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Autore: LittleFrost    17/08/2013    6 recensioni
*CONTRO LA VIOLENZA SU DONNE E BAMBINI!*
La donna seduta davanti ai giornalisti si alzò e disse: “Questa è la mia storia. Non è una storia felice, né una storia triste. È una storia vera. Ci troviamo nell’aperta campagna londinese. È il 23 giugno 2009…lo ricordo ancora come se fosse ieri, e, sebbene siano passati quattro anni, riesco ancora a sentire la paura che ho provato e ho ancora i segni lasciati da quella triste sera. Se provassi a raccontarvi ora quello che ho passato, probabilmente le parole non arriverebbero, quindi vi leggerò la pagina di Diario del 24 Giugno.” Fece una pausa, e si schiarì la voce, preparandosi mentalmente a quello che stava per fare. E iniziò la lettura, lentamente, scandendo bene le parole:…
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehy! È un bel po’ che non pubblico quindi eccomi qui! Questa volta è una songfic un po’ particolare che vi sottopongo….con il sottofondo della canzone Mean, ho voluto parlare di uno dei temi che mi stanno più a cuore: la violenza sulle donne. Beh…buona lettura!

La stanza nella quale entrai, era illuminata a giorno da due lampadari di cristallo, e sul pavimento erano poggiate molte eleganti sedie. Ne scelsi una in prima fila, in attesa degli altri giornalisti e della donna che dovevamo intervistare. Casi come quello non me erano mai capitati prima, quindi ero molto interessato. La donna che entrò indossava una tuta nera ed era accompagnata da un uomo in giacca e cravatta. Si sedette, e iniziò:
“Questa è la mia storia. Non è una storia felice, né una storia triste. È una storia vera. Ci troviamo nell’aperta campagna londinese. È il 23 giugno 2009…lo ricordo ancora come se fosse ieri, e, sebbene siano passati quattro anni, riesco ancora a sentire la paura che ho provato e ho ancora i segni lasciati da quella triste sera. Se provassi a raccontarvi ora quello che ho passato, probabilmente le parole non arriverebbero, quindi vi leggerò la pagina di Diario del 24 Giugno.” Fece una pausa, e si schiarì la voce, preparandosi mentalmente a quello che stava per fare. E iniziò la lettura, lentamente, scandendo bene le parole:
“Caro Diario, questa sarà l’ultima volta che ti scrivo, perché non so cosa sta per succedermi o casa verrà fatto di me. Ieri sera Mark…” Alzò gli occhi e spiegò che Mark era il suo ex-marito, poi continuò, già con le lacrime agli occhi: “ …Mark è tornato dal bar più ubriaco del solito….balbettava e farfugliava su di una donna conosciuta lì al bar che ‘gliela aveva data facilmente’. Ormai sono abituata alle sue sbronze, visto che passa tutto il suo tempo libero al bar…eppure stavolta non è stata come tutte le altre…lui era diverso. Nei suoi occhi ci sono più rabbia, più frustrazione…più determinazione. Quando l’ha fatto le altre volte, il coperchio di una pentola mi è servito da scudo, ma stavolta non mi è bastato. Qando mi ha picchiato, non sono stati i suoi calci e i cazzotti a farmi male, ma le sue parole….

You, with your words like knives

Le sue parole affilate come coltelli. ‘Brutta puttana, miserabile, cretina, deficiente, schiava’ Sono state solo alcune delle umiliazioni che ho dovuto subire, mio caro diario.

