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Autore: tp naori    13/08/2013    0 recensioni
Nohan un ragazzo emarginato, e irrequieto. Di quelli che passano la pausa pranzo sulle gradinate del campo sportivo scolastico. Parte per un viaggio, spinto dalla folle voglia di vivere ispiratali da Kerouac. Scrittore per passione, si trova in mezzo alla strada, sui marciapiedi. Con persone fantastiche lungo il suo cammino, fra questi Garrett. Che più un amico, col tempo diviene il suo fratello maggiore. Il suo angelo e diavolo, perche vedete. Nohan proprio come Kerouac ama i pazzi, e Garrett pazzo l’ho è. Incontra Lucy, amica, poi fidanzata di Garrett col quale ha un figlio, che poi perde. Nohan impara ha vivere, le prime esperienze con l’amore, l’amicizia, l’alcool, fra feste in generale, e tavole calde, l’erba, rapporti ha tre malati. Fra retro di furgoni scassati, e scorribande in città abbandonate. Scoprendo la reale, bellezza di viaggiare. Non conta dove si arriva, conta solo viaggiare. Il mezzo, il ciò che si vede. Completo, un uomo di venticinque anni. Nohan si appresta ad invecchiare con la sua amata. Non sa ancora, d’essersi sbagliato.
 
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto tentando di rimanere calmo. Sto cercando di non far uscire la mia rabbia. Ci sto riuscendo, ha mala pena. Sto tentando, di non battere troppo forte le mie dita sulla tastiera di questo computer. Anche perche, sarebbe stupido rompere il mio computer. Il mio forte buon senso, sta tentando di convincermi ha non buttarlo fuori dalla finestra. Anche perche, per il mio computer. Provo un senso di appartenenza, di mia appartenenza. Ma se non fosse mio, bhè sarebbe giù da basso in mille pezzi.

Meno male che c’e la scrittura, la mia scrittura ha salvarmi da questo momento. E non è la prima volta, che sono cosi arrabbiato con i miei. Sapete il perche.

Vai ha lavorare. E quello che mi ripetono loro, i miei zii, i miei nonni. Insomma tutti mi ripetono la stessa cosa, francamente lo fanno da troppo tempo per i miei gusti. Possibile che nessuno si sia accorto, che scrivo continuamente. No, loro sono troppo presi ha forgiare il figlio perfetto.

Il problema, e che io non sono il figlio perfetto. Quello che lavora in banca, ad esempio. Oppure, un avvocato, laureato in giurisprudenza. Tutto il resto, e di poco conto.

“mio figlio, a una media del dieci/nove. Questo anno, andrà ad ...” vorrebbero dire, i miei genitori ma non possono. No, loro si vergognano di dire. Che i loro figlio va in un scuola mediocre.

Mediocre nel senso, che ci fanno solo le persone povere. O gli studenti che non hanno una borsa di studio.

Il respiro si sta attenuando, mentre la rabbia ancora ribolle nelle mie vene.

Ecco, mia madre che bussa alla porta. Ma fa niente, non risponderò al suo invito di fare pace.

Basta, ne ho abbastanza. Me ne voglio andare. Via da qui, il dove ancora non lo so. Ma e da mesi che mi faccio il culo, al Mc. Facendo tutti i turni possibili nell’arco del pomeriggio. Cioè quando non vado ha scuola. Insulsa scuola, da quando e arrivata la nuova preside. E un inferno, ci sono delle nuove regole. Ad esempio, se non arrivi ha scuola nel tempo prestabilito, la preside stessa chiama ha casa. Dio, se parlo da persona laureata. Il punto e che un po’ di cultura nella mia testa. Esiste. Basti pensare hai molti libri, nascosti in camera mia. I libri, per i miei sono solo uno spreco di denaro. Che proviene dalle loro casse. Ebbene si, loro non sanno che vado a lavorare. Almeno non li do il piacere di dargli ragione. Chiuse di mentalità, come del resto sono i miei vicini, e i vicini dei mie vicini. E poi ho doppia paghetta, con una parte mi compro libri e paia di sneakers. Con l’altra organizzo il viaggio della mia vita.

Che ve ne pare? Un viaggio per tutto lo stato. Il sogno che accumuna tanti ragazzi sulla terra. Il perche e chiaro, viaggiare vuol dire vedere posti nuovi. E cosi nuovi panorami, che ancora non ho inventato in uno dei miei tanti racconti. Cosi per rendere reale, almeno una delle mie storie. Anzi, credo che inizierò con questa pagina. Non mi sembra poi cosi male, da leggere. E poi spiega bene la mia situazione, tralasciando il come sono vestito e dove sono. Quelli sono cose di poco conto, credetemi.

