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Autore: ManuFury    15/08/2013    15 recensioni
(...) “Anch’io ti amo. Tanto. Da impazzire.” Avvicino le mie labbra alle sue, ancora incurvate a sorridermi.
“Mi amerai sempre?” Mi chiede come conferma.
“Per sempre.”
Mi ritrovo di colpo alla realtà, niente più zuccheri e arcobaleni. (...)
Un altro cazzo di brandello della mia vita.
(Ho partecipato al Contest "Circoli e Salotti" indetto da WhatHasHappened... il Circolo si classificato Quarto a pari merito... mentre la storia si è classificata Terza nel Salotto)
(Terza Classificata al Contest "Slash Vs Het" indetto da Lady.EFP + Vincitrice del Premio "Miglior Personaggio Introspettivo")

(Quarta Classificata al Contest: "Il meglio di me" indetto da Lilith in Capricorn)
(Ho partecipato al Contest: "Summer Contest per storie edite" indetto da My Pride)
(Settima Classificata a parimerito con corrienonfermarti al Contest: "Voglia di sognare" indetto da Giulia____)
(PRIMA Classificata al Contest: "Romance in Pain-" indetto da LoveSomebody)
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fratres in Armis'
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[Terza Classificata al Contest: "Slash Vs Het" indetto da Lady.EFP & Vincitrice del Premio Speciale: "Miglior Personaggio Introspettivo"]
[Questa storia ha pertecipato al Contest: "Circoli e Salotti" indetto da WhatHasHappened]
[Quarta Classificata al Contest: "Il meglio di me" indetto da Lilith in Capricorn]
[PRIMA Classificata al Contest: "Romance in Pain-" indetto da LoveSomebody


