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Autore: Kiki87    12/08/2013    3 recensioni
Una giovane ragazza si trasferisce a Glasgow per concedersi un anno sabbatico, alla fine del suo percorso universitario, con la sua migliore amica. Qui incontrerà il suo amico di penna, nuovi amici ma, soprattutto, imparerà a conoscere se stessa. Perché se è vero che tutto è iniziato da un "sogno", Sara deve ancora imparare cosa sia davvero l'amore e come possa essere diverso da ciò che ha sempre immaginato.
La fanfiction è una revisione di un progetto omonimo del 2013: molti personaggi di Harry Potter sono stati sostituiti con quelli di Merlin e ci sono stati significativi cambiamenti anche nelle diverse storyline dei protagonisti.
CROSSOVER CON LA SEZIONE: "CAST DI HARRY POTTER".
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri, Bradley James, Katie McGrath, Nuovo personaggio, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi svegliai in un piacevole silenzio: Morgana era partita il giorno prima con Sean per il viaggio che quest’ultimo aveva organizzato in occasione di San Valentino. Oltre alla sorpresa e al compiacimento, vi era stata una dolce commozione per l’impegno necessario alla pianificazione e per il significato che il mio caro amico attribuiva al dono. La sua assenza, tuttavia, non le impediva di essere partecipe della mia quotidianità, tanto da essersi premunita di scegliere degli abbinamenti per le lezioni in Accademia e persino un abito da sera per ogni evenienza. Amy e Luna mi avevano già invitato a trascorrere con loro qualche serata affinché non restassi da sola, ma in verità non mi dispiaceva affatto avere un po’ di tempo per me stessa.
Feci colazione con tutta calma: avevo tutta la mattinata a disposizione. Controllai l’agenda (ringraziai che nella pagina odierna mancasse uno di quei puerili commenti aggiunti da Tom mesi prima) e appurai che gli impegni erano tutti dal pomeriggio alla sera. Quel giorno avrei avuto la lezione di ballo con Allock e, il mio cuore perso un paio di battiti, la prima “lezione privata” con Bradley. Era passata appena una settimana dal suo “insediamento” come Assistente, ma sembrava essersi perfettamente integrato. Il Professor Lupin aveva plaudito il resoconto della sua prima lezione all’intera classe e approvato gli appuntamenti che aveva fissato in qualità di tutor. In verità mi ero sorpresa di aver dovuto attendere ma, a prescindere dalle prove in seduta plenaria, Bradley aveva già diversi alunni da seguire personalmente. E tra questi niente poco di meno che Pansy Parkinson. Superfluo dire che la ragazza in questione non avesse mai fatto riferimento a eventuali difficoltà e ciò non faceva che acuire il mio sospetto che si trattasse di un pretesto per avvicinarlo.
Finalmente ero riuscita a presentargli Sean e Luna. Avevo invitato il primo a raggiungermi in auditorium e avevo trattenuto Bradley affinché potessero incontrarsi e tra i due era scattata un’istantanea simpatia. Sean sembrava divertito dal suo senso dell’umorismo, molto interessato al suo punto di vista nella conduzione di uno spettacolo e favorevole alla possibilità di approfondire la conoscenza. D’altro canto, Bradley si era detto molto curioso del nostro rapporto epistolare ai tempi del liceo, della sua relazione con Morgana e anche dello spettacolo di cui Sean sarebbe stato protagonista. L’incontro con Luna, invece, non era stato “programmato”. Bradley veniva abbastanza spesso al pub, quando ne aveva l’occasione o non aveva voglia di prepararsi la cena da solo. Sia la Signora Weasley che la Signora Sprite sembravano adorarlo come un figlio e si premunivano di riempirlo di manicaretti che certamente lui non disdegnava. Evidentemente era solo l’attività fisica a cui si dedicava regolarmente a impedirgli di accumulare grasso, considerando quanto fosse generoso il suo appetito[1].  Luna quella sera doveva raggiungere Amy. Stava camminando dietro a Bradley, quando si era fermata bruscamente, rivolgendo alla sua schiena uno sguardo quasi mistico.
“Sei tu!”, aveva esclamato.
Bradley, con la bocca impastata di torta e l’espressione confusa, si era voltato in sua direzione.
Il cavaliere! Sei tu!”, lo aveva additato con voce quasi sognante.
Lui aveva sbattuto le palpebre con aria smarrita. “Chiedo scusa?”.
Divertita da quell’esordio e al contempo intimorita da ciò che la ragazza avrebbe potuto “rivelare”, mi ero affrettata a intervenire. “Ti presento Luna, una mia amica nonché coinquilina di Amy”.
A quel punto le aveva sorriso con aria rilassata, porgendole la mano amichevolmente. “Piacere di conoscerti, Luna. Io sono-”.
Si era interrotto perché la mia amica, anziché stringerne la mano, gliela aveva girata in modo da studiarne il palmo. “Hai uno spirito vivace e molto intelligente. Ami la bellezza e ti piace essere apprezzato. Hai ambizioni di successo. Sei uno spirito libero che vuole scegliere chi avere accanto senza pressioni. Non fai nulla di cui non sei convinto, fino a quando non è il momento adatto”, aveva “diagnosticato”, lasciandomi basita.
Bradley, dopo aver sbattuto le palpebre per la sorpresa, le aveva sorriso e aveva inclinato il viso di un lato. “Sembra che tu mi conosca da sempre”.
“Sei un segno d’aria, vero[2]?”, lo aveva incalzato la biondina.
“Sono nato ad Ottobre… vale come un sì?[3]”.
“Eccellente”, aveva convenuto Luna. Difficile dire se si riferisse alle proprie “capacità profetiche” o all’idea dell’accostamento tra i nostri segni e personalità, visto il sorriso di approvazione che mi rivolse.
Quando fummo sole, cercai di estorcerle ulteriori spiegazioni, ma lei sollevò le mani. “Posso solo dirti che è il Cavaliere che stavi attendendo, ma se le cose tra voi funzioneranno o meno dipende solo da voi due. Rischierei di influenzarti altrimenti”, mi ammonì con espressione quasi severa.
Amy le aveva rivolto un’occhiata di sbieco. “E il tristo figuro invece, come sta?”.
“Sempre molto schivo e solitario”, fu la flautata risposta.
L’altra sollevò gli occhi al cielo e si rivolse a me. “Lasciamo perdere: meglio non sapere a questo punto”, mi suggerì.
 
Al culmine di quella giornata avrei avuto il turno serale al pub. In verità Alicia Spinnet mi aveva letteralmente supplicata di sostituirla, dal momento che avrebbe voluto trascorrere la serata con il fidanzato e, dopotutto, non sarebbe stata la prima volta che avrei lavorato come cameriera in sala. Madama Bumb e il Signor Riddle avevano acconsentito, ma mi avevano già avvertito che sarebbe stata una serata impegnativa, a giudicare dalle prenotazioni di coppiette (mi augurai che Tom ed Emma non fossero tra queste) e una comitiva di ragazzi e ragazze stranieri che avevano confermato una prenotazione collettiva.
Dedicai la mattinata alle faccende domestiche, comprai le cose strettamente necessarie per i prossimi giorni e mi preparai per andare in Accademia. Dal momento che le prove di ballo sarebbero iniziate nel primo pomeriggio e non mi andava di pranzare da sola in qualche locale (Amy mi aveva detto di essere ancora troppo stanca per il turno della serata precedente fino alla chiusura), decisi di pranzare nel refettorio anche in assenza di Sean.
Mi fu palese, dopo aver pagato il mio pranzo, che era stata una buona decisione: il mio sguardo saettò verso uno dei tavoli più grandi nei quali erano seduti alcuni degli insegnanti. Bradley, anche quel giorno con un completo elegante, sedeva tra il professor Lupin e una donna che conoscevo di nome come Sibilla Thompson, docente di canto[4]. Era molto elegante, coi capelli biondi e lunghi fino alle spalle e un sorriso dolcissimo. Al tavolo con loro vi erano anche la Professoressa McGrannith, il Professor Black[5]e il Preside.
Lasciai vagare lo sguardo sull’ampia sala, cercando un posto libero o un tavolo nel quale potessi accomodarmi senza disturbare delle conversazioni in corso, ma mi riscossi quando Daniel mi fece un cenno con la mano.
“Ciao ragazzi”, salutai lui e Rupert. Erano seduti l’uno di fronte all’altro. “Posso sedermi con voi?”.
“Non devi neanche chiedere, lo sai”, mi sorrise Daniel e presi posto accanto a Rupert. Quella posizione mi avrebbe permesso, notai con una certa soddisfazione, di osservare Bradley senza rischiare il torcicollo.
“Come state?”, domandai loro, cominciando a servirmi del pasticcio di carne.
“Abbastanza bene”, rispose Daniel. Non si era ancora del tutto ripreso dalla sua rottura con Amy e appariva spesso taciturno. Se non altro doveva aver affrontato anche Katie Chang che negli ultimi tempi era molto meno invadente e appiccicosa.
“Bene”, rispose Rupert a sua volta. “Se non fosse per il test che abbiamo tra poco. Con Piton”. Ne pronunciò il cognome con una smorfia comica e l’aria di chi sentisse un brivido gelido lungo la spina dorsale.  A quanto avevo sentito dai loro racconti, si trattava di uno dei corsi più temuti e odiati: storia del teatro inglese[6]. Non soltanto le trame e l’analisi delle opere teatrali e dei rispettivi autori ma uno studio approfondito del contesto storico, economico e politico di riferimento. Il docente, inoltre, era particolarmente esigente riguardo l’analisi strutturale dei testi teatrali e le date di pubblicazione delle opere.
“Allora non vi disturbo, se volete fare un ultimo ripasso”, li rassicurai con un sorriso. Lasciai che si scambiassero commenti e indicazioni, interrogandosi a vicenda. Notando la confusione e la preoccupazione di entrambi, non potei che ringraziare di non dover condividere anche quel tipo di impegno.
“Basta così”, borbottò Rupert dopo cinque minuti e chiuse il libro. Daniel fu lesto a imitarlo, massaggiandosi la tempia come se lo sforzo gli avesse procurato un’emicrania. Il rosso si stiracchiò pigramente e lo sguardo vagò nella sala. “Peccato che Piton non sia venuto in mensa: speravo che si affogasse nella zuppa”, borbottò, strappandomi una risata per il suo tono risentito.  
“Magari”, commentò Daniel e seguì il suo sguardo per poi inarcare le sopracciglia. “In compenso il cocco di Lupin non manca mai”, notò con un velo di sarcasmo che solitamente rivolgeva a Tom.
Sbattei le palpebre con aria interdetta e mi volsi in sua direzione. “Stai parlando di Bradley?”.
“Ah, è così che si chiama?”, mi domandò con aria non curante. “Sembra che siano tutti stregati da lui, solo perché è più grande ed è già diplomato?”, domandò con aria torva, incrociando le braccia al petto come se il ragazzo gli avesse fatto un torto personale.
Lo guardai incredula: la sua espressione di sufficienza era pari quasi a quella di Tom, ma non capivo per quale motivo sembrasse provare una simile diffidenza e antipatia. Dopotutto Bradley non era coinvolto anche nel suo spettacolo. Era molto più probabile che lo avesse visto al Pub e lo avesse riconosciuto come l’Assistente di cui tutti parlavano.
Rupert sembrò divertito. “Beh, amico: è bello, alto, atletico ed è il più giovane del corpo insegnante. Se fossi una ragazza, gli sbaverei dietro pure io”, commentò in tono bonario.
“Senza contare che è un attore straordinario: vi ho raccontato dello spettacolo di cui era protagonista?”, intervenni io in tono entusiasta. “Credo che abbia anche la stoffa dell’insegnante: è molto competente, gentile e ha un approccio innovativo e-”.
Mi morì la voce quando vidi Emma e Tom avvicinarsi pericolosamente al nostro tavolo.
“Ciao Daniel, ciao Rupert!”, si rivolse ai due con la sua voce tintinnante e il sorriso caloroso. “Oh, ciao Sarah”, aggiunse in secondo tempo mentre io traevo un sospiro e cercavo di ricambiarne il saluto nel modo più cordiale possibile. “Vi dispiace se ci sediamo con voi? La mensa è piena oggi”.
Dovetti mordermi la lingua per non rivelare ciò che stavo pensando realmente, soprattutto quando Tom, senza attendere risposta, prese posto proprio di fronte a me.
Così imparo a stalkerare Bradley da lontano.
Più scontento di me vi era solo Daniel che aveva allontanato definitivamente il suo vassoio, come se improvvisamente provasse un vago sentore di nausea.
“Allora Dany, come stai?”, gli domandò Emma in tono entusiasta.
Lui si strinse nelle spalle. “Non tanto bene: mi è appena passato l’appetito”, le fece presente. Incontrò lo sguardo di Tom e i due si fissarono come se si stessero reciprocamente augurando ogni male possibile, al di sopra della spalla della ragazza che sedeva tra loro.
“Cercherò di non piangere nel mio pasticcio di rognone, Radcliffe”, rispose Tom con aria serafica.
“Oh, smettetela”, li rimproverò Emma in tono blando, continuando a sorridere a entrambi e schioccando un bacio sulla guancia di Tom, lasciandogli una traccia rosata di lucidalabbra.
“Credo che andrò in aula a ripassare un altro po’”, dichiarò Daniel e riprese il suo libro.
“Sì, andiamo, è meglio”, convenne Rupert.
Avrei voluto supplicarli con lo sguardo di non lasciarmi da sola con la coppietta, soprattutto quando ero ancora a metà del mio pranzo, ma mi sforzai di mantenere la calma e di fingere di essere persa nelle mie riflessioni.
“Non sarete preoccupati per il test di Piton?!”, domandò Emma, prendendo il libro e guardando Daniel con aria supplichevole. “Dai, restate, posso aiutarvi a ripassare”, sorrise e abbassò la voce con aria complice. “Ho un sesto senso su quali saranno le domande. E poi tra poco dovrebbe arrivare Bonnie!”, aggiunse in tono casuale.
Rupert sembrò tentennare[7], ma Daniel scosse nuovamente il capo e si riprese il libro. “Grazie, ma preferisco ripassare da solo. Ci vediamo dopo, Emma. Ciao Sarah”, mi rivolse un sorriso.
“Anche tu Rupert?”, gli domandò la ragazza in tono evidentemente deluso.
Il ragazzo sembrò vittima di un conflitto interiore ma alla fine seguì l’amico e rivolse a tutti un saluto. Li seguii con lo sguardo e sospirai. Non avevano fatto in tempo ad uscire dalla mensa che era giunta una ragazza con i capelli scuri legati in due codini, gli occhiali sul naso e il vassoio tra le mani. “Posso sedermi con voi?”.
“Ma certo Mirtilla”, le aveva sorriso Emma con voce premurosa. Doveva trattarsi di Mirtilla Warren. Ricordai che i gemelli ne avevano fatto allusione in qualche battuta. Nell’Accademia era nota come Mirtilla Malcontenta[8] poiché spesso e volentieri gli insegnanti le assegnavano dei personaggi femminili particolarmente melodrammatici o sfortunati che passavano buona parte dell’opera a piangere o a commiserarsi. Quanto era stimata per le sue abilità teatrali, altrettanto risultava sgradita per la sua nomea di gran pettegola. Le avevo rivolto un sorriso d’educazione ma ero tornata a osservare il tavolo degli insegnanti. Bradley chiacchierava amabilmente e sorrideva dei racconti animati del Signor Black e di Lupin, evidentemente amici di vecchia data, e stava addentando una lucida mela rossa.
“Sarah?”.
Mi riscossi e, mio malgrado, fui costretta a rivolgere lo sguardo a Emma. “Scusami, dicevi?”, le domandai frettolosamente e mi rimproverai. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era che lei si rendesse conto del mio interesse per Bradley: avevo la sensazione che quell’informazione mi si sarebbe ritorta contro e dovevo cercare di adottare lo stesso atteggiamento del ragazzo ed essere il più professionale possibile tra quelle mura.
“Ti stavo chiedendo se hai programmi particolari per questa sera”, mi sorrise, mentre Mirtilla guardava dall’una all’altra come la spettatrice di un programma di gossip.  “Io non so ancora cosa mi abbia organizzato”, alluse a Tom a cui strinse la mano da sopra il tavolo. “Ma hai visto lo splendido bouquet di rose che mi ha fatto recapitare a casa?”.
“Erano bellissime!”, intervenne Mirtilla con aria reverente, facendola sorridere con evidente compiacimento.
Stava alludendo alla fotografia che aveva postato su Instagram e su cui mi ero premunita di non mettere alcun like, stando anche attenta a non lasciare commenti o apprezzamenti a conoscenze in comune.  “Deve essermi sfuggita: Instagram mi è andato in crash”, mentii con un sorriso per poi stringermi nelle spalle. “Comunque stasera lavoro”, risposi in tono laconico.
“Oh capisco”. Mi sorrise con aria accondiscendente. “Ma sono sicura che avrai anche tu tempo di festeggiare con la persona giusta e al momento giusto”, parlò con aria affettata. Ancora una volta ebbi l’impressione che quelle moine nascondessero ben altri pensieri e che stesse cercando di mettermi in difficoltà anche con domande apparentemente innocenti e casuali.
Dovetti trattenermi dal guardare in direzione di Bradley, ma le sorrisi. “Non avrei saputo dirlo meglio”, risposi con la stessa voce vellutata che dovevo riservare alle mie clienti più petulanti.
“Ti piace qualcuno?”, mi domandò Mirtilla in tono avido.
“No, ma adoro passare il tempo con me stessa”, risposi tranquillamente.
“Oh, certo”, commentò Emma con un sorriso. “E’ molto importante saper stare da soli”, sembrò lodarmi e dovetti trattenermi dal sollevare gli occhi al cielo.
“A quanto pare chi invece passerà un pessimo San Valentino sarà Pansy”, ci rivelò Mirtilla, dopo essersi guardata attorno per sincerarsi che la ragazza in questione non fosse nei paraggi. “Se non fosse così maligna con tutti mi dispiacerebbe per lei”, aggiunse con voce gongolante.
“Cosa è successo?”, domandò l’altra in tono evidentemente incuriosito.
“Non capisco perché vi importi”, fu la risposta laconica di Tom che aveva preso una mela verde. Non potei fare a meno di notare, con una certa curiosità, che persino nella scelta della varietà dello stesso frutto lui e Bradley sembrassero agli antipodi[9].
“E’ solo per fare due chiacchiere, amore”, lo blandì la sua ragazza. Ebbi l’impressione che Tom si stesse trattenendo a stento dal sollevare gli occhi al cielo. “Stavi dicendo, Mirtilla?”.
Quest’ultima, che non sembrava affatto curarsi dell’opinione del ragazzo, abbassò ulteriormente la voce: “Sembra che abbia chiesto di uscire all’Assistente di Lupin”.
“No!”, esclamò Emma, portandosi teatralmente le mani alle labbra mentre io sentivo una parte del mio cervello spegnersi. Ignorai lo sguardo insistente di Tom e mi concentrai a mia volta sulla narratrice, alla ricerca di ulteriori particolari.
Mirtilla sembrava godersi l’attenzione che le stavamo riservando e affatto dispiaciuta perché diede sfogo a una risatina divertita. “Padma lo stava raccontando alla sua gemella, mentre ero in bagno: glielo ha proposto durante una loro lezione privata!”. Diede nuovamente sfogo alla sua ilarità.
L’altra sembrò dover ricorrere al suo self-control per non sorridere, seppur lo sguardo avesse baluginato. Scosse il capo con aria quasi scandalizzata. “Che ragazza sfacciata!”, commentò con una smorfia. “E lui come ha reagito?”.
La nostra informatrice sembrò andare in brodo di giuggiole. “Le ha risposto in modo garbato, naturalmente. Ha detto che sarebbe poco professionale uscire con un’alunna dell’Accademia”, spiegò. Le sue labbra s’incresparono in un sorriso più malizioso. “Padma giurerebbe che si trattasse solo di un pretesto per liberarsi dalle sue avance”, rivelò infine e coronò quell’esclamazione con un’ulteriore risata.
Sentii qualcosa di simile a un pugno alla bocca dello stomaco: in quel frangente, paradossalmente, mi sentivo quasi solidale con la Parkinson e non potevo fare a meno di provare disgusto per il modo irrispettoso e maligno con cui stavano divulgando quel pettegolezzo. Senza contare le possibili implicazioni che, egoisticamente parlando, mi procuravano un ulteriore moto di sconforto. Mi riscossi al suono dei denti di Tom che infierivano sulla mela: inclinò il viso di un lato e mi guardò attentamente. Seppur infastidito dalle chiacchiere di corridoio che riguardavano Bradley, sembrava molto più interessato a carpire il mio stato d’animo.
“Che fosse una scusa o meno, Bradley non avrebbe potuto reagire diversamente”, commentò Emma in tono asciutto e incontrò il mio sguardo, ma abbassò la voce. “Sarebbe davvero inappropriato e poco professionale frequentare una ragazza con cui sta lavorando per lo spettacolo. Credo che, in tal caso, Silente sarebbe costretto a prendere provvedimenti disciplinari”, sancì in tono quasi autoritario. In quel momento mi ricordò vagamente Rankin: sembrava che avesse studiato a memoria il regolamento e sapesse persino citare l’articolo inerente alla questione.  
Spostai il vassoio con un gesto brusco e mi rimisi in piedi, non potendo più sopportare la loro compagnia. “Bradley è una persona estremamente seria e corretta”, dichiarai in tono pacato, ma guardando dall’una all’altra senza timore. “Personalmente trovo che siano altri i comportamenti inappropriati da parte di persone decisamente abili a nascondersi dietro la propria reputazione”, mi sentii dire con voce più dura di quanto avessi voluto. “Vi saluto”.
Non attesi risposta e mi allontanai, premunendomi di non guardare in direzione del tavolo degli insegnanti.
 
