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Autore: meliloto    12/08/2013    4 recensioni
[Louis P.O.V.]
“Allora guardami in faccia.” Si fece tutto d’un tratto serio. Stava cercando di essere forte, lo sapevo, sapevo che poteva farcela, per questo avevo trovato il coraggio di lasciarlo.
“Vattene.” Sibilai.
“Non mi prendere per il culo almeno, voglio una spiegazione, voglio sapere perché. Me lo devi, stiamo insieme da tre anni, cazzo.”
[Larry]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***
Buonsalve! Questa è la mia primissima fic a capitoli. A dire il vero scriverla ha assorbito molto del mio tempo e dei miei feelings, perché in certi punti ero talmente emotional da essere in lacrime (?) come una scema davanti al computer, da sola. *povera me*
Niente, spero davvero tanto che vi piaccia! :)

La dedico ad Alchemillaa, che peraltro ringrazio infinitamente per l'aiuto e i consigli. :3

***


Disclaimer: non so come si facciano i disclaimer o cosa diavolo dovrei dire, comunque sia, questa storia è opera della mia dannata mente malata, con le mie parole non intendo minimamente urtare la sensibilità di nessuno. Le azioni compiute dai personaggi sono solo frutto della mia immaginazione e non intendo attribuirle a nessuno nella vita reale. E siete dei cuori (?) (dai altrimenti sembra troppo serio)



LOUIS P.O.V.

