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Autore: _Fedra_    17/08/2013    6 recensioni
Cosa succederebbe se i fratelli Pevensie arrivassero a Hogwarts?
Quale ruolo avrebbero nella battaglia contro Voldemort, che ora sembra aver trovato una nuova, terribile alleata?
E chi è il ragazzino dai capelli neri che compare nei sogni di Jane, sorella gemella di Harry Potter, chiedendole disperatamente aiuto?
"Mi chiamo Susan Mallory Pevensie, Corvonero.
I miei poteri si sono sviluppati solo ora, all'alba del mio sedicesimo compleanno.
Odio essere una strega: è stata proprio la magia a portare via mio fratello, sei anni fa.
Ma, ora che nuove sparizioni stanno investendo l'Inghilterra, non mi resta altra scelta: è nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts che si trovano le risposte a ogni mia domanda."
DAL TERZO CAPITOLO:
"Improvvisamente, Jane si fermò. A pochi passi da lei, accovacciato su un muretto, stava un ragazzino dai corti capelli neri, intento a disegnare sul terreno con un dito.
Non appena avvertì la sua presenza, egli si voltò. Aveva due bellissimi occhi scuri, grandi, fieri e penetranti. Il suo sguardo la fece rabbrividire.
Poi Jane si risvegliò nel suo letto, madida di sudore."
PAIRING:
Caspian X Susan
Edmund X Jane
Voldemort X Jadis
...più un personaggio a sorpresa!
Primo capitolo di una serie! :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Edmund Pevensie, Jadis, Lucy Pevensie, Susan Pevensie
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La profezia dell'Erede'
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CAPITOLO 18

La nuova vita di Edmund Pevensie


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jane ricordava benissimo la fine di Le Streghe di Roald Dahl.
La Strega Suprema aveva architettato un piano perfetto per eliminare tutti i bambini d’Inghilterra: tramite una pozione nascosta all’interno di alcune migliaia di dolcetti messi nelle mani delle sue serve fidate e distribuiti alle ignare vittime, li avrebbe trasformati tutti in topi.
Peccato che la sua cavia, il povero protagonista, una volta trasformato era riuscito a sfuggire alla trappola messa nella sala dell’albergo destinata all’orribile sabba e, approfittando del suo essere così piccolo e invisibile, era riuscito a sgattaiolare senza essere visto nella camera della Strega Suprema, impossessandosi della pozione, che poco dopo venne rovesciata completamente nel pentolone destinato alla cena di lei e tutte le sue compagne.
In pochi secondi, il ristorante brulicava di topini bianchi, tra le urla degli ospiti e il sibilare dei coltelli dei cuochi.
La stessa Strega Suprema aveva finito i suoi giorni con un colpo di coltellaccio, vittima del suo stesso diabolico piano.
Quelle ultime pagine erano diventate il suo incubo diurno, dal momento che la notte poteva concedersi un minimo di tregua grazie alla pozione calmante che Madama Chips le aveva somministrato la sera precedente prima di coricarsi, ma, non appena Jane aveva riaperto gli occhi, le sue angosce erano tornate a tormentarla più spietate di prima.
Era perfettamente consapevole di essere andata ben oltre di quanto una ragazza di quattordici anni potesse sopportare e ciò aveva avuto un effetto deleterio sui suoi nervi.
Immagini spaventose continuavano a passarle davanti agli occhi, causandole dei veri e propri attacchi di panico.
E Harry non era da meno, anche se, dal momento che era un tipo molto orgoglioso, non voleva darlo a vedere.
Si era semplicemente chiuso in un silenzio forzato, spesso fingendo di dormire, senza rivolgere la parola a nessuno.
Solo di tanto in tanto Jane, Ron e Hermione riuscivano a cavargli fuori qualche monosillabo, ma per il resto del tempo il ragazzo stava sempre seduto di fronte alla finestra, le braccia incrociate sul petto, massaggiandosi la cicatrice che sembrava non smettere più di bruciare, un’espressione torva che gli stirava i lineamenti del viso.
Con i Collins, la famiglia adottiva di Jane, non si degnava nemmeno di alzare lo sguardo per salutarli, nonostante restassero in infermeria il più a lungo possibile.
Lo stesso valeva per i Pevensie, anche se Susan, Peter e Lucy erano stati dimessi la mattina seguente.
Nonostante i gemelli Potter stessero decisamente meglio rispetto alla sera prima, infatti, Silente li aveva come segregati nell’infermeria, lasciando fuori il mondo intero e permettendo l’ingresso solo ai parenti e agli amici più stretti, che potevano entrare a loro piacimento.
Era come se il Preside volesse tenerli lontani da tutto quello che stava accadendo là fuori, nonostante li coinvolgesse in prima persona.
Non a torto, Jane sospettava che lo scopo principale di quella segregazione fosse quello di evitare l’assillo dei curiosi.
Da quattro anni a quella parte, la ragazza sapeva fin troppo bene che, quando succedeva qualcosa di grave a Hogwarts, tutti gli occhi si puntavano su Harry, come se fosse lui il fautore di quanto stava accadendo.
In fondo, la ragazza non poteva che compatirli: a quanto pareva, la vita a Hogwarts era fin troppo tranquilla prima dell’arrivo del Prescelto.
Da quello che le avevano raccontato Ron e Hermione, nel castello c’era un trambusto da inferno.
La morte di Cedric aveva scosso tutti all’unanimità e di certo non era stata una buona decisione quella di allestire la camera ardente del ragazzo nella stanza adiacente alla Sala Grande: ora curiosi della peggior specie che non sapevano farsi gli affari propri circolavano a piede libero anche dove non erano ammessi, tutto era un tramestio di ragazze in lacrime, condoglianze formali e giornalisti indiscreti.
Senza contare che, cinicamente parlando, la morte dello studente non era il male maggiore, dal momento che Voldemort era di nuovo in circolazione più forte e potente che mai.
A quanto pareva, il Ministro Caramell non aveva ancora accettato di parlare privatamente con Silente, partendo per Londra immediatamente dopo la fine del Torneo Tremaghi come il più meschino dei fuggiaschi, lasciando Barty Crouch junior sigillato nella torre più alta del castello, che l’anno precedente era servita a custodire per qualche ora Sirius Black. Jane tremava al solo pensiero che quel pazzo esaltato si trovasse a poche centinaia di metri da loro, ma la rincuorava il fatto che sicuramente Silente aveva preso le dovute precauzioni per evitare che se la filasse, disponendo gli opportuni turni di guardia di fronte alla sua cella.
Ma lui era solo uno dei tanti criminali che quella notte erano tornati allo scoperto.
Tra questi c’era Alhena Black.
Nelle lunghe, interminabili ore di isolamento, Jane aveva pensato a lei molte volte, provando orrore verso se stessa: come poteva importarle qualcosa di un essere tanto crudele e perverso?
Non sapeva come, ma, da quando l’aveva vista la sera precedente, la ragazza non era più tanto sicura che le cose stessero esattamente come sembravano.
Nonostante la odiasse con tutta la sua anima, la Strega Suprema le era come sembrata un astro morente, una donna consumata dalla propria follia, vittima dell’ingranaggio arrugginito che la sua famiglia le aveva appioppato sulle spalle.
Jane odiava ammetterlo, ma provava pena verso di lei.
E in cuor suo sperava che, se mai quella donna terribile fosse stata catturata, non facesse la fine della Strega Suprema di Roald Dahl, decapitata con un coltellaccio.
Era una morte fin troppo orribile anche per lei, che non aveva esitato a dare la morte a degli innocenti.
Le faceva più paura Jadis, la nuova Strega Suprema.
In confronto, Alhena era una vera donna, piena di passioni brucianti che alimentavano la sua anima nera.
La Strega Bianca no.
Era un pezzo di ghiaccio privo di qualunque emozione.
E ciò la spaventava.
Forse, se Alhena si fosse mai trovata nelle condizioni di poter scegliere senza paura, probabilmente si sarebbe affidata al suo istinto animale e avrebbe cambiato vita.
Una donna come Jadis no.
Sarebbe andata fino in fondo, qualunque cosa le fosse stata chiesta.
E ciò, al servizio di Voldemort, faceva davvero rabbrividire.
Chissà, forse una scelta era stata proprio il ragazzo che ora giaceva a pochi metri da Jane, nascosto da un paravento bianco.
In quelle ultime ore, la ragazza si era chiesta più e più volte chi fosse e perché la Strega Suprema gli avesse risparmiato la vita così a lungo, nonostante le torture subite.
Continuava a fare ipotesi su ipotesi, ma alla fine ciascuna di esse crollava come un castello di sabbia, per quanto erano assurde.
Certo, l’unica cosa era attendere che il ragazzo si svegliasse, ma era già stato messo in conto che probabilmente non sarebbe mai riuscito a dare una spiegazione logica della sua condizione.
Nel momento in cui glielo avevano portato davanti, Madama Chips aveva sentenziato che sarebbe stato molto più saggio trasferirlo immediatamente al San Mungo, come era avvenuto durante la notte per Moody, dove avrebbero potuto occuparsene dei Guaritori molto più esperti di lei, le cui abilità si fermavano a curare i foruncoli causati dalle fatture maldestre e gli infortuni da caduta dalla scopa durante una partita di Quiddich.
Aveva guarito il braccio rotto del ragazzo con un colpo di bacchetta, questo lo aveva fatto fin troppe volte.
Ma le sue condizioni effettive erano ben più gravi.
A quanto pareva, quelle non erano le uniche torture che il prigioniero aveva subìto.
I suoi muscoli apparivano contratti in maniera spaventosa e la febbre non accennava ad abbassarsi.
Un trauma del genere avrebbe potuto benissimo causargli danni permanenti al cervello, riducendolo come i genitori di Neville: completamente apatico, privo della facoltà di parlare o addirittura di muoversi in maniera indipendente.
Un vegetale.
Nonostante queste catastrofiche previsioni, Silente si era imposto per farlo restare all’interno delle mura del castello.
Sembrava che ci tenesse particolarmente al prigioniero, o comunque che suscitasse la sua curiosità.
Era molto pensieroso.
Si era raccomandato caldamente di tenerlo d’occhio e di informarlo su qualsiasi cambiamento.
Fu quella una delle tante occasioni in cui Jane fu convinta che il Preside sapesse molte più cose di quanto dava a vedere.
 