Camminai nei familiari corridoi dell’Accademia e mi diressi nel porticato per prendere un po’ d’aria. Mi sedetti su una panchina libera e cercai di tranquillizzarmi e di regolarizzare il respiro, ma le parole delle ragazze continuavano a ronzarmi in testa prepotentemente. In quel momento non riuscivo neppure a valutare obiettivamente se avessi fatto bene o meno a reagire in quel modo o se sarebbe stato più saggio mordersi la lingua e far finta di nulla. Ma in verità non era quella la mia preoccupazione principale al momento.
Non potei fare a meno di ripercorrere i momenti più emozionanti che avevo vissuto con Bradley: malgrado continuassi a ripetermi di non dover alimentare incautamente fantasie romantiche, non riuscivo a capire il significato delle parole rivolte alla Parkinson, supponendo che il pettegolezzo fosse veritiero. Era stato onesto fin da subito nel farmi comprendere che entro quelle mura avrebbe dovuto mantenere un certo distacco, ma quegli sguardi e quelle parole scambiate al Pub sembravano andare in tutt’altra direzione. Che si trattasse di una frase garbata per porre fine, in modo deciso, a qualsiasi avance da parte della ragazza? O questo significava chiaramente che io stessa dovessi farmi illusioni? Non aveva senso continuare a scervellarmi, mi dissi. Sapevo che i miei amici mi avrebbero suggerito la cosa più matura e sicura: parlarne direttamente con Bradley o, nel caso di Morgana, cercare un modo più sottile di estrapolargli quell’informazione senza sbilanciarmi troppo. Un peccato che non avessi neppure la metà della sua eloquenza e del suo savoir faire.
“Buongiorno Trottolina!”.
Sussultai a quel richiamo e al suono squillante ed entusiasta della voce del Maestro Allock: ero talmente persa nelle mie elucubrazioni da non essermi neppure accorta del suo arrivo. Sbattei le palpebre e misi a fuoco il suo volto: sorrideva con uno sfolgorio quasi abbaiante dei denti bianchissimi, per non parlare delle vesti di una lucente tonalità di rosa. Decisamente più sobria di quella “da Barbie” adottata da Dolores Umbridge ma altrettanto eccentrica e particolare. “Buongiorno a lei”, gli sorrisi e mi rimisi in piedi.
A mezzo metro da lui arrancava il suo povero assistente che sembrava faticosamente trasportare due scatole e teneva al collo l’immancabile macchina fotografica. Il Maestro mi studiò attentamente e si appoggiò le mani sui fianchi, come quando valutava la forma fisica degli aspiranti ballerini che aveva di fronte. “Ma perché quel broncio?”, mi domandò con aria di evidente disapprovazione. “No, no, no, no, no, Trottolina! Non devi fare così”, mi rimproverò in tono bonario, facendo oscillare il dito in segno di diniego. “Sono sicurissimo che entro sera riceverai un invito!”.
“Un invito?”, ripetei con espressione alquanto confusa.
Allock spalancò le braccia come a voler mettere in mostra il suo outfit: “Buon San Valentino!”, esclamò con espressione raggiante. “Purtroppo il professor Lupin non mi consente di tenere una lezione a tema perché dice che abbiamo poco tempo”, sospirò con aria di evidente insoddisfazione alla prospettiva e probabilmente ritenendo “esagerato” il pessimismo dell’altro. Evidentemente ciò non aveva inficiato il suo buon umore perché ammiccò. “Ho comunque in serbo qualcosa di speciale per i miei alunni”, mi anticipò con espressione piuttosto compiaciuta di sé. Si voltò per sincerarsi che l’assistente fosse arrivato incolume. Quest’ultimo avrebbe potuto sembrare entusiasta quanto il Signor Gazza e il Signor Riddle all’idea di festeggiare quella ricorrenza a giudicare da come lasciò cadere pesantemente le scatole sulla panchina.
“Filius!”, lo rimproverò il Maestro. “Si sgualciranno le tu-sai-cosa!”.
Quest’ultimo parve doversi trattenere dal dirgli dove avrebbe riposto volentieri le “loro-sapevano-cosa”, ma mi sentii in dovere di intervenire. “Avete bisogno di aiuto?”.
“No, Trottolina, grazie”, Allock mi fece cenno di non muovermi. “E’ una sorpresa anche per te e poi non voglio certo che la mia ballerina di punta si affatichi: forza, andiamo a prepararci per la lezione!”, mi fece cenno di precederlo e non potei che assecondarlo. In quel momento ringraziai di quel suo carattere così meravigliosamente estroso che era riuscito ad attenuare il mio malumore.
 
