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Autore: sophie97    14/08/2013    6 recensioni
"[...] Sapeva cosa significava il lavoro per il suo collega e sapeva anche quanto per lui fosse impensabile l’idea di dover abbandonare la polizia. Per un attimo rimase in silenzio, senza trovare parole di conforto. Aveva paura di sbagliare. E non parlò. [...]".
Ecco finalmente la continuazione di "Il gioco dell'uomo senza volto", spero che vi piaccia :)
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dieci ritagli di Cobra 11'
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ATTENZIONE:  non è obbligatorio ma si consiglia di leggere le storie precedenti facenti parte della serie “3 poliziotti, 3000 avventure” o almeno l’ultima storia, “Il gioco dell'uomo senza volto” per comprendere meglio la trama di questa ff. Buona lettura!



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Il dottor Armstrong diede un morso alla ciambella fumante a cui si trovava davanti, esaminando i risultati delle ultime analisi del suo paziente.
Sorrise soddisfatto scorrendo con lo sguardo i valori che, finalmente, sembravano tutti nella norma.
Sì, non c’erano dubbi: la cura aveva avuto l’effetto desiderato e presto il paziente sarebbe potuto tornare ad una vita normale.
 
 
Clara scosse leggermente il braccio del ragazzo che le dormiva affianco nel tentativo di svegliarlo, ma Ben sembrava proprio non volerne sapere.
Giaceva abbracciato al cuscino, arrotolato nel lenzuolo azzurrino come un bambino.
Lei si fermò un attimo ad osservarlo e sorrise: era così… così… così lui!
Lo scosse ancora senza ottenere reazioni e decise quindi di passare alle maniere forti; prese il proprio cuscino tra le mani, lo sollevò e glielo tirò con forza dritto in testa.
L’ispettore aprì un occhio e si girò rotolando verso di lei: «Ma che ore sono?» boffonchiò aprendo suo malgrado anche il secondo occhio.
Clara rise divertita dall’espressione mezza addormentata di lui e rispose, togliendogli il lenzuolo di dosso: «L’ora di alzarsi, pigrone!».
Ben si mise seduto sul letto, rassegnato. Guardò la ragazza che aveva di fronte: «Ma sai che oggi sei bellissima?».
Lei sorrise ancora: «Nonostante ti abbia preso a cuscinate in testa?».
Il poliziotto annuì e le si avvicinò; le diede un bacio leggero e poi si chinò, posando l’orecchio destro sul ventre della ragazza: «Buongiorno Bianca, come andiamo oggi? Ah sì?! Ma non mi dire! Eh lo so, è proprio una testa dura, ora provo a farla ragionare io, tranquilla.».
Clara interruppe l’uomo nel suo discorso con il loro futuro bambino, con cui lui parlava tutti i giorni: «Che ne dite di rendermi partecipe?».
Ben la fissò dritta negli occhi: «Stiamo sparlando di te, amore mio!».
«Hai capito i due mascalzoni! E cosa dite, sentiamo… ».
«Bianca dice che devi smetterla di parlarle al maschile… lo dice persino lei di essere una bambina, sei l’unica che non ci crede!».
La poliziotta rise ancora, sostenendo che sarebbe stato sicuramente un maschietto. Poi, ad un tratto, si fece più seria.
«Tutto bene principessa?» le domandò lui, preoccupato.
«Sì sì, solo… pensavo alla prima volta che ci siamo incontrati… ti ricordi? Mi puntavi contro una pistola, convinto che da un momento all’altro avrei fatto precipitare Semir da quel grattacielo…» sorrise «Devi ammettere che come criminale sono stata abbastanza credibile.».
«Già, solo Semir pensava che tu fossi innocente, l’ha sempre pensato; e io che invece ero convinto del contrario!».
Seguì un attimo di silenzio.
Clara si alzò dal letto e, camminando a piedi nudi sul parquet, si diresse verso la cucina: «Devo muovermi, tra un’ora ho appuntamento con mia madre per il vestito… e tu dovresti essere già al comando da un pezzo, mio caro sbirro! La Englhardt ti sbrana se non ti sbrighi.».
Ben guardò l’orologio e spalancò gli occhi: ma com’era possibile che fosse sempre, instancabilmente, in ritardo? Decise che avrebbe programmato tutti gli orologi un’ora più avanti a partire dal giorno successivo. Quindi si alzò, si preparò velocemente e diede un bacio alla sua principessa ed al suo futuro bambino, pardon!, bambina, prima di uscire: «Sarai bellissima con quel vestito… a dopo.».
Si diresse verso la sua amata moto e partì a tutto gas.
 
