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Autore: fren    20/02/2008    13 recensioni
Le coincidenze non esistono. Questo, almeno, è quello che Lina Inverse ha sempre pensato. Fino alla sera in cui, in una locanda di viandanti, lei e Gourry non si imbattono in un vecchio compagno d’arme dello spadaccino. Joy Shadow, questo il nome del mercenario, dopo aver suscitato un’istintiva antipatia nella maga, rivelerà di essere in viaggio per la stessa missione per cui sono stati ingaggiati anche loro. Una strana casualità, in cui Lina avverte subito puzza di bruciato. Cedendo alla richiesta dello spadaccino di condividere il viaggio con il suo amico di vecchia data la maga non ha la minima idea del fatto che Joy si insinuerà come fumo nero nella loro consolidata quotidianità, accampando delle pretese su Gourry e sconvolgendo i loro equilibri, né tantomeno dei pericoli a cui sta andando incontro. E, proprio quando il rapporto tra lei e lo spadaccino evolverà, trasformandosi in qualcosa di più della semplice amicizia, entrambi si troveranno a fare i conti con la prova più difficile mai affrontata fino a quel momento. Una prova che li porterà sul limite di un oscuro confine. Un confine che, una volta varcato, non permette di tornare indietro.
Genere: Avventura, Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amelia, Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale, Zelgadis Greywords
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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prologo
The Borderline, la linea di confine. Questa fan fiction ha una lunga storia, chi l’ha seguita dall’inizio, sospetto, non mi ha mai perdonato di averla lasciata incompiuta e, io stessa, me ne sono sempre dispiaciuta. Così, dopo sei anni, l’ho ripresa in mano e ho provato a darle il finale che meritava di avere. Ma non solo.
Sei anni sono lunghi e, rileggendo, mi sono resa conto di non rispecchiarmi più in molte delle cose che ho scritto. Così, dove ho potuto, ho riscritto. Mi piace paragonare la revisione che ho compiuto su questa storia come all’operazione di pulizia effettuata su una vecchia casa chiusa. Ho aperto le finestre e fatto entrare aria e luce. Ho tolto i teli dai mobili, spazzato la polvere e cercato di sistemare ciò che non mi convinceva più. La struttura non è cambiata, ma c’è più ordine ora. O almeno spero.
Tutto questo mi è servito per dimostrare a me stessa che la scrittura è costituita da una piccola percentuale di ispirazione e una grossa percentuale di forza di volontà. In un mese ho rivoluzionato quattordici capitoli, riscritto il prologo e l’ho conclusa. O quasi: sto finendo di scrivere l’ultimo capitolo. Ho deciso che ne pubblicherò uno alla settimana, perciò prima di Natale avrete il finale. Lo prometto.
Voglio dedicarla a tutte le persone che, in questi anni, non hanno mai smesso di chiedermi di concluderla. Potrà sembrarvi poco, ma per me significa moltissimo. Sono cambiate tante cose, ma scrivere è ancora una delle cose migliori che mi siano capitate, e di certo il merito è un po’ anche vostro.
Spero che la versione aggiornata possa piacervi quanto vi era piaciuta quella vecchia e sarò, come sempre, grata a chi vorrà farmi avere il suo parere. Buona lettura^^


Prologo


‘Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.’ (Kahlil Gibran)


L’oscurità aveva molti nomi. Uno di questi era notte.