Avevo già indossato il completo e legato i capelli in una treccia laterale. Stavo approfittando del tempo a disposizione per fare qualche esercizio di riscaldamento, quando cominciarono a entrare alcuni allievi. Non potei fare a meno di notare che la Parkinson sembrava giù di tono e prestava a malapena attenzione a ciò che le stava dicendo Padma, ma cercai di restare concentrata e ricambiai il saluto di Lupin. Notai che era solo e mi domandai se Bradley non si fosse già diretto nell’ufficio che condivideva con l’insegnante per preparare la nostra lezione.
“Buongiorno Gilderoy”, salutò cordialmente.
L’altro gli si avvicinò con la tipica vivacità e non potei fare a meno di notare il forte contrasto tra i due adulti. Allock appariva brillante al cospetto del remissivo e cupo professore di recitazione non soltanto per le vesti a tema romantico ma per i capelli sempre acconciati e voluminosi e il sorriso sfolgorante. Era anche comprensibile che Lupin, sempre piuttosto pallido anche per gli standard britannici, con l’avvicinarsi della nascita del secondogenito e dello spettacolo fosse sempre in tensione. “Ci tenevo a dirle che finalmente ho letto l’intero script!”, gli rivelò con il suo miglior sorriso.
“Davvero?”, gli domandò Lupin con aria quasi incredula. “E le è piaciuto?!”, lo incalzò subito dopo e non potei fare a meno di intenerirmi del modo in cui sembrasse sempre cercare l’approvazione altrui per qualcosa di così personale.
 “Da impazzire!”, commentò Allock con calore. “Ho adorato la storia d’amore e mi sono commosso alla fine”, rivelò, portandosi una mano al petto con gesto enfatico, prima di continuare. “Ma è stato molto illuminante perché mi ha dato un’idea che renderà la scena di ballo persino più emozionante”.
“Ma certo”, approvò subito Lupin. “Dopotutto è lei l’esperto di danza”.
Allock parve gonfiarsi il petto: sia per il piacere scaturito da quel riconoscimento, sia per dare l’enfasi giusta all’idea che, a suo dire, avrebbe reso lo spettacolo un vero e proprio capolavoro.
Il tango!”.
Il sorriso sul volto di Lupin svanì repentinamente e parve farsi persino più pallido mentre sbatteva le palpebre e schiudeva le labbra con aria incredula. “Il tango?!”, ripeté con voce quasi strozzata.
“Il tango!”, ripeté l’altro con entusiasmo quasi folle nello sguardo. Schioccò le dita in direzione dell’assistente che sembrava sempre più immusonito ma che si affrettò a porgergli il copione. “Ogni dialogo tra i suoi personaggi è intriso di passione, attrazione e anche una buona dose di impertinenza e quasi repulsione!”, iniziò a spiegare, mostrando dei passaggi che aveva sottolineato.
“Questo è vero”, convenne Lupin che sembrò comprendere di aver fatto un errore imperdonabile nell’avergli promesso carta bianca. “Ma temo che-”.
“E quale ballo incarna meglio questi valori?”, lo incalzò il Maestro che non sembrava neppure sentirne le proteste flebili. “Ci pensi, amico mio, ci pensi!”.
“Gilderoy”, lo richiamò Lupin in un coraggioso tentativo di farsi valere. “Per quanto io sia profano nella storia del ballo, sono piuttosto certo che il tango non fosse diffuso all’epoca e soprattutto nelle prime colonie inglesi del Nuovo Mondo”, spiegò in tono pacato ma razionale.
Allock fece un cenno distratto con la mano. “Le posso assicurare che è il tipo di danza che meglio esprimerebbe la tensione e la passione tra i suoi protagonisti! Lasci che oggi insegni a Trottolina e Томас i passi iniziali. Sono sicuro che la convincerò e dopotutto può sempre cambiare la data dell’ambientazione”, gli fece notare come se si trattasse di un dettaglio di poco conto.
Lupin si strofinò la tempia con una mano e trasse un profondo respiro. “Se anche avessimo il tempo per farlo, Gilderoy, temo che dovrei insistere nel voler restare fedele al copione. Magari per un futuro spettacolo”.
“Sono sicuro che impareranno in fretta, ho fiducia in loro!”, gli fece notare Allock che, come sempre, sembrava sordo a ciò che contrastava le sue idee.
“Anche io ho fiducia in loro”, rimarcò Lupin, alzando leggermente la voce e scostandosi i capelli striati di grigio dal viso. Avevo la sensazione che quella conversazione gli stesse alzando notevolmente i livelli di stress. “Ma non è questo il punto”. Prese fiato prima di riprendere. “Non ho intenzione di apportare uno stravolgimento nella data: significherebbe cambiare il modo di esprimersi dei personaggi, il vestiario, le pettinature, i riferimenti legislativi e tutto quello su cui si basa questo spettacolo!”.
L’altro gli sorrise con aria indulgente e scosse il capo. “Remus, Remus, Remus. Lei non pensa che ne varrebbe la pena per la buona riuscita dello spettacolo? Ovviamente non diremo al Preside che sono stato io a rendermi conto di questo vitale cambiamento che era fondamentale per il successo dello spettacolo”.
“IL TANGO È ARGENTINO, PER L’AMOR DEL CIELO!”, sbottò Lupin, sovrastando il chiacchiericcio generale.
Allock sbatté le palpebre chiaramente spiazzato da quella reazione accesa, prima di rivolgergli il suo sorriso accattivante. “Ho capito: vuole pensarci sopra ancora un po’. Ma non troppo, mi raccomando. Sono uno straordinario Maestro ma neppure io potrei insegnarlo loro in-”.
“NON HO BISOGNO DI PENSARCI!”, sbottò Lupin con il viso ormai rubicondo e un cipiglio quasi canino. “NO, NO E ANCORA UNA VOLTA NO”.
A quel punto neppure Allock parve in grado di aggirare o ignorare la sua determinazione, ma fu impressionante l’effetto che quella reazione accesa ebbe su di lui. Mentre Vitious cercava di camuffare la risata dietro dei colpi di tosse, lui finse di voler recuperare il proprio libro. Ora che il sorriso era scomparso dal suo volto appariva molto meno sgargiante e persino la tonalità rosata dei suoi vestiti sembrava sbiadita. “Molto bene”, mormorò con un filo di voce. “Mi perdoni se ho osato esprimerle la mia opinione”.
Fu evidente il conflitto in Lupin: se una parte di sé voleva evidentemente scusarsi del tono brusco, altrettanto chiaramente non voleva concedergli uno spiraglio di speranza che lo portasse a deviare dal piano originale. Mentre cercavo qualcosa da dire per stemperare la tensione del momento e risollevare l’umore di Allock, vidi Bradley varcare la soglia della sala da ballo.
“Buongiorno”, salutò tutti con il consueto sorriso cordiale.
“Bradley, grazie al cielo”, gli si rivolse Lupin. “Puoi restare tu per la lezione? Ho bisogno di prendere una boccata d’aria”, gli chiese ansiosamente.
“Certo”, replicò il ragazzo. Lo guardò curiosamente e restò interdetto quando venne letteralmente trascinato di peso verso Allock.  
“Gilderoy, le presento il mio Assistente. Si è diplomato recentemente al Drama Centre”.
“Maestro, ho sentito dire meraviglie di lei: è un piacere conoscerla”, commentò Bradley con calore.
Allock che sembrava intenzionato a tenere il broncio il più a lungo possibile, si costrinse a guardare di sottecchi la mano che gli veniva porta per poi sollevare lo sguardo e restare letteralmente folgorato. Le sue gote divennero di una tonalità simile a quelle dei suoi vestiti e gli occhi parvero letteralmente brillare. “Bontà divina!”, esclamò con voce quasi gutturale rimirandolo come si contempla un’opera d’arte. “Quale celestiale visione!”.
Bradley parve incapace, di primo acchito, di celare il proprio sbigottimento e il suo sorriso vacillò prima di schiarirsi la gola. “Bradley James”, si presentò di nuovo. “Sarò l’Assistente del Professor Lupin”
No!”, esclamò Allock con un sorriso che rivelò nuovamente lo sfolgorio quasi magico dei suoi denti perfetti. Sembrò contemplarlo come se non lo ritenesse reale, con la mano sotto il mento e un sospiro quasi febbrile. “Ti chiamerò Apollo: come la divinità greca delle arti e del sole[10]”, dichiarò con voce enfatica, alludendo probabilmente al suo incarnato, ai suoi capelli chiari. Era un appellativo pertinente considerando anche la sua predisposizione al teatro. Gli strinse finalmente la mano e la trattenne più del dovuto. “Gilderoy Allock”, si presentò e sciorinò di nuovo la sua lunga presentazione, menzionando le sue vittorie e il titolo di Cavaliere.
“Molto onorato”, replicò il ragazzo con un filo di voce.
“Presto Filius, facci una foto insieme! Raggiungeremo il record di like sui social!”.
Il povero Bradley non sembrò trovare il tempo e il coraggio di chiedere spiegazioni perché fu letteralmente accecato dal flash della macchina fotografica e intrappolato dal braccio di Allock intorno alle sue spalle.
Lupin si schiarì la gola e sembrò trattenere a fatica il sorriso. “Credo che sia ora di iniziare la lezione. Non le dispiace se quest’oggi assisterà solo Bradley, immagino”.
“Non mi dispiace affatto conoscere meglio Apollo”, ribatté Allock che parve aver dimenticato il suo malumore. “Arrivederci Remus”.
Il ragazzo si era schiarito la gola e si era divincolato gentilmente dal Maestro. “Non voglio farle perdere altro tempo: cominci pure la sua lezione”, lo incoraggiò. Sembrava molto più pallido di quando era entrato e non potei fare a meno di provare un moto di tenerezza.
“Ci proverò”, gli sorrise l’altro con espressione adorante. “Anche se oggi non è un giorno qualsiasi, dico bene?”.
“Immagino di no”, replicò cautamente Bradley, la cui voce sembrava più acuta. Sorrideva in modo decisamente nervoso. “Io allora vado a… sedermi”, gli sorrise un’ultima volta e lo vidi passarsi una mano tra i capelli, prima di cercarsi un posto tranquillo da cui osservare la lezione.
“Buongiorno a tutti e buon San Valentino!”, salutò e spalancò le braccia come a stringerci tutti in un abbraccio silenzioso. “Prima di aprire le danze, letteralmente, vorrei ringraziare le studentesse che sono state così gentili da mandarmi un biglietto di auguri[11]”.
“Dimmi che non sei tra queste”, soffiò la voce di Tom alle mie spalle. Non potei fare a meno di trasalire per la sorpresa: non mi ero accorta del suo arrivo e tanto meno che mi fosse così vicino. Ne incontrai lo sguardo sopra la mia spalla e aggrottai le sopracciglia nel vedergli quell’espressione ironica. Mi morsi la lingua per non rispondergli, più che mai persuasa a limitare il più possibile le nostre interazioni.
“Ho portato per voi una bella sorpresa”, dichiarò Allock, indicando le due scatole appoggiate sulla scrivania. “Delle rose per voi maschietti più distratti che avete dimenticato un cadeau per la vostra dama”, puntò il dito contro di loro come se li stesse effettivamente sgridando. “E dei cioccolatini per voi signorine: non voglio vedere bronci sul viso di nessuno quest’oggi”.
Non potei fare a meno di guardarmi attorno e notare che i presenti sembravano attoniti e perplessi, a partire da Bradley che sembrava ben interpretare solo in quel momento la premura di Lupin nello svignarsela. Soltanto qualche ragazza stava sorridendo, evidentemente per educazione. Pansy appariva persino offesa, come se Allock le stesse facendo un torto personale di fronte a tutti.  “Potrete ritirare il vostro pensierino a fine lezione, ma ora torniamo a noi. Disponetevi in coppie”.   
Mio malgrado, mi costrinsi a seguire Tom mentre l’insegnante estraeva il suo saggio sui balli e mostrava Bradley la copertina in cui il suo alter-ego vestito con abito da sala, sorrideva impertinente all’obiettivo.
“Pensi di ignorarmi per i prossimi mesi?”, mi domandò Tom in tono pacato ma il cipiglio corrugato.
Stavo per rispondergli in modo caustico ed eloquente ma ringraziai mentalmente che Allock si fosse avvicinato per porsi al centro della stanza. Aveva inforcato un paio di occhiali dalla montatura rosa, adornata di strass che brillavano. Mi domandai scioccamente se avesse una montatura da abbinare a ogni completo stravagante che indossava con simile fierezza.
“Vogliamo dire al nostro Assistente per quale motivo il valzer fu considerato un ballo scandaloso?”.
Fu forse la prima volta che vidi Tom offrirsi di rispondergli. “Fu il primo ballo nel quale era previsto che gli uomini e le donne si abbracciassero”. Enfatizzò sull’ultima parola con tale compiacimento che mi fece sollevare gli occhi al cielo.
“Eccellente Томас!”, lo lodò l’insegnante. “Sentite cosa ne pensavano all’epoca: "Citando Curt Sachs[12]: la coppia balla così strettamente allacciata, volteggiando in un atteggiamento sconvenientissimo […] A proposito dei danzatori che tengono sollevati i lembi dei vestiti delle dame, nota che la mano del maschio che tiene il vestito, poggia ben ferma sul petto della donna… premendo con lascivia ad ogni piccolo movimento", continuò a leggere con enfasi e un mormorio incredulo si diffuse nell’aula. Era comprensibile che, per il pudore dell’epoca, la sola vicinanza fisica tra un uomo e una donna non sposati fosse “scandalosa” e compromettente per la reputazione della dama, soprattutto se di nobili origini, ma la sequenza descritta sembrava inappropriata persino in epoca moderna.
Bradley era apparso non poco preoccupato, tanto da abbandonare la sua postazione per avvicinarsi ad Allock. Quest’ultimo si emozionò al punto da lasciar cadere il libro. “Vuole offrirsi volontario?”, gli chiese in tono evidentemente entusiasta alla prospettiva. “Sono sicuro che il Professor Lupin converrebbe con me che potremmo senz’altro trovarle un ruolo come comparsa per questa scena: un simile corpo armonioso sarebbe sprecato se-”.
Il ragazzo sollevò la mano a interromperlo con un sorriso educato. “In realtà vorrei chiederle delle delucidazioni su quanto ha appena letto”.
Il Maestro sospirò e recuperò il libro. “Mio caro Apollo, le ricordo che il narratore è vissuto in un contesto diverso dal nostro e potrebbe aver enfatizzato ciò che credeva di aver visto”, lo tranquillizzò. “Senza contare che il Preside e il Professor Lupin hanno posto dei limiti oserei dire… vittoriani per restare a tema”, soggiunse con una risatina per la sua stessa battuta a cui nessuno si unì. “Tuttavia è interessante leggere queste fonti storiche circa l’atteggiamento dei ballerini”, non attese replica e riprese. In diverse occasioni avevo avuto l’impressione che, in nome dell’arte, lui stesso avesse una nozione di morale piuttosto “discutibile”.  “Il giudizio sulle donne non è da meno: le ragazze avevano uno sguardo folle o sembravano prossime al deliquio", riprese da dove si era interrotto.
“Non mi offenderò se cercassi di stringermi più del dovuto”, soffiò Tom in mia direzione. “O se mi rivolgessi uno sguardo… folle e prossimo al deliquio”, citò il brano con un sorrisino sfrontato.
Gli rivolsi una smorfia disgustata. “Non so se ad Emma piacciano queste fantasie. Di certo non sono nessuno per giudicarvi e francamente non ne ho alcun interesse”, sibilai freddamente per risposta.
Tom sospirò con aria insofferente e prese a parlare in un bisbiglio irritato. “Ti ho già spiegato che si tratta di un equivoco: mi credi davvero così squallido?”, mi incalzò in tono quasi offeso.
“Vuoi davvero che ti risponda?”, gli risposi bruscamente ma la mia voce riecheggiò nel silenzio.
Non mi ero infatti resa conto che Allock aveva finito la sua lettura. “Rispondere a cosa?”, mi incalzò, dopo aver richiuso il libro.
Sentii le guance ardere agli sguardi di tutti ma non osai incontrare quello di Bradley che aveva già avuto occasione di appurare quali problemi avessi a mantenere la concentrazione a causa delle provocazioni di Tom.
“Le stavo chiedendo di ricordarmi se il valzer sia un ballo ternario o meno”, replicò prontamente il ragazzo. “Evidentemente Trottolina ritiene che sia scandaloso che io non lo ricordi”.
“E ha ragione!”, commentò il Maestro, portandosi una mano al petto come se fosse personalmente offeso dalla sua mancanza di attenzione. “Un, due e tre, Томас!”. Sospirò e socchiuse gli occhi come a incoraggiarsi a mantenere la calma. “L’ho detto a Lupin che dovreste esercitarvi più spesso, ma non perdiamo tempo e iniziamo!”.
Lasciai che mi cingesse la vita e gli appoggiai la mano sulla spalla. Dovetti, mio malgrado, stringergli l’altra mano, ma cercai di guardare un punto fisso alla parete alle sue spalle. Allock, con la sua tipica cura quasi maniacale, si avvicinò e corresse le nostre posture. “Sembri molto tesa, Trottolina: hai qualche dolore muscolare?”, mi domandò in tono vagamente preoccupato.
“Ho dormito poco bene”, mentii spudoratamente e finsi di ascoltare la sua tiritera su quanto fosse importante assumere una posizione idonea per la spina dorsale e ricercare un materasso adatto alle proprie esigenze.
Diede alla classe delle ultime direttive prima di chiedere al suo assistente di premere il tasto “play” sul suo cd. “Dovete concentrarvi sui vostri respiri, sui vostri battiti e mantenere il contatto visivo con il vostro partner: non deve esistere altro durante il ballo se non la persona che avete di fronte. Svuotate la mente, ascoltate la musica. Signori, prendetevi cura delle vostre dame con dolcezza ma determinazione. Signorine, lasciatevi andare e ballate con il cuore”, ci istruì con voce quasi sognante. La musica familiare si diffuse nell’aria mentre Allock prendeva a fare circonferenze su se stesso e a mormorare: “Un, due, tre… un, due, tre” per guidare i nostri movimenti. Rivolgeva di quando in quando occhiate speranzose verso Bradley che si stava premunendo di evitarlo il più possibile.
Dovevo ringraziare la mia memoria muscolare: dopo quasi cinque mesi di lezioni avevo ormai memorizzato i movimenti, ma trovavo ancora difficile costringermi a guardare Tom e cercare di non pensare ai motivi per i quali non sopportassi la sola idea di trovarmi nella stessa stanza con lui. La sua superficialità e la sua tranquillità, poi, non facevano che accrescere la mia esasperazione. Seguii il movimento del suo braccio e feci una piroetta prima di tornare nel suo abbraccio, suscitando un fiero battimano di Allock di cui sentii il complimento.
Tom richiamò la mia attenzione, facendo una maggiore pressione sul mio fianco. “Non possiamo andare avanti così”, mormorò, muovendo a malapena le labbra. “Non essere irrazionale”.
Mi morsi la lingua e dovetti impedirmi di approfittare della situazione per rifilargli un calcio nello stinco (o in un’altra parte del corpo), ma ogni parola da lui pronunciata era solo un’ulteriore conferma che meritasse il mio rancore e il mio risentimento. “Tu smettila di forzare un rapporto tra noi”, ribattei per risposta. “E smettila di sminuire i tuoi comportamenti: non lo sopporto!”, gli dissi in tutta onestà.
Tom mi guardò con circospezione e le sopracciglia aggrottate: “Quindi vorresti che agissimo come due estranei, ho capito bene?”.
“Sei un futuro attore: non dovrebbe essere così difficile per te”, rimarcai in modo scontroso, prima di stringermi nelle spalle. “Da parte mia cercherò di tollerarti e di essere professionale”.
“Professionale come il tuo Cavalier Servente?”, mi domandò in tono pungente.
L’allusione a Bradley mi suscitò un guizzo all’altezza del petto, soprattutto al pensiero della conversazione in sala mensa a cui aveva assistito.
“Si è creato un bella armatura, glielo concedo, ma cosa ti fa credere che voglia qualcosa di diverso da chiunque altro?”, mi domandò in tono beffardo e con un sorriso quasi viscido.
Mi irrigidii nella sua stretta, ma sollevai il mento e lo guardai con aria furiosa: “Non ti permettere, tu non lo conosci!”.
Mi studiò con aria clinica e scosse il capo. “Neanche tu”, rimarcò per poi sospirare e rivolgermi uno sguardo quasi compassionevole. “Non dovresti confondere le tue fantasie romantiche con la realtà”.
Mi sentii punta nel vivo e un misto di rabbia, di umiliazione e di amarezza mi serrò la gola. In quel momento mi sentivo davvero vicina a odiarlo con tutto il cuore. “Forse non lo conosco bene, ma da quel che ho capito è più uomo di quanto tu sarai mai”, sibilai per risposta.
Sembrò impallidire e provai una reale soddisfazione all’idea che il confronto gli suscitasse un simile fastidio e che lo avessi offeso realmente. Parlò di nuovo in tono sibillino. “Accomodati pure se vuoi cadere nella sua trappola, ma poi non tornare a piangere da me!”, sembrò volermi minacciare.
Lo guardai disgustata e scossi il capo, salvo sollevare il mento con un moto di orgoglio.  “Preferirei piangere per lui che stare con te più del necessario”, gli dissi guardandolo dritto negli occhi prima di inclinare il viso di un lato. “In ogni caso, ho degli amici che mi sostengono sempre: tu hai solo il tuo amore per te stesso e puoi infilartelo tu-sai-dove”.
Mi fece fare l’ultima piroetta prevista dalla coreografia e mi strinse il fianco quasi fino a farmi male, avvicinandosi al mio viso per mormorare le successive parole. “Non hai capito niente, proprio niente”, ripeté quasi rabbiosamente.
“Ti sbagli”, ribattei con altrettanta stizza. “Ho capito fin troppo e non mi importa più nulla di te”.
La melodia sfumò e Tom abbandonò la pressione intorno alla mia vita: era evidente che fosse infuriato e il suo corpo si era irrigidito. Da pallido il volto era divenuto di una sfumatura rosata per la mera indignazione. Aveva la mascella serrata e mi rivolse un ultimo sguardo ricco di biasimo e di disprezzo, mentre stringeva i pugni lungo i fianchi. “Ho chiuso con te”, dichiarò e indietreggiò di un altro passo, quasi a voler enfatizzare anche fisicamente quella sua decisione.
“Bene, spero che questa volta sia per sempre”, risposi con altrettanta durezza. Non avrei permesso al mio senso di colpa o alle mie tipiche remore di farmi rimpiangere quella decisione. Gli avevo concesso più occasioni e ogni volta ero stata puntualmente delusa, continuai a ripetermi.
Non ci rivolgemmo la parola fino alla fine delle prove e fu un vero e proprio sollievo. Allock era intervenuto diverse volte per correggerci ma, a fine lezione, si era complimentato, pur raccomandandosi di non trascurare gli esercizi quotidiani che ci aveva consigliato. Bradley aveva parlato poco, se non per chiedere spiegazioni ulteriori o per osservare le coppie e avevo avuto l’impressione che il suo sguardo avesse indugiato su me e Tom più di una volta.
“Alla prossima lezione”. Lo salutò Allock e allungò la mano con sguardo sognante. “Mio caro Apollo, continuo a pensare che sia uno spreco non permetterle di prendere parte allo spettacolo, senza contare che sono sicuro che sarebbe-”.
“Troppo gentile, davvero”, lo interruppe pacatamente, ma con decisione, prima di congedarsi. È stato un onore incontrarla”.
“L’onore è stato tutto mio!”, replicò Allock rimirandolo con un altro sospiro.
“Arrivederci Maestro”, gli sorrisi a mia volta, prima di rivolgermi a Bradley. “Cinque minuti e sarò pronta”, allusi alla necessità di cambiarmi e rinfrescarmi.
Mi sorrise e annuì. “Ti aspetterò qui”.
 