 
***
 
    
Verso le tre iniziarono i funerali.
Una pioggerellina leggera picchiettava contro i vetri dell’infermeria, tormentando il nugolo di mantelli neri che si radunavano verso l’ingresso del castello.
I gemelli Potter assistettero silenziosamente all’ingresso del corteo funebre nella Sala d’Ingresso, poi si chiusero in un silenzio teso, seduti sulla stessa sponda del letto di Harry.
Di certo non andava loro di affrontare l’intera scuola, tuttavia si sentivano profondamente feriti per essere stati esclusi da una avvenimento così importante.
In fondo, entrambi avevano conosciuto Cedric, seppur arrivando a odiarlo in certe circostanze, e si sentivano in qualche modo responsabili della sua morte.
Il fatto di non essere presenti alla cerimonia sembrava confermare inevitabilmente questa constatazione.
I gemelli attesero in silenzio, senza neppure guardarsi in faccia.
Dopo un tempo che parve interminabile, il corteo di mantelli neri uscì di nuovo sotto la pioggia, questa volta trascinando con sé il feretro laccato di bianco.
Si distinguevano nettamente i genitori, la madre sul punto di svenire dal dolore, e Cho, che seguiva a distanza, il capo chino e le guance rigate di lacrime.
All’inizio della lugubre processione, procedendo appaiati, stavano Silente e Caramell.
Non si guardavano e l’espressione gelida sul volto del bonario Ministro suonò come un campanello di allarme.
Quando alla fine il corteo svanì oltre il lago, Harry dichiarò stancamente: − Vado a farmi una doccia, prima che l’intera scuola piombi qui.
Jane annuì piano.
Il ragazzo si alzò dal letto stiracchiandosi e si avviò verso l’ingresso dell’infermeria.
La sua voce e quella di Madama Chips risuonarono battagliere per pochi secondi, poi nella grande ala gotica intervallata da grandi finestre tornò il silenzio.
Rimasta sola, Jane si alzò anche lei, decisa a sgranchirsi un po’ le gambe.
Era ricoverata da diverse ore e, nonostante stesse decisamente meglio, non si era ancora liberata del pigiama.
Percorse per un paio di volte le corsie semivuote, poi si fermò di colpo di fronte al paravento bianco che celava la vista del ragazzo.
Una tremenda curiosità prese a formicolarle nella testa.
Aveva un’improvvisa voglia di vederlo, non sapeva neanche perché.
E se nel mentre si fosse svegliato e avesse bisogno di aiuto?
In fondo, era passata quasi un’ora dall’ultima visita di Madama Chips.
Cautamente, Jane oltrepassò il paravento in punta di piedi, sbirciandovi all’interno.
Il ragazzo giaceva supino sotto diversi strati di coperte, da cui sfuggiva il colletto del pigiama a righe azzurre che la signora Weasley, in preda alla compassione, aveva ripescato dal vecchio guardaroba di Ron.
Il labbro spaccato aveva smesso di sanguinare, lasciando un profondo taglio scuro che risaltava contro la pelle diafana appena cosparsa di efelidi.
Il torace si alzava e abbassava lentamente al ritmo con il suo respiro, meno rauco e irregolare della sera precedente.
Poi qualcosa cambiò.
Fu un movimento impercettibile del volto, come se un muscolo si fosse appena contratto.
Per un attimo, Jane credette che si fosse trattato di un gioco di luce, quando improvvisamente il ragazzo socchiuse gli occhi, lasciando intravedere le iridi scure.
Un attimo dopo, il suo sguardo esterrefatto e confuso era proiettato su di lei, lasciandole sfuggire un brivido.
−Finalmente ti sei svegliato! – esclamò a bassa voce. – Cominciavamo a preoccuparci.
Il ragazzo sbatté più volte le palpebre, stropicciandosi gli occhi con foga.
Evidentemente, non era più abituato alla luce del sole.
–Dove mi trovo? – balbettò.
Aveva una voce ancora da bambino, nonostante dovesse avere a occhio e croce la stessa età di Jane.
−Va tutto bene, sei a Hogwarts – rispose lei sorridendo.
Con sua grande sorpresa, il ragazzo assunse immediatamente un’espressione terrorizzata.
–Come sarebbe a dire a Hogwarts? – esclamò con un filo di voce. – No, non devo assolutamente essere qui!
−Perché mai? Sei al sicuro, qui, e nessuno ti farebbe del male.
−Non è vero! Qui c’è gente che mi vuole morto!
−Ah, sì? E chi ti ha detto una simile sciocchezza? Alhena Black, forse?
Nell’udire il nome della Strega Suprema, il ragazzo si irrigidì.
−È stata lei a farti questo? – domandò Jane indicandogli la spalla.
Il prigioniero non rispose.
−Ascoltami, − continuò lei sedendosi ai piedi del letto – se ti avessimo lasciato lì, sicuramente a quest’ora saresti morto. Voldemort sarebbe arrivato da un momento all’altro e, se la Black ti ha lasciato in vita per così tanto tempo, un’ipotesi ce l’avrei. Sai, anche io e mio fratello siamo sulla lista nera e tutti i suoi seguaci hanno l’ordine di catturarci vivi, in attesa che arrivi lui a finire il lavoro. Quindi ritieniti fortunato se abbiamo sentito le tue urla e ti abbiamo portato via.
−Ma…
−Preferivi forse restare là sotto? Non conosco molta gente disposta a fare a cambio.
−Anche tu eri prigioniera con me?
−Certamente. Se non avessi urlato, ti avremmo lasciato lì. Solo un essere perverso come Alhena poteva farti una cosa del genere.
−Non capisci, tu sei diversa! Insomma, non dovevi lasciarmi lì! Perché l’hai fatto? – il ragazzo si schermò il volto con la mano, come se volesse proteggersi dalla forte luce del sole e allo stesso tempo nascondersi. – Io mi sono meritato tutto questo…sono un mostro!
−Che cosa? – Jane sperò ardentemente che la febbre fosse sufficientemente alta per fargli dire una cosa simile.
−Lei me lo diceva sempre, specie quando mi torturava. È tutta colpa mia, se certe cose orribili sono accadute. Solo mia.
–Mi sa che stai delirando – disse la ragazza mettendogli una mano sulla fronte.
In effetti, scottava da morire.
A quel contatto, il ragazzo trasalì come se l’avesse sfiorato con un ferro rovente.
–Come ti chiami?
Silenzio.
−Come ti chiami?
Ancora silenzio.
−Non hai un nome? – incalzò Jane incrociando le braccia.
Sapeva che il suo atteggiamento era tutt’altro che cortese nei confronti di una persona che aveva patito così tante sofferenze, ma il suo sesto senso le suggeriva che il ragazzo non stava dicendo tutta la verità, per quanto nobili potessero essere le sue intenzioni.
Al suo ennesimo silenzio, non le restò che soggiungere: − Io sono Jane Potter, sorella gemella del molto più famoso Harry Potter.