FOREVER

 
Espiro del fumo che sale in una splendida spirale verso il soffitto del locale, perdendosi poi tra le dense nubi di decine di altre sigarette, sigari e Dio solo sa cos’altro.
C’è confusione attorno a me: un caos indescrivibile di urla, canzoni stonate cantate a squarciagola e imprecazioni che sono quasi al pari delle mie. D’altronde, in una bettola come questa non ci si può aspettare altro. È strano come, appena uscito dalla galera, questo sia il primo posto che ho deciso di visitare: non sono andato dalla mia famiglia, non ho cercato di rintracciare i bastardi che mi hanno spedito dentro, non ho provato a fuggire, sparendo per sempre dalla circolazione.
Tra mille cose che potevo fare, sono venuto qui.
Perché poi?
La vodka fa schifo ai porci, il locale stesso sembra un porcile e i suoi frequentatori non sono da meno, ma è come se non vedessi niente. Non sento il gusto aspro dell’alcool che sto trangugiando, non vedo lo squallore che mi circonda: i mobili a pezzi, la carta da parati stracciata, le bottiglie rotte e le pozze di vomito secco che coprono il pavimento e nemmeno sento le imprecazioni, le risse in corso, le risate e chissà che altro.
È come se… ci fossi e non ci fossi allo stesso tempo.
Siedo in un angolo, il viso abbassato al mio bicchiere mezzo vuoto di vodka quasi giallastra, che sembra tanto piscio di gatto fermentato, una sgradevole sensazione di sbagliato addosso.
Come quella volta. Penso e mi ritrovo a sorridere, non uno dei miei soliti sorrisi strafottenti, ma uno che riassume tutta la mia amarezza al ricordo del perché sono qui e non in un altro posto.
Speravo quasi di rivederla.
Sento più amaro sulle mie labbra, che pensiero stupido sperare di ritrovare una perla in questo porcile. Dovrei tirare una testata contro il muro già solo per averlo pensato.
Sarà lontana chilometri da qui, magari con una vera al dito e qualche marmocchio che corre per casa, ma non una di queste, una di quelle belle villette in centro città.
Sono passati più di quattro anni. In fondo, è possibile, niente resta uguale, niente è per sempre.
Sento una leggera fitta al petto e mi ritrovo a darmi ancora una volta del coglione per essere venuto qui. Forse non pensavo di essere assalito da tutti questi ricordi che credevo svaniti come il fumo della mia sigaretta.
Non importa, sono un coglione e basta. Discorso chiuso.
Spengo il mozzicone sul bancone e pago per quello schifo di vodka che non ho nemmeno avuto il coraggio di finire.
Faccio per uscire e schivo giusto in tempo una bottiglia vagante spuntata dall’ennesima rissa, di quelle cui amavo fare parte fino a qualche anno fa, ma che adesso non mi suscitano più nulla.
Esco e mi ritrovo ad alzare gli occhi argentati al cielo dal quale cadono minuti fiocchi di neve, piccole lacrime congelate. Alzo una mano e queste si depositano sul mio palmo chiaro, sciogliendosi subito dopo al calore del mio corpo.
Sorrido, senza una vera ragione. Arrivano altri ricordi che sono lieti: di un’estate calda e di un cielo così azzurro da sembrare finto, c’erano altre lacrime che cadevano dal cielo, ma non erano gelate, erano liquide e fresche, leggerissime come carezze. Mi portano alla mente la nostra prima volta.
Sono ricordi di giorni allegri che, se sulle prime mi rendono felice, un attimo dopo mi procurano altre fitte nel petto al ricordo di quello che è perduto.
Possibile che mi sia rammollito così tanto solo per essere entrato in un fottuto locale della malora? Che mi faccia trascinare così facilmente dai ricordi? Che ne possa soffrire in questo modo?
Vedo altre immagini confuse, come fotografie non a fuoco che tendono a dissolversi, senza farlo del tutto. Mi paiono come una malattia mortale in attesa, ferma e immobile come una predatrice che attende paziente solo il momento migliore per…
“Scusami.” Dice una voce sensuale al mio fianco che quasi, e dico, quasi, mi fa sussultare per quanto è inattesa.
Mi volto lentamente, un po’ scocciato per quella brusca interruzione dei miei ragionamenti da poeta del cazzo, ma anche incuriosito da quella nota attraente che scaldava quella bella voce. Quando la vedo, mi è impossibile controllare i muscoli del viso, soprattutto quelli che reggono la mandibola, tanto che questa cede lasciandomi a bocca aperta. Devo aver respirato qualcosa di forte in quel locale, qualche droga pesante se ho certe… visioni.
Davanti a me la scruto, esattamente come l’ho vista quella sera, la prima volta che l’ho incontrata. Sempre così bella e fresca come una rosa appena sbocciata, con quelle labbra rosse e carnose che sembrano un cuore perfetto, quegli occhi scuri e stupendi, brillanti come stelle e i capelli, lunghi e lisci slegati sulle spalle che sembrano una cascata nera.
Non parlo, ma riesco a pensare. Riassumo le mie considerazioni e mi vengono in mente poche parole, le stesse di prima: poeta del cazzo.