Controllai il mio riflesso per l’ennesima volta e spazzolai i capelli, lisciai la gonna e mi affrettai a rientrare nell’aula di danza. Bradley si era nuovamente accomodato e aveva approfittato dell’attesa per sfogliare il copione.  Sollevò lo sguardo, quando mi annunciai e mi sorrise, prima di rimettersi in piedi e farmi cenno di uscire prima di lui. Mi si affiancò facilmente per la sua ampia falcata. “Spero non ti dispiaccia se ho scelto io la scena da provare: stavo ripassando la battute”, mi spiegò con un sorriso complice.
Non potei fare a meno di rimirarlo sorpresa. “Le hai studiate per le nostre prove?”.
Parve divertito dalla mia reazione. “Certo. Preferisco concentrarmi sul timbro della voce, sulla gestualità e sulle espressioni da accompagnare alla battuta. La comunicazione non è mai esclusivamente verbale: è uno degli aspetti più affascinanti della recitazione a mio modesto parere”, mi illustrò.
Annuii a quelle parole, ricordando di aver studiato quelle nozioni per un esame di sociologia della comunicazione. Non avevo mai pensato a quanto fosse effettivamente fondamentale per completare le abilità di un attore. Mi sentii anche sciocca per avergli posto quella domanda. Avrei dovuto prevederlo, visto come si era dimostrato competente fin da subito. Senza contare che mi trovavo di fronte a un altro attore di incredibile talento come avevo avuto la fortuna di appurare nello spettacolo di Londra. “Non vedo l’ora di vederti recitare di nuovo”, gli rivelai.
Mi sorrise più dolcemente. “Spero di non deludere le tue aspettative”. Si fermò di fronte all’ufficio di Lupin. Inserì la chiave nella toppa e mi cedette il passo.
Ero già stata lì dentro, soprattutto nelle prime settimane, quando avevo incontrato delle difficoltà con alcuni dialoghi e lui si era sempre dimostrato più che disponibile e affabile anche in preziosi consigli di dizione. Non potei fare a meno di notare che non vi erano significativi cambiamenti: evidentemente Bradley si comportava come un perfetto ospite e si premuniva sempre di lasciare la stanza nelle stesse condizioni in cui la trovava, comprese le indicazioni sulla lavagna.
“Ho pensato di provare questo dialogo, se sei d’accordo”, mi liberò una sedia perché potessi accomodarmi e mi porse la sua copia dello script. Aveva contrassegnato con una freccia la battuta di esordio che avrebbe pronunciato lui.
Lo osservai con la coda dell’occhio mentre appendeva il cappotto. Spostò la scrivania e le sedie verso una parete per creare uno spazio confortevole. Quando ebbe finito, mi osservò con il volto inclinato di un lato. “Mi spiace averti fatto attendere: ho avuto diversi appuntamenti e Lupin ha la smania di aggiungere nuove scene, modificarne altre o pensare di eliminarne alcune”, mi confidò con voce appena intaccata di stanchezza. Avevo la sensazione che il Professore gli telefonasse persino nel suo tempo libero. “Di questo passo non so come farà ad arrivare a Giugno ancora vivo”, convenne con un’espressione divertita e in parte preoccupata.
“Meno male che ci sei tu ad alleggerirgli il lavoro”. Sospirai e scossi il capo. Forse avremmo dovuto seriamente parlarne con il Preside che sembrava l’unico in grado di farlo ragionare o, come accadeva spesso, di imporgli la propria volontà. “Ti stai trovando bene?”.
“Molto”, sorrise con uno scintillio nello sguardo. “Devo ammettere di essere un po’ invidioso, quando vi vedo sul palcoscenico, ma non mi dispiace dirigere e guardare le cose da un punto di vista diverso. E poi in queste sedute posso divertirmi a interpretare molti personaggi diversi”, aggiunse con un breve ammiccamento.  
“Lo immagino”, gli sorrisi e tornai a concentrarmi sul copione per non perdere tempo prezioso.  Rilessi per sicurezza le mie battute un’ulteriore volta, seppur le avessi già apprese e mi rimisi in piedi. Inspirai profondamente, cercando di concentrarmi sulla scena e non pensare a quanto fosse emozionante ritrovarsi faccia a faccia in un luogo appartato.
“Svuota la mente e concentrati”, mi istruì parlando a voce bassa e ponendosi a circa tre passi di distanza da me. Era straordinario come Bradley, al pari di Tom, sembrasse aver bisogno di pochi istanti per assumere una postura più consona al personaggio: persino i lineamenti sembravano irrigidirsi o ammorbidirsi per poter simulare le espressioni consone alle battute da recitare.
Mi presi un breve istante per richiamare alla mente gli eventi cronologici della narrazione e tutte le indicazioni che mi aveva dato Lupin su quel momento narrativo. Si trattava di una delle sequenze vicine al finale, quando finalmente i due protagonisti avrebbero messo da parte i rancori, il loro orgoglio, la loro testardaggine per smettere di negare ciò che era sempre stato evidente quanto pericoloso. Il confronto era ambientato durante un ricevimento serale nel quale entrambi erano ospiti dei proprietari ma, come di consueto, Elisabeth si era allontanata dalla ressa per restare in terrazza a prendere una boccata d’aria. Gli diedi le spalle come previsto dalle indicazioni.  
“Non vi state godendo la festa?”, mi giunse la sua voce in un sussurro.
Elisabeth non doveva apparire sorpresa perché era ormai in grado di riconoscerne i passi. Lentamente mi voltai in sua direzione. “Buonasera, Lord Pendlenton”, mormorai e sollevai leggermente il mento per incontrarne lo sguardo. Mi presi un istante per scrutarlo con atteggiamento incuriosito e guardingo: era la prima volta che Elisabeth e William, dopotutto, si ritrovavano faccia a faccia dopo aver scoperto le reali origini di quest’ultimo. Dopo che era divenuto uno degli scapoli più ambiti della ridente colonia.
Si chinò impercettibilmente in un gesto formale ed elegante e mosse un paio di passi in mia direzione. L’espressione doveva apparire distante e indifferente, ma quel contegno era attenuato dalla piega ironica delle labbra. “Buonasera a voi, Lady Crawford”, mormorò per risposta e carezzò con voce più vellutata il cognome della dama. “Ne è passato di tempo”.
“Di certo sembrate un’altra persona”, mormorai per risposta, facendo finta di indicarne i panni eleganti e da gentiluomo. La stessa Elisabeth doveva simulare compostezza e indifferenza. “Mi domando se sia stato facile adattarsi al ruolo di una classe sociale che fino a due settimane fa detestavate”.
Il giovane mosse rapidamente e allusivamente le sopracciglia, emettendo un ironico verso gutturale. “Devo ammettere di essere stato prevenuto nei confronti del nostro ceto”. Si sporse in mia direzione, come da copione, e sentii il mio cuore cominciare a scalpitare più intensamente. Dovetti controllarmi per impedirmi di tradire il mio stato d’animo con un gesto istintivo come mordermi il labbro o scostarmi i capelli dal viso. “E devo parimenti aggiungere che vi sono dei vantaggi che non avevo mai considerato”, soffiò con voce più suadente, sporgendosi ulteriormente verso il mio volto, facendo decisamente accelerare il battito del mio cuore. Mi prese la mano con un gesto fluido ed elegante e, senza smettere di sorridere con quell’alone più furbesco, ne baciò il dorso della mano.
Sbattei le palpebre, come da copione e mi allontanai con una smorfia. “Non illudetevi troppo: alcuni mascalzoni sono esattamente come sembrano, a prescindere dalla loro rendita”, soffiai in tono sarcastico e sprezzante. Non ne attesi risposta e mi mossi di lato per superarlo.
La sua risata bassa e gutturale mi provocò un brivido lungo la spina dorsale, soprattutto quando mi artigliò il polso per fermarmi, inducendomi a voltarmi in sua direzione. Finse di guardarsi attorno per accertarsi di essere soli, prima di avvicinare ancora e pericolosamente il viso al mio. Non dovetti fingere il battito accelerato del mio cuore e neppure quel calore che mi invase il corpo, ma avevo difficoltà a distogliere lo sguardo dalle sue iridi che mai avevo scorto a simile distanza. Se fin da subito, ero rimasta colpita dal loro colore, in quel momento faticavo a comprendere quale fosse la nuance predominante: se l’azzurro o il grigio. Ma avrei solo voluto continuare a sondarli.
“Alcuni, temo, che nascondano la loro natura malvagia dietro una bella apparenza”, mormorò per risposta, ma la voce si era ammorbidita e così la pressione intorno al mio polso. Sollevò la mia mano sinistra e sorrise con aria soddisfatta nel notare l’assenza dell’anello che avrei indossato per gran parte dello spettacolo. “Allora le voci sono vere”, mormorò e un sorriso sfrontato gli increspò le labbra. Parlò con timbro ancora più roco. “Avete annullato il fidanzamento con quel faccino di porcellana”.
La battuta aveva una doppia valenza: in parte riprendeva le precedenti provocazioni sul matrimonio concordato soprattutto per ragioni economiche e sociali come era prassi quasi universale all’epoca; in parte voleva essere una crudele allusione sul colpo di scena nel quale si sarebbe scoperto che Lord Duncan fosse tutt’altro che un uomo per bene. Malgrado fosse umiliata, la giovane dama gli avrebbe rivolto nuovamente uno sguardo di puro disprezzo e di odio. “Lasciatemi subito”.
Lui mi sorrise per risposta e il suo sguardo parve ancora più intenso mentre, con incredibile delicatezza, mi carezzava il palmo della mano, fino a intrecciarne le dita con le mie. “Non prima che riprendiamo la nostra conversazione in sospeso”, sussurrò per risposta, soffiando letteralmente quelle parole sul mio volto.
Sentii il mio respiro accelerare rapidamente e cercai di sostenerne lo sguardo anche quando, con le dita della mano libera, mi sfiorò lo zigomo. Era sempre più difficile restare concentrata sulle mie battute, sulla situazione descritta da Lupin e sulle emozioni della protagonista, mentre l’unica cosa che mi sembrava naturale era abbandonarmi a quel contatto che mi stava strappando brividi caldi e freddi lungo la spina dorsale. La pelle del mio viso stava formicolando laddove il suo pollice si stava muovendo in senso circolare, i suoi occhi sembravano avvolgermi e non potei fare a meno di contemplarne le labbra carnose, domandandomi se fossero morbide come apparivano. “William”, ne mormorai il nome ma riconoscevo a stento la mia voce e, soprattutto, realizzai a quel lungo silenzio, non riuscivo a ricordare la mia battuta. Non avrei neppure saputo dire quando avessi mosso un ulteriore passo in avanti e gli avessi appoggiato la mano sulla camicia. Sentivo al di sotto il suo battito calmo e regolare. Mi specchiai nel suo sguardo per un lunghissimo istante, senza rendermi conto che si fosse fermato e che ancora ne stessi scrutando le labbra.
E stooop”, mormorò lui ma la sua voce parve distante anni luce da noi. 
Sbattei le palpebre a più riprese, mentre il viso si infiammava per il mero imbarazzo. “Oddio, scusa, mi spiace!”, esclamai, e mi affrettai a scostare la mano dal suo petto con il cuore in gola. Mi morsi il labbro e mi ravviai i capelli dal viso.
Bradley non pareva spazientito e neppure arrabbiato, ma lo vidi indietreggiare di un passo e osservarmi. Ciò non fece che accrescere il mio imbarazzo all’idea di come, per un folle attimo avessi quasi perso il controllo. “Non ti preoccupare”, mormorò in tono pacato. “Capita anche agli attori professionisti”, soggiunse con un sorriso, come a voler stemperare la tensione.
Dubitavo tuttavia che ciò accadesse perché, in maniera molto poco professionale, indugiavano a fantasticare sul loro partner di scena. Mi morsi il labbro, osservandolo di sottecchi e con non poca mortificazione all’idea che i miei pensieri così intimi gli si fossero palesati per la mia stupidità e inesperienza. “Scusami davvero, non vorrei farti perdere tempo”, aggiunsi in imbarazzo.  Senza contare che non sopportavo l’idea che pensasse che avrei approfittato di quelle sedute per avvicinarmi a lui in quel modo. Mi tornarono alla mente le parole di Mirtilla e non potei fare a meno di sentirmi ulteriormente umiliata all’idea che paragonasse il mio comportamento a quello di Pansy.
Bradley mi appoggiò una mano sulla spalla. “Non hai motivo di scusarti”, specificò in tono più deciso, guardandomi con le sopracciglia inarcate. “Le prove sono indispensabili a qualunque livello di esperienza: non tormentarti troppo”.
Scossi il capo, ancora arrabbiata con me stessa. “A questo punto dovrei essere in grado di mantenere la concentrazione per una scena intera”, mi rimproverai.
Lui mi sorrise più indulgente. “Sei sempre così severa con te stessa? Stavi andando bene. Molto bene”, precisò. Mi fece cenno di accomodarmi. “Esistono molte tecniche e occorrono anni e anni di studio e di pratica per imparare a calarsi perfettamente in un personaggio. Tu stai facendo enormi progressi in poco tempo, mettendoci anima e cuore e questo è palese per tutti: da Lupin che ti ha scelta al sottoscritto che è l’ultimo arrivato”, mi rassicurò con voce gentile.
Sospirai e mi domandai se, malgrado i suoi propositi, non stesse trattandomi con i guanti di velluto. “Tu e Tom lo fate sembrare così facile: è come respirare per voi”, convenni con un sorriso seppur non potessi certamente confrontare i nostri percorsi di studio.
Non sembrò particolarmente felice del paragone, ma inclinò il viso di un lato. “Posso assicurarti che nel mio caso si tratti di un raro e incommensurabile talento naturale”, rispose con un sorrisino piuttosto compiaciuto di sé e un barlume più complice nello sguardo. Vi era talvolta nel suo parlare una punta di vanità che, tutto sommato, non mi dispiaceva affatto. “Un dono supportato da anni e anni di studio e di pratica”, aggiunse più seriamente. “Quando dai vita a un personaggio devi sforzarti di entrare in sintonia con lui. Devi pensare al tuo corpo come a un contenitore vuoto: devono sparire i tuoi pensieri, le tue preoccupazioni e, in alcuni casi… le tue emozioni”, aggiunse.
Avrei potuto giurare che a quelle parole il suo sguardo avesse scintillato con una certa soddisfazione personale all’idea che fosse stato il mio trasporto per lui a farmi sbagliare.
Dovetti distogliere lo sguardo per non arrossire troppo. Avevo potuto facilmente appurare che non fosse Tom l’unico a minare la mia concentrazione, il che era piuttosto ironico, considerando che ci trovassimo lì proprio per quella difficoltà. Mi schiarii la gola. “Deve essere liberatorio dimenticarsi di se stessi per qualche ora”.
“E’ uno dei pochi lavori al mondo che ti consente di vivere centinaia di vite, in diverse epoche storiche e località del mondo. Puoi persino esplorare parti della tua personalità che non conoscevi”, mi rivelò e fu evidente dal baluginio del suo sguardo quanto amasse realmente quell’attività e come la ritenesse parte della sua identità. Non potevo che provare ammirazione e un pizzico di invidia per coloro che sembravano avere le idee così chiare sul loro futuro, tanto che il loro destino sembrava già segnato.  Inclinò il viso di un lato e parlò con voce più carezzevole: “Conosci la storia di Elisabeth, i suoi pensieri, le sue emozioni quasi più Lupin: interpretala per qualche ora e lasciala prendere vita così che tutti possiamo conoscerla e amarla attraverso te”.
Sperai che la sua passione potesse contagiarmi e gli sorrisi, dopo aver annuito con maggiore determinazione. “Ci proverò”, promisi.
“Allora concentrati e riproviamo dall’inizio”.
 
“Magnifico”, commentò Bradley alla fine dell’ennesima prova. “Lupin ha ragione: c’è soddisfazione con qualcuno che apprende così rapidamente”, mi lodò e non potei fare a meno di sorridere. “Credo che per oggi potremmo fermarci qui”, mi disse, dopo aver controllato l’orologio.
Non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: mantenere la concentrazione così a lungo era molto dispendioso a livello mentale. Si trattava comunque di una stanchezza piacevole e che donava un profondo senso di gratificazione: sentivo che, con i suoi suggerimenti e le sue imbeccate, avrei potuto migliorarmi molto da qui a Giugno.  “Grazie di tutto”, mormorai.
Si schermì con un sorriso, salvo controllare un calendario appoggiato sulla scrivania. Notai che vi erano scritti alcuni nomi degli studenti del corso di recitazione. “Che ne dici di mantenere questo giorno della settimana e questo orario?”.
Controllai la mia agenda sul cellulare, notando distrattamente delle notifiche e una telefonata persa di Morgana. “Non dovrei avere problemi con il pub, ma potrei confermartelo nel finesettimana?”. Gli orari di lavoro erano ancora piuttosto volubili a causa dell’ondata di influenza che aveva colpito alcuni dei miei colleghi.
“Ma certo”, mi sorrise, prendendo nota del mio nome con una matita. Si appoggiò alla scrivania e tornò ad osservarmi con il volto reclinato di un lato, mentre io indossavo il cappotto e recuperavo la mia borsa. “Posso chiederti se hai degli impegni per questa sera?”.
Avevo sentito il cuore tambureggiare nel petto più rapidamente e le guance infiammarsi nuovamente. La piacevole sensazione sfumò e non potei fare a meno di mordermi il labbro inferiore. “Sono di turno: ho promesso di sostituire una mia collega e siamo a corto di personale ultimamente”, spiegai in tono dispiaciuto.
“Capisco”, rispose e mi guardò pensierosamente.
Non potei fare a meno di chiedermi se non si fosse aspettato una risposta diversa e se non avesse avuto intenzione di propormi di passare insieme la serata. Le parole di Mirtilla e di Emma continuavano a tormentarmi come un brusio che non si riesce ad ignorare. Avrei voluto trovare un espediente per carpirgli la verità e cosa avesse pensato di quell’invito inaspettato. Ma non potevo farlo senza chiamare in causa quel pettegolezzo e non ero sicura che ciò gli avrebbe fatto una buona impressione. Inoltre, se non ne aveva parlato di sua iniziativa, poteva significare che fosse tutto falso. O che non lo ritenesse necessario per come stavano le cose al momento tra noi.
“Tu invece?”, gli domandai, cercando di mantenere un tono neutrale e pacato.
Inarcò le sopracciglia, ma sorrise. “In realtà sì”, replicò tranquillamente, appoggiando i palmi delle mani sulla scrivania e dondolandosi appena con il busto.
Sentii il mio cuore sprofondare. Dunque, Emma aveva ragione? Avrebbe frequentato soltanto persone al di fuori dell’Accademia? Aveva già conosciuto un’altra?
“Credo che mi impegnerò a finire di sistemare degli scatoloni: il mio appartamento è ancora nel caos e se non mi sbrigo, rischio che resti così fino a Giugno”, soggiunse ironicamente.
Non potei fare a meno di sorridere con un certo sollievo, anche se non potevo escludere del tutto l’ipotesi più spaventosa. In realtà era già abbastanza sorprendente che non avesse una fidanzata che lo avesse accompagnato. Scossi il capo come a rimproverarmi di quelle sciocche paranoie a cui, anche volendo, non potevo dare una risposta immediata. Non senza chiederle al diretto interessato. Cosa che ovviamente non avrei fatto. Non in quel momento.
“Allora buon lavoro”, gli augurai dopo aver visto l’ora con un sussulto. “Devo proprio scappare”.
Bradley mi aveva guardato curiosamente, come se avesse seguito il filo dei miei pensieri, ma aveva sorriso più dolcemente. “Anche a te”.
 