La ragazza non seppe mai che cosa avrebbe voluto dirle il prigioniero, che saltò letteralmente sul cuscino, perché in quel momento un’esplosione di passi proruppe nell’infermeria, seguita dal fragore di una porta sbattuta.
Entrambi i ragazzi si acquattarono d’istinto nel loro nascondiglio.
 −Ehi, voi! Non avete il diritto di entrare qui dentro in questo modo! C’è gente che sta male! – abbaiò la voce inferocita di Madama Chips.
−È una vergogna, una vergogna! – tuonò la voce della professoressa McGranitt. – Era proprio necessario introdurre quella creatura all’interno della scuola?
–Le procedure vanno rispettate, signori! – rispose Caramell in tono piccato. – E di certo non avrei mai potuto interrogare il prigioniero senza un Dissennatore come scorta.
−Già, peccato che quel demone si sia avventato contro Barty Crouch non appena è stata aperta la porta della sua cella! E ora come pretende di avere delle prove, dopo che il nostro testimone è stato ridotto a un ammasso di carne e ossa?
−Non ho bisogno di ulteriori prove! – sbraitò il Ministro con un tono che Jane non avrebbe mai creduto di sentirgli. – Barty Crouch era un pericoloso Mangiamorte che ci ha imbrogliati tutti, è vero, ma non posso credere che la causa della morte di Cedric Diggory sia da attribuire a Voi-Sapete-Chi.
−Ancora una volta ti lasci guidare dalla stoltezza, Cornelius – intervenne in quel momento la voce calma di Silente. – La tua determinazione a seguire ciò che è facile rispetto a ciò che è giusto ti porta a chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Abbiamo perso un importante testimone, è vero, ma ciò non toglie che anche Harry era presente al momento dei fatti.
−Che cosa stai insinuando? Dovrei credere alle parole di un ragazzo di quattordici anni, la cui sanità mentale è da mettere sicuramente in discussione?
A quelle parole, Jane fu come colpita da una scarica elettrica.
Ma come si permetteva quel pallone gonfiato ipocrita?
−Già lo scorso anno ho fatto fatica a sorvolare sulla faccenda di Sirius Black, ma ciò che Potter va affermando ora è inammissibile. Insomma, sappiamo tutti che soffre di manie di grandezza. Sicuramente, l’Anatema Che Uccide gli avrà provocato qualche danno al cervello quando era piccolo, figuriamoci poi ora che è cresciuto con la consapevolezza di essere sempre al centro dell’attenzione! Per quale motivo altrimenti avrebbe messo il suo nome nel Calice di Fuoco?
Quello era veramente troppo.
Senza nemmeno starci a pensare, Jane schizzò fuori dal suo nascondiglio, non importava che fosse scalza e scarmigliata, piazzandosi di fronte a Caramell.
–Mio fratello non è pazzo! – esclamò furibonda.
Il Ministro della Magia la squadrò da capo a piedi con aria di sufficienza. – Detto da una ragazzina in queste condizioni, che peraltro risulta essere sua sorella, non è molto convincente.
−Cornelius, − intervenne Silente – la questione è più delicata che mai. Voldemort è tornato, è ora che te ne fai una ragione. È il momento di mostrarti all’altezza dell’uomo in cui l’intera comunità magica crede, prendendo i dovuti provvedimenti e responsabilità. Siamo tutti in pericolo, da ora in poi, e dobbiamo essere pronti a difenderci al più presto.
−LUI NON È TORNATO! – gridò Caramell con rabbia.
−Rifletti, Cornelius. Da quando Harry è tornato a far parte della comunità magica, i segni di un possibile ritorno di Lord Voldemort non hanno cessato un attimo di aumentare. Basti pensare alle sparizioni di tutti quei bambini…
−Il caso è stato chiuso ieri sera, Silente, motivo per cui non ero presente al colloquio che mi avevi indetto a notte fonda. Delle tante sciocchezze che ho sentito nelle ultime ore, l’unica che si è rivelata attendibile è stata quella sull’identità dell’assassina. Di certo non poteva essere altri che la cugina di Sirius Black, guarda caso – lanciò un’occhiata di fuoco a Jane con i suoi sporgenti occhi bovini. – In effetti, i miei Auror si sono recati immediatamente nella tenuta di Cambridge che ci avevi segnalato, Albus. Fantasie dei Potter o meno, la Black è stata trovata.
−E dove si trova in questo momento? – chiese Silente.
−È morta – rispose Caramell. – I miei collaboratori sono arrivati troppo tardi. La villa era messa a soqquadro e il corpo era quasi completamente irriconoscibile a causa di un incendio che era scoppiato nella stanza dove si trovava. Ma abbiamo trovato questo, accanto a lei – estrasse dalla veste un piccolo pugnale d’argento ancora incrostato di sangue, identico a quello con cui Barty Crouch aveva tentato di uccidere Jane. – Probabilmente si tratta di un suicidio. Non si conosce il movente, ma abbiamo trovato le celle dei prigionieri. Il caso è ufficialmente chiuso.
−Capisco – rispose Silente con fare pensieroso.
−E anche la questione di Potter – proseguì Caramell riprendendo tutta l’aggressività di prima. – Cedric Diggory è morto nel corso della prova, non c’è altro da dire. Del resto, sono il primo ad affermare che il Torneo Tremaghi è una manifestazione barbara e pericolosa.
−Non cambierai la situazione fingendo di ignorarla – lo redarguì Silente. – Presto ne subirai le conseguenze.
−Attento a come parli, Albus, o dovrò prendere dei seri provvedimenti!
−A questo punto non abbiamo più nulla da dirci, Cornelius: le nostre strade si dividono. E mi dispiace molto, devo aggiungere.
Caramell rispose con un ringhio. – La vincita di tuo fratello – borbottò schiaffando nel palmo di Jane un sacchetto pieno di galeoni. – E bada che tenga la bocca chiusa – detto questo, se ne andò, curandosi di sbattere la porta dell’infermeria.
Subito cadde un silenzio colmo di tensione.
Jane fissava il vuoto sconvolta, lottando per non mettersi a piangere di fronte ai suoi professori.
Una rabbia cieca le devastava le viscere.
−Sì è svegliato – fu tutto quello che riuscì a dire, le mani che non riuscivano a smettere di tremare. –Il ragazzo si è svegliato.
Madama Chips si diresse con passo di marcia verso il paravento.
Gli altri la seguirono con discrezione.
Con un tuffo al cuore, Jane scoprì che il letto dove fino a pochi minuti prima giaceva il ragazzo era completamente vuoto, l’impronta della sua testa ancora visibile sul cuscino.
−Bene, − commentò Madama Chips incrociando le braccia sul petto – almeno ora sappiamo che è in grado di camminare.
 
