella sua scrivania ed io in una comoda poltrona accanto ad essa.
"Mi chiami Louis, e mia madre mi ha costretto a venire qui in realtà,” dissi.
Lui ridacchiò.
"Sono sicuro che avesse una buona ragione per farlo, Louis."
"Si, suppongo,” dissi grattandomi la testa. "Credo di essere stato un po'... ho vomitato ultimamente. In realtà ogni mattina nelle ultime quattro settimane e a volte durante il giorno, ecco."
"Hai vomitato ogni giorno per le ultime quattro settimane? Questo non è un bene. Fai molta attività fisica?"
Scossi la testa. “No, non sono quel tipo di ragazzo."
"Hai qualche tipo di disordine alimentare?"
"Non sono quel tipo di persona, no"
"Sei molto sotto pressione per qualcosa? Amici, la famiglia, la scuola... niente?"
"No."
"Hai qualcuno dei tuoi parenti stretti che ha sofferto di tumore al cervello?"
I miei occhi si spalancarono.
"Un tumore al cervello? Uhm, no, non che io sappia. E' possibile che io abbia un tumore?"
"E' possibile, si. Ma dovremo eseguire alcuni esami per saperlo con certezza."
Un tumore? Cazzo. Le persone muoiono di tumore.
"Hai avuto altri sintomi?"
"Ad esempio?"
"Come stanchezza, depressione, perdita della vista o dell'udito..."
"Uhm, no, solo... ho avuto una strana sensazione nello stomaco,” dissi esitante, sapendo quanto stupido dovesse suonare.
Il dottore aggrottò la fronte.
"Che strano... il dolore e la nausea?"
"Uhm, no, solo... strano o... strano credo, non so davvero come spiegarlo."
Le rughe sulla sua fronte diventarono più profonde.
"Dobbiamo fare degli esami per capire. Non voglio farti aspettare dato che c'è una possibilità di tumore, quindi se aspetti qualche minuto faccio qualche telefonata," disse mentre prendeva il telefono dalla scrivania ed iniziava a comporre un numero.
Mi lasciai cadere sulla sedia e chiusi gli occhi. Un tumore. Cosa sarebbe successo se avessi avuto un tumore? Mi venne voglia di piangere quando pensai alla possibilità. Non che la mia vita fosse tanto eccitante, ma non volevo morire. Ovviamente mi piaceva stare in vita; certo, la mia vita era noiosa e a volte deprimente, ma era comunque la mia vita e ne ero piuttosto affezionato. E mia mamma... cosa avrebbe detto? Sapevo benissimo che Owen era il suo figlio preferito, ma lei mi amava comunque e non avrebbe voluto che morissi.
"Louis?"
La voce del dottore mi trascinò fuori dal turbine di pensieri e aprii gli occhi. 
"Se vieni con me, andiamo a fare un paio di analisi del sangue per vedere se c'è qualcosa da individuare," disse mentre si alzava in piedi.
Io impallidii.
"Analisi del sangue?" chiesi.
Sorrise.
"Non sei un fan degli aghi presumo. Mi dispiace, ma dobbiamo farlo se vogliamo scoprire cosa c'è che non va in te."
"Quindi c'è sicuramente qualcosa che non va,” sospirai.
"Vomitare ogni giorno per quattro settimane non è normale, Louis,” disse. "Credo che tua madre abbia fatto bene a portarti qui."
Sospirai di nuovo, ma mi alzai dalla sedia e gli feci segno di guidarmi.
Un'ora, e un sacco di lamenti, più tardi eravamo tornati nell'ufficio di Martin.
"Beh, avremo i risultati del test tra una settimana," disse mentre guardava tra una pila di carte. "Ma fino ad allora, mi piacerebbe avere un'ecografia del tuo stomaco."
Alzai le sopracciglia.
"Un'ecografia? Perché?"
"Giusto per controllare tutte le basi, vogliamo controllare che non ci sia qualcosa che non va con i reni o con l'intestino."
"Uhm, va bene, certo," dissi esitante. "Devo... tirare su la camicia, o cosa?"
Lui ridacchiò.
"Prima basta che ti sdrai su quel lettino laggiù,” disse, e fece un cenno verso il lettino degli esami, dall'altra parte della stanza. "E poi puoi tirarti su la camicia mentre preparo l'attrezzatura."