Tra le notifiche del cellulare vi era un messaggio di Morgana che mi invitava a telefonarle quando ne avessi avuto l’occasione. Lieta di potere avere “compagnia” nel tragitto verso la metropolitana e di sentire una voce amica, composi il numero. Rispose dopo un paio di squilli, con voce allegra e rilassata. Mi aveva già mandato diverse fotografie e non potevo che invidiare i meravigliosi paesaggi che avevano persino più valore, visto le leggende di cui erano intrisi.
“Come va?”, le domandai subito.
“Mai stata meglio. Piuttosto, come è andata la tua prima lezione con Bradley?”, domandò con voce assai suadente. Me la immaginavo ad attorcigliarsi il dito intorno ai boccoli, come quando era particolarmente rilassata o incuriosita.
Non potei fare a meno di sospirare e mordicchiarmi il labbro, valutando cosa dire. Avevo l’istinto di “selezionare” i contenuti leciti e quelli di cui sarebbe stato più opportuno parlare di persona. Curiosità e intuizioni di Morgana permettendo. “Abbastanza bene”, risposi cautamente.
Lei parve spiazzata, ma la sua voce aveva già assunto un’intonazione sospettosa. “Perché invece dal tuo tono di voce si direbbe il contrario?”.
“Ho fatto una figuraccia”, mi arresi subito, consapevole che mi avrebbe comunque estorto la verità.
La mia amica scelse di mostrarsi comprensiva, anche se non avevo dubbi che l’avrei fatta ridere non poco. “Sono sicura che non è andata così male, sentiamo”.
Cercai di raccontarle in modo sintetico, ma abbastanza esaustivo ed oggettivo della mia performance e di come mi fossi trovata a pochi centimetri dal suo volto. Probabilmente fu solo in nome del suo autocontrollo, del suo affetto e del fatto che non potesse guardarmi in faccia che si trattenne dallo sghignazzare. Si limitò a una risata squillante, prima di schiarirsi la gola. “Beh, almeno non ti potrà accusare di non essere in grado di… ehmmostrarti appassionata”.
“Non scherzare”, la pregai in tono contrito e con le guance rosse. “Volevo sotterrarmi, specie tutte le sue remore sul mantenere un atteggiamento professionale”.
Adoravo e invidiavo il modo in cui la mia amica riusciva a restare pragmatica, anche in quelle circostanze. “Dopotutto è stato lui a proporsi di aiutarti per quel genere di scene: professionale o meno, sei pur sempre umana e ti sei lasciata andare. E a differenza sua, tu non sei una professionista: è naturale che tu abbia più difficoltà degli altri a separare finzione e realtà”, rimarcò e mi bevvi quelle parole come se fossero un balsamo benefico. “Comunque dubito che se ne sia rammaricato, a dispetto dei suoi modi cavallereschi”, commentò con voce più maliziosa.  
Mi mordicchiai il labbro. “In realtà oggi l’atmosfera era un po’… strana”, cercai di spiegarle, anche se io stessa faticavo a capire la situazione e il mio stato d’animo. “A fine lezione, mi ha chiesto se avessi degli impegni per questa sera”, le dissi a mo’ di premessa prima di riferirgli a memoria le parole che aveva usato.
“Voleva invitarti a uscire, mi sembra chiaro”. Replicò prontamente, perplessa per la mia esitazione.
“Sì, l’ho pensato anche io e mi sarei morsa le mani per aver dato il cambio di turno ad Alicia. Ma comincio a domandarmi se volesse davvero invitarmi o se fosse solo una domanda di cortesia”.
La mia amica tacque per un lungo momento e la immaginai sollevare gli occhi al cielo. Rispose solo dopo che l’ebbi richiamata per sincerarmi che non fosse caduta la linea. “Hai battuto la testa nelle ultime 24 ore o sei solo in sindrome premestruale?”, mi domandò in tono più schietto e quasi di rimprovero per la mia presunta ingenuità.
Sbuffai e le raccontai anche di quanto era accaduto all’ora di pranzo, quando Emma e Mirtilla avevano intavolato quella conversazione che riguardava proprio Bradley e quel pettegolezzo sull’invito di Pansy Parkinson. A quel punto anche Morgana si lasciò sfuggire un’imprecazione e parve parecchio stizzita. “E casualmente ne stavano parlando davanti a te?”.
“Stai insinuando che sia tutta una macchinazione di Emma?!”, le domandai e l’idea mi fece sbarrare gli occhi. In verità non l’avevo mai vista in compagnia di Mirtilla fino a quel giorno stesso. Aveva senso che si fossero messe d’accordo? E per quanto la Parkinson fosse poco amata, potevano aver messo in giro quel pettegolezzo per pura cattiveria?
Ci mise qualche istante per riflettere.  “Emma non mi sembra il tipo che rischia in prima persona e apertamente. Non so nulla di questa Mirtilla e dovremmo indagare. Ma ritengo plausibile che la tua amica si sia accorta del tuo interesse per Bradley e abbia approfittato dell’occasione ghiotta. O magari ha pagato questa complice per diffondere la diceria, così da farti sapere la sua opinione che per inciso nessuno le ha chiesto”, continuò in tono parecchio stizzito. “Forse voleva solo intimidirti o indurti a parlarne con Bradley per farti fare una pessima figura o semplicemente per metterti in crisi”.
Ci riflettei qualche attimo. Ero davvero in presenza di una ragazza così machiavellica, subdola e indiretta? Il mio istinto sembrava suggerirmi di sì, soprattutto ripensando alla sua ultima visita al pub. Ma qualcosa non mi tornava. “Scusa ma non dovrebbe essere sollevata all’idea che io voglia Bradley e non Tom?”.
La mia amica sospirò. “Mi domando come farai a sopravvivere altri giorni senza di me. Immagino che tu non abbia chiesto spiegazioni a Bradley”.
Mi morsi il labbro. “Non mi sembrava il caso di chiederglielo esplicitamente”, risposi di riflesso per poi mettermi sulla difensiva. “Lo sai che non so manipolare i ragazzi e flirtare per farmi rivelare le cose”. 
“Dovrei insegnartelo in effetti”, convenne tra sé e sé in tono compiaciuto, prima di farsi seria. “Bradley mi sembra una persona adulta e rispettosa: sarebbe plausibile e coerente con il suo carattere scoraggiare le avances di Pansy in modo garbato ma deciso. Sono sicura che adotterebbe nuovamente lo stesso atteggiamento se qualcun’altra prenotasse delle lezioni con lui con il solo scopo di saltargli addosso”, parlò con la tipica sicurezza. “Anche se a quello ci stavi già pensando tu”, aggiunse con voce più maliziosa.
“MORGANA!”, strillai con le guance arrossate per la vergogna.
“Scusa, non ho saputo resistere”, ammise ridacchiando, per poi riprendere. “Scherzi a parte, venendo al suo atteggiamento e lasciando perdere pettegolezzi non confermati… cerca di capire la sua posizione. Anche se vorrebbe invitarti ad uscire alla prima occasione utile, sa di dover agire con molta prudenza, soprattutto perché, scusa se te lo dico, ancora non ha ben chiara la situazione tra te e Tom. Senza contare tutte le polemiche che ci sono state quando Lupin ti ha scelta per lo spettacolo: prova a immaginare cosa accadrebbe se cominciaste a frequentarvi e la cosa diventasse di dominio pubblico. Si creerebbe un clima di lavoro tutt’altro che collaborativo ed entrambi sareste sottoposti a una tremenda pressione che probabilmente comprometterebbe la vostra storia in partenza. È naturale che agisca in modo molto cauto e con il piede sul freno”.
Boccheggiai e per qualche istante processai quelle parole. Mi resi conto che non solo erano ragionevoli e fondate, ma mi domandai come avessi potuto essere così sciocca dal non pensarci da sola. Lo stesso Bradley, in modo più velato, mi aveva fatto capire che fosse importante apparire distaccato. Evidentemente non pensava solo al suo ruolo di Assistente ma anche a ciò che avrebbe significato per me.  Mi morsi il labbro.  “Ma Silente gli ha fatto questa proposta a Dicembre ed è stato il primo a parlare di colpi di fulmine”.
“Quell’uomo è adorabile, ma francamente ha un senso dell’etica abbastanza personale”, mi fece notare Morgana onestamente. “Dubito che persino lui potrebbe approvarvi pubblicamente se sbandieraste la vostra relazione prima dello spettacolo”.
“Quindi… dovrei restare in sospeso per i prossimi quattro mesi?”, domandai in tono sgomento.
La mia amica sospirò. “Ascolta, io stessa, Amy e metà dei vostri colleghi abbiamo assistito al suo arrivo da gentleman e alle sue frasi d’effetto, quindi non dovresti dubitare di lui. Ma in tutta onestà penso che sia un bene che, a prescindere dallo spettacolo, prendiate le cose con calma. Molta calma”.
Mi fermai in mezzo alla strada per lo shock. “Cosa?!”, le domandai con voce strozzata.
“Lo so!”, replicò Morgana rapidamente, prima che potessi interromperla. “Lo so che io per prima ti ho incoraggiata a non abbandonare le speranze con lui. E continuerei a spronarti a fare una mossa verso di lui se non fosse uno pseudo insegnante. E poi, beh…”.
“Poi?”, la incoraggiai con un sospiro, avendo la sensazione che stesse per pronunciare parole che non avrei particolarmente gradito.
“Sia chiaro che non è una critica perché ti conosco da una vita e adoro questo di te: ma tu tendi a idealizzare l’amore e le persone”, disse in tono gentile ma non meno doloroso. “So che Bradley, soprattutto se paragonato a Tom, ha le sembianze da Principe Azzurro e tutto il resto, ma non vorrei che restassi delusa e ti creassi delle aspettative irrealistiche sul suo conto”.
Sentii la gola secca, ma mi sforzai di replicare. “So che è umano e che ha dei difetti, solo che ancora è presto per notarli”, replicai con le guance arrossate perché aveva fatto leva sul mio lato più fragile e sul sogno di un amore che avevo atteso tanto a lungo.
Sembrò scegliere con cautela le parole da rivolgermi, evidentemente timorosa di farmi stare ulteriormente male. “Potresti perdere facilmente la testa per lui ed essere poco lucida”.
Sapevo che si stava comportando da vera amica quale era sempre stata, ma ciò non mi impedì di provare una punta di fastidio. “Scusa ma non dicevate sempre tutte che avrei dovuto uscire di più, fare qualche follia, divertirmi?”, le domandai in tono più aspro di quanto avessi voluto.
La sua voce apparve più stanca e ansiosa. “E’ dei tuoi sentimenti che mi preoccupo. Non fraintendermi: Bradley mi ha fatto un’ottima impressione e non fatico a capire perché ti sia piaciuto subito, ma non voglio che tu perda il contatto con la realtà. Avete dei mesi prima dello spettacolo: ci sarà tutto il tempo di conoscervi meglio e capire se si tratta solo di attrazione o se c’è qualcosa di più”, mi disse in tono ragionevole e pacato. “Credimi, in quel caso accadrà in modo naturale e spontaneo. Non voglio che tu ti lasci andare all’istinto e poi ti penta di non aver voluto attendere, capisci?”.
Presi un profondo respiro, stringendo i manici della borsa, come se sentissi il bisogno di restare aggrappata alla realtà. Benché non potessi che concordare con molte delle cose che aveva detto ed essere grata della sua sincerità, al contempo non potevo che sentirmi punta nel vivo. Una parte di me, di cui non andavo per nulla fiera, non poteva fare a meno di pensare che per lei fosse fin troppo semplice parlare in quel modo e consigliarmi di attendere ancora. Per quanto mi volesse bene, pensai, lei non poteva capire del tutto. Lei era sempre stata “venerata” dai ragazzi e non rischiava di dare il primo bacio su un palcoscenico o per finta. O di passare l’ennesimo e stupido San Valentino da single o con una scatola di cioccolatini regalata da un insegnante per consolazione.
“Sei ancora lì?”, mi domandò Morgana, notando il mio silenzio prolungato.
Presi un bel respiro, cercando di ricacciare le lacrime di rabbia e di frustrazione. “Sì”, risposi in un bisbiglio e maledissi quell’improvvisa amarezza. “So che lo dici per il mio bene”, mi sentii dire con voce più soffocata.
Parve a sua volta amareggiata. “So che non è facile sentirselo dire e non voglio guastarti la festa, ma voglio che la tua prima esperienza sia speciale come meriti”.
“Lo so”, mormorai per risposta e il mio risentimento si attenuò per la sincerità nella sua voce.
“Ora non ti angosciare”, mi incoraggiò in tono più ciarliero. “L’ho osservato e te lo assicuro: gli piaci molto e sono certa che stia cercando il modo di dimostrarti che ti merita. Dagli il tempo di lucidare l’armatura. E ti prego di non cogliere metafore sessuali”, soggiunse, strappandomi una risata, malgrado tutto. “Ti passo Sean, vuole salutarti anche lui”.
“Non ho idea di cosa stiate complottando[13]”, sentii la sua voce calda e affettuosa che, come sempre, riuscì a farmi sentire subito meglio. “Ma ci tenevo a dirti che, da parte mia, faccio il tifo per te e Bradley. L’ho già detto che mi piace quel ragazzo?”.
Non potei fare a meno di ridacchiare. “Almeno una dozzina di volte e sono certa che questo non abbia nulla a che vedere con Tom. Ma ti ringrazio, lo apprezzo molto”.
“Ma sappia che se non si comportasse bene, dovrò trattenere Morgana dallo spaccargli la faccia”, mi fece presente in tono guardingo.
“Buona fortuna per questo”, replicai di riflesso.
“Anche perché il primo a spezzargli le ossa sarebbe il sottoscritto. Una per una”, soggiunse in tono eloquente che mi strappò un sorriso. Sean riusciva a commuovermi persino in una finta minaccia nei confronti di un potenziale corteggiatore.
“Grazie Sean”, mormorai dopo aver ritrovato un po’ di serenità. “Ma adesso pensate voi a trascorrere un buon San Valentino”.
“E tu cerca di non saltare addosso a Rankin”, mi rispose Morgana con voce ridente. La immaginai accanto a Sean e la mia voce diffusa con il vivavoce. “Ma se Amy ci prova con Riddle fai un filmino e mandamelo!”.
“Considerati mandata a quel paese da parte di entrambe”, risposi ridacchiando e scuotendo il capo.
Mi congedai, riposi il cellulare nella borsa dopo una breve telefonata a casa e raggiunsi la fermata della metropolitana. Neppure prestai attenzione al breve tragitto perché non potevo fare a meno di rimuginare sulle parole di Morgana e su quegli scrupoli che mi si erano annidati nello stomaco. Sollevai gli occhi al cielo di fronte alle pubbliche svenevolezze tra fidanzatini e uscii alla mia fermata, augurandomi caldamente che Rankin non avesse proposto a Riddle di riempire il pub di cuoricini e altre decorazioni simili. Se non altro il pensiero della possibile reazione del mio principale riuscì a farmi ridere.
 
~
Basta Sara, mi rimproverai per l’ennesima volta, basta pensare a Bradley per oggi. Se non altro quella sera sarei stata così stanca che mi sarei addormentata non appena avessi toccato letto. Spazzolai i capelli energicamente ma notai che quel giorno sembravano più ribelli del solito e sospirai. Forse avrei dovuto decidermi a trovare un parrucchiere per correggere il taglio. Li legai in una crocchia e appuntai le ciocche ribelle con delle forcine, mentre Susan entrava. Mi salutò con voce stremata e si stese sul divanetto come se fosse in procinto di svenire. “Brutta giornata?”, le domandai incuriosita.
Sbuffò con aria polemica. “Tutta colpa di Miss Accademia!”, mi confidò con le sopracciglia aggrottate.
“Parli di Emma?”, le domandai in tono angosciato. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era di ritrovarmela al lavoro. Sperai con tutto il cuore che lei e Tom avessero organizzato altri piani e possibilmente in un’altra parte della città per quella sera.
“E chi altro? È venuta prima insieme alla sua amica rossa”, rispose stancamente, prima di rimettersi seduta e assumere un’espressione snob, lisciandosi i capelli, evidentemente pronta a imitarla. “Gentilmente, mi porteresti un altro spicchio di limone per il mio the? Gentilmente, mi porteresti una bottiglietta d’acqua a temperatura ambiente? Gentilmente, potreste portare altro zucchero, questo cestino è vuoto! Gentilmente, mi porteresti il menù dei dolci? Gentilmente, potrei sapere se manca tanto alla mia crème brûlée?”.
Scossi il capo e non potei che sorriderle con aria solidale: personalmente ritenevo che l’aspetto più snervante fosse l’utilizzo di quell’avverbio che sembrava voler denotare una certa premura, anche se la persona che li utilizzava appariva, in questo caso, impaziente e spocchiosa. “Mi spiace che questa volta sia toccata a te”, mormorai in tono solidale.
“A me non è affatto dispiaciuto usare la tattica Amy”, mi confidò con una strizzatina d’occhi.
Per lo shock mi cadde una molletta di mano. “Non mi dirai che hai-?”.
“Sì. Molto gentilmente”, mi rispose e lo sguardo le brillò.
La guardai incredula, boccheggiai e scoppiai a ridere.  
 