 
***
 
   
Evidentemente la prigionia in condizioni disumane doveva averlo reso molto resistente, pensava Jane mentre scendeva a rotta di collo le scale che portavano all’ingresso.
Finalmente, Silente aveva concesso almeno a lei di uscire dall’infermeria per andare a cercare il ragazzo, dal momento che era stata l’unica a parlargli.
In effetti, con la scuola gremita di gente in quel modo, non era stato difficile non notare un tizio che girava con addosso solo un pigiama a righe di due taglie più grande.
Il primo ad averlo incontrato era stato proprio Neville, che era stato letteralmente travolto da lui un attimo prima che riuscisse a filarsela tra la folla di mantelli neri.
Sicuramente doveva aver trovato il modo per uscire all’esterno.
E fu proprio nel parco che Jane lo trovò.
Era arrivato fino alla riva del lago, dove era crollato a sedere con la testa tra le mani, in preda ai brividi di freddo per la febbre.
Ulisse pascolava a pochi metri da lui e gli annusava curioso i capelli bagnati dalla pioggia.
−So di non esserti molto simpatica – disse la ragazza avvicinandosi a lui e gettandogli il suo mantello sulle spalle. – Ma non capisco perché hai così tanta paura di noi. Lascia stare quello che hai fatto, non mi importa. E ti avverto: ho una specie di  senso che mi spinge a inquadrare subito le persone e, spero che la cosa ti faccia piacere, tu non rientri in quelle che eviterei d’istinto.
Il ragazzo levò debolmente la testa verso di lei. In quel momento, la sua espressione terrorizzata si era trasformata in tristezza.
–Mi chiamo Edmund – disse piano.
Jane sorrise istintivamente, cingendogli le spalle con le braccia.
Non sapeva perché, ma quella creatura instillava in lei una compassione e un affetto che mai aveva provato prima.
E, con sua somma sorpresa, egli ricambiò timidamente il suo abbraccio, quasi fosse una richiesta di aiuto.
−Ti sembro forse un mostro? – chiese la ragazza.
−No.
−Eppure Alhena Black aveva imprigionato anche me. E progettava di uccidermi. Ma questo non fa di me un mostro, se lei mi odiava. Io sono come te. Lo capisci, adesso?
Edmund la fissò negli occhi lungamente. – È vero che è morta?
−Sì. Non potrà mai più farti del male.
−Non è vero. Silente, lui lo avrebbe fatto. Me lo diceva sempre.
−Perché, per caso lei ti trattava bene? Non ho mai visto nessuno manifestare il proprio affetto rinchiudendo una persona in un sotterraneo e facendole subire le peggiori torture.
Edmund non rispose.
Fissava l’erba del prato che gli solleticava i piedi nudi.
−Non voglio forzarti a fare nulla, Edmund – disse Jane con un sorriso. – Ma sappi che nessuno ha il diritto di darti del mostro. Perché per me non lo sei. Sei come me, come mio fratello, come tanti altri ragazzini che sono stati uccisi per colpa di uno stupido ideale messo in giro da gente malata. So che hai subito un trauma terribile e che sarà difficile superarlo, ma voglio che tu sia consapevole che Alhena non stava bene. Era folle, non aveva più la padronanza delle proprie azioni, che ormai si concentravano sul mero piacere per la violenza. Eppure, per quanto io la odiassi, la notte scorsa ho visto la sua sofferenza e ho capito molte cose su di lei. Ecco, lei sì che era un mostro, eppure ha guadagnato il mio rispetto. Perché dovrei disprezzare proprio te?
Edmund ascoltò tutto in silenzio, la testa bassa e lo sguardo torvo.
−Ti va di ritornare dentro o vuoi bagnarti un altro po’? – chiese la ragazza sorridendo.
Il ragazzo le lanciò una smorfia di sfida.
–Se è così che la pensi – disse facendo per alzarsi, ma le ginocchia non ressero il suo peso.
Jane lo aiutò a sollevarsi in piedi, sorreggendolo con le braccia; poi lo accompagnò all’interno delle mura del castello.
Ignorò tutte le occhiate curiose che li seguirono fino all’entrata dell’infermeria, dove Madama Chips li accolse con un commento burbero e riaccompagnò Edmund a letto.
Il pigiama era completamente fradicio, perciò Jane dovette fare una corsa nel suo dormitorio per prendere quello di ricambio che usava Harry.
Restò seduta sul suo letto mentre Edmund si cambiava nascosto dal paravento, poi Madama Chips tornò per le medicazioni.
Finì tutto molto rapidamente, concludendo che il ragazzo aveva avuto una fortuna sfacciata e che, nonostante tutto, la febbre iniziava a calare.
Non appena se ne andò, Jane fu sicura di vedere Edmund sbirciare oltre il paravento e sussurrarle un “grazie” impercettibile con le labbra.
 
