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Autore: shanna_b    22/02/2008    11 recensioni
Marte brilla nel cielo.
E io devo credere.
Ispirata alla scena del bacio di Shannon Leto nel video di "The Kill" e alla passione dei 30 Seconds To Mars per la fantascienza (specialmente nel primo album omonimo). E' la mia prima fan fiction pubblicata.
Genere: Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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            Quella mattina, quando mi svegliai, Shannon non era lì con me.

Il letto era vuoto ed i suoi vestiti erano spariti. La debole luce mattutina filtrava attraverso le sottili tende blu e la stanza del motel era in penombra. Di lui erano rimaste soltanto, sul cassettone vicino alla porta, le rose rosse che mi aveva regalato la sera prima, un po’ appassite, ma che sembravano emanare ancora il loro profumo delicato. Toccai il cuscino dove aveva dormito, lì accanto a me: era ancora caldo. Se n’era andato da poco, dunque. E non mi aveva svegliata. Accidenti.

Era un po’ di tempo che ci frequentavamo, ma quella era la prima volta che facevamo l’amore. Dopo una romantica cena a lume di candela, avevamo deciso che era giunto il momento, dopo tanto tempo e miriadi di baci appassionati. Avevamo scelto un motel fuori città, piccolo e poco frequentato, ed era accaduto tutto perfettamente come doveva accadere. Ma, a quanto pareva, non tutto aveva funzionato a meraviglia. Qualcosa non era andato bene e lui mi aveva lasciata lì. Da sola.

Nonostante questo, io non volevo andarmene di lì. Ero amareggiata e molto, ma non volevo, anzi non potevo andarmene così da quella stanza. Non era giusto, e non ne avevo voglia, che fosse già finita, non in quel modo brutale. Avevo immaginato di svegliarmi tra le sue braccia ed invece…

Decisi di farmi una doccia e di aspettare ancora un po’ per godere della piccola intimità di quel luogo e dei dolci ricordi che ancora aleggiavano nell’aria, dei sospiri, delle parole. Casa mia mi sarebbe sembrata ancora più fredda e vuota.

            Andai in bagno, mi infilai sotto la doccia e lasciai che l’acqua calda scorresse su di me, portando via il profumo di Shannon e le tracce delle sue carezze.

            Quando uscii mi avvolsi in un asciugamano bianco e cominciai a pettinare i miei lunghi capelli davanti allo specchio del bagno, combattendo con l’umidità che tentava di cancellare la mia immagine.

            Ad un tratto sentii bussare: sospirai di sollievo. Sapevo già chi era, ma potevo tranquillamente recitare la mia parte.

            “Chi è?” dissi, avvicinandomi alla porta.

            “Shannon.”

            Aprii la porta e lui entrò.

            Indossava la sua divisa nera ed era bellissimo. I suoi occhi di un colore indefinito, forse verdi, forse marrori, si posarono su di me facendomi scorrere un brivido sulla schiena. La barba appena accennata era castana, come i suoi capelli, corti e irti. Il suo sorriso era unico, dolcissimo.

            “Scusami. C’è stata un’emergenza. Sono dovuto andare via.” Disse, chiudendosi la porta alle spalle.

            Sorrisi anch’io, sollevata: “Non importa. L’importante è che tu sia tornato.” Non era andato via perché non mi voleva bene. E questo mi bastava.

            “Sì, ma con la paura di non trovarti più.”

            Non risposi, ma mi limitai ad aprire le braccia. Lui avanzò verso di me e mi mise le mani sui fianchi, stringendomi a sé, contro il suo corpo muscoloso. Poi appoggiò le labbra sulle mie e mi baciò.

Avrei voluto che si togliesse la divisa come era avvenuto la sera prima e che mi portasse ancora sul letto, ma lui si staccò da me e, guardandomi in viso, disse: “Come nelle migliori tradizioni, ho due notizie, una buona e una cattiva. Quale vuoi sentire per prima?” Sembrava preoccupato, i suoi occhi si erano fatti torvi, le sopracciglia aggrottate.

“Quella  cattiva”, gli risposi “ perché così quella buona mi sembrerà ancora più buona.”

Lui sollevò una mano per spostarmi una ciocca di capelli bagnati dal viso, sorridendo debolmente: “Pensavo avresti scelto quella buona per prima, così quella cattiva ti sarebbe sembrata meno cattiva.”

“Dai, dimmi cosa c’è.”

“Devo andare via per sei mesi. Forse non potremmo sentirci perché dove vado le comunicazioni sono precarie per non dire inesistenti. Inoltre devo partire immediatamente, nel giro di mezzora o anche meno.”

Abbassai gli occhi, sconfitta, e sospirai. Certo, non ci voleva, ma dopotutto non era la fine del mondo, era il suo lavoro che lo portava spesso lontano da me, purtroppo.

“E la notizia buona?” gli dissi, speranzosa.

“Quando torno voglio sposarti. Mi concedono un riposo di tre mesi durante il quale vengo da te e ci sposiamo. Tu sei importante per me e non voglio perderti.” Improvvisamente un’ombra gli passò sul bel viso. “Ovviamente se vuoi. Tu vuoi sposarmi?”

“Ma certo, Shannon!” Gli risposi convinta. “Sicuramente, non potrei desiderare di avere un marito migliore.”