Nonostante tutto, il mio smarrimento dura pochi attimi e mi riprendo subito. Sfoggio il mio sorriso migliore e così anche la mia dentatura, rimasta perfetta e smagliante.
“Dimmi tutto, bellissima.” Sono sempre stato bravo a rimorchiare e non devo aver perso il mio tocco dato che lei sorride di rimando.
“Oh, che gentile. Volevo chiederti, sai di qualche discoteca nei dintorni?” Una ragazza che ama divertirsi, ma ha sbagliato zona. Qui in periferia nemmeno sappiamo cosa sono le discoteche.
“Mi dispiace carissima questo è solo uno schifo di bar e di discoteche non se ne incontrano per chilometri. Dovresti andare in centro, lì c’è più movimento.” Le rispondo con galanteria. Se è venuta in una zona come questa a cercare una discoteca non dev’essere del posto e dieci a uno non sa nemmeno dove si trovi il centro, quindi…
Lei sbuffa sonoramente. Evidentemente ci ho visto giusto.
“Se vuoi, ti accompagno io, gira brutta gente qui, sai?” Propongo con il mio tono più mieloso e ammiccante. Il mio approccio è leggermente diverso da quello di anni fa, quando ero bravo a rimorchiare, ma certamente meno audace.
Certamente meno audace?! Che stronzata pazzesca! Con lei sono stato un totale incapace, ancora sento il rossore che aveva colorato le mie gote solitamente pallide. La gola secca come il deserto, la lingua impastata in bocca come cemento in una betoniera e sudore gelido che m'imperlava la pelle e correva viscido sulla schiena. Mai avevo provato certe emozioni, mai prima di allora. Nonostante tutto lei mi aveva sorriso e aveva detto…
“Sempre più gentile. Signore…?”
Sorrido vittorioso come potrebbe fare un gladiatore dopo aver vinto uno scontro. È mia.
Di nuovo.
“Signore è per i vecchi. Sono Serapion. E tu?” Fa che si chiami Danila, prego mentalmente.
“Ada.” Pronuncia, piegando amorevolmente quelle labbra a cuore in un modo così dolce, così simile. Nome sbagliato ma corpo giusto, cercherò di ricordarmelo, anche se ho come la sensazione che passato e presente inizino a confondersi. Il mio cervello ancora sottosopra per l’incontro si ritrova a fare strani paragoni. Ieri e oggi. Quattro anni fa e adesso.
Incredibile come le cose cambino restando le stesse.
Mi aggiusto la giacca e le porgo il braccio.
Gli stessi gesti di allora.
La accompagno lungo il vicolo a fianco di questo posto orrendo. Sembra accettare di buon grado la mia galanteria e la mia compagnia. Insieme ci avviamo.
Dopo solo qualche metro, inizia a parlare di sé. È qui in vacanza, mi dice. La mia mente, invece, vola indietro, a un’altra voce, a un corpo del tutto simile ma con un nome diverso che mi dice che qui ci è nata. Le piacciono i tatuaggi, mi dice osservando quelli al mio polso e sul collo. Mentre l’altra voce loda la mia pelle liscia. Una sì, l’altra no. Bianco e nero.
È come trovarsi in mezzo a due ragazze diverse che non si vedono l’una con l’altra, mentre io le sento tutte e due, ma a mia volta mi trovo sdoppiato: il ragazzo di allora e quello di adesso. Ammetto che tutto questo farebbe gola a uno strizzacervelli, ma non credo che ne parlerei mai, nemmeno sotto tortura. Sarebbe come firmare una dichiarazione in cui ammetti di essere pazzo e di voler essere rinchiuso in una cella di cui si può buttare via la chiave.
I miei occhi sono per Ada ed è incredibile come la mia mente inizi a plasmare il suo viso: abbassando leggermente gli zigomi un po’ troppo alti, arrotondando il contorno del viso, limando solo leggermente la punta del naso.
In un attimo è lei.
Lei, completamente.
Sto impazzendo, me lo sento.
“Sto impazzendo, per te.” Sento la mia voce di anni prima parlare come se lo facesse ora, come se dischiudessi solo adesso le labbra per dare fiato alle mie corde vocali.
Il culmine arriva quando, giunti nell’ennesimo vicolo, di quelli lunghi e stretti da obbligarci quasi a essere spalla contro spalla, ci fermiamo in contemporanea. Lei mi sorride, facendo scendere una mano al cavallo dei miei pantaloni. Per istinto sorrido a mia volta e la spingo leggermente contro il muro, alle sue spalle.
È in questo momento che passato e presente si fondono del tutto, mentre la spoglio: non sento la pelliccia bianca che indossa Ada, ma avverto la corta maglietta di cotone verde sotto le mie dita, quella di Danila. Non cade la neve attorno a noi, ma la pioggia, quella lieve e fresca di primavera. E quando vedo il torso nudo di Ada, i miei occhi cancellano il piccolo tatuaggio a forma di sole che ha al centro del petto, lasciando la pelle completamente liscia come quella di Danila.
Danila.
Lei e il suo bel corpo candido, mai toccato da altri, solo dal mio. La sua pelle bianca e profumata che chiedeva solo carezze mai ricevute che io le ho dato. Il suo visino dolce, dai lineamenti morbidi, che arrossiva alla nostra prima volta.
In questo stesso vicolo che ho deturpato con questa sconosciuta.