Vestito. Quale vestito, vi chiederete voi, giustamente. Dovete sapere che Ben, appena compreso che Clara era incinta, non aveva perso un attimo. Il giorno dopo si era presentato a casa sua con un mazzo di rose che nascondevano uno splendido anello; si era inginocchiato sulla porta, sotto lo stupore di tutti i passanti e le aveva chiesto di sposarlo: potete solo immaginare la reazione della ragazza! Così, tra una settimana esatta, ci sarebbe stato il matrimonio. Ma torniamo adesso alla nostra storia…
 
«Mamma! Siamo in ritardo per la scuola!» esclamò una voce squillante in casa Gerkhan.
«Lo so cucciolo, adesso andiamo…» rispose Andrea chiudendo la borsa «Se solo tua sorella si muovesse! Aida? Sei pronta?» chiamò e la bambina più grande arrivò di corsa: «Ci sono, ci sono!».
Fecero per uscire, quando un guaito le fermò sulla porta. Mirtillo era seduto nell’ingresso, la testa chinata su un lato, gli occhi puntati sulla donna nel tentativo di impietosirla per non restare da solo a casa.
Andrea sospirò, alzò i grandi occhi chiari al cielo e fece cenno di uscire al cane, che non aspettava altro e capì immediatamente.
Così poco dopo i quattro si trovavano in macchina, diretti all’asilo e alla scuola delle bambine.
Rimasti poi soli lei e Mirtillo, Andrea lo guardò dispiaciuta, mentre quello si sistemava comodamente sul sedile anteriore: «Non posso portarti con me, devo andare fuori Colonia! Mia madre è allergica, lo sai, come faccio a non lasciarti da solo?».
Mirtillo mugolì scodinzolando e alla donna venne un’idea: «Aspetta, forse ho trovato come fare…».
Afferrò il cellulare e compose il numero di Ben, che rispose quasi subito: «Sì, Jager!».
«Ben, ciao, sono Andrea!».
«Andrea! Ciao, come va? Novità dall’ospedale?».
«Macchè! Hanno detto che mi avrebbero chiamato ma niente; ieri sera ci sono andata ma mi hanno detto di aspettare, che è ancora troppo presto. Comunque sembra che stia andando tutto bene. Senti, posso chiederti un favore enorme?».
«Dimmi tutto.».
 
Mezz’ora dopo Ben stava entrando al comando seguito da un grosso batufolo di pelo bianco e nero, che trotterellava appena dietro di lui. Fu fermato a metà del tragitto verso il suo ufficio dalla Englhardt, che osservava il cane a braccia conserte attendendo spiegazioni.
«Buongiorno,» esordì il ragazzo con un sorriso «sono un po’ in ritardo e… e questo è… Mirtillo. Sa, il cane di Semir, quello che hanno regalato ad Aida per il compleanno. Ecco… il problema è che non vuole proprio saperne di stare a casa da solo, Andrea non c’è e quindi…».
«E quindi lei ha pensato bene di portarlo in commissariato.» constatò il capo, per poi bloccare l’ispettore che già aveva aperto bocca nel tentativo di cercare qualche scusa plausibile: «Lo porti nel suo ufficio, non voglio vederlo in giro.».
Ben sussurrò un “grazie” prima di spingere Mirtillo dentro alla stanzetta, chiudendosi la porta alle spalle.
Il commissario guardò quella piccola creatura che si allontanava e, scuotendo il capo, non potè fare a meno di sorridere.
 
