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Autore: Trick    19/02/2008    7 recensioni
La chiamano la "Grande Guerra".
Il nome più corretto, tuttavia, sarebbe "Grande Massacro".
Un giovane soldato dagli ideali patriottici, un padre di famiglia costretto in trincea e un mazzo da briscola su una traballante cassetta di legno.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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1917 - Sconosciuti per la Patria

di Trick






08 novembre 1917


Grattandosi cogitabondo il mento sbarbato, Giovannino tentò di individuare fra le tre carte che stringeva nella mano sinistra la più indicata per rispondere alla mossa appena effettuata dal compagno; questi, lo fissava con un guizzo ironico degli occhi scuri e arrossati, sicuramente divertito dall'espressione persa del giovane. Con uno sbuffo nervoso, optò infine per la giocata che avrebbe causato meno danni al corso della partita. Regalò dieci punti all'avversario e gli scoccò un'occhiata stizzita.

Franco ridacchiò sommessamente, raccogliendo le due carte dal legno marcio della cassetta su cui si erano appoggiati e accatastandole malamente nel mazzo dei propri punti.

«Ottima scelta» lo canzonò.

Giovannino si limitò a pescare speranzoso un'altra carta, invocando silenziosamente la propria fortuna.

Cinque di coppe.

Dannazione.

Alzando gli occhi, Franco scrutò il grigiore che negli ultimi minuti aveva reso sempre più cupo e minaccioso il cielo; pallido e soffocato dalle nuvole plumbee, il sole novembrino era a malapena visibile.

«Sembra che vogliano venire giù pure i santi» commentò.

Giovannino guardò vagamente interessato verso l'alto, mormorando un flebile e indifferente assenso. «Tocca a te».

«Hai fretta?» ribatté con un sorriso storto. «Devi andare da qualche parte?»

Incarcando pesantemente un sopracciglio, Giovannino gettò il cinque di coppe sul tavolo. «Perché me lo chiedi?»

Franco alzò le spalle. «Era una battuta» rispose. «Per me lo era».

«Non ha fatto ridere».

«Non lo avrei mai detto».

Giovannino sollevò lo sguardo dalla propria mano, fissando torvo il compagno. «Che significa?»

«Che a sentire come parli, tu non hai assolutamente fretta di andare da nessuna parte» disse laconico Franco, ghignando appena mentre pescava un'altra carta.

«Fretta?» ripeté confuso, incapace di comprendere l'eloquente occhiata che Franco gli rivolse. «Di fare cosa?»

«Di fare le tende, Giovannino. Di lasciarsi alle spalle tutto questo fango e di tornartene a casa» rispose, indicando vagamente le malridotte palizzate della trincea. «O sbaglio?»

«Sì. Ho voglia di tornare a casa. Ma il nostro posto è qui» chiarì con decisione, come se una simile affermazione fosse sufficiente a concludere il discorso appena accennato.

«Parla per te. Il mio posto è a casa, da mia moglie e dai miei figli».

«Non avrai più una casa se non vinciamo» ribatté sprezzante Giovannino. «Non ci sarà più niente».

Franco scoppiò a ridere. «Ma senti cosa mi tocca sentire! Credi davvero che vincere o perdere cambierà la nostra vita?»

«L'Italia non può perdere».

«Appunto. L'Italia. Noi, sì».

«E noi non siamo forse italiani?» s'infiammò Giovannino, sbattendo con forza le carte sulla cassetta. «Non stiamo forse combattendo per la nostra libertà, per i nostri diritti, per le nostre-»

«Beata ingenuità» lo interruppe con un sorriso triste Franco. «Io lotto per portare a casa la pelle. Che vincano i crucchi, o i nostri, a me non interessa».

«Preferiresti vivere sotto il nemico?»

«Che differenza può mai esserci fra un ricco austriaco e un ricco italiano? Sempre ricchi sono».

Giovannino abbassò offeso il capo. «Parli di questa guerra come se fosse inutile».

«Perché, non lo è?»