Perché il suo cazzo di ricordo continua a tormentarmi? Perché non riesco più a liberarmene?
Sto veramente impazzendo?!
“Sto impazzendo, per te.”
In prigione non ho quasi mai pensato a lei.
Era qualcosa che giudicavo troppo lontano, qualcosa d’irraggiungibile, almeno per me, una colomba che vola oltre le sbarre della mia cella, troppo lontana dalla mia portata. A forza di non pensarci era diventato un ricordo in dissolvenza. Un’altra cosa che ho perso, così come ho perso mazzi di chiavi e portafogli.
Ci ho provato, ho provato a tenerla, ma mi è scivolata dalle dita così come dalle dita mi scivolano i lunghi e lisci capelli di Ada, quando ci affondo dentro le mani bagnate. Con quelli di Danila era un’altra storia, avevano alcuni piccoli nodi e non riuscivo mai a far scorrere bene le dita.
Trattengo il fiato e chiudo gli occhi.
Perché questi ricordi continuano ad assillarmi? Perché sono così vivi e reali davanti ai miei occhi chiusi?
Prendo fiato, ormai nudo di fronte ad Ada, a sua volta senza più vestiti. Mi avvicino a lei lentamente, passandole le mani sui fianchi.
Come ho fatto quella volta.
Mi esce un sospiro dalle labbra quando sono completamente vicino a questa ragazza di cui so solo il nome.
Che è sbagliato.
Tutto questo mi è mancato in prigione, l’atto materiale del fare l’amore. In quel periodo c’erano solo novellini che s’inginocchiavano davanti a me per qualche lavoretto veloce oppure ero io stesso a inginocchiarmi davanti a qualcuno dei miei “capi”. Niente di tutto questo, però. C’era piacere, ma era malsano e falso come uno zircone spacciato per diamante.
Mi sento bruciare, come se avessi delle ferite che non si vogliono chiudere sul mio corpo tatuato mentre mi avvicino di nuovo a quello candido di Ada. Nuovi ricordi arrivano come una scossa nella mia mente, terribilmente nitidi.
Non faccio nulla per scacciarli, non più. Ormai so di essere pazzo.
Io la guardo e lei mi guarda. Sorridiamo, i visi arrossati per il caldo e lo sforzo, per il piacere potente che stiamo provando assieme.
Insieme.
Quanto è bella questa parola, credo che non smetterò mai di ripeterla, non con lei.
Ada alza gli occhi verso di me, sorridendo con il più bello dei sorrisi. Le sue labbra a cuore sono socchiude a prendere aria. Alza una mano…
Me la passa tra i capelli corti, aggiustandoli un poco. Ha una deformazione professionale per i capelli, dovuta al suo mestiere di parrucchiera.
… ad accarezzarmi la schiena, non mancando di rigarla appena con qualche graffio che si fa sempre più profondo, mano a mano che la nostra passione aumenta. Cresce anche il volume dei miei lamenti, dovuti a quei graffi, alla forza con cui mi ritrovo a muovere il bacino.
Vedo le sue labbra dischiudersi…
“Sery…” mi chiama, con la voce corrotta dalla stanchezza. È così dolce e fragile che mi fa venir voglia di abbracciarla per non lasciarla mai più andare. La avvicino al mio corpo, per sentirla ancora su di me, legata a me. Insieme a me.
Così come uniti sono i nostri corpi, avvinghiati, strettissimi l’uno a quello dell’altra. Surriscaldati dal piacere, coperti di sudore. I miei occhi sono solo socchiusi, quasi come quelli di un cinese: intravedo solo una piccola porzione del suo viso. Le sue labbra, in particolare. Le vorrei tanto baciare, ma vedo che si dischiudono di nuovo quando io sono più vicino.
“Ti amo.” Sussurra.
Il mio cuore aumenta i suoi battiti, se fosse collegato a una qualche macchina, sicuramente impazzirebbe per quanto forte sta martellandomi nel petto. Sento una battaglia di emozioni dentro di me, l’una più forte dell’altra, ognuna diversa dall’altra. È il caos più totale nella mia testa, tanto che il porcile da cui arrivo pare un’ordinata base militare.
Sto ancora combattendo, per arginare i ricordi, ma non ci riesco.
Sorrido, in imbarazzo, sicuramente, non il mio solito sorriso di scherno agli insulti. Il mio sorriso vero, quello che mi mette a nudo più di ogni altra cosa. Non lo sfodero spesso, forse non l’ho mai fatto per paura di essere considerato debole o chissà cos’altro. Ora, invece, sono orgoglioso di poterlo fare, di fronte a questa splendida ragazza.
“Anch’io ti amo. Tanto. Da impazzire.” Avvicino le mie labbra alle sue, ancora incurvate a sorridermi.
“Mi amerai sempre?” Mi chiede come conferma.
“Per sempre.”
Mi ritrovo di colpo alla realtà, niente più zuccheri e arcobaleni. Niente più Danila. Solo uno spoglio vicolo in cui sto facendo l’amore con una ragazza che non conosco e che si sorprende di queste mie parole. Ne rimane scandalizzata, glielo leggo in viso.
Forse crede che io sia pazzo. Ha ragione. Sono pazzo.
Sono un folle ad aver creduto che qualcosa può durare per sempre. Niente dura per sempre. Niente.
E poi sono un coglione per aver messo a nudo me stesso davanti a una donna, per aver aperto il petto a mostrare il mio cuore solo per ricevere una coltellata che mi ha fatto un male indescrivibile.