 
Poco distante…
 
 
«Dimmi che hai una buona notizia, ti prego!» esclamò il poliziotto vedendo entrare il dottore nella stanza con dei fogli in mano.
«Vediamo…» disse Armstrong con fare pensoso «ho una notizia buona, una ancora migliore ed un’altra che, conoscendoti, tu considererai pessima; da dove parto?».
«Dalla pessima.».
«Ci avrei giurato: ti ospiteremo qui per almeno un’altra settimana.» comunicò il medico.
Il paziente sospirò alzando gli occhi al cielo: «Ma…».
«Niente “ma”, Semir! Passiamo al resto: la notizia buona è che le tue ultime analisi sono praticamente perfette; quella migliore è che è finita la settimana di “isolamento”, potrai ricevere visite.».
Sul volto dell’ispettore si dipinse un gran sorriso: «Davvero?».
«Sì, le tue difese immunitarie ora dovrebbero proprio essere a posto.».
«E hai già…».
«Adesso avviso Andrea.» lo precedette il dottore.
«Grazie.» sussurrò Semir e l’uomo in camice bianco uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
Ben entrò aprendo piano la porta e la richiuse dietro di sé con altrettanta attenzione. Il silenzio che regnava in quella piccola stanza poteva sembrare quasi inquietante.
L’uomo seduto sul letto abbassò il giornale che aveva davanti al volto e sorrise nello scorgere l’amico che era appena entrato.
«Hai capito il mio socio che se la spassa qui leggendo giornali mentre io lavoro per due dalla mattina alla sera!» esclamò il nuovo arrivato avvicinandosi al collega.
«Ma com’è che tu sei sempre e comunque a lamentarti?» commentò Semir per tutta risposta.
Il più giovane sorrise. «Allora, come stai?».
«Bene direi, ma prima di una settimana qui di uscire non se ne parla.» sbuffò l’ispettore posando il giornale sul comodino accanto al letto.
«Oh, perfetto, giusto in tempo!».
«Giusto in tempo per…?» Semir aggrottò la fronte.
«Per fare da testimone durante il mio matrimonio ispettore-capo Gerkhan!».
«Glielo hai chiesto? Le hai chiesto di sposarla? Finalmente, era ora! Eh bravo il mio socio che sta per sposare la ragazza più bella di tutta la Germania, congratulazioni!».
«Grazie.» fece Ben. Non aveva altre parole. In effetti ancora non sembrava vero neppure a lui! Quei giorni si erano succeduti in fretta, erano stati confusi. Dalla festa di compleanno di Aida alla scoperta che Clara fosse incinta; il ricovero di Semir in ospedale, la proposta, il suo sì…
«Ma dimmi di te invece: Armstrong cosa pensa?».
«Dice che fino ad adesso è andato tutto bene, questa settimana servirà più che altro per osservazione. Comunque dovrei tornare ad avere una vita normale senza quegli orribili attacchi degli ultimi anni. Anche se in realtà…».
«In realtà?» lo incalzò il ragazzo leggermente preoccupato.
«In realtà Albert dice che dovrei… che… che insomma, il mio lavoro non sarebbe proprio il massimo dopo quello che ho passato. Voglio dire, lui consiglia di…» Semir abbassò lo sguardo senza finire la frase. La possibilità di non poter più riprendere a lavorare come un tempo gli era già stata ventilata dal dottore, fin dall’inizio. Lui però aveva sempre cercato di non pensarci, sperando che sarebbe andato tutto per il meglio.
Ben deglutì. Sapeva cosa significava il lavoro per il suo collega e sapeva anche quanto per lui fosse impensabile l’idea di dover abbandonare la polizia. Per un attimo rimase in silenzio, senza trovare parole di conforto. Aveva paura di sbagliare. E non parlò.
«Comunque bisogna vedere, per ora pensiamo al tuo matrimonio.» continuò il turco «Allora, come vanno i preparativi?».
 