 
***
 
  
Harry tornò dalla doccia circa un’ora dopo, perdendosi tutto il circo che era avvenuto in sua assenza, tra l’irruzione di Caramell e la fuga di Edmund.
A quanto pareva, era rimasto sotto l’acqua bollente per un tempo interminabile, quasi fosse determinato a riempirsi di grinze da capo a piedi.
Quando rientrò in infermeria, aveva ancora i capelli umidi e un’espressione di disappunto dipinta in volto.
A quanto pareva, era passato prima nel suo dormitorio, dove aveva preso una tuta da ginnastica.
−Non trovo il mio pigiama di ricambio – brontolò crollando a sedere accanto a Jane.
−L’ho preso io per prestarlo a Edmund – rispose lei alzando le spalle.
−Edmund? Chi diavolo è Edmund?
Jane indicò con lo sguardo oltre il paravento. – Dice di chiamarsi così.
−Ah.
−Ti ho lasciato la vincita sul comodino.
−Non la voglio.
−Fai quello che credi. Ma non è questo ciò che mi premeva dirti – e gli raccontò in fretta e furia quanto era accaduto in sua assenza tra Silente e Caramell. – Pare che abbiano rotto – concluse tristemente. – Caramell non vuole ammettere che Voldemort sia tornato. E non sembra disposto a prendere i giusti provvedimenti contro di lui, o a credere a te.
−Poco male, sono sempre stato convinto che fosse un idiota. E poi ci ho fatto l’abitudine, a essere trattato come un deficiente.
−La vuoi piantare di fare la vittima, una volta tanto? Non capisci che la situazione è grave? Se Caramell non ci appoggia, siamo soli. Nessuno ci crederà e Voldemort avrà la strada spianata.
−Dimentichi che abbiamo Silente e, finché ci sarà lui, Voldemort non potrà mai arrivare fino a Hogwarts.
−La mia paura è che Caramell usi il suo potere per mandare via Silente. In fondo ha paura. Non mi piace.
−Stai tranquilla, Silente è riuscito a restare in carica in tempi più difficili di questi. Almeno su una cosa possiamo essere certi.
−Scusate…
In quel momento, Edmund si era levato in piedi, sbucando timidamente da dietro il paravento.
Nel momento in cui i suoi occhi castani incrociarono quelli di Harry, il Prescelto cadde all’indietro, premendosi le mani sulla cicatrice.
−Harry! – esclamò Jane spaventata.
Il ragazzo era riverso sul letto, il volto paonazzo contratto dal dolore.
Sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
Poi, improvvisamente, tutto finì e Harry restò supino, il fiato mozzo.
–Harry! – sussurrò Jane atterrita.
−È arrabbiato – disse lui con un filo di voce. – Sono giorni che la cicatrice mi fa male, ma non così tanto. È come se non si desse pace per il fatto che gli sono sfuggito per l’ennesima volta. Ma non solo. Ha scoperto che gli è stata sottratta una cosa importante.
−Hai avuto un’altra visione?
−Non proprio…era più una sensazione, non so come spiegarlo.
−Devi parlare con Silente a tutti i costi. Non può tenerci chiusi qui dentro per sempre!
A quel punto, Jane levò lo sguardo su Edmund.
Nel panico generale, si era completamente dimenticata di lui.
Di certo, ciò che era appena accaduto e i loro discorsi avevano sortito in lui un effetto tutt’altro che rassicurante, considerato il fatto che non erano pienamente sicuri che egli fosse un mago, e comunque fino a quel momento non aveva avuto un’impressione molto positiva sull’uso della magia.
−Scusaci, Ed – disse costernata. – Purtroppo non l’abbiamo scelto noi di trovarci in questa situazione.
Edmund annuì piano.
Harry cercò di lanciargli un sorriso di rassicurazione, ma nel momento in cui levò il capo, la cicatrice riprese a bruciare.
–Scusami – gemette. – Non è colpa tua, sono coincidenze…tutte coincidenze. La vedi questa cicatrice? È il marchio che mi ha lasciato Voldemort, la prima volta che tentò di uccidermi.
−Conosco la tua storia. Mentre ero nel sotterraneo, Alhena me la raccontava spesso  – rispose Edmund a sorpresa. – Anch’io ho paura di Voldemort.
−Alhena? – disse Harry, questa volta evitando prudentemente di guardarlo negli occhi. – Com’è possibile proprio lei?
−Ti ha detto per caso che io e Harry siamo due serial killer? – scherzò Jane cingendo le spalle del fratello.
−Questo no. Però diceva che nessuno doveva sapere della mia esistenza, altrimenti mi avrebbero ucciso. Solo lei aveva avuto un minimo di pietà per tenermi in vita, perché chiunque mi avrebbe schiacciato come uno scarafaggio al solo vedermi. E di stare attento a Silente, soprattutto a Silente.
−Perché? E i tuoi genitori?
–Io non ho genitori.
I gemelli Potter si lanciarono una lunga occhiata.
Harry provò nuovamente a fissarlo negli occhi per dirgli una frase di conforto, ma l’ennesima fitta alla cicatrice gli mozzò il fiato in gola.
−Anche io e Harry siamo senza genitori – intervenne Jane. – Anzi, fino a quattro anni fa non sapevamo neppure di essere fratelli. Siamo stati cresciuti da due famiglie diverse per molto tempo. Per questo, nel mondo babbano, il mio cognome è Collins e non Potter. Giuridicamente, la cosa sarebbe valida anche tra i maghi, ma per comodità tutti mi chiamano Potter.
−È complicato – commentò Edmund.
−Anche tu sei…come noi? Nel senso che li hai persi? – chiese Harry.
−Non lo so, sinceramente. Non li ho mai conosciuti. Sono sempre vissuto con Alhena.
−Da sempre?
−Da quattordici anni, per la precisione. Quindici il prossimo settembre. Non ho mai visto nessun altro essere umano al di fuori di Alhena Black, se non si conta quella terribile donna in bianco.
−Stai dicendo che non sei mai uscito da quel sotterraneo in quattordici anni?
−No, fortunatamente. I primi anni della mia vita li ho trascorsi in un paese di cui neanche mi ricordo il nome, molto lontano da qui. Eravamo sempre in una casa molto grande, dove potevo girare a mio piacimento. Poi siamo tornati in Inghilterra, dove ci siamo spostati di anno in anno tra le varie tenute della famiglia di Alhena. Avevo tutto quello che si poteva desiderare, purché non uscissi mai dal muro di cinta, oltre la barriera. Lei non mi faceva mancare mai niente. Mi istruiva, anche: potevo leggere tutti i libri che volevo, soprattutto quelli sulla magia.
−Sei un mago, quindi? – chiese Harry.
A quella domanda, Edmund si fece triste.
–Io credo di sì – rispose. – Ma non nella misura che Alhena si aspettava, temo. Durante la mia infanzia, lei continuava a dire che io avevo un potere diverso da tutti gli altri, per questo mi volevano distruggere. Allora era troppo presto per esercitare la mia magia e per questo vissi per anni interi tra le più sfrenate fantasie su ciò che avrei potuto ottenere essa.
Ma poi, quello che sarei dovuto diventare si rivelò in tutto il suo orrore. Accadde poco dopo che ci trasferimmo a Cambridge, sei anni fa. Improvvisamente, Alhena si era fatta misteriosa. Mi aveva posto dei divieti, mi impediva di andare in determinate ale della villa o mi costringeva a stare in giardino per ore e ore prima di poter rientrare, durante le quali lei spariva nel nulla e io ignoravo dove andasse.
Poi, una notte, mi fece scendere per la prima volta nei sotterranei. E lì lo vidi. Era un ragazzino della mia età di allora, sui dieci anni. Mi costrinse a guardare mentre lo uccideva. Io provai un orrore talmente indescrivibile per quell’atto così barbaro e inspiegabile, che scoppiai a piangere. Per quanto sapessi che Alhena soffriva di accessi d’ira che molto spesso si ripercuotevano su di me, non avrei mai creduto che potesse arrivare a un simile gesto.
Fu allora che lei mi spiegò dell’assurdità della faccenda dei Purosangue e dei Mezzosangue, del motivo per cui aveva ucciso quell’essere così simile a me, un mago dal sangue sporco, quindi inferiore. Io trovai tutto questo assurdo e gridai con tutte le mie forze che odiavo la magia, la trovavo una cosa assurda e insensata, e che mai e poi mai sarei diventato un mostro del genere.