“Guarda, guarda: la tua amica è appena entrata”, aveva mormorato Amy, alludendo all’ingresso.
Avevo sollevato lo sguardo dal bancone che stavo lucidando, quando vidi entrare Emma. Anche se era un sollievo constatare che fosse sola, non potei fare a meno di sospirare.
“La servo io: non preoccuparti”, si era offerta con un sorriso.
“Amy, ti prego, non puoi farle capire che ti spifferato tutto su Daniel e Bonnie”. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era alimentare altre tensioni con la ragazza in questione. Soprattutto dopo il mio ennesimo alterco con Tom.
“Non lo farei mai”, mi rassicurò con calore. “Davvero, la servo io: tu vai a sparecchiare i tavoli”.
“Sei sicura?”.
“Sicurissima, fila prima che ti faccia un altro interrogatorio”, mi suggerì con un occhiolino.
“Allora grazie, ti devo un grande favore”, mormorai in tono realmente sollevato.
“Ciao Sarah”, mi aveva salutata Emma con voce tintinnante.
“Ciao Emma”, la salutai.
La vidi dirigersi verso il bancone per effettuare il suo ordine. Non potei fare a meno di notare che, al suo arrivo, un ragazzo aveva letteralmente sospirato. Sembrava riuscire a stento a toglierle gli occhi di dosso. Non si era neppure accorto che stava sbriciolando il suo sandwich sopra una macchina fotografica costosa. Scossi il capo tra me e me e cominciai a pulire i tavoli vuoti.
“Posso sedermi?”, domandò Emma, alludendo al tavolo che avevo appena liberato dalle tazze. Mi premunii di strofinare la superficie con un panno umido, prima di annuire. “Prego”.
“Gentilissima”, cinguettò e prese posto.
“Ciao Emma”, la salutò il ragazzo con voce quasi sognante.
Sollevò lo sguardo e inarcò le sopracciglia prima di mettere a fuoco il volto del giovane in questione. Sembrò impiegare qualche secondo per capire di chi si trattasse. “Oh, ciao Canon[14]”, lo salutò distrattamente ma evidentemente non era in vena di chiacchiere perché si concentrò sul suo cellulare. Il catino dei piatti che stavo usando era quasi pieno, quando Emma si rimise in piedi. “Io ho finito, se vuoi sparecchiare anche questo tavolo”.
“Grazie”, mormorai per risposta e presi la tazza e il piattino che mi stava porgendo.
“Ringrazia la tua amica da parte mia”, sorrise con voce tintinnante. “Senza offesa, ma questo è il miglior caffè che abbia mai assaggiato qui dentro”.
“Riferirò”, le promisi con le sopracciglia inarcate. Attesi che fosse uscita prima di affrettarmi a raggiungere Amy che stava sorridendo con aria melliflua.
“Emma ti ha fatto i complimenti per il caffè: dice che è il migliore che abbia mai assaggiato qui dentro”, ripetei le testuali parole e lei quasi rischiò di far cadere il bicchiere che stava sciacquando a causa di un moto di ilarità.
“Ho usato un ingrediente segreto”, mi rivelò e notai che le tremavano le labbra, come se stesse sforzandosi di non scoppiare a ridere platealmente.
“Che sarebbe?”, le domandai perplessa.
Il mio sputo”, rispose con voce flautata e leggermente più acuta del solito.
Boccheggiai e sgranai gli occhi. “Stai scherzando, vero?”.
“No”, rispose in tono fin troppo serio.
Ci guardammo per qualche secondo e dovemmo entrambe coprirci la bocca per non ridere sguaiatamente, seppur fossimo entrambe percosse dai tremiti. Io piansi così tanto da correre il rischio di farmi uscire le lenti a contatto. Le cose non migliorarono di certo quando Percy si avvicinò al bancone, con le mani sui fianchi e lo sguardo severo: “Si può sapere cosa c’è da ridere?! Non si ride in servizio!”.
 
“Grazie, Susan, ne avevo davvero bisogno”, mormorai quando fui in grado di parlare nuovamente. Dovetti asciugarmi gli occhi anche in quell’occasione.  
È stato un piacere”, rispose lei, decisamente tornata di buon umore. “E in bocca al lupo per stasera: ho sentito che ci sarà il pienone e Rankin è già isterico perché siamo in ritardo con la preparazione delle tovaglie”.
Sospirai e mi affrettai a uscire dallo spogliatoio, dopo averle augurato una buona serata. L’ilarità si spense molto presto perché, come mi aveva preannunciato, quella sera avevamo il pienone tra le sale pubbliche e il salone privato.
“Ciao”, salutai Amy. “A quanto pare Susan ha adottato la tua tattica con Emma”, le raccontai nella nostra lingua madre.
La mia amica parve presa alla sprovvista dal mio arrivo e rise al riferimento ma in modo quasi forzato, prima di guardarmi ansiosamente. “Non sapevo che fossi di turno stasera”.
“Non te l’avevo detto?”, domandai distrattamente, mentre l’aiutavo a piegare i tovaglioli. “Alicia mi ha supplicato di fare cambio di turno perché doveva uscire con il suo ragazzo”.
“Quindi niente appuntamento con Bradley per San Valentino?”, continuò Amy, guardandomi quasi apprensivamente.
“Lascia perdere”, mormorai con un sospiro. “Ma te ne parlerò con più calma: Katie mi ha detto che abbiamo una prenotazione nel saloon. Ce ne occupiamo noi due?”, proposi con un sorriso. Inarcai le sopracciglia nel notare che appariva pallida. “Ma ti senti poco bene? Non avrai fatto qualche altro sogno strano, vero?”, aggiunsi ridacchiando tra me e me.
 
“Dobbiamo riferire a Riddle il messaggio del contabile”, mi aveva detto Amy, dopo aver preso nota della telefonata a cui aveva risposto lei con il cordless.
“E’ nel suo ufficio: approfittane adesso che non c’è il pienone”, avevo risposto distrattamente mentre ordinavo le bottiglie sugli scaffali.
“Puoi andarci tu?”, mi aveva domandato con una nota di supplica nella voce.
Avevo inarcato le sopracciglia per quell’atteggiamento schivo. “Pensavo avessi superato l’imbarazzo per l’equivoco della foto”, avevo aggiunto in un sussurro.
Aveva sollevato la mano per intimarmi di non menzionare più l’accaduto, prima di continuare in un sussurro. “Prima di tutto: una cosa del genere non si supera e l’unica consolazione è che il prossimo mese non lavorerò più qui. In secondo luogo… mi devi giurare sulla tomba di Bradley che se ti confido questa cosa non la racconterai a nessuno, soprattutto a Morgana. E neppure a tua sorella!”.
Se già il riferimento macabro alla sepoltura del ragazzo mi aveva fatto inarcare le sopracciglia, doveva essere davvero grave se era proibito a raccontarlo a mia sorella che la conosceva solo attraverso i miei racconti. “Devo sedermi per caso?”
Aveva pronunciato le parole successive rapidamente, come se avesse fretta di spurgarsi di quel pensiero. “Da qualche notte, faccio qualche sogno erotico”, confessò dopo aver tossicchiato per coprire il più possibile quell’aggettivo, nonostante nessun altro potesse capire la nostra lingua. “Con Riddle”, aveva aggiunto.
“Oddio”, avevo commentato, non sapendo se ridere o inquietarmi.
“La versione giovane!”, si era affrettata a precisare.
“Oh, meno male”, avevo replicato, portandomi una mano al cuore.
“Solo che… mentre siamo sul più bello… si trasforma in quel Signor Riddle”, alluse alla porta dell’ufficio.
Non riuscii a sentire altro dei suoi tentativi di schermirsi e di sminuire il tutto, perché cominciai a ridere così intensamente da dovermi allontanare, neppure sentendo la metà delle sue imprecazioni e dei suoi insulti. Non riuscii a guardarla in viso senza sghignazzare fino alla fine del mio turno, ma per farmi perdonare riferii di persona il messaggio a Riddle.
 
Lei scosse il capo bruscamente alla mia domanda. “Torno subito, ce la fai a finire da sola?”. Neppure attese la mia risposta perché uscì dalla stanza, lasciandomi da sola con una cinquantina di tovaglioli da piegare e disporre. La seguii con lo sguardo e con espressione sconcertata e interdetta[15].
 