 
Dieci giorni dopo…

 
«Ben Jager, vuoi accogliere Clara Offback come tua sposa nel Signore, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?».
«Sì.» l’ispettore rispose senza esitazione alla domanda che gli pose il sacerdote.
Ammirò la sua futura sposa mentre con timidezza aspettava che la domanda venisse rivolta anche a lei. Era bellissima.
Poco distante da lui Semir assisteva alla cerimonia sotto il ruolo di testimone.
«Clara Offback, vuoi accogliere Ben Jager come tuo sposo nel Signore, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?».
C’era silenzio nonostante la chiesa fosse gremita di gente. Forse troppo silenzio.
Passò qualche attimo e Clara non rispose. Ben scrutò lo sguardo di lei senza capire. E lei abbassò il suo.
“Sì”. Era così facile. Erano due lettere così semplici da pronunciare. Eppure Clara non ci riusciva. Sentì la tensione crescere tra chi assisteva nel giro di pochissimi attimi.
Non poteva.
Sentì il sacerdote ripetere una seconda volta la domanda rivolto verso di lei.
Si sfiorò il ventre pensando al bambino e fu allora che capì. Capì cosa la bloccava. Capì cosa non l’aveva fatta dormire durante quelle notti, cosa le impediva di pronunciare quelle due lettere.
Aveva paura.
Aveva paura per il suo bambino. Aveva paura di svegliarsi un giorno e dovergli spiegare che papà non c’era più. O che l’avrebbe dovuto fare Ben. Aveva paura del loro lavoro. Aveva paura di non farcela. Aveva una paura tremenda.
«Signorina?» la apostrofò il prete in un sussurro, senza farsi sentire dall’assemblea.
Sentì il padre del poliziotto di fronte a lei agitarsi sulla panca appena dietro di loro; scorse l’espressione disorientata di qualche invitato e la fonte corrucciata di sua madre.
«Clara.» la chiamò Ben.
Lui capiva. Ne era sicura. Alzò lo sguardo e lo fissò, si immerse per un attimo nei suoi grandi occhi scuri. Lui capiva. E lui era pronto a correre il rischio.
«Clara…».
Doveva solo fidarsi, infondo. Doveva avere il coraggio di rischiare con lui.
Le sorrise.
Lei ricambiò il sorriso, richiamando indietro le lacrime che già avevano cominciato ad inumidirle gli occhi.
Lo amava. Amava lui e amava il loro bambino. Per questo avrebbe rischiato: per amore.
«Sì.».
E quella sillaba si alzò nell’aria chiara e sincera.

“Sì…”…
 
 

 The End




Bene. Considerando che vi ho promesso la continuazione di “Il gioco dell’uomo senza volto” circa quattro mesi fa tempo proprio di dovermi scusare per il ritardo. Pardon!
Tra scuola, vacanze e poca ispirazione non sono riuscita a concludere niente ma finalmente adesso eccomi qui, questa volta con una semplice one-shot. Una storia che in realtà mi serve semplicemente come anello di passaggio tra la ff precedente e quella che sarà la conclusiva della serie (che arriverà con un po’ meno di attesa, promesso!). Questa non era quindi niente di che ma era necessaria per il procedere della trama.
Che dire? Ben e Clara sposati, Semir (forse) guarito e Mirtillo già inserito nella squadra… cosa volete di più?
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, un grazie particolare a chi vorrà commentare e ancora un grazie a chi ha seguito le storie precedenti, dandomi la spinta per continuare la serie.
Un bacio, alla prossima storia!
Sophie ;D

  
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