Sento di odiarmi e di odiare ogni suo ricordo mentre muovo con più velocità il mio bacino.
Ora i miei flashback hanno un senso, riesco a riordinarli per ricostruire la nostra storia. Come se avessi trovato un vecchio libro di fotografie buttato sul fondo di un cassetto, coperto da maglie che non uso più da anni.
Immagini mi scorrono in testa una dopo l’altra: Danila ed io in quel locale la prima volta che ci siamo visti, lei che arrossiva così dolcemente e si tormentava le mani ogni volta che i miei occhi si posavano su di lei. Le mie esitazioni e poi il mio corpo che, una sedia alla volta, le scivolava vicino, sempre più vicino. Le nostre mani che si sfioravano. Poi le nostre le labbra, appena bagnate da una lieve pioggerella primaverile che inzuppava i nostri vestiti. Dopo ancora i nostri corpi che si univano in questo stesso vicolo. I nostri cuori che battevano allo stesso tempo, quello della nostra passione che mai sarebbe sfumata. Così pensavo all’epoca. C’erano ancora le giornate perse a pensare solo a lei, al momento in cui l’avrei rivista. Le attese infinite davanti ai fiorai, aspettando con pazienza l’ora di chiusura, in cui si buttavano nei cassonetti i fiori appassiti che io raccoglievo e rinfrescavo sotto qualche getto d’acqua fresca per riportarli un po’ alla vita, così da non presentarmi mai a mani vuote. E ancora le mie mani strette alle sue. I nostri sguardi che si cercavano e il mio cuore che perdeva la sua regolarità quando la vedeva.
E le nostre promesse: di stare assieme... per sempre.
Tutto questo non è stato che un bel sogno d’estate.
Sono sempre famoso per rovinare le cose belle. Ho rovinato tutto quella sera, quando la pioggia cadeva e quella pistola mi pareva così pesante. Potevo tirarmi indietro, ci ho anche pensato mentre il suo nome mi vorticava in testa. Invece non l’ho fatto e ho premuto il grilletto uccidendo per sempre i nostri sogni, spezzando le nostre promesse.
Sento ancora lo sparo che mi riecheggia in testa e mi ritrovo di nuovo a contatto con la realtà.
Mi accorgo che Ada ed io abbiamo finito. Lei è ancora rossa in viso, ma già rivestita. Io indosso solo i pantaloni, come ho fatto a rimettermeli è un mistero che mai svelerò.
È stato bello? Non lo so, mi sento comunque svuotato, come se non fossi stato io a possedere questo corpo, a sudarci sopra. Sono solo uno spettatore che ha assistito da lontano senza provare nulla.
Lei mi parla. Non l’ascolto. Ho staccato la spina come quando stavo facendo l’amore con lei. Annuisco solo, a dare una parvenza di attenzione e ritorno alle mie riflessioni.
Dovevamo stare assieme per sempre. Per sempre. Allora perché in prigione non ho mai ricevuto una sua visita?
Nemmeno una. Sono certo che lei sapesse che ero lì. Perché non è venuta a confortarmi? Perché mi ha lasciato solo?
Sono domande che non credo che troveranno mai risposta. Mi accorgo di sentirmi quasi alla stregua di un giocattolo ormai rotto, sostituito in fretta con uno nuovo. Devo essere stato usato, sicuramente. Una semplice avventura estiva, un divertimento, uno svago. Questo mi fa male e mi ricorda perché mi nascondo dietro la mia solita strafottenza, per non dimostrare quanto sia in realtà debole di fronte a certe situazioni.
Ada è ancora di fronte a me, ancora parla, ma non la capisco. Parla in una lingua che non riesco a comprendere: sento solo frammenti di discorso, spezzati e irregolari mentre mi guardo attorno, in questo vicolo che ha visto la nascita e la fine del mio amore per Danila.
Ripenso a noi due e di nuovo il ricordo mi fa male, devo smetterla. Farla tornare una figura indistinta, ormai troppo lontana per poterla toccare o rendere di nuovo mia.
“… per sempre?” Non sono certo di chi me l’abbia detto, se Danila o Ada. Nemmeno m’interessa. Altre emozioni contrastanti si azzuffano nel mio petto, le mie mani si muovono a cercare le sue, il mio cuore sembra impazzito. È un attimo e arriva la consapevolezza che non siamo in una favola: questa è la vita vera, pronta a morderti appena abbassi la guardia.
Sorrido ancora, non so nemmeno perché e vedo una ragazza sdoppiata di fronte ai miei occhi, mi domando se per lei sia lo stesso: se vede il Serapion di adesso e il Serapion di allora. Ancora una volta non m’importa perché mi rendo conto di una cosa: da giovani è facile confondere le cose.
“Per sempre. – Le rispondo, anche se sono confuso, anche se non so che mi abbia chiesto. – Per sempre.” Ripeto.
Perché qui un per sempre corrisponde a un non per molto.
Non cercherò mai più di amare per sempre… amerò ancora, ma non per molto.
Avvicino le labbra per baciarla e un nuovo pensiero sfiora la mia mente, ora come ora tranquilla, sgombra come la superficie perfetta di un lago.
Che poeta del cazzo che sono.
 