Dall’arrivo della comitiva numerosa non ebbi più modo di pensare allo strano comportamento di Amy perché ero completamente assorbita dal lavoro: eravamo io, Percy e Katie a servirli e, come di consueto, ci eravamo divisi gli altri coperti dell’area pubblica. I giovani che avevano prenotato nella saletta privata erano una decina in tutto, la maggioranza maschi ma non ci volle molto tempo per comprendere il motivo del fastidio di Katie. Non solo alcuni di loro l’avevano squadrata in modo piuttosto licenzioso ma, con mia grande sorpresa, mi ero resa conto dall’accento che si trattava di italiani. Effettuavano le ordinazioni e ci rivolgevano domande in tono accattivante e con lo stesso sorrisetto sfrontato di persone alla Cormac McLaggen, convinte di trasudare sex-appeal da ogni poro. Dopodiché accompagnavano l’uscita di uno dei camerieri commentando tra loro nella mia lingua madre anche in modo volgare, sghignazzando alle spalle del personale e approfittando del fatto che nessuno potesse comprendere le loro parole. Avevo osservato quei ragazzi, più o meno miei coetanei con una smorfia disgustata: avevano tutti un fisico atletico, probabilmente praticavano insieme qualche sport. Delle ragazze mi colpirono in modo particolare due di loro, a causa delle loro risate sguaiate nel coronare ogni battuta pronunciata dai loro amici. La prima sembrava uno strano incrocio tra una geisha e Morticia Addams a causa dei capelli scurissimi, il fondotinta chiaro che creava un contrasto fortissimo e la peculiarità con cui aveva sottolineato le ciglia con il rimmel e allungato la forma degli occhi con la matita abbinata. L’altra indossava un abito striminzito di una tonalità verde acqua che metteva generosamente in risalto le morbidezze del suo corpo come se fosse ben lieta di metterle in mostra, dandomi persino l’impressione che avesse scelto una misura troppo piccola e affatto contenitiva. Indossava vistosa bigiotteria a completare l’abito e aveva unghie finte e smaltate della stessa tonalità. La presenza di Katie fu accolta con sorrisi apparentemente innocenti ma non mi sfuggì un commento bisbigliato dal ragazzo a capotavola, che sembrava il leader del gruppetto, circa le sue “bocce sode[16]”, mentre lei raccoglieva le sue ordinazioni. Dovevano già aver visto anche Percy in altre occasioni perché la sua distribuzione dei menù fu accompagnata da un gesto con cui le ragazze si tappavano la bocca per cercare di non ridergli in faccia. La loro ilarità trovò il suo sfogo quando il mio collega si fu allontanato. “Chi glielo chiede se si può fumare qui dentro?”, domandò la ragazza dal vestito verde. Il ragazzo a capotavola trasse in fuori il petto in un atteggiamento che ricordava effettivamente Rankin e si fece prestare un paio di occhiali dal ragazzo al suo fianco e li inforcò. Sollevò il dito indice e con voce stridula e artefatta recitò: “Sono spiacente, signori, ma secondo le nostre leggi non è possibile fumare nei locali pubblici. E questo pub non fa differenza! Se non avete altre domande sciocche che mi facciano perdere tempo, torno al mio lavoro. Buon appetito”.  A quell’imitazione crudele ma perfetta le ragazze presero a ridere. Una delle due emettendo un suono simile al grugnito di un maiale. Persino nell’area pubblica alcuni clienti si volsero in quella direzione. Avrei voluto smascherarli subito, ma il mio istinto mi aveva suggerito di lasciar correre per il momento e sincerarsi che i loro commenti non fossero di un’entità così grave da costringermi a fare rapporto. Era stato evidente dall’atteggiamento di Madama Bumb che, seppur non li gradisse personalmente, si trattava di un introito economico a cui non voleva rinunciare.
Fu con un sospiro che presi dalla cucina il vassoio con delle portate dirette a quel tavolo e cercai di restare impassibile quando sentii i loro occhi addosso. Evidentemente dovevano trovare qualcosa da ridire su ogni addetto del locale, come se fossimo il loro intrattenimento personale. I ragazzi mi rivolsero sorrisi fintamente educati, ringraziandomi quando posavo loro di fronte il piatto. La ragazza dal vestito verde mi chiese di cambiarle la forchetta che, a suo dire, non sembrava pulita. Dovetti ricorrere al mio autocontrollo per non sindacare al riguardo, vista la scrupolosità di Riddle in ogni ambito della ristorazione, non in ultimo quello igienico. Mi limitai a prendere la posata e a rassicurarla che sarei subito tornata da lei.
“Visto che fianchi quella?”, sentii dire da un ragazzo con la voce nasale.
“Non male. Preferisco la moretta che è più soda, ma potrei farci un pensierino”, commentò il leader.
Sollevai gli occhi al cielo, imponendomi di ignorarli e mi affrettai a dirigermi verso la postazione delle posate. Notai che anche Madama Bumb sembrava irrequieta e ogni volta che uscivo dal saloon mi osservava per sincerarsi che andasse tutto bene.
“La sua forchetta”, mormorai in direzione della ragazza, sperando che il mio accento non mi tradisse ma sembravano così presi dai loro schiamazzi da non farci caso.
“Grazie”, rispose la ragazza e la prese senza neppure rivolgermi lo sguardo, ma studiando l’oggetto con aria clinica, quasi temesse l’avvelenamento.
Lieta di avere l’occasione di allontanarmi, mi mossi verso l’uscita, ma non potei fare a meno di sentire altri commenti.
“Hai visto Diego? Manca la tua amica stasera!”, commentò il leader del gruppetto.
“Ieri sera c’era una bella biondina infatti. Starà lavorando nell’altra sala?”.
“Non quella! Quella coi capelli corti”, precisò il ragazzo dalla voce nasale, ridendo.
“Ah, la lesbicona? Sarà amica tua, stronzo”.
“Saprei proprio io come farle tornare normali!”.
“Ma che schifo! Neppure se si coprisse la faccia con un cuscino!”.
“Ve l’avevo detto che dovevamo cenare da un’altra parte. Non mi piace questa bettola”, soggiunse la ragazza che somigliava a una geisha.
“Ha ragione, fanno lavorare proprio tutti, ma non c’è da sorprendersi se il capo dello staff è la maitresse delle lesbiche”.
“Per non parlare di quel coglione del suo cagnolino: con i pantaloni così stretti non mi meraviglia che gli sia seccato l’uccello”, commentò sprezzante il leader, facendo un’ulteriore imitazione di Percy con voce fin troppo stridula, quasi in falsetto.
Sentii il sangue salirmi al cervello e mi tremarono le mani per la rabbia.  Adesso era tutto evidente: Amy era stata in servizio fino alla chiusura la sera precedente e non avevo capito che il suo stato d’animo non fosse legato solo alla stanchezza, ma ai commenti offensivi di quei miserabili. Evidentemente aveva preferito tacere e ignorare la questione, ma non aveva previsto che io stessa sarei stata in servizio quella sera e la sua strana reazione appariva molto più sensata. Uscii dalla sala e la cercai con lo sguardo, approfittando del fatto che Madama Bumb non fosse nei paraggi.
“Hai visto Amy?”, chiesi a Katie che aveva raccolto le ordinazioni da un altro tavolo.
 “Scommetto che non vuole lavorare ai tavoli perché c’è Daniel stasera”, si intromise Percy con aria da saputello.
Sbattei le palpebre con aria perplessa: neppure mi ero accorta dell’arrivo di Daniel, Rupert e dei gemelli che evidentemente stavano festeggiando un “San Valentino alternativo” tra loro, ma non potei che rivolgere a Percy uno sguardo impaziente. “Ma cosa dici?!”, lo apostrofai irritata. “Se Amy stessa gli ha detto che può venire quando vuole. Senza contare che lei per prima si offre di servirlo, non parlare di sproposito!”. Mi resi conto che stavo sfogando su di lui gran parte della frustrazione causata dai miei connazionali, ma fin troppe volte meritava un rimprovero per i suoi modi insopportabili.
Lui tirò in fuori il petto e sollevò la mano in un atteggiamento severo.  “Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo, sei l’ultima arrivata per giunta!”, commentò con voce quasi stridula.
“Veramente è Coulson l’ultimo arrivato”, lo corresse Katie cercando di non ridere.
Dettagli!”, continuò Percy fulminandola con lo sguardo, prima di tornare a sgridare la sottoscritta. “Non ti permettere mai più, altrimenti-”.
“Katie, per favore, l’hai vista?”, mi rivolsi alla collega con impazienza.
Sembrò interdetta dal mio comportamento, ma sollevò le spalle. “In magazzino a fare l’inventario”.
L’inventario era una delle “piaghe” del nostro lavoro e il fatto che la mia amica lo preferisse al servizio serale era piuttosto eloquente della gravità del suo stato d’animo.
“Che succede?”, mi incalzò, notando il mio sguardo fosco.
“Devo chiederle una cosa importante, grazie”.
Percy, oltraggiato perché lo avevo ignorato, mi rivolse un’altra occhiata arcigna: “Ma ti sembra il momento? Se non l’avessi notato abbiamo il pienone stasera!”, gesticolò nell’indicare la sala.
Quasi mi era passato il dispiacere per gli insulti di cui lui stesso era vittima inconsapevole. Fortunatamente la porta dell’ufficio di Riddle era chiusa e la superai per dirigermi nel magazzino in cui non ero mai entrata se non nel primo giro di perlustrazione del pub. Sembrava un labirinto di scaffali dedicati alle bibite, agli alcolici, ai filtri di caffè, di the, di cioccolata, alle bottiglie d’acqua, fino ai contenitori di fazzoletti e di utensili di uso quotidiano. Mi trovai di fronte Eoin e Santiago[17] che stavano spostando scatoloni di bibite.
“Ciao ragazzi”, li salutai. “Potete dirmi dov’è Amy?”.
“Quanto traffico stasera”, commentò Santiago con aria incuriosita.
“Dev’essere il tuo nuovo taglio di capelli”, ammiccò Eoin per poi indicarmi la direzione giusta.
La mia amica stava scrupolosamente spuntando una lista su un portablocco e la sentii fare i calcoli delle bibite di rhum disposte sul ripiano di fronte a lei. Al mio arrivo si interruppe e sospirò.
Era inutile girarci intorno, quindi mi avvicinai a lei con un sospiro e parlai in un sussurro, seppur nessuno potesse sentirci. “Non vuoi lavorare in sala per non dover stare nella stessa stanza con quegli stronzi vigliacchi, vero? E non volevi che io lo scoprissi”.
La mia amica si irrigidì, segno evidente che avevo colpito nel segno. “Dovevi proprio lavorare in sala stasera, vero?”, mi domandò. Avrei giurato che non fosse arrabbiata con me, ma piuttosto frustrata perché sarebbe stata costretta ad affrontare quella discussione con me.  
“Se ti hanno offesa, possiamo andare a parlarne insieme al Signor Riddle e sono sicura che prenderà dei provvedimenti”.
“No!”, rispose Amy ferocemente, gli occhi sgranati e le mani tremanti. “Tu mi fai il sacrosanto piacere di tenere la bocca chiusa o chiedi a qualcuno di sostituirti!”, mi intimò con voce acuta.
Sgranai gli occhi per la sorpresa. “E dovremmo lasciar correre?”.
“Che cosa cambierebbe?”, mi domandò in tono quasi esasperato, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. “Oggi sono loro, domani potrebbe essere qualcun altro”, commentò amaramente.
“Non fare nulla sicuramente non cambierà le cose”, le feci notare pacatamente.
“Tu lo sai che cosa si prova a essere giudicati per il proprio aspetto?”, mi domandò in tono aspro ma con voce più tremula. Era evidente che, seppur in modo e in contesti diversi, quella situazione stesse risvegliando i suoi ricordi più dolorosi. Il passato le aveva lasciato delle ferite che non si erano mai cicatrizzate del tutto.
Sospirai.  “Sicuramente non posso capirti fino in fondo, ma penso che dovremmo parlare a Riddle”, cercai di convincerla.
“No, Sara, fammi il piacere e fai finta di nulla!”, mi rimbeccò in tono autoritario, per poi guardarmi con espressione quasi disperata. “Se lo scoprissero gli altri…”.
“Madama Bumb, presto, stanno litigando di nuovo!”, sentimmo l’eco della voce di Percy.
“Complimenti!”, borbottò Amy in mia direzione, alludendo alle voci che si avvicinavano, portandosi le mani ai capelli. Sembrava trattenersi a stento dall’urlare per l’esasperazione.
Maledetto Percy, pensai seccata. Mi sentivo come se mi fossi appena intrappolata da sola e la cosa peggiore era che non potevamo far altro che attendere l’inevitabile. Madama Bumb entrò e guardò dall’una all’altra con le mani sui fianchi e lo sguardo arcigno. Ma la cosa peggiore era osservare l’espressione compiaciuta di Rankin alle sue spalle. “Allora?”, ci abbaiò contro. “Abbiamo il personale ridotto, un locale pieno e voi vi mettete nuovamente a litigare? Durante il servizio?”, ci domandò con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
“No, signora, assolutamente no: è stato solo un malinteso”, spiegò la mia amica in tono calmo.
La donna cercò il mio sguardo e mi affrettai ad annuire. “Non avevo più visto Amy e mi ero preoccupata, così sono venuta a controllare”.
“Proprio così, signora”, intervenne Santiago con il suo adorabile accento spagnolo[18], portando una scatola di bibite che lasciò sul pavimento. “Io capisco un po’ di italiano anche se non lo parlo bene: non stavano affatto litigando. Era una conversazione tranquilla”, la rassicurò con un sorriso garbato.
Madama Bumb ci guardò tutti e tre per un altro interminabile attimo, prima di fare un brusco cenno di assenso. “Allora tornate subito al lavoro”. Rankin sembrò in procinto di aggiungere qualcosa ma lei gli indicò l’uscita come a un cane disobbediente. “Tutti quanti!”.
Promisi a Santiago ed Eoin di offrire loro una birra e mi affrettai ad uscire. Notai dei nuovi clienti nel mio settore e mi diressi in quella direzione, cercando di svuotare la mente, ma sussultai quando mi sentii premere una mano sulla schiena. Incontrai nuovamente lo sguardo della direttrice di sala. “Si occuperà Dean Thomas di quei clienti, tu vieni con me nell’ufficio del Signor Riddle”.
“Ma i-io…”, balbettai terrorizzata all’idea che non ci avesse creduto e che questa volta sarei stata davvero licenziata.
“Non qui”, mi rispose in tono così serio che non potei che sospirare ma seguirla. Cercai di ignorare lo sguardo tronfio di Percy e mi diressi ancora una volta nell’ufficio fin troppo familiare del mio datore di lavoro. Con mia grande sorpresa notai che lui sembrava aver atteso il nostro arrivo in piedi, di fronte alla teca di Nagini che stava sonnecchiando pigramente. “Si sieda”, mi disse e indicò la sedia di fronte alla scrivania, prima di chiudersi l’uscio alle spalle.
Rimasero entrambi in piedi, facendo alimentare il mio livello di stress e di ansia, mentre guardavo dall’uno all’altra e mi mordevo il labbro. “Signore, le giuro che non stavamo litigando!”, mormorai con voce strozzata. “Anzi, ero andata in magazzino per sincerarmi che stesse bene”.
“Perché doveva assicurarsene?”, mi domandò Riddle dopo avermi scrutato attentamente, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. “Aveva qualche motivo per temere che la sua amica nonché connazionale non stesse bene?”.
Mi morsi il labbro, maledicendomi per essermi tradita in modo così sciocco e avendo la sensazione che mi leggesse il pensiero. “Credevo che sarebbe stata in servizio con me questa sera: avevo paura che si fosse sentita male. È molto stanca e stressata ultimamente”, risposi cautamente.
Riddle sospirò. “Si rilassi. Non sta per essere licenziata e può parlare sinceramente con noi. Abbiamo pensato di convocarla perché anche noi vorremmo capire che cosa le sta succedendo”.
“Non è che solitamente vi offriate volontari per l’inventario”, convenne Madama Bumb ma anche lei non sembrava spazientita, quanto piuttosto preoccupata. “Immagino che Rossi sia un cognome molto diffuso nel suo paese”, alluse alla prenotazione del tavolo e io sentii le viscere attorcigliarsi. “Il loro accento mi era sembrato familiare e stasera, parlando con lei e con la sua amica, ne ho avuto la conferma”.
“Sì”, risposi con voce amareggiata, consapevole che non potessi negare l’evidenza. “Sono italiani e della peggior specie purtroppo[19]”, dovetti ammettere con non poca vergogna.
“Abbiamo già ricevuto delle lamentele da alcune sue colleghe a loro carico: si sentono a disagio in loro presenza, anche se non possono capire che cosa dicono esattamente”, mi riferì Riddle.
Madama Bumb si fece più torva. “Ho notato io stessa degli atteggiamenti poco piacevoli e non occorre un interprete per intuire che si tratti di commenti poco lusinghieri. Ma volevamo avere una sua conferma”.
Mi agitai sulla sedia. “Si tratta di apprezzamenti poco eleganti perlopiù e qualche imitazione di Rankin”, ammisi, guardando dall’uno all’altra. In cuor mio sapevo che la cosa giusta era condividere anche gli epiteti più gravi, di stampo sessista e omofobo ma Amy mi aveva chiesto espressamente di non farlo. Forse il fine avrebbe giustificato i mezzi? Potevo tradire la fiducia di un’amica per quello che credevo essere il suo bene?
“C’è dell’altro, vero?”, mi incalzò Madama Bumb, notando la mia indecisione. “Signorina non possiamo cacciarli se non abbiamo delle prove concrete o una testimonianza”.
“Se riguardasse me, ve lo direi senza esitazione”, mormorai in tono di scuse.
Sembrarono capire perché si scambiarono un altro sguardo. Riddle aveva un’espressione piuttosto apprensiva. “Signorina, è per il vostro bene. Non si tratta solo di affari. Se le mie dipendenti non possono sentirsi al sicuro nel loro posto di lavoro, io ho il diritto di saperlo e il dovere di intervenire per porre rimedio. Ma non posso farlo in questa circostanza se lei non si confida con noi”.
Ancora una volta mi stava dimostrando che, oltre quella facciata più severa, burbera e talvolta impaziente, si nascondeva una persona molto attenta e premurosa verso i propri dipendenti. Era esigente con noi ma parimenti sensibile alle nostre difficoltà.
“Questa sera li ho sentito rivolgersi a Amy in modo molto volgare”, riferii con voce contrita. “L’hanno chiamata lesbicona a causa del suo taglio di capelli”.
Riddle e Madama Bumb scossero in simultanea il capo e parvero per qualche istante non riuscire a trovare le parole per commentare quanto vile e meschina fosse la natura umana. Il fatto che ciò avvenisse da parte dei miei connazionali mi riempiva di ulteriore amarezza.
“Quindi ieri sera, quando si è occupata del loro tavolo, deve averli sentiti dire la stessa cosa ma ha finto di non comprendere”, dedusse Madama Bumb con un sospiro.
“Amy ha una brutta storia di bullismo alle spalle”, spiegai con voce amara. “Ho cercato di spronarla a parlare con voi, ma non vuole sentirsi una vittima. Non avrebbe mai voluto che ve ne parlassi”.
“Ha fatto la cosa giusta”, intervenne Riddle prontamente. “Devo chiederle di tornare a lavorare in quella sala, anche se è difficile. Se sente dire qualcos’altro di inappropriato, venga da noi a riferircelo. Se la sente?”.
Trassi un profondo respiro e sentii il cuore tambureggiare nel petto, ma sapevo che non mi sarei mai perdonata se non avessi almeno tentato di fare qualcosa. “D’accordo”.
Uscii dall’ufficio del Signor Riddle, sentendomi ancora frastornata, ma cercai di dissimulare le mie emozioni e, incoraggiata da un cenno di Madama Bumb, mi diressi verso la cucina. Ad attendermi vi era un altro vassoio destinato alla loro tavolata. Presi un profondo respiro prima di entrare nella sala privata e mi diressi verso di loro, dovendo reprimere la smorfia di disgusto nel rendermi conto, dal volume delle loro risate e dai commenti che si stavano scambiando, che sembravano già alticci.
“Guarda Pietro, è tornata la tua amica fiancona”, commentò uno dei ragazzi.
Distribuii i piatti ai legittimi proprietari e mi premunii, arrivata alla postazione del ragazzo che si era rivolto a quel Pietro, di urtare il suo bicchiere d’acqua, facendogliene riversare parte del contenuto. “Oh, mi dispiace!”, mi scusai con aria artefatta. “Le prendo subito delle salviette”.
“No, non c’è bisogno”, mi rispose lui con il sorriso persino più divertito, dopo aver sussultato.
“Secondo me ha puntato te, Diego. Mi sa che voleva svegliarti l’uccello”.
“Non mi servono le… come cazzo si diceva tovaglioli in inglese?”, domandò al resto della tavolata, facendo ridere le ragazze in modo persino più sguaiato.
Sapevo che molto probabilmente me ne sarei pentita. Ma non riuscii a resistere oltre e fui io a rispondere e a suggerirgli la parola: “napkin”. Mi sarei consolata, ricordando la mia impulsività, al silenzio tombale che era sceso tra loro e agli sguardi increduli che si erano scambiati. Persino le risate delle ragazze si erano smorzate.
“Se non avete altro da dire, me ne torno a lavorare. Abbiate la decenza di aspettare che sia uscita prima di parlare di me o dei miei colleghi. E, per la cronaca, una delle lesbiche che tanto ammirate vi ha già nel suo mirino. Fossi in voi scherzerei meno”, li avvertii in tono affettato.
“Wow, wow, wow, non vorrai andartene così. È sempre bello ritrovarsi tra connazionali”, aveva commentato quel Diego, rimettendosi in piedi. Mi sovrastava di quasi dieci centimetri e aveva un fisico atletico, la pelle abbronzata e la barba incolta, oltre all’alito appesantito dal vino.
“Mi vergogno che siate italiani. Finite le vostre consumazioni e andatevene, non siete-”.
Non feci in tempo a finire la frase che il giovane mi attirò bruscamente a sé: “Allora sei tornata perché volevi sentire altri complimenti. Non ci dispiaci affatto”, commentò in tono suadente e sentii la sua mano palparmi il fondoschiena. Un gelo improvviso mi serrò il cuore e sentii le mie guance avvampare di umiliazione, soprattutto per l’eco delle risate sguaiate. Fu forse quel pensiero a farmi montare una collera simile a quella che avevo provato nello schiaffeggiare Tom fuori dal locale. Non avevo mai odiato nessuno, in quel modo, fino a quel momento. Lo schiaffo ebbe un fragore fortissimo e riecheggiò nel silenzio della sala, mentre la mia mano tremava quasi dolorosamente per l’impatto. Il ragazzo mollò la presa e mi guardò con la gota ancora arrossata ma, mentre la tavolata restava immobile e silenziosa, si mise a ridere. “Non fare tanto la difficile, tesoro”, mi si rivolse suadente, come se nel mio gesto vedesse un ulteriore invito. Fu con un gesto più brusco che mi attirò nuovamente a sé, mentre cercavo di divincolarmi.
“Lasciala subito, bastardo!”, mi riscossi all’udire la voce di Amy che era entrata nella sala con il viso paonazzo di indignazione e di rabbia. Katie era rimasta impietrita con il vassoio tra le mani, guardandoci impotente e orripilata.
“Guardate, l’amica lesbica! Mi sa che vuoi rubargli la ragazza!”, intervenne un altro dei ragazzi rimettendosi in piedi. Lei non vacillò questa volta e si avvicinò al giovane che aveva parlato, dopo aver preso un boccale di birra dal vassoio della nostra collega.
“Omaggio della casa a te e a tutti i tuoi amici omofobi del cazzo”, commentò prima di riversargli il contenuto in faccia, strappando agli altri risate sguaiate e versi di incredulità. Poi si avvicinò al ragazzo contro cui stavo ancora lottando e lo allontanò da me con un brusco strattone.
“Brutta stronza!”, sbottò quest’ultimo, avvicinandosi di nuovo. “Ora ti faccio tornare etero!”.
“Lasciala stare, imbecille”, mi sentii gridare, cercando di aggirarlo e bloccargli il braccio da dietro.
“Ma che sta succedendo qui?!”, domandò Percy a cui gli occhiali andarono quasi di traverso.
“Percy, presto, aiutale!”, lo supplicò Katie che dovette appoggiare il vassoio per le mani tremanti.
“Dai, mammoletta”, lo invitarono gli altri ragazzi al tavolo, rimettendosi in piedi e accerchiandoci. Notai con orrore che la ragazza in abito verde non solo sembrava divertirsi un mondo ma stava persino riprendendo la scena con il cellulare. “Vediamo di che pasta sei fatto”, commentarono e sollevarono le maniche delle bluse e delle camicie che indossavano, come a voler mettere in mostra i loro bicipiti. Percy parve impallidire e indietreggiò. “Io… io sono contrario alla violenza!”, balbettò, sotto lo sguardo costernato di Katie. “V-Vado a chiamare Madama Bumb: torno subito!”.
Guardate come corre veloce quel frocetto! Sarà andato a chiamare la capa delle lesbiche: allora è lui la donna della coppia!”, commentò uno di loro, facendo ridere tutti gli altri.
Il ragazzo aveva ancora fatto in tempo a uscire dalla saletta privata che aveva incontrato il Signor Riddle sulla soglia, evidentemente attirato dagli schiamazzi decisamente troppo alti e poco comuni persino quando il locale era pieno. “Signore!”, lo chiamò in tono quasi devoto. “Ho pensato che fosse meglio chiamare le autorità per non rischiare una denuncia e-”.
Il Signor Riddle, il cui sguardo furioso mi fece accapponare la pelle, si volse verso il suo dipendente a quelle parole. Non avevo mai visto sul suo volto un’espressione di simile disgusto e incredulità, ma fu con un gesto brusco che lo scansò, dandogli uno spintone, facendolo quasi sbattere contro la parete. “Sparisci dalla mia vista, vigliacco!”, lo rimproverò aspramente.
Nonostante la rabbia gelida che sembrava animarlo, camminò con incedere fluido ed elegante fino a raggiungerci e si parò di fronte al ragazzo che ci aveva importunato. Nonostante lo superasse di pochi centimetri, sembrava molto più minaccioso. “Si-allontani-dalle-mie-dipendenti-subito”, soffiò con voce gelida a pochi centimetri dal suo volto.
“Guardi che sono state loro a cominciare!”, intervenne prontamente un altro. “Quella gli ha versato di proposito dell’acqua addosso e quell’altra pazza l’ha aggredito senza motivo!”.
“Solo dopo aver sopportato silenziosamente i vostri commenti offensivi”, fu la gelida replica del nostro datore di lavoro, scansando il ragazzo con una spinta. Guardò da me ad Amy con aria clinica, come a chiederci implicitamente se stessimo bene, prima di volgersi di nuovo alla tavolata, ignorando i tentativi di protesta. “Vi prego di lasciare subito il locale, dopo aver pagato le vostre ordinazioni: non siete più ospiti graditi”.
“Ma come si permette?! Dovremmo denunciarvi!”, intervenne la ragazza, brandendo il cellulare come se fosse una prova da portare in tribunale.
“Non ce ne andremo fino a quando non avremo finito!”, commentò il leader.
“La denuncerò all’ambasciata italiana!”, lo minacciò il ragazzo dalla voce nasale.
“Siete una vergogna per il vostro paese”, soffiò il Signor Riddle in faccia al ragazzo che aveva appena parlato. “Non ve lo chiederò un’altra volta: andatevene subito”.
“Costringici ad andarcene, nonnetto!”, lo sfidò quest’ultimo con un sorriso strafottente.
Il Signor Riddle lo guardò con aria quasi divertita, ma, con una rapida mossa, torse dolorosamente il braccio del ragazzo all’indietro e gli soffiò sulla nuca. “Questo nonnetto ha ancora molta da insegnarti, ragazzino”.
“Qualche problema Signor Riddle?”, domandò Eoin dalla soglia della stanza. Era seguito da Santiago, Tom Hopper e gli altri magazzinieri[20]. Notai con soddisfazione che tutti i ragazzi della tavolata sembravano aver perso il coraggio di fronte a quei giovani dai fisici statuari e dalle espressioni torve.
Riddle sorrise in segno di sberleffo. “I signori stavano per andarsene, non è vero?”.
Gli italiani si scambiarono occhiate tra loro, ma questa volta furono il buon senso (o vigliaccheria) delle ragazze a farli desistere. “Andiamocene, non vale la pena”, commentò la geisha prendendo per mano il ragazzo dalla voce nasale.
“Via da qui”, commentò il leader del gruppo con una smorfia, dopo aver gettato dei soldi sul tavolo con aria sprezzante. “Il personale di questa bettola fa veramente schifo”.
Madama Bumb sembrò in procinto di schiaffeggiarlo, ma fu Riddle a bloccarla con un cenno del braccio, mentre Rankin sembrava aver recuperato la sua spavalderia. O forse cercava semplicemente di riconquistare un minimo di credibilità agli occhi di tutti. “Sì, andatevene, prima che mi arrabbi sul serio! Fuori, fuori! E non fatevi mai più vedere, brutta gente!”. Prese a scortarli e a indicare loro l’uscita come un vigile urbano che dirige il traffico.
Dean Thomas gli rivolse uno sguardo schifato. “Guarda che non avevano tutti i torti su di te: neppure hai cercato di difendere le tue colleghe!”.
“Ma cosa dici?! Sono accorso subito a cercare Madama Bumb!”, replicò in tono offeso.
“Sì, grazie davvero, Rankin”, rincarò la dose Amy. “Per fortuna non lavorerò più a lungo con te!”, dichiarò tra il silenzio attonito dei nostri colleghi che ancora non erano stati informati. Persino Rankin sembrò non trovare nulla da ridire per l’incredulità.
“Te ne vai? Quando?”, cominciarono a chiederle Katie e Dean.
“Avrete modo di parlarne con più calma”, intervenne Madama Bumb. “Per nostra fortuna le nostre dipendenti sono ragazze sveglie e coraggiose”, commentò e strinse la spalla ad entrambe in segno di stima. “Adesso sedetevi. Chiedo alla Signora Weasley di prepararvi un the caldo”.
“Non c’è bisogno”, commentai con voce che a stento riconobbi come la mia. Mi sembrava di aver assistito agli ultimi eventi come se si fosse trattata di una scena particolarmente movimentata di un film d’azione. Solo in quel momento mi sentivo le gambe tremanti e la gola secca.
“Mi sembra un’ottima idea”, intervenne il Signor Riddle. “Dopodiché voglio che andiate a casa”.
“Ma Signore, davvero, non occorre”, replicò la mia amica con le guance arrossate.
“Insisto”, sovrastò le nostre voci e sollevò le mani. È stata una serata lunga e faticosa, ma adesso saremo in grado di gestire tranquillamente gli altri tavoli”.
Si schermì ai nostri ringraziamenti e tornò nella sala pubblica: lo sentii scusarsi coi clienti presenti per il trambusto e chiese ai miei colleghi di offrire una bibita a tutti.
 