Le piastrelle erano fredde contro alla pianta nuda dei suoi piedi, ogni passo le costava fatica. Le ricordava perché era lì e, allo stesso tempo, le suggeriva quanto fosse sbagliato quello che stava per fare. Eppure andava avanti, guidata da una forza troppo oscura perché potesse opporle la dovuta resistenza. Era una forza che le toglieva qualunque volontà e la guidava oltre i limiti di ciò che le era consentito. Aveva provato a ignorare quel richiamo, gli dei solo sapevano quanto si fosse opposta alla sua voce suadente. La chiamava, quella voce, la voleva. Da quando viveva a palazzo, le risuonava nella testa più spesso di quanto avrebbe voluto; ma avrebbe mentito a se stessa se si fosse detta che, negli anni lontani da Solaria, non l’avesse mai sentita. Quella voce le parlava da molto tempo prima che lei varcasse i confini del ducato, le parlava da sempre. Lei, però, non si era mai chiesta cosa volesse. Non prima di quella sera.
La candela che teneva in mano produceva ombre sinistre,  rimbalzavano sui muri del corridoio che stava percorrendo, diretta ai sotterranei. Nessuno aveva il permesso di scendere laggiù, nemmeno lei. Stava contravvenendo alle regole perché la voce le aveva imposto di farlo. La voce era forte, più forte di tutto. Resistere era faticoso, richiedeva un impegno e una concentrazione che la sfinivano. Non riusciva più a lottare con essa, poteva solo assecondarla. Scese una lunga e stretta scala e sbucò in un’ampia stanza circolare. Il soffitto era basso, l’aria era umida ed emanava un afrore marcescente. Capì di trovarsi nelle viscere della terra, là dove i confini tra il mondo della luce e quello delle tenebre si sfioravano, compenetrandosi, e un brivido le percorse la schiena.
La cera della candela che teneva in mano le gocciolò sulle dita. Faceva male, ma servì a ricordarle che era viva. In quel luogo buio e freddo era facile dimenticarsene.
Allungò la fiamma davanti a sé e illuminò un’ampia porzione di parete.
 Lì, davanti a lei, c’era la porta.
Era coperta da un panno scuro, ma la riconobbe. L’aveva vista spesso in sogno. La voce l’aveva condotta laggiù per un motivo, un motivo ben preciso: lei era in grado di indagare l’oscurità, di vedere attraverso la porta di specchi. Lei era la chiave che avrebbe potuto spalancare quel passaggio. Quello era il suo destino, niente avrebbe potuto cambiarlo. La profezia parlava chiaro: avrebbe ceduto al suo lato oscuro. Non importava quanto lontana l’avessero mandata, sarebbe tornata e avrebbe assecondato l’ombra che c’era in lei, questo era stato predetto alla sua nascita. E infatti, ora era lì.
Indugiò, la mano che sfiorava il drappo nero. C’era qualcosa di sbagliato, lo sapeva. Ma non poteva fermarsi, non dopo essere arrivata laggiù. Non si sfugge al proprio destino. Lasciò che il telo cadesse a terra, rivelando la porta. Era incastonata in una cornice d’ebano, e rifletteva il suo volto spaventato. Dopo alcuni secondi, tuttavia, al suo volto se ne sovrappose un altro. Aveva contorni indefiniti e sembrava galleggiare in un mare di nebbia. La voce che la ossessionava da tutta la vita apparteneva a lui. Tese una mano verso di lei, attraverso la superficie liscia e lucida dello specchio e lei vide che le sue dita erano pallide e ossute come quelle di uno scheletro.
“Aprimi. Togli i sigilli e lasciami passare, so che lo puoi fare. Ti aspetto da sempre…”
Istintivamente si ritrasse da quella visione, ma qualcosa la trattenne. L’aveva portata sin lì, ora non l’avrebbe lasciata andare. Non così facilmente.
“Io… non posso” sussurrò, debolmente.
“Certo che puoi. Non ti ho aspettato invano, il tuo destino è questo. Lasciami passare e io ti ricompenserò. Avrai tutto ciò che desideri, farò di te la mia regina. Devi solo consentirmi di varcare il confine…”
Senza volerlo, lei allungò una mano verso il vetro. Vibrava come l’acqua solo apparentemente immobile di un lago, e nascondeva abissi profondissimi. L’essere senza tempo che la aspettava fece altrettanto. Vide le sue dita ossute tendersi verso di lei e provò l’impulso di ritrarsi. Voleva voltarsi e fuggire da quella visione spaventosa. Ma le sue gambe erano di gesso e sentiva la lingua incollata al palato. Le sue dita attraversarono lo specchio, sfiorando quelle della creatura fatta di ombre. Fu allora che accadde. Lo specchio sottile che li divideva iniziò a tremare, sul punto di cedere. Sul punto di andare in mille pezzi.
Spaventata, provò a indietreggiare, ma l’essere la agguantò, trattenendola.
“Togli i sigilli, finisci ciò che hai cominciato. Lasciami passare!”
“No!”
Il suo potere era forte, ne ebbe la prova in quel momento, quando, con forza, si ritrasse da lui. Ma era tardi, il loro contatto aveva reso i confini più labili. Li aveva resi fragili. Sentì la creatura gridare di frustrazione quando lei gli sfuggì. Un lungo gemito rabbioso.
“Tornerai da me. Tornerai” promise quell’essere senza tempo, svanendo nella nebbia.
Lei arretrò; la mano le tremava, la candela cadde e una scintilla raggiunse il drappo scuro che aveva coperto la porta. Il fuoco divampò, le fiamme avvolsero ogni cosa e un fumo denso e nero si sollevò attorno a lei. L’aria era bollente, respirare divenne faticoso. Immaginò il palazzo che bruciava e il suo unico pensiero fu per la bambina. Aveva giurato che se ne sarebbe presa cura, che l’avrebbe protetta. Iniziò a correre, mentre l’orlo della sua veste sprizzava scintille e ogni cosa, intorno a lei, veniva consumata dalle fiamme. Corse fino a sentire il cuore scoppiare, fino a non avere più fiato nei polmoni. Corse, e non sentì la vampa che la avviluppava lentamente, che le consumava la carne. Se ne accorse solo quando, ormai, era troppo tardi. Troppo tardi… o forse no?
Sentì un campanello che suonava, nel buio. Seguì la sua melodia. Se c’era un prezzo da pagare, decise, l’avrebbe pagato.
L’oscurità aveva molti nomi. Uno di questi era notte e solo chi aveva la notte negli occhi avrebbe potuto guardare oltre la porta di specchi e rimediare al terribile errore che lei aveva commesso. Il suo compito, adesso, era trovarlo e condurlo lì.
  
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