And your wildfire lies and your humiliation

 Ma non è stata la prima volta, né sarebbe stata l’ultima. Le sue parole mi uccidono l’anima ma non il corpo. Alle parole si può resistere. Quindi tutto sarebbe finito normalmente, se in quel momento…non…non…fosse entrato…”
Qui si fermò, facendo una pausa per asciugarsi gli occhi, perché era scoppiata in lacrime, ben sapendo cosa stava per leggere. Poi si riprese, sostenuta dall’uomo che le stava dietro: “nostro figlio, Jeames. Il piccolo, quattro anni, ha fatto ‘papà, stai bene?’ e guardava il padre con gli occhi spalancati. Mark allora non si è più trattenuto e ha iniziato a picchiarlo, il mio povero Jimmy! Io allora mi sono buttata su di lui, ma non è servito a niente; con uno spintone mi ha buttata contro il muro. E ha continuato a picchiarlo, il mio povero bambino! Io lo vedevo lì, il mio povero Jimmy, sul pavimento, e allora ho preso una forbice e….e…ho colpito Mark sul fianco. E ho iniziato a gridare ‘aiuto!’, non per me ma per il mio povero bambino! Ma questo ha solo fatto arrabbiare di più mio marito, che mi ha preso per le spalle gridando: ‘brutta puttana! Sei solo una brutta troia!’ e ha iniziato a prendermi a pugni in faccia e a calci in pancia. Poi, all’improvviso, quando il sangue già mi appannava la vista, ho visto la porta che si apriva e ho sentito la voce del mio adorato vicino, a cui avevo raccontato tutto già da tempo, che diceva: ‘vigliacco! Brutto pezzo di… prenditela con chi è della tua stazza? E poi devono aver fatto a botte, perché ho sentito degli urti e delle grida. Io allora velocemente mi sono messa vicino a James e, dopo essermi accertata che il suo cuore battesse e che respirasse, l’ho stretto al petto. Dopo un po’ ho sentito la voce di Bob, il mio vicino, che mi diceva: ‘su, forza andiamo! È a terra, ma non so per quanto ci resterà! Riesci a camminare?’ E poi ci ha presi in braccio, ma io sono svenuta. E mi sono risvegliata pochi secondi fa, qui in ospedale. Ho appena saputo che Jimmy sta relativamente male, ma che se la caverà, e che mio marito è stato arrestato. Quindi siamo al sicuro. Ora vado, perché il medico mi ha detto di riposare. Tua, Lizzy”
Lizzy si asciugò le lacrime, e iniziò a parlare: ”Questo è quello che mi è successo. Ora, mio figlio ha sette anni e sta bene. Si è ripreso, ed era troppo piccolo perché ora possa ricordare qualcosa. Ogni notte…ogni singola notte, io faccio dei terribili incubi, in cui rivivo tutto questo. Quello che mi è successo mi ha segnato definitivamente, mi ha, in un certo senso, rovinato la vita. Ma io non mi sono lasciata sconfiggere: ho fatto la terapia con uno psicologo, e ho combattuto, con tutte le mie forze. Ho combattuto per poter dare a me, e soprattutto a mio figlio, una vita normale. Una vita nella quale non devo vivere con la costante paura di poter essere picchiata, o di subire soprusi. E ci sono riuscita: oggi vivo con John, un uomo che mi ama e che non mi farebbe mai del male. Se oggi sono qui, è perché voglio lanciarvi un messaggio, a voi, donne e bambini, ma anche a tutti coloro che subiscono una violenza: RIBELLATEVI! Guardate me: io mi sono ribellata, e ora vivo in una grande città, e lui non è che uno sbiadito ricordo.

Someday I’ll be living in a big ol’ city
And all you’re ever going to be is mean
Someday I’ll be big enough so you can’t hit me
And all you’re ever going to be is mean

Ho detto tutto quello che avevo da dire. Ora vado, perché non ce la faccio, a rispondere alle vostre domande. Vi prego.”
E uscì dalla stanza, seguita dall’uomo che era sempre rimasto muto. Io rimasi due o tre istanti sulla sedia, a pensare a ciò che avevo sentito…da quel momento avrei avuto una sola missione: diffondere il messaggio che la violenza sugli indifesi è il peggior crimine. Perché quello che è capitato a Lizzy non deve capitare mai più. A nessun altro, buono o cattivo che sia. 

Eccoci arrivati alla fine! Spero che questa storia vi sia piaciuto e vi abbia fatto capire quanto la violenza sia sbagliata, in qualunque forma. Perché la violenza sugli indifesi è un ABOMINIO! Nessuno, e dico nessuno, dovrebbe mai provarla! Perché in questo mondo siamo tutti uguali e tutti abbiamo gli stessi diritti! Quindi, se mai dovesse succedere a voi, non temete, ribellatevi. E ricordate: la violenza procura solo altra violenza!
Adesso, i soliti ringraziamenti! Innanzitutto alla mia formidabile beta reader, migliore amica, perché senza di lei queste storie non esisterebbero ed io non sarei me stesso. Tvb.
Poi, i miei ringraziamenti vanno al programma “Glee”, perché è da l’ì che ho preso l’ispirazione.
Per ultimo, ma non per importanza, ringrazio tutti coloro che, come me, combattono contro la violenza sugli indifesi. Stanno contribuendo al formarsi di un mondo migliore.
Lovely, Mattyfm
  
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