Quello che mi manca, sono amici con cui condividere la mia avventura, ed una macchina. La patente l’ho fatta l’anno scorso, e so guidare abbastanza bene. A volte accompagno mia sorella, dal suo ragazzo. Usando tra l’altro la macchina dei miei. Perche ancora non ho, una macchina di mia proprietà. Ci sto lavorando, è che gran colmo. Comunque ho messo sotto gli occhi. Una macchina usata, e tutta decappottabile tranne il parabrezza. Per il resto e scoperta, dio il cavallo giusto per gridare al vento. Libertà!. Già mi immagino, percorrere la Route 66. Con quella macchina. Io e i miei amici, e qualche birra. Si bhè mancano gli amici, al mio quadro. Ma quello non ha importanza. Magari me li farò una volta sulla strada. Per adesso, mi basta la mia musica. Chiudere gli occhi e via.

Ed ancora, le grida dei miei. Che mi chiedono, con non troppa gentilezza di abbassare il volume, prima che stacchino la corrente. E credetemi, loro sono capaci di farlo.

Nella mia scuola non sono molto conosciuto, sono più che altro quello che mangia da solo hai tavoli fuori all’aperto. Possibilmente mi metto, il più lontano possibile dalla ressa dell’ora di pranzo. Tranquillo me ne sto, seduto al solito banco. O se serve, vado al campo da Football, sulle gradinate. Il posto che più preferisco. Di solito mi mangio qualche panino e via. Mi immergo in libri, oppure ascolto musica. Per lo più musica rock, tendente alla svogliatezza.

Io ho un profondo senso di svogliatezza. La gente lo dice, mentre mi guarda camminare per scuola. Di ragazze carine, che provano per me qualcosa oltre l’amicizia. Ci tengo a precisare, che io divento loro amico. Solo quando loro hanno bisogno del mio aiuto, magari con un tema. Come si fa, ha dire di no, a certi occhi da cerbiatta, che ti fissano? E impossibile, per me resistergli. Ebbene si, io mi faccio usare dalle donne, solo perche mi piace lasciarglielo fare. Non che ci sia, qualcosa di normale in me. Credo, che questo l’avete capito in molti. O forse mi appoggiate?.

Nell’attesa spero di diventare un mito.

Nohan.

E pomeriggio, sono precisamente le quattro. Stando ha quello che dice la radiosveglia, sul mio comodino. Il mondo, sembra che io non lo capisca. Il suo meccanismo, che col tempo viene solo scandito. Tutta questa gente, sembra non capirmi. Come se la mia faccia, fosse nascosta da un sudario. La chiara mia immagine, di un mostro putrido. Le ragazze, sembrano non capirmi. Anche se modestamente, mi piacerebbe sprofondare nella felicità delle loro gambe. Ma ahimè. Sono incapace di capirle. Queste donne, ah donne. Guardo per strada, ne assaporo la vita che scorre sotto la sua immensa distesa. Guardo il cielo, sperando in qualcosa di meglio. Quasi mandasse voglia di sparire. Quasi mi desse la mia più grande ragione, di trovare il mio posto nel mondo. Solo che è complicato. Molto, ma molto complicato. Anche perche, sembra che nessuno possa capirmi appieno. La verità e che, la mia profonda mente, e quello che ne consegue dalla mia mente. Cioè i mie problemi, che mi porto dentro. Fino all’infinito dei mie pensieri. Sono tutti incomprensibili, come se i miei pensieri fossero criptati. Come se nulla oltre a me, esista. Come se questo mondo fosse solo abitato da me. Fortunatamente, ho meglio sfortunatamente non e cosi. Ci sono ragazze, che hanno qualche riguardo nei mie confronti. Ero precisamente, a scuola quel giorno. Ero sempre seduto nel solito posto, all’ora di pranzo mangiavo un panino, ascoltando musica ed intanto scrivevo. Incredibile, quanto possono fare le mie mani. Per l’appunto, ero seduto proprio su di un tavolo di marmo. Mi si avvicina una ragazza carina, occhi verdi ed un fisico stupendo. Alta, capelli color nocciola chiaro. Tendenti al biondo. Era perfettamente carina, e mi chiese:

“che ci fai qui?” mi domando proprio questo, ed io all’inizio non seppi che fare. Rimasi quasi sorpreso, da quell’apparizione. Poi qualcosa, scatto in me.