Arrivammo a Berlino nel tardo pomeriggio, stranamente in anticipo sulla tabella di marcia. Per una volta, almeno, avrei avuto il tempo di riposare prima di dormire, ero stanco, estremamente stanco. La routine dei concerti mi rincoglioniva parecchio e il fatto di non avere un minuto per me mi annientava. Non ci fermavamo da mesi e benché fosse il lavoro dei miei sogni e io fossi al settimo cielo, ero umano, un umano esausto.
Mi affacciai al grande vetro del finestrino e osservai il mondo all'esterno, l’oscurità della sera avvolgeva già ogni cosa, quando portai lo sguardo su Harry  la pace di quel momento mi abbandonò.
Si trovava sull’altro bus, la situazione era talmente ridicola da sfiorare l’assurdo. Si voltò e finse di non vedermi, ormai non sapevo neanche più se soffriva ancora o se aveva superato la nostra storia. Come potevo saperlo? Non mi permettevano di parlargli, figuriamoci il resto, erano secoli che non lo toccavo. Stavamo ancora insieme? Mi sembrava addirittura di aver superato la sua mancanza fisica, ero diventato insensibile, abituato ad averlo lì a pochi centimetri e dover essere come un fantasma per lui, per tutti.
Appena giunti nel parcheggio scesi velocemente, più mi avvicinavo a lui, più la frenesia di vederlo aumentava, di pari passo con le farfalle che mi solleticavano lo stomaco. Speravo di potergli dire due parole, mi bastava solo salutarlo, mentre gli altri scaricavano le valigie. Feci giusto tre passi nella sua direzione e subito il bodyguard di turno lo trascinò via, via da me, con la solita scusa: ‘è il più famoso e vulnerabile.’ Cazzate, volevano solo separarci.
Sentii un groppo stringere la gola, non riuscivo ad inghiottirlo, non ce la facevo più, a tutto c’è un limite e lo avevamo ampiamente superato. Entrambi adulti, maggiorenni, non potevano dirci con chi dovevamo o non dovevamo stare. In una giornata normale avrei reagito, fatto esplodere il solito casino, ma quel giorno rimasi praticamente muto. Lui non si era neanche accorto che lo stavo raggiungendo, allora perché far sorgere problemi?
«Haz.» Avrei voluto gridare ma emisi solo un singhiozzo strozzato. Mi avevano logorato, succhiandomi via tutta la linfa vitale, non ero più in grado di essere forte. Volevo solo riaverlo con me.
Una mano calda si poggiò sulla mia spalla mentre lo guardavo allontanarsi «Non mi importa di niente, questa sera riusciremo a farvi stare insieme.»  Bisbigliò, quasi impercettibile.
«Zayn…»
Sorrise facendo l’occhiolino, portò il grande borsone sulla spalla e si avviò all’interno della hall in fretta.
Lo seguii pensieroso, i ragazzi quando potevano cercavano di aiutarci ma era paradossale, la mia vita lo era. Ogni giorno fingevo di non pensarci, prima o dopo avrei dovuto affrontare quell’argomento scomodo con me stesso, e anche se non volevo ammetterlo, il momento era arrivato.
Strinsi i pugni, fino quasi a farmi sanguinare i palmi delle mani, perché alla fine dei conti, la soluzione migliore era evidente: smettere di tentare, smettere ogni cosa. Se avessi lasciato il gruppo sarebbero finiti i problemi per tutti e di sicuro gli One Direction avrebbero continuato ad esistere. Sembrava perfetto, ognuno per la sua strada, nessuno si sarebbe fatto male. Escluso me, ovviamente.
Non avremmo dovuto girare quaranta volte una scena solo perché ‘ci guardavamo troppo’, e io non avrei passato le giornate a logorarmi avendo di fronte l’amore della mia vita senza poterlo sfiorare.
Poi cosa diavolo si aspettavano? Che nemmeno lo guardassi? Guardarlo era tutto ciò che mi rimaneva e, chiaramente, non si trattava di sguardi innocenti. Perché non potendo farlo fisicamente, ci scopavamo con gli occhi. Non avevamo altro.
Sorrisi, in realtà perfino quando eravamo a posto, in quel senso, non riuscivamo a contenerci, anche solo guardandoci.  Quell’accenno di serenità sparì quasi subito, mentre attendevo che l’ascensore raggiungesse il piano. Sicuramente ci avevano dato un piano diverso, sempre che ci trovassimo nello stesso albergo. Capivo perfettamente il fatto di non rendere pubblica la nostra storia, ma arrivare al punto di proibircela anche nel privato mi sembrava inconcepibile.
Non sopportavo più quella situazione e la consapevolezza che anche per lui fosse così difficile, forse anche di più, mi distruggeva. Alla fine dei conti avrei mai potuto portargli di buono? La sua vita non andava rovinata a causa di una relazione malsana con me. Si era creato una bella immagine, il mio stupido amore l’avrebbe solo intaccata.
Avrebbe trovato qualcuna, Harry Styles, le possibilità di certo non gli mancavano.
Aprii la porta della mia camera ormai deciso a mollare, perché andava bene essere famosi, ma lasciarsi controllare in quel modo dagli altri non lo potevo accettare. Era anche la mia vita, infondo.
«Beh?»
Alzai la testa da terra e lo trovai seduto sul letto. «C-che ci fai tu qui?»
Sorrise dondolando «Uhm, tu che ne pensi?» era terribilmente felice e compiaciuto, quella doveva essere una sorpresa e io odiavo rovinare le sorprese. Era come tirare un calcio ad un cagnetto scodinzolante.
Cercai di mandare giù quel boccone amaro «Dobbiamo parlare.» Sussurrai tentando di non guardarlo negli occhi.