«È per la nostra libertà che stiamo qui. Come può la libertà essere inutile?»

«Morire ammassati come mosche, Giovannino, non è libertà. Libertà è scegliere se davvero vuoi fare una fine del genere. E per quanto mi riguarda, io non ne ho la minima voglia. Mi ci hanno costretto, a venire in questo schifo, cosa credi?»

«Voglio vedere se parlerai ancora così, quando la guerra sarà vinta».

Franco ridacchiò di nuovo. «Voglio vedere se ci saremo ancora, quando la guerrà sarà vinta».

«Pusillanime» mormorò a denti stretti Giovannino. «Saremo degli eroi, una volta tornati a casa».

«È per questo che combatti, dunque? Sete di gloria?»

«È per l'Italia che combatto! È per un fututo migliore per tutti! Non posso credere che il tuo unico obiettivo sia quello di tornare a casa. Quando gli austriaci irromperanno a casa tua e distruggeranno la tua città, allora ti darai dello stupido per non aver dato tutto ciò che potevi dare alla causa».

Franco scosse mestamente il capo. «Se mai gli austriaci dovessero irrompere in casa mia» mormorò, «preferirei di gran lunga essere con la mia famiglia».

«A farti ammazzare da degli austriaci».

«E cosa facciamo qui? Scampagnate fra le cannonate?»

«Io lotto per ciò in cui credo, Franco» ribetté risoluto. «L'Italia è il mio paese, e ho intenzione di difenderlo fino alla fine, anche con la vita, se è necessario. Dovranno spararmi tutte le loro munizioni per impedirmi di farlo».

«Figurati» rispose l'altro. «La tua è una mera illusione, Giovannino, cerca di capirlo. Questa non è la nostra guerra, non l'abbiamo voluta noi. Perché dovremmo combattere per qualcosa che non abbiamo voluto? Per qualcosa che ci hanno imposto di fare?»

«Forse non l'abbiamo voluta noi, ma restiamo pur sempre italiani».

«Non è un motivo abbastanza valido per morire per l'Italia. Non per me, almeno».

Indignato e desideroso di congedarsi in fretta con Franco, Giovannino pescò l'ultima carta del mazzo.

Il fante di spade.

«Dammi retta, giovanotto» disse Franco, scrutandolo al di sotto della frangia di capelli sporchi. «Slega la benda che ti copre gli occhi e guarda la vera faccia di questa guerra. Stiamo morendo per accrescere i soldi e il potere della classe ricca, tutto qui. E di quei soldi, e di quel potere, noi non vedremo nemmeno l'ombra. A loro non importa degli italiani, a loro importa solo di ciò che possono offrire gli italiani».

«Non possiamo lasciare che gli austriaci vincano» tagliò corto Giovannino. «Dobbiamo unire le forze e-»

«Settantadue punti» lo interruppe Franco.

Giovannino abbassò il capo, accorgendosi solo in quel momento della conclusione della partita.

Accidenti.

«Rivincita?» chiese.

Franco sorrise senza allegria e alzò gli occhi al cielo. «È tardi, Giovannino. E non è più il tempo delle rivincite: la partita è unica e decisiva».

Adamantine e brillanti, le gocce di pioggia cominciarono a coprire le carte abbandonata sulla cassetta di legno; immobile e smarrito nei suoi pensieri più confusi, Giovannino continuava a fissare il fante di spade che aveva decretato la sua sconfitta.

E quello, ghignando altezzoso sotto la pioggia, sembrava schernirlo beffardo.







12 novembre 1917


Il vecchio scorse rapidamente con un dito l'elenco di nomi riportati sul cartellone.


De Marchi Primo, bla bla, di anni 25...

Mori Anselmo, bla bla, di anni 36...

Petrucci Antonino, bla bla, di anni 23...

Trevisani Giovannino, bla bla, di anni 17...


«Qualcuno che conosciamo?» domandò nervosamente una donna alle sue spalle.

Il vecchio scosse il capo. «No, tutti sconosciuti».


Caduti per l'Italia.


   
 
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