“nulla, mangio un panino. Ascolto musica.” e questo lo dissi, con tale nonchalance non mia.

“e ti trovi, bene qui alla Preston?” mi domando. Era nuova, lo capì solo dal semplice fatto. Che non avevo mai posato, sguardo su di quella ragazza. E ne sui suoi capelli, cosi ricci, cosi belli nel loro perfetto modo di cadergli sul viso, e sulle spalle.

“non so, tu?” le domandai, volevo capire quale fossero le sue intenzioni. E lo feci, perche pensavo che fosse nociva per me. Ho che avesse, una grave malattia. Tanto che, la costringeva hai margini di una vita sociale, molto movimentata.

“io sono nuova, ma mi trovo bene qui. Splendido posto.” mi spiego girandosi attorno, come a spiegare che i suoi occhi verdi amavano vedere, tutto quello. Dal campo da Football, alle tribune grigie in cemento.

“si già, lo sapevo che eri nuova. Solo che non so, se sei nociva per la mia salute.” le dissi, con sincera onesta. Lei se la rise di gusto, i capelli vennero scossi da una forza non sua, sembravano cogliere la bellezza dell’aria che respiravano.

“non sono nociva, tranquillo. Ma nemmeno tu, spero?” mi domando, fissandomi come se fosse preoccupata per me, innocente come una ragazzina già donna.

“perche me lo chiedi, con quello sguardo.” le dissi proprio, come a capirne lo sguardo.

“non so e da qualche settimana, che ti fisso da laggiù.” e cosi dicendo, indico un tavolo pieno di ragazze carine, quanto lei. Mi fissarono anche loro, solo che non furono preoccupate per me. Come lei, no. Loro si limitarono a ridermi in faccia, come se non ci fosse niente di più buffo.

“quindi non sei, del tutto nuova?” le chiesi. Possibile che una ragazza cosi carina, mi fosse sfuggita d’occhio. Sono stato stupido, a privarmi di tale piacere di fissare certa carineria.

“no, ma sei il primo ad non essertelo accorto.” mi disse, quasi sarcasticamente. Era geniale, lo sapevo dal suo sguardo. Io la fissai, con fare vacuo. Senza sapere come rispondergli. Decisi la via, che più preferivo. La sincerità, detta papale papale.

“non dirmelo, certo che la vita e strana. Il perche tu mi sei sfuggita dal mio campo visivo. e un tale mistero. Che mi devo subito chiudere, nell’aula di scienza a studiare. Tale fatto.” le disse, con fare innocente. Forse speravo, vivamente di farla ridere. Solo per il fatto, di sapere come rideva.

“davvero?.” mi fece, come a chiedermi un’altra battuta.

“sono serio.” le risposi io.

“sono Emily. Tu?” si presento Emily. Tendendomi la sua mano, che strinsi subito nella mia.

“Nohan, ma credo che tu sia la prima a sapere il mio nome.” le dissi io, con aria di sfida.

“ecco, mi chiedevo il perche di tale, emarginazione?.” mi domando, scrutando i miei occhi come ha cercarne verità, nascoste nel più profondo nocciola dei miei occhi.

“non ci sono risposte, a questo. Il tempo, saprà dare risposta a questo.” feci io, scansando lo sguardo da lei. Come ha dirgli che, la discussione ora era finita. Non mi importava, della mia emarginazione dalla vita scolastica. E poi, a chi interessa?. Agli altri, a quelle stronze puttane che mi ridono in faccia?. Agli stronzi che fissano Emily, che parla con me?. E che quindi, crea un tale scalpore. Tanto che uno di questi stronzi, sbraito.

“hey, non dovresti parlare con Emily.” mi disse, burbero.

“perche che mi fai stronzo, prima che io ti spacchi il naso.” li risposi io, e senza aspettare oltre, mi diressi verso lui. Una mano nel petto, mi fermo. Era la mano di Emily, che premeva fortemente sul mio costato. Io mi comporto cosi, quando sono minacciato. Attacco, non m’importa se lo sfidante sia più alto di me, più palestrato, con il padre ricco eccetera ecc.. non mi importa, se poi quello che finisce male sono io.

“state calmi, non fate stronzate. Vattene Jonathan.” disse aspra Emily, volgendo la testa appena verso lo stronzo. Quando se ne andò, rivolse la sua attenzione verso di me.