Lo baciai sulle labbra nuovamente, accarezzandogli il viso, mentre lui mi stringeva forte. Poi abbandonai la testa sulla sua spalla e restammo abbracciati così per un po’, in mezzo alla stanza.

“Purtroppo, ora devo andare.” mi disse, appoggiando la sua fronte alla mia, “Devo preparare delle cose prima dell’imbarco.”

Ci staccammo con rammarico, tenendoci per le mani per un momento.

“OK. Vai. A presto, amore mio.”

“No. Vai tu.”

“Va bene. Ciao, Shan.” Afferrai l’asciugamano e me lo sfilai di dosso. Mentre lo gettavo per terra e vedevo lo sguardo stupito di Shannon, dissi “Sganciare!”

Non vidi mai l’asciugamano arrivare a terra. La stanza d’albergo svanì e così il mio uomo. Mi ritrovai nella mia camera da letto, nel mio letto, con i sensori della realtà virtuale attaccati al mio corpo e collegati al computer.

Li staccai e mi girai verso la console. Il video lampeggiava. Lo toccai e mi ritrovai faccia a faccia con Shannon.

“Ciao, amore mio.” Mi disse sorridendo, agitando il dito indice, come a farmi una ramanzina. “Sei stata birichina, bello scherzo… sparire così…”, si mise a ridere di gusto.

Gli restituii un sorriso malizioso: “Me l’ha detto lei, Capitano, di andarmene ed io le ho prontamente obbedito.”

“Sei tremenda.”

“Mi raccomando, stai attento. Dove sei diretto?”

“Asteroidi tra Marte e Giove. Dobbiamo passarne in rassegna un po’ per vedere se sono adatti all’utilizzo estrattivo. Insomma, una passeggiata, più lunga che pericolosa.”

Storsi il naso, poco convinta: “Non sei capace di mentire: forse dovevi dire più pericolosa che lunga.”

Sorrise, sentendosi scoperto, e tentò di cambiare argomento: “Tu che farai?”

“Tra quattro mesi ho finito questo lavoro sulla Luna e ritorno finalmente sulla Terra. Dove ti aspetterò con impazienza.”

Vidi Shannon girarsi di scatto verso la porta della sua camera mentre la sirena avvertiva dell’imminente partenza dell’astronave.

“Devo andare.” Disse, quasi alzandosi dalla sedia. “In plancia hanno bisogno di me.”

“A presto.”

“Arrivederci, cara.”

“Ti amo, Shan.”

“Anch’io ti …”

La comunicazione si interruppe ma in cuor mio speravo che anche lui mi avesse detto “Ti amo”.

Restai per un attimo a fissare il monitor ormai nero. Poi sospirai e spensi il computer. Era stato tutto molto bello ma…

Nonostante tutto, un certo senso di amarezza abitava dentro di me: in realtà, io Shannon non lo avevo mai toccato né baciato, anzi non lo avevo proprio mai incontrato. Lo avevo conosciuto, come ormai avveniva normalmente anche per gli altri esseri umani sparsi per il sistema solare, per via telematica, navigando per la Rete.

Non sapevo se quello che avevo sentito fossero le sue mani, le sue labbra o solo onde elettromagnetiche che attraversavano alla velocità della luce la distanza che ci separava, i miliardi di chilometri di spazio vuoto tra Marte e la Luna.

Non sapevo nemmeno che viso avesse. Magari quello che credevo di avere visto non era il vero Shannon. Ma qual era il vero Shannon? Poteva anche essere che l’uomo che amavo non  esistesse affatto, fosse solo un sogno, un virus dentro il mio computer, un insieme di bit che giravano vagabondi per il cosmo.

Rischiavo la paranoia. Non dovevo pensarci. Dovevo credere che fosse stato tutto vero, che non fosse un imbroglio. Dovevo fare come facevano tutti gli altri. Certamente i programmi per la realtà virtuale erano controllati e ricontrollati, blindati, sicuri, erano stati fatti apposta per consentire alle coppie lontane per tanto tempo di stare insieme almeno virtualmente, erano praticamente perfetti,  ma…

Ma non avrei avuto pace finchè non lo avessi visto in carne ed ossa e non attraverso un computer. E avrei dovuto aspettare sei lunghissimi mesi.

Oppressa da questo pensiero, con fatica mi alzai per andare a vestirmi, per andare ad infilarmi la mia, di divisa. Era tempo di andare a lavorare in laboratorio. Feci mestamente colazione ed uscii dalla mia stanza che ormai veramente mi sembrava quasi lugubre, una delle tante presenti nella base lunare, un loculo da cui fuggire il più velocemente possibile, senza girarsi indietro.

Camminando per il corridoio guardai dalle finestre, distratta, la grigia e butterata superficie lunare sotto di me. Completamente spoglia, era ancora rischiarata dalle luci al neon della base, dato che il sole non era ancora sorto.

Ma improvvisamente e senza sapere perché, puntai lo sguardo verso il cielo nero e, con sorpresa, mi bloccai e mi appoggiai alla finestra per guardare meglio. E allora capii che dovevo, dovevo credere.

Shannon esisteva. E mi amava, veramente.

Perché, come un rubino rosso sangue appoggiato sul velluto, vedevo Marte brillare alto nel cielo nero trapuntato di stelle. Ed era bellissimo.









   
 
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