Quella fu la prima volta che provai la Maledizione Cruciatus sulla mia pelle. Il dolore fu qualcosa che non riuscirei mai a descrivere. Era come se stessi bruciando vivo. E fu anche la prima volta che finii nel sotterraneo, una settimana intera senza luce e poco cibo.
Alla fine della punizione, fui costretto ad assistere a un altro omicidio. Altri pianti, altre minacce, altro dolore. Alla fine, Alhena disse che ero uno scherzo della natura senza speranza, che quando aveva deciso di crescermi aveva visto qualcosa che in realtà in me non c’era. Ero un mostro e l’avevo delusa in tutti i modi possibili e immaginabili. Voldemort aveva ragione a volermi uccidere e ora lei avrebbe pagato a causa mia, per aver sporcato il suo sangue nel mantenermi in tutti quegli anni. Eravamo condannati tutti e due per causa mia.
Io, dal mio canto, mi sentivo un verme. Avrei tanto voluto sparire. Ero ferito nel profondo. Sapevo che Alhena aveva fatto delle cose terribili, ma era pur sempre l’unico essere vivente che si era occupato di me, che in fondo mi voleva bene. Non avrei mai potuto sopportare di essere la causa della sua morte. A quel punto, avrei preferito mille volte restare con lei, quando Voldemort sarebbe venuto a prenderci. Ma ora è troppo tardi.
Negli anni che seguirono, Alhena non mi parlò quasi più. Non so se commise altri omicidi, ma il fatto era che trascorrevo molto tempo da solo. Avevo smesso di studiare la magia e non ne volevo più sapere.
Poi, qualche tempo fa, mentre giravo per il giardino, ho visto una donna alta quasi due metri, bionda e vestita di bianco. Non ha fatto nessuno sforzo a entrare nel giardino e, quando Alhena l’ha notata, era troppo tardi. Mi ricordo ancora dello sguardo di fuoco che mi lanciò quando mi vide. Alhena tentò di allontanarla da me in tutti i modi, ma lei continuava a fare domande. Alla fine, si è trasformata in un enorme serpente e l’ha attaccata. Io, che ho il terrore dei serpenti, sono scappato a nascondermi e non sono rientrato per ore. Avevo paura che il mostro avesse ucciso Alhena e che stesse venendo a cercarmi. Mi ero appollaiato su un albero e trasalivo a ogni singolo fruscio.
Alla fine, con mio grande sollievo, è venuta a prendermi Alhena. Non sembrava ferita, ma non avevo mai visto un’espressione simile sul suo volto. Sembrava triste, sconvolta e furibonda allo stesso tempo. Quella stessa notte, fui costretto a prendere tutte le mie cose e a trasferirmi nel sotterraneo. Alhena non veniva quasi più. Non mi accorgevo neanche quando passava a cambiarmi i vestiti e le lenzuola e a portarmi da mangiare. Ogni tanto, trovavo qualche libro nuovo sul tavolo. Le pochissime volte che la vidi era solo perché era fuori di sé dalla rabbia e voleva scagliarla su qualcuno.
Poi, la notte che mi avete salvato, è entrata nella cella come una furia, spaccando tutto quello che trovava. È incredibile come una donna così piccola potesse essere allo stesso tempo così spaventosa. Io avevo capito subito cosa sarebbe successo e mi sono nascosto sotto il letto. Lei mi ha acciuffato e mi ha scagliato contro il muro. Credo di essermi rotto il braccio, in quel frangente. Avevo la bocca piena di sangue. Poi è arrivato il dolore e da lì il nulla. E mi sono risvegliato qui.
Edmund tacque, sedendosi su un letto di fronte ai gemelli.
Entrambi lo fissavano sconvolti.
Mai in vita loro avevano sentito un racconto tanto raccapricciante.
−Magari è un sogno – proseguì il ragazzo. – Sono veramente morto e tutto questo è nella mia immaginazione. O forse è così che deve essere il paradiso, ammesso che qualcuno abbia voluto farmici entrare.
−Oh, Edmund!
In un attimo, Jane gli fu accanto e lo strinse in un altro caloroso abbraccio.
–Va tutto bene, ora – sussurrò. – Non riesco a credere che tu abbia potuto vivere in questo modo per così tanti anni. Sei stato davvero coraggioso!
−E adesso cosa farò? Dove andrò? Non ho nessuno, là fuori.
−Ci siamo noi, qui con te. Almeno hai degli amici su cui contare. Poi partiremo subito alla ricerca dei tuoi genitori. Chissà, magari sono quattordici anni che ti stanno aspettando e ormai hanno perso tutte le speranze. Pensa come saranno contenti di vederti ritornare a casa!
−Ma come farete a rintracciarli? Io non so neanche il mio cognome. Sono sempre stato Edmund e basta.
 −Ci sono i registri – intervenne Harry. – La tua nascita dovrà pur essere registrata da qualche parte. La comunità magica è molto monitorata, per evitare che i Babbani scoprano la nostra esistenza.
−Vedrai che salterà fuori che manchi da qualche parte. Altro che il mondo intero ti vuole morto, Ed! La Strega Suprema lo faceva apposta per evitare che ti trovassero o che tu andassi a cercare loro. Avresti scoperto il suo inganno e per lei sarebbe stata la fine! – aggiunse Jane.
−Non posso credere che in tutti questi anni mi abbia detto solo bugie – sospirò il ragazzo scuotendo la testa. – Lei mi voleva bene. Ne avevo paura e mi maltrattava, ma le volevo bene.
–Ti ha strappato via dalla famiglia per fare di te un mago oscuro. Sono commossa da tanto amore!
−Era folle, completamente folle. Insomma, ti trattava come una sorta di esperimento. Faceva finta di volerti bene, ma in realtà tu eri solo una pedina nelle sue mani. Ti rendi conto?
Edmund si massaggiava le tempie.
Guardò i due gemelli uno a uno.
Due grosse lacrime presero a scorrergli lungo le guance lentigginose.
Si pulì il viso nervosamente con l’orlo della manica.
–Voldemort – gemette. – È stata tutta colpa sua se queste cose sono successe, tutta questa faccenda dei Purosague. E prima di lui Salazar Serpeverde. Io non voglio avere niente a che fare con loro. Ma per anni e anni non ho avuto alternative. Alhena lodava quello che hanno fatto. E diceva che sarebbe stato anche il meglio per me. Io non volevo, era sbagliato, non volevo! Ma se non avessi voluto, saremmo morti! – nuovi singhiozzi soffocarono le ultime parole.
Edmund si vergognava a piangere in quel modo davanti a due persone che negli anni era stato costretto a odiare, come chiunque altro potesse minacciare la sua prigionia: Voldemort, Silente, gli Auror…
Ma mentre parlava, mentre si trovava ad avere a che fare per la prima volta con degli esseri umani che non fossero suoi carcerieri, finalmente si rendeva conto di come stavano realmente le cose, osservandole dall’esterno.
Alhena era una pazza a cui Voldemort aveva consegnato il compito di allevarlo come un mago oscuro, chissà per quale motivo, forse in previsione della sua imminente caduta.
In tutti quegli anni gli aveva fatto il lavaggio del cervello, facendogli credere le peggiori assurdità, come per esempio che nessuno avrebbe mai voluto reclamare un essere schifoso come lui.
Eppure erano proprio quelli che aveva sempre creduto nemici che in quel momento si prendevano cura di lui, senza chiedere nulla in cambio.
Le carezze di Jane sulla sua spalla, le sue braccia che lo cingevano stretto come il più prezioso dei tesori nonostante si conoscessero appena; le parole di conforto di Harry, che, nonostante non riuscisse a guardarlo in faccia senza provare dolore, continuava a cercare di instaurare un contatto tra di loro per aiutarlo.
Tutto questo gli stava facendo comprendere, attimo dopo attimo, cosa significasse amare.
Niente torture, niente sotterranei.
Niente da chiedere in cambio.
Nessuna aspettativa da deludere.
Bastava esserci.
Era questo il dono più grande.
In quel momento, Edmund aveva paura che tutto questo potesse finire in un lampo, che i Potter si rivelassero davvero i due mostri che gli aveva descritto Alhena.
Eppure, in un angolo nascosto del suo cuore, il ragazzo aveva come la certezza che quello fosse davvero l’inizio di una nuova vita.
E, come a confermare questa certezza, improvvisamente un raggio di sole squarciò le nubi e illuminò i loro volti in una luce calda e incandescente.
 