Feci come mi aveva detto, e mi sentii piuttosto stupido a farlo, mentre lo guardavo portare una grande macchina vicino al tavolo insieme ad un sacco di fili e ad una bottiglia che aveva scritto 'Gel' sopra. Quando tirai su la camicia, diedi una rapida occhiata giù, al mio ventre esposto, e un gemito sfuggì dalle mie labbra.
"Qualcosa non va?" Chiese il dottore.
"No, credo di aver... messo su un po' di peso,” borbottai, frugando cupo il mio stomaco.
"Beh, guarda il lato positivo,” rise. "Non sei neanche un terzo della mia taglia."
Sorrisi.
"Si, credo. Va bene, basta andare avanti con quello suppongo."
Sorrise di nuovo prima di premere alcuni pulsanti sulla macchina, accendendola, mise i guanti nelle mani e schizzò un po' di gel sulla mia pancia.
"Porca puttana, è freddo!" Rimasi a bocca aperta.
"Si scalderà presto," mi rassicurò mentre aveva cominciato a muovere qualcosa come, pensai, un rasoio elettrico sulla mia pancia.
Il piccolo schermo non aveva mostrato altro che una macchia bianca e nera per un po' e gli unici suoni che si sentirono li trovai piuttosto disgustosi.
"Scusi, ma stiamo ascoltando e guardando l'interno del mio stomaco in questo momento?" Chiesi dopo circa un minuto.
"Fondamentalmente si e tutto sembra essere a posto. No, aspetta."
"Che cosa? Che cosa c'è che non va?" chiesi in fretta, gli occhi incollati allo schermo, che ancora non mostrava niente che potesse avere un senso per me.
"C'è qualcosa qui, ma non sono..." Si interruppe e quando guardai il suo viso, le sopracciglia erano alzate e il suo sguardo assolutamente confuso. Che non poteva essere una cosa buona. I medici non devono essere confusi.
"Uhm, dottore, sto andando fuori di testa qui. Cosa c'è che non va?" chiesi con una risata nervosa.
"Io... non ne sono molto sicuro,” disse lentamente. "Scusa se te lo chiedo, ma sei un maschio, giusto?"
Alzai le sopracciglia.
"Se sono-...? Guardi, lo so che non sono esattamente Chuck Norris, ma non c'è bisogno di insultarmi."
"No, no, non è quello, è..." si affievolì di nuovo, ancora con gli occhi incollati nello schermo che mostrava ancora una macchia di bianco e di nero. Una sfocatura di bianco e di nero e di qualcos'altro.
"Dottore che cos'è quella... cosa?" chiesi, pur non essendo del tutto sicuro di voler sapere la risposta.
Lui distolse lo sguardo dallo schermo e mi guardò con occhi confusi per un breve istante prima di rispondere.
"Lo senti questo rumore?" disse poi.
Deglutii, ma ascoltai con attenzione. Ci fu un suono, anche se non ero abbastanza sicuro che si potesse definire come suono... non era forte, appena udibile, e un po' come un... suono martellante.
"Si, lo sento. Che cos'è?" chiesi esitante.
"Non ne sono molto sicuro,” disse. “Se tu fossi femmina, non ci sarebbe alcun dubbio ma... beh, non lo sei.”
"Scusi, ma che cosa ha a che fare questo con il mio sesso?" chiesi confusamente.
"Se guardi qui," disse, senza rispondere alla mia domanda, e indicò un punto al centro dello schermo. “Vedi quella macchia che sembra un po' fuori luogo... no?”
Annuii e deglutii.
"Beh io... in realta non so come dirlo, perché è una novità per me."
"Cosa?... sto morendo o qualcosa di simile?" chiesi con voce tremante.
"No, non stai morendo,” mi rassicurò rapidamente.
"E allora che cos'è? Sto seriamente andando fuori di testa adesso!"
"Va bene, ho intenzione di dirtelo immediatamente," sospirò.
Annuii e mi morsi il labbro così forte che sentii la pelle rompersi.
"Bene, signor Tomlinson, sembra che tu sia incinto."
La mia bocca si aprì.
"Scusi, che cosa?"

ECCO QUI IL PERMESSO DELL'AUTRICE DI TRADURRE QUESTA STORIA.

  
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