«Vuoi davvero parlare?» Chiese alzandosi e raggiungendomi. Stavo in piedi, appoggiato alla parete con la spalla destra, cercando di evitarlo come la peste.
«Io non ce la faccio ad andare avanti in questo modo.» Dissi secco, fingendomi distaccato.
Lui si avvicinò ancora e il mio cuore prese a sanguinare, trafitto dalla sua presenza, reale.
«Cosa stai cercando di dirmi?» la voce gli tremava e io non avevo il coraggio di guardarlo in faccia.
«Che è finita, Harry.»
Silenzio. Per qualche istante il mondo sembrò fermarsi alle mie parole. Non sentivo l’aria uscire dai polmoni né il cuore battere. Si fermò tutto, la calma pietosa accolse quello squarcio che sapevo di avergli appena creato in pieno petto.
Il suo deglutire scandì il primo rumore, seguito poi da una serie infinita di singhiozzi, che nemmeno provava a trattenere. Per me era a dir poco straziante, mi sentivo morire ad ogni suo gemito, avrei voluto correre lì e stringerlo tra le braccia, invece dovevo ferirlo, fargli male, perché era l’unico modo per allontanarlo definitivamente. Avevamo provato ad essere amici fin troppe volte, ma non ci riuscivamo. Appena rimanevamo soli scoppiava il putiferio. ‘Ancora una volta non potrà fare male a nessuno.’  ci ripetevamo finendo con il continuare quella storia infinita e nociva. Noi due non potevamo essere amici.
«Ti stanno costringendo, non è vero? Dimmi che è così. Ti hanno minacciato? Lou non possono più farci nulla, ti prego… ti-ti prego non lasciarmi.» Mi scrollava il braccio scuotendomi. Il suo tocco era come droga,  in astinenza da settimane era difficile, quasi impossibile resistergli.
Lasciai uscire le lacrime, unica manifestazione fisica che mi concessi. Continuavo a fissare il pavimento nella penombra sperando non si accorgesse che anche io stavo piangendo. Non so come facessero le parole ad uscire ancora di bocca. Sentivo una stretta allo stomaco, ogni volta che parlavo. «No. È una mia decisione.»
«Allora guardami in faccia.» Si fece tutto d’un tratto serio. Stava cercando di essere forte, lo sapevo, sapevo che poteva farcela, per questo avevo trovato il coraggio di lasciarlo.
«Vattene.»  Sibilai.
«Non mi prendere per il culo almeno, voglio una spiegazione, voglio sapere perché. Me lo devi, stiamo insieme da tre anni, cazzo.» Il suo tono salì di qualche ottava, temetti che ci potessero scoprire. Ma sicuramente, sentendoci litigare ci avrebbero lasciato stare, da tre anni tutti aspettavano il momento in cui uno dei due avrebbe ceduto.
Mi strattonò per la maglietta, aggrappandosi a quel lembo di stoffa come ad un’ancora di salvezza, era quasi in ginocchio, in ginocchio davanti a me, supplicante di non abbandonarlo.
Ma dovevo resistere, lo stavo facendo per lui, per noi. E purtroppo dovevo infierire ancora, per ferirlo davvero, c’era bisogno della verità, o di qualcosa che le si avvicinasse molto, di certo non avrebbe creduto ad una qualunque scusa.
«Non ce la faccio più, Harry. Per me è diventato insostenibile e in queste condizioni ho bisogno di stabilità, di sapere che avrò un futuro davanti, non posso continuare a fare il clandestino con te, non ho più diciotto anni. Voglio tornare a casa e stare tranquillo, uscire e fare cose normali. Devo andare avanti, e se per farlo sono obbligato a lasciarti… beh ecco, sono disposto anche a questo.»
Di nuovo silenzio a squarciare l’oscurità di quella camera. Faceva più male di mille parole.
«Perché non mi guardi in faccia mentre dici queste cose?»  Lo stavo distruggendo, era devastato, lo potevo sentire. Mi mancava l’aria e facevo fatica a reggermi ancora in piedi. Perché insisteva? Non lo capiva che così sarebbe stato più semplice per entrambi?
Alzai la testa e in uno sprazzo di lucidità lo trafissi con la vuotezza del mio sguardo. «È finita, è davvero finita. Esci da questa stanza.»
Era a terra e si reggeva alle mie gambe, vederlo in quello stato mi stava uccidendo, avevo il cuore in pezzi.
Sbiascicò qualcosa, ma faticavo a capirlo perché i singhiozzi erano troppo ravvicinati.
«Posso restare? Solo per questa notte.» Mi strinse forte, tremava, e io mi sentii morire, morire dentro.
«Esci.» Una bastonata in pieno viso, percepii la sua sofferenza, pari alla mia.
Poggiò un braccio sul muro tentando di rialzarsi. «Perché ti comporti così? Cosa ti ho fatto? Credi davvero di poter chiudere una storia come la nostra senza un valido motivo?»
«Te l’ho spiegato, non insistere.»
Si alzò di scatto e arrivò a pochi centimetri dalla mia faccia «Non mi hai spiegato un cazzo, quelle sono cazzate, dammi una dannata motivazione.» Urlava, fuori di sé, tanto da farmi paura. Paura perché era così devastato solo per colpa mia.
«Non ti amo più.» Lo guardai negli occhi e non so, davvero non so come io abbia fatto a pronunciare quella frase.
Vidi la distruzione farsi spazio sul suo splendido viso e deformarlo in una smorfia di dolore, mi fissò senza respirare per qualche secondo e poi, l’unica cosa che riuscii a vedere furono le sue spalle che sparivano dietro la porta della camera.
Era davvero finita.
  
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