 
***
 
  
Edmund migliorava a vista d’occhio.
La febbre prese finalmente a scendere e il ragazzo cominciò a mangiare di gusto, riprendendo un po’ di colore.
Nei giorni seguenti, i Pevensie e i Collins fecero immediatamente la sua conoscenza.
Lucy, che aveva stretto immediatamente amicizia con Cecilia e Nigel e che era letteralmente elettrizzata da quell’assaggio anzitempo di quella che sarebbe diventata la sua scuola, non mollava il ragazzo neanche un minuto, trascorrendo le ore seduta ai piedi del letto a fargli compagnia.
Il terzo giorno di degenza, gli regalò persino un disegno, che Madama Chips gli appese sopra la testata del letto.
I più grandi scherzavano sulla vicenda, dicendo che la piccola era cotta di lui.
Susan e Peter si erano subito affezionati a Edmund e la stessa cosa si poteva dire dei loro genitori.
In fondo, lo vedevano come David, anche lui sottratto alla famiglia in tenera età e mai più ritrovato.
Jane si ricordava fin troppo bene quando Evelyn era entrata per la prima volta in infermeria, scoppiando in lacrime non appena aveva intravisto il ragazzo privo di sensi dietro il paravento: avrebbe potuto benissimo esserci suo figlio, al suo posto.
Non appena si fu ripreso, passava molto tempo in loro compagnia.
Gli portava spesso dei dolci o dei libri, dal momento che era venuta a sapere che amava molto leggere.
Anche la signora Weasley non era da meno: il suo ingresso in infermeria era il preludio di una vera e propria festa.
Molly portava pasticcini e cioccolata per tutti.
Inutile dire che uno dei suoi primi regali a Edmund fu uno dei suoi maglioni fatti in casa, marrone scuro con una gigantesca “E” dorata al centro.
Dal canto suo, il ragazzo apprezzò molto il regalo, indossandolo immediatamente sopra il pigiama.
Anche gli altri amici dei Potter si affezionarono a lui in breve tempo.
Ron e Hermione lo coinvolgevano sempre nei loro discorsi insieme ai gemelli e scherzavano volentieri con lui.
Aveva stretto subito amicizia con Neville, in cui aveva intravisto una sorta di fratello a cui appoggiarsi.
E poi c’era stato l’incontro con Caspian, che era avvenuto verso la fine della settimana, dal momento che era stato completamente impegnato a risolvere le questioni lasciate in sospeso da Karkaroff dopo la sua fuga.
La prima cosa che aveva detto nel momento in cui era entrato in infermeria era stata che l’anno successivo sarebbe stato il nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure a Hogwarts, visto che Moody non voleva più saperne dell’incarico e che a Durmstrang era malvisto da tutti, essendo il pupillo dell’ex Preside.
La notizia era stata travolta dall’entusiasmo di Susan, che non aveva esitato a gettargli le braccia al collo e stampargli un bacio spettacolare sulle labbra, senza curarsi di trovarsi di fronte a sua madre e alla sorellina minore.
In ogni caso, Caspian era piaciuto moltissimo alla famiglia Pevensie.
Evelyn lo aveva immediatamente invitato al loro matrimonio e lui si era detto immediatamente entusiasta di partecipare alla cerimonia, anche a costo di affrontare le malelingue di zia Alberta.
Si sarebbe trasferito a casa loro dalla settimana seguente, in attesa di stabilirsi nel nuovo alloggio per l’inizio dell’anno scolastico.
Diceva che Silente credeva fermamente in lui.
Alla fine, il tetro ambiente dell’infermeria aveva acquisito un aspetto molto rilassato e familiare, arrivando a sorvolare più di una volta il rigido rigore di Madama Chips.
Quasi dispiaceva il fatto di dover tornare a casa e affrontare finalmente il mondo reale.
Almeno tutti gli altri avrebbero avuto un posto dove stare.
Edmund no.
Non aveva famiglia, non aveva nessuno.
E, mano a mano che si avvicinava il giorno della partenza, il groppo che gli attanagliava lo stomaco si stringeva sempre di più.
Dove lo avrebbero spedito, dal momento in cui la scuola sarebbe stata chiusa?
Lo avrebbero scacciato?
Al solo pensiero di trovarsi solo, con Voldemort e la Strega Bianca che gli davano la caccia, il ragazzo tremava di paura.
E poi, l’ultimo giorno, avvenne ciò che temeva di più: Silente lo mandò a chiamare nel suo ufficio.
Jane, che ormai era diventata la sua migliore amica, si offrì di accompagnarlo.
Lo scortò fino in cima alla torre, dove il Preside li aspettava sorridendo.
La prima impressione che Edmund ebbe di lui fu del tutto inaspettata: era molto diverso da come se l’era immaginato in tutti quegli anni e di certo il suo Silente non incuteva tanto rispetto e sicurezza al tempo stesso.
Dalla prima occhiata che gli rivolse, capì all’istante che avrebbe potuto fidarsi di lui, che avrebbe potuto confidargli qualunque cosa.  
−Sedetevi, ragazzi – li invitò con un ampio gesto della mano.
I due si sedettero di fronte a lui.
−Allora, Edmund, – esordì – ti trovi bene qui?
−Sì, signore. Ho trovato davvero dei grandi amici e mi dispiacerebbe tantissimo di doverli perdere, un giorno.
−Sono certo che, se continuerai a nutrire questi sentimenti verso di loro, ciò non accadrà. Le tue parole mi fanno un immenso piacere. Tuttavia, ti ho convocato per una questione che credo ti sia molto a cuore. Vedi, in questi ultimi giorni ho effettuato molte ricerche sulle tue origini nei registri del Ministero, ma in nessuno c’era il tuo nome. Nessuno tra i bambini scomparsi negli ultimi anni si chiamava Edmund. Ora ciò che ti chiedo è questo: sei sicuro che sia il tuo vero nome?
−Sì, signore.
Silente lo scrutò a lungo, per un tempo che a Jane parve interminabile, scorgendo sul suo volto un’espressione indecifrabile; poi il Preside riprese come se nulla fosse accaduto: − Stando così le cose, è davvero difficile risalire alla tua vera identità. A quanto pare, Alhena Black ha dimostrato ancora una volta le sue doti eccezionali di strega, arrivando a ingannare anche i sistemi di tracciamento più efficaci. Sai, quando un nuovo mago nasce in Inghilterra, viene subito contrassegnato da una Traccia che gli resta indelebile fino al raggiungimento della maggiore età.
−Ma io non sono nato in Inghilterra, signore.
−Ne sei sicuro? Quali sono i tuoi primi ricordi?
−Molto confusi. Ma posso affermare con certezza che vivevo già con Alhena.
Silente si prese qualche attimo di silenzio per registrare l’informazione, poi proseguì: − A questo punto, le ipotesi sono due, entrambi possibili: o sei stato rapito quando eri molto piccolo oppure Alhena ha usato un Incantesimo Confundus molto potente per farti dimenticare la tua vera famiglia. In ogni caso, è certo che i tuoi genitori non si trovassero in Inghilterra o perlomeno stessero escogitando un modo per non farsi localizzare, specie se Voldemort era interessato a te. Jane mi ha raccontato tutto. E sono davvero fiero di come hai agito in questi anni.
−Quindi ha idea di chi potrebbero essere?
−Non so di preciso i nomi, ma potrei tirare a indovinare. Evidentemente, erano tra i tanti maghi e streghe entrati in clandestinità durante la guerra, per evitare di essere scovati dai Mangiamorte. In quegli anni, molti bambini sono nati senza che nessuno sapesse della loro esistenza e solo dopo la caduta di Voldemort sono usciti allo scoperto. Molto probabilmente, tu sei tra questi. Ma non so dirti con certezza che fine abbiano fatto i tuoi genitori. Il fatto che in questi anni non si siano mai fatti vivi può far pensare che la loro memoria sia stata alterata, che non siano riusciti a ritornare in Inghilterra o, purtroppo, che siano stati uccisi. La ricerca continua, questo è certo, ma per il momento hai bisogno di una sistemazione stabile, con qualcuno che si occupi di te e ti aiuti a riprendere la tua vita, possibilmente restando al fianco dei tuoi nuovi amici. All’inizio, sfortunatamente, non potevo offrirti altre opportunità al di fuori di quella di finire in orfanatrofio o di restare a Hogwarts per tutto agosto, ma poi il caso mi è venuto in aiuto. Immagino che tu conosca la famiglia Pevensie, giusto?
−Oh, sì!
−Pare che Evelyn e Charlie siano rimasti molto colpiti da te e, d’accordo con i ragazzi, hanno chiesto di poterti adottare. Non ti chiedono di chiamarli mamma o papà e vogliono che il tuo cognome resti Pevensie come quello degli altri tre fratelli anche dopo il matrimonio. Ma vorrebbero occuparsi di te, aiutarti in tutti i modi possibili e immaginabili. Andrai a vivere vicino Londra, a pochi chilometri dai paesi dove si trovano Jane e Harry, che potrai andare a trovare quando vuoi. Ma non posso dare loro il permesso di adottarti senza il tuo consenso. Cosa ne pensi?
Edmund tacque.
Non riusciva a credere a quanto aveva appena udito.
Avrebbe avuto una famiglia, una famiglia vera!
Tutto ciò che aveva sempre desiderato si stava materializzando davanti ai suoi occhi.
–Sì! – rispose con il cuore che gli batteva all’impazzata. – Sì, per favore!
−Molto bene! – disse Silente. – Domani mattina prenderai con loro l’Espresso di Hogwarts. Ma c’è un’altra questione che vorrei porti prima di congedarti.
−Sono tutt’orecchie!
−Tu sei un mago e in quanto tale dovresti frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Tuttavia non voglio costringerti a studiare la magia, come non ho costretto Susan quando è stato il suo turno. Se vorrai iscriverti in una scuola babbana, non farò nulla per dissuaderti. Se invece vorrai venire a Hogwarts avrai un piano di studi personalizzato, per metterti in pari con i tuoi compagni, e frequenterai serenamente cinque anni invece che sette. Cosa ne dici?
−Ci ho pensato lungamente in questi giorni e ho deciso che voglio continuare a studiare la magia. Ma ho paura di finire a Serpeverde, signore.
−Non preoccuparti. Il Cappello Parlante sa leggere il cuore di coloro che lo indossano. E poi, non guardare ai pregiudizi della gente. È vero, la maggior parte dei Serpeverde è passata alla Storia con una pessima fama, ma ciò non significa che la Casa in sé trasmetta dei valori sbagliati. Spesso è l’uso che se ne fa a distruggerli. Non preoccuparti per questo.
−Va bene, signore.
−Perfetto. Mi ha fatto piacere avere questa conversazione con te. Ora puoi tornare in infermeria a prepararti per domani, ma sappi che ci tengo a vederti a cena tra due ore. Puoi sederti con i gemelli Potter al tavolo dei Grifondoro, se lo desideri.
−Oh, grazie!
−Riceverai presto a casa tutte le istruzioni per iniziare i tuoi studi. Nel frattempo, ti faccio tanti auguri. E, qualsiasi cosa tu voglia chiedermi, sappi che sarò sempre disposto ad ascoltarti. Preferisco che tu sfoghi ciò che hai dentro, piuttosto che lasciare che ti annebbi la mente e ti porti ad agire per rabbia.
−Lo farò, stia tranquillo.
Silente strinse le mani a entrambi, poi li congedò.
Una volta soli nel corridoio, Jane lanciò un grido di gioia e prese a ballare attorno a Edmund, attirando le occhiate di parecchi curiosi.
Nonostante fosse un ragazzo molto schivo e riservato, anche lui si unì alle danze, fino a quando la professoressa McGranitt non uscì dal suo ufficio minacciando di metterli in punizione.
Quella sera, Edmund poté finalmente lasciare l’infermeria dove era stato confinato per quasi una settimana, mescolandosi insieme alla massa di maghi e streghe vocianti che sciamavano verso la Sala Grande per il banchetto d’addio e festeggiando insieme a loro la fine di un altro anno.
Una fine che per lui non era altro che un nuovo inizio, la festa di benvenuto alla vita che finalmente era venuta a portarlo via dalla sua prigione.
Da quel giorno in poi sarebbe stato per sempre Edmund Pevensie.
 