“che cazzo, ti prende?” mi chiese. No anzi, mi intimo brusca.

Io mi scansai, dal suo palmo. Ho meglio lo allontanai con la mia mano. Me ne andai, senza aspettare che lei mi venisse dietro. E so che non lo fece, stese li in piedi davanti al tavolo, al mio tavolo. Scappai, non so dove, ma avevo una furia dentro che mi bruciava. Fino al mio essere più intimo, avevo voglia di spaccare e basta. Senza pensare al poi. Avevo voglia di tirare testate al muro. Non so cosa non funziona, in me. Ma inizio a credere che, ci sia. E questo mi tormenta, mi turba nel più profondo. Arrivai a casa, verso sera tardi. Bazzicando in giro, per locali. Non mi fermavo molto, di solito ordinavo un drink. Dopo aver bevuto, questo drink me ne andavo via. Passando ad un altro. E cosi fui su strada, verso casa. Mia madre impreco, quando mi vide entrare in casa. Punizione, e questo che mi disse secca. Aggiungendoci, che quel pomeriggio dovevo essere a scuola. Ovviamente, la mia brillante. Non che nuova preside, aveva chiamato a casa. Comunque non me ne importa, il massimo che mi posso togliere e la televisione per una settimana. Per il resto sono libero, anche di scrivere. Mettendo che mi sequestrano il computer, avrei sempre il mio taccuino. Potrei usare, quello per una settimana non mi importa. A me importa, solo il fatto di scrivere. Voglio fare lo scrittore, e questa idea e balenata dopo profondi viaggi nel mio essere. Solo che per fare lo scrittore, devi rubare i segreti dei grandi. Farti amici, gente come Jack Kerouac. Gente del genere, che ha scritto romanzi stupendi. Ho una copia di On the Road. Sulla mensola, sopra alla mia scrivania. Quel libro mi ricorda, di quell’idea. Di quel viaggio, da compiere. I soldi non mi mancavano, mancava solo dove iniziare. C’era tanto da vedere, e poco tempo per fare tutto. A volte, sembra che le ore del giorno non mi bastano. Perche un giorno equivale a ventiquattrore e non di più?. Mi domando, sarebbe più facile se un giorno durasse trentadue ore. Avrei grande margine di possibilità. Ora che ricordo, non sono nemmeno andato a lavorare questo pomeriggio. Andai verso la porta, e la trovai chiusa a chiave, dall’esterno ovviamente. Ecco qual’era la mia punizione. E per me andava sorprendentemente bene. Scrissi fino a tarda sera, più o meno non so cosa scrissi. So solo, che me ne andai a letto. Con gli occhi rossi e gonfi, a meno che non mi sbaglio. Perche sembra, che lo specchio di camera mia dica questo. Storpiatura di una mente malata la mia. In verità, nel più profondo. Ciò che mi turbava di più, fu Emily. La sua mano sul mio petto, come a calmare tale battito accelerato del mio cuore. Come a dirmi calmo, nonostante il mio nervoso che mi saliva sino al cervello. Eppure funziono, in quel momento. In quel preciso istante, quando Emily poggio la sua mano sul mio petto. Non ero lontanamente dubbioso, sul fatto che si. Ero calmo. L’ho ero, in un modo che non ero mai stato. Sarà il fatto, che nessuna ragazza e arrivata ha tanto. Ha sfiorarmi il cuore, con un palmo. A volte salta in me, la parte più romantica e remota del mio essere. Io tento, in ogni modo di saziare tale pensiero. Ma come?. Ho letto un mucchio di poesie, anche di artisti Italiani. I miei dicono che gli Italiani, sono dei nullafacenti, che non hanno voglia di lavorare. Può darsi, anche se la mie esperienza in fatto di Italiani e molto scarsa. A tal proposito però, posso non lontanamente pensare che: quando gli Italiani lavorano, lo fanno con anima e cuore. Ecco perché esistono certe macchine, certe fabbriche conosciute anche qui. Tutti più o meno della mia età, sognano di avere sotto il culo. Una bella auto italiana, con i suo cavalli. Pronti a scattare, non appena alzi il pedale della frizione, spingendo al massimo quello dell’acceleratore. Vi saluto per oggi. Con questa idea. Sfrecciare sulla strada, a bordo di un auto italiana, il suo rombo che grida nel silenzio più sperduto. Una bella immagine, no?.

A presto;

Nohan. 

   
 
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