Elastico

Sentì dei rumori alle spalle, si girò.
«Come ti sei conciato?»
«Si muore, mi sono adeguato» gli sorrise.
Faceva caldo, nell’aria gli stessi gradi che permettevano la cottura di un tacchino imbottito. Per combattere l’afa, Madara non conosceva altra soluzione che sventagliarsi ininterrottamente, seduto sull’engawa con le gambe a penzoloni e con una scorta d’acqua domiciliata al suo fianco, all’ombra. A parte questo, vedere Hashirama con i capelli legati in una coda alta gli fece storcere il naso, ma non quanto la presenza dell’altro codino tra le sue dita. Puzzava di cattive intenzioni.
«Che devi fare con quello?» Lo indicò alzando il mento, apparentemente disinteressato.  
«Fa caldo» gli rispose soltanto. «Molto caldo.»
Gli ridiede le spalle, incautamente. «Non sono un ritardato, ho capito.»
Hashirama osò approfittarsene della sua schietta constatazione per arrivargli da dietro e cominciare ad armeggiare coi suoi capelli.
«Che stai facendo?»
«Mi sto assicurando che tu ti difenda dall’afa.»
Stava sempre sorridendo, Madara c’avrebbe scommesso persino le mani. Difatti, le labbra sollevate del Senju e i suoi risolini appena accennati producevano dei sibili sinistri e dannati che gli perforavano le orecchie e che, almeno all’apparenza, e talvolta anche per davvero, lo stizzivano.
Da notare che, più che legarglieli, sembrava stesse strappando pelo dopo pelo. Ne sbuffò, senza lamentarsi. Inoltre, a niente servirono gli sguardi minacciosi – rivolti al nulla innanzi a sé, per giunta – e i pugni sulle gambe dell’altro o le minacce, perché Hashirama liquidava il tutto con una risatina, senza prenderlo sul serio, e così fin quando non ebbe concluso; e Madara lo sentiva, fastidiosissimo, tra i capelli, quel dannato elastico maledetto.
«Me la pa-»
Tacque all’istante quando Hashirama gli mordicchiò il collo. Adesso sì che capiva, e si poteva pure iniziare a ragionare. Ne fu piuttosto soddisfatto.
Avrebbe persino potuto sopportare quel cavolo di coso in testa.
«Ogni tanto una mezza idea decente viene anche a te.»