 
Fine prima serie
 
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(attenzione spoiler!!!!)
 

Epilogo
 
 
 
Edmund trattenne il respiro mentre la porta della Sala Grande veniva aperta, rivelando i tavoli delle quattro Case, i cui colori dardeggiavano sulle divise degli studenti: il rosso e l’oro di Grifondoro, il nero e il giallo di Tassorosso, il blu e l’argento di Corvonero e il verde e l’argento di Serpeverde.
In mezzo alla selva di teste, il ragazzo distinse nettamente la chioma arruffata di Jane, che applaudiva più forte di tutti, un’espressione sognante impressa nei suoi grandi occhi verdi.
Lucy si aggrappò ancora di più al suo braccio, salutando i fratelli con la mano.
Era eccitatissima e tremava per l’emozione.
Nelle ultime settimane, lei ed Edmund non avevano fatto altro che stilare ipotesi sulla Casa in cui avrebbero potuto essere assegnati: Grifondoro come Peter o Corvonero come Susan?
La risposta non era poi così scontata, visto che il Cappello Parlante guardava al cuore del mago e non alle sue origini.
Le uniche volte in cui era stato inflessibile, era accaduto perché gli si era presentato davanti l’erede di uno dei quattro fondatori o un mago dalle convinzioni talmente radicate che sarebbe stato quasi impossibile concedergli una seconda opportunità.
E l’unica convinzione che Edmund aveva era quella di non finire a Serpeverde per nessun motivo.
Harry era stato molto tranquillizzante a riguardo.
Gli aveva infatti raccontato più volte di quando il Cappello voleva assegnarlo a Serpeverde e lui, ostinatamente, si era opposto.
In fondo quella non era altro che una sfida per difendere i propri valori.
Ed Edmund sapeva che i suoi erano decisamente opposti da quelli di Salazar Serpeverde.
Il piccolo corteo di studenti del primo anno si fermò come di consueto davanti al tavolo dei professori.
Edmund era di gran lunga il più alto di tutti e molte occhiate erano rivolte a lui.
Le sue mani si strinsero ancora più forte attorno alle spalle di Lucy.
Una volta che la McGranitt finì il suo discorso, iniziò a chiamare i ragazzi uno a uno.
L’elenco sembrò durare un’eternità, fino a quando non arrivò il suo momento.
−Edmund Pevensie!
Con il cuore in gola, il ragazzo si avvicinò timidamente allo sgabello e si sedette, osservando preoccupato il Cappello che pendeva sulla sua testa come una mannaia.
−Serpeverde! – gridò questi prima ancora di sfiorare la sua testa.
   
 
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