 “Mi dispiace per prima”, commentò Amy nella nostra lingua madre, mentre ci gustavamo una bella tazza di the bollente nella saletta privata. Neville stesso giunse dalle cucine con espressione preoccupata e ci rifilò due belle fette della sua torta al cioccolato che certamente contribuì a risollevare l’umore.
“Non dirlo neppure”, le sorrisi. “Grazie di essere accorsa in mio aiuto, piuttosto. Sono stata un po’ impulsiva”, dovetti riconoscere con un sospiro. Non era stata la mia decisione più saggia.
“Un po’”, convenne. “Ma avrei voluto avere fin da subito il tuo coraggio”.
“Lo hai avuto e anche di più”, le dissi con reale ammirazione. “Hai affrontato tante situazioni difficili e stasera hai avuto un riscatto non da poco”, le dissi con un sorriso, nonostante la bruttissima situazione appena vissuta.
"È vero”, convenne. Seppur sorridesse c’era quell’ombra di mestizia nello sguardo, legata agli eventi del passato e le strinsi il braccio come a comunicarle silenziosamente la mia vicinanza.
Sembrò che tutto il personale si stringesse attorno a noi, tra adulti e coetanei e quelle attenzioni erano quasi commoventi. Nonostante le nostre remore, il Signor Riddle insistette perché finissimo prima il nostro turno, stabilendo che erano più che in grado di portare a termine il servizio con il personale in carica. Superfluo dire che Rankin, molto probabilmente per “redimersi”, si offrì di coprire tutti i tavoli che sarebbero spettati a me. Proposta che Madama Bumb accettò, pur non mancando di rivolgergli un’occhiata sprezzante.
Durante il viaggio in auto chiesi ad Amy di non accennare all’episodio a Morgana e a Sean: avremmo avuto tempo di raccontarlo al loro ritorno. Non avevo alcuna intenzione di agitarli inutilmente e guastare loro la serata.
“A proposito di coppiette felici”. Si era voltata verso di me, approfittando del rosso del semaforo. “Che cosa è successo con Bradley? Non dirmi che avete litigato!”.
Quel mese di Febbraio era stato carico di eventi al punto tale che avevo l’impressione che alcune giornate durassero il doppio per la portata di emozioni e di situazioni nelle quali mi trovavo coinvolta. Nella fattispecie mi sembrava passato molto più tempo dalla nostra lezione e dalla telefonata con Morgana che mi aveva tanto turbata. Cercai di ricostruire la sequenza degli eventi e raccontarle il tutto nel modo più obiettivo possibile.
“Morgana non ha tutti i torti, anche se lei parte da un punto di vista privilegiato: di certo non le sono mai mancate le attenzioni e i complimenti”, replicò dopo avermi ascoltata. Mi sorrise con aria solidale. “Ti capisco perfettamente, ma ha ragione sul fatto che non dovresti idealizzarlo: siete nelle prime fasi che spesso sono persino più belle della relazione stessa. Con il tempo ne scoprirai i difetti. Se ripenso a tutti i castelli in aria che mi sono fatta per Daniel”, sospese la frase e scosse il capo. Sembrava quasi vergognarsi al ricordo di certi episodi che, a suo tempo, mi avevano fatto sorridere di tenerezza e comprensione.
“So che devo sforzare di restare coi piedi per terra”, risposi cautamente.
“Assolutamente”, rimarcò. “Però credo che dovresti parlargli se sei confusa per il suo comportamento: non si può costruire un rapporto solido se non ci si capisce. Perché di sicuro, da quello che ho visto, è interessato. È chiaro che non possa sbandierarlo in Accademia e questo te lo aveva già detto, ma hai il diritto di sapere se ha intenzioni serie con te, prima che ti innamori sul serio e poi tu ne debba soffrire”, mi espresse la sua opinione con chiarezza e semplicità.
"È stato così per te? Eri davvero innamorata di Daniel?”, le domandai a bruciapelo.
Sembrò necessitare di qualche istante prima di rispondere. “Forse è ancora presto per dirlo, ma credo che mi piacesse soprattutto l’idea che mi ero creata di lui nella mia testa”, mi spiegò con la lucidità di chi ha molto riflettuto sulla questione. “Ma il vero Daniel era tutta un’altra cosa”.
Mi morsi il labbro e annuii. Non volevo fare lo stesso errore con Bradley e dovevo ammettere che i consigli delle mie amiche erano molto sensati e avrei dovuto sforzarmi di metterli in pratica.
“Ci penserò, grazie”, mormorai. Decisi poi che non era né l’ora né la giornata migliore da concludersi con simili discussioni filosofiche, così le raccontai anche di Allock, facendola quasi piangere dal ridere. Le riferirei anche della “discussione” con Tom durante la lezione di ballo e la vidi sollevare gli occhi al cielo.
“Speriamo che questa volta lo intenda sul serio”, commentò con uno scuotimento del capo, per poi guardarmi di traverso. “Non ti dispiace se prendo ispirazione per una vignetta sulla coppia d’oro, vero? Ovviamente non metterò i nomi reali”, mi rassicurò subito.
“Ti prego, fallo!”, la supplicai, già ridendo all’idea.
Acconsentii a passare dal dormitorio per prendere un cambio per la notte così da pernottare da lei e Luna. Non me la sentivo proprio di restare da sola a rimuginare, a mente fredda, su quanto accaduto al pub quella sera.
“Faccio in un attimo”, promisi e scesi dalla sua auto per rientrare nell’appartamento e recuperare la mia valigia. Stavo ancora sistemando i panni e la trousse coi prodotti per il bagno, ma sussultai quando sentii un ticchettio al vetro della finestra che dava sulle scale antiincendio. Al di fuori vi era Bradley che appariva visibilmente preoccupato.
 
 
To be continued…
 
Chiedo scusa per questo cliffhanger :D Se devo essere sincera non era previsto, ma il capitolo è divenuto più lungo di quanto immaginassi e ho pensato, vista la mole di eventi già scritta, che fosse meglio spostare la scena tra Sara e Bradley nel prossimo. Come avrete di certo notato, in questa versione stiamo superando il numero di capitoli dell’originale di cui è rimasto ben poco. Vi chiedo di pazientare perché sento il bisogno di prendermi del tempo prima di iniziare la stesura del 14: voglio rileggere i capitoli postati fino a questo momento e spero che questo mi aiuti a prendere definitivamente una decisione molto importante per il futuro di questa storia.
Non ho ancora idea di quanti saranno i capitoli necessari alla conclusione, ma mi impegnerò anche a fare una cernita delle scene che ho abbozzato anche grazie alla preziosissima collaborazione della mia amica Evil Queen. Cercherò di concentrare gli eventi più importanti in un numero non troppo alto di capitoli, ricorrendo magari anche a scene più “riassuntive” e piccoli salti temporali per giungere a compimento di questo progetto. Nonostante tutte le fatiche e gli imprevisti, credetemi, ne sono sempre più orgogliosa e mi riconosco molto di più nel mio alter ego :D
Grazie della pazienza, cercherò di aggiornare il prima possibile.
Buon rientro alle vostre attività abituali:*
 
 
[1] Tutte le cose che leggete su Bradley o sono tratte da mie intuizioni dovute alle fotografie che posta (come la passione per il calcio), o sono frutto di fantasia. E’ una persona molto riservata e non ho trovato molte notizie sulla sua vita privata e sulla famiglia. Inoltre preferisco interpretarlo nella maniera più funzionale alla mia trama ;)
[2] Non sono esperta di astrologia, quindi non saprei dire quanto tutto questo sia attendibile. Ho reperito queste informazioni da questo sito.
[3] Per comodità lascerò a Bradley il suo reale giorno di nascita: l’11 Ottobre.
[4] Anche in questo caso ho preferito abbinare il nome del personaggio con quello dell’interprete, dal momento che abbiamo già un personaggio che si chiama Emma 😊 Naturalmente in questo caso NON vale la descrizione del libro, ma ho voluto attribuirle un aspetto molto più sobrio e “normale” rispetto al personaggio cartaceo :D
[5] Mi sono resa conto di aver inserito Sirius in due circostanze diverse. Viene citato la prima volta in quanto insegnante che sta seguendo lo spettacolo a cui partecipa Daniel e poi successivamente come una ex conoscenza di Tom Riddle che gli commenta la fotografia “famosa” che ha dato luogo alla gaffe di Amy.  Fortunatamente le due cose possono collimare, in quanto, come sapete, Riddle stesso è un ex allievo dell’Accademia. Possiamo supporre che Sara, nel capitolo 11, fosse troppo presa dalla situazione e dalla disperazione dell’amica, tanto da aver capito solo in un secondo momento, a mente più lucida, che la persona che aveva commentato la foto, fosse la stessa di cui le aveva parlato Daniel. Dovete scusarmi, ma quando la storia comincia ad avere tanti capitoli, si rischia di dimenticare questi dettagli se non la si rilegge da cima a fondo, come ho intenzione di fare 😉  
[6] Non potendo attribuire a Piton una materia come “pozioni” ho pensato a qualcosa di particolarmente impegnativo che avesse a che fare anche con un po’ di storia :D
[7] Vi ricordo che in questa fanfiction Rupert e Bonnie sono i fratelli Grint. Ho lasciato infatti ai gemelli e a Percy il cognome degli attori che li hanno interpretati. L’unico figlio della Signora Weasley è il suo amatissimo Bill :D
[8] Anche in questo frangente ringrazio Evil Queen che mi ha saggiamente consigliato di ricorrere a Mirtilla per questa scena in particolare. A onor del vero io avevo pensato a Bonnie per l’amicizia che ha con Emma, ma l’occasione richiedeva un personaggio più incline al pettegolezzo. Scegliere Mirtilla ha reso la scena ancora più peculiare, attribuendole anche una certa malignità che non avrei potuto permettermi con Bonnie che deve restare simile a Ginny Weasley 😊
[9] Dovete sapere che questa è una cosa che io e Evil Queen abbiamo notato con non poco divertimento. Tom Felton, nel terzo film della saga di HP, durante la lezione di Cura delle Creature Magiche addenta una mela verde. Invece Bradley, nei panni di Giuliano dei Medici, nel momento del suo fatale incontro con Simonetta sta addentando una mela rossa :D Ho dovuto spremermi le meningi per trovare un’occasione per inserire questa piccola differenza :D
[10] Apollo era una delle divinità più amate nell’antica Grecia. Era noto come il capo delle Muse, delle arti e della poesia.  Tra i suoi attributi vi era quello di “Febo”, ossia “splendente” sia per la sua bellezza che per il legame con il Sole di cui, secondo la tradizione, trainava il carro.
[11] Non ho potuto fare a meno di ispirarmi a una scena nel secondo libro di Harry Potter quando Allock, per San Valentino, indossa abiti rosa e ringrazia dei bigliettini di auguri :D La scena del ballo l’ho riciclata dalla vecchia versione della fanfiction ma l’ho riadattata al nuovo contesto temporale e alle nuove situazioni.
[12] Etnomusicologo tedesco, noto per aver proposto un suo sistema di catalogazione degli strumenti musicali. Ha scritto anche “Storia della danza” da cui sono tratte le citazioni che sta leggendo Allock.
[13] Sara e Morgana stavano parlando in italiano perché per la prima è molto più agevole affrontare una discussione simile nella sua lingua madre.
[14] Come credo abbiate indovinato dal riferimento alla macchina fotografica, si tratta di Colin Canon :D
[15] Come diremmo io e la mia amica, “con faccia da Messi”. Ossia così. 
[16] Per comodità ho pensato di scrivere in corsivo le frasi che i clienti pronunciano in italiano, mentre il font resterà inalterato quando parlano in inglese. Così che io non debba ripetere tutte le volte che stanno parlando nell’una o nell’altra lingua e già visivamente si possa capire :D
[17] Come accennato nel secondo capitolo si tratta degli attori che hanno interpretato rispettivamente Galvano e Lancillotto nella serie tv “Merlin”. Vi allego delle fotografie per poterli immaginare meglio :D EoinSantiago e Tom Hopper
[18] In realtà Santiago parla bene inglese, ma in questa scena mi era funzionale che avesse conservato l’accento, viste le origini cilene della famiglia😊
[19] Spero comprendiate che la mia amica ed io, mentre progettavamo questa scena, non volevamo mancare di rispetto alla nostra cultura, ma era esigenza di trama che solo Sara e Amy potessero capire i commenti offensivi che sono stati rivolti al personale.
[20] Per darvi un’idea dei ragazzi schierati insieme cliccate qui. 
   
 
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