 
 

***
 
HOLA! ^_^

 
Eccomi, eccomi! Vi sono mancata?
*Silenzio di tomba*
Mmmm… va bene, non importa. ^^’’
Torno con il seguito di “Prison” e “The Turning Point” con protagonista, come sempre, il caro Serapion alle prese con i suoi ricordi d’amore perduto. Ammetto che non ho fatto accenni alla squadra di cui fa parte, ma lo farò presto, lo prometto! (Sempre che io riesca a passare il turno, ovviamente.).
Che dire? Ammetto che è un po’ incasinata, ma sono reduce da lettura di Stephen King che è un vero amante dei flashback nel mezzo della narrazione e spero di aver seguito bene le sue idee, fatemi sapere, se volete.
Altro…?
Oh certo, la storia (come le precedenti) è scritta per il Terzo Turno, quello dell'Amore, del Contest a Turni “E tu chi scegli?” indetto da _Aras_.
Inoltre parte dell’ispirazione è arrivata grazie alla Challenge “La Sfida dei Duecento Prompt” indetta da msp17, con il Prompt 162) Vicolo.
Scritta inoltre sulle note di “Un’altra cosa che ho perso” Articolo 31 e “Non ci pensi mai” di Fedez.
Incrociate di nuovo con me le dita e fatemi sapere che ne pensate, ok?
A presto! ^^
ByeBye
 
ManuFury! ^_^
 

 

Questa storia ha partecipato al Contest: "Summer Contest per storie edite" indetto da My Pride

Questa storia ha partecipato al Contest: "Voglia di sognare" indetto da Giulia____ classificandosi SETTIMA a parimerito con corrienonfermarti

Questa storia si è classificata SESTA al Contest: "Will you still love me when I'm gone?" indetto da Stareem

  
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