A Ray, perché condividere telefilm impopolari è sempre bello.
Quando Dorothy oltrepassa la soglia della
clinica tutti gli uomini presenti in sala d'attesa si voltano a
guardarla – nonché a compiacersi di tale visione
–, George deve
reprimere ogni fibra del suo corpo per evitare di provare
quell'insidiosa sensazione che pian piano si è annidata in
lui.
Dorothy non perde tempo in convenevoli, il suo senso del dovere
viene prima di tutto e, come di consueto, si avvia a sbrigare le sue
mille beghe burocratiche. Non prima di varcare la soglia del suo
studio, si intende, appropriandosi di un diritto che George non le ha
mai concesso.
«Sempre puntuale, Dorothy», sentenzia George,
con lo sguardo rivolto verso il basso, fingendo di concentrarsi su
alcuni fogli sparsi sulla scrivania.
«George, sai, dovremmo
provare ad andare d'accordo».
George abbozza un sorriso sghembo,
poi le rivolge un'accusa lapidaria: «Ed essere amici,
magari»,
Dorothy coglie il sarcasmo della frase, eppure sfoggia
un sorriso a trentadue denti. «Suppongo, allora, che dovrai
accontentarti di essere mia nemica».
George le tende la mano, ma
Dorothy non può proprio trattenersi dall'inveirgli contro:
«Non
scherzare, George. Siamo già stati amici in
passato!».
George
ritrae la mano nel camice, ammicca in sua direzione e sentenzia:
«Non
scherzo mai, Dorothy. E ti vorrei far notare che il nostro
“essere
amici” in passato ci ha portato a ben
altro», mima con due
dita, affinché il messaggio arrivi chiaramente.
«Ma non
preoccuparti, ormai la tua presenza non mi fa né caldo
né freddo».
Dorothy si avvicina alla sua scrivania, rivolge i palmi verso il
basso in direzione della stessa e si compiace tra sé e
sé, prima di
condannarlo con un'aspra sentenza: «Hai ragione. È
proprio per
questo che stai leggendo al contrario».
E George vorrebbe
contraddirla, com'era solito fare tempo addietro, facendole notare
che è dalla parte del torto, ma rimane lì a
boccheggiare, incerto,
per poi rivolgere uno sguardo ai fogli che fingeva di scrutare con
tanto interesse e convincersi che, sì, effettivamente lui e
Dorothy
Crane non potrebbero essere amici.
Da una parte George Coleman sa
di aver ragione, perlomeno – quale magra consolazione, pensa
fra sé
e sé.
Dorothy
vuole lasciarsi alle spalle l'annosa questione
Coleman, eppure
si trova al ristorante cinese dietro l'angolo. Precisamente in quel
locale che l'ex fidanzato aveva sempre definito il suo “posto
segreto”
con i colleghi di lavoro e questo aveva fatto sorridere Dorothy,
seppur malinconicamente, perché quando George le aveva
rivolto uno
sguardo d'intesa lei aveva recepito subito cosa intendesse dire.
Quando avevano iniziato a frequentarsi Dorothy non voleva affatto
che sua nonna scoprisse quella relazione, così avevano
deciso di
vedersi nell'ultimo posto presso cui cui l'anziana signora Crane
avrebbe mai messo piede. Avevano denominato quel ristorante il loro
posto segreto, come
due sciocchi ragazzini, credendo che ci fosse della magia in tutto
ciò.
A distanza d'anni Dorothy non è ancora riuscita a
trovare un altro ristorante cinese di eguale livello o, forse, un
altro uomo che le faccia battere il cuore come George Coleman:
ingenuamente preferisce credere che si tratti della prima opzione,
quella meno dolorosa.
Talvolta
il turno di notte è davvero pesante e alcuni dottori da
strapazzo
invitano George a prender parte ai giochi da tavolo. Per quanto gli
riguarda tutto ciò sarebbe estremamente seccante, se solo
non si
bevesse gratis.
Quella sera anche Dorothy partecipa,
probabilmente cerca ancora di aggregarsi alla combriccola,
rivolgendogli di tanto in tanto dei sorrisi che George finge di
disgustare.
«Okay, prossima domanda: con quante persone sei
andato a letto nell'ultimo anno?», chiede Juanita, puntando
il dito
verso George – conosce benissimo la situazione sentimentale
degli
altri colleghi, evidentemente.
George poggia a terra la lattina di
birra, è la sua occasione di rivalsa: al suo posto Dorothy
non
avrebbe esitato nemmeno un secondo, tanto vale prendersi la rivincita
che gli spetta dopo tanti anni.
«Così tante che non riesco a
tenere il conto nemmeno su un paio di mani», risponde George,
puntando lo sguardo alla sua ex fidanzata. Poi, alquanto pieno di
sé,
decide di volersi togliere una curiosità: «E tu,
Dorothy, con
quanti uomini sei andata a letto nell'ultimo anno?».
All'interno
della stanza cala il silenzio, il tempo è scandito solo dal
ticchettare incessante dell'orologio da parete.
«Anzi,
facciamola più difficile: con quanti uomini sei andata a
letto, dopo
di me?», chiede George, calcando in
particolar modo l'ultima
sillaba.
Dorothy non si scompone, sostiene il suo sguardo e
sentenzia con un inusuale freddezza: «Proprio nessuno,
George. Mi
dispiace di aver deluso le tue aspettative».
Lo sguardo di
Dorothy punta il pavimento, George viene colto impreparato e se ne
sta per un buon minuto a fissare il vuoto. Poi i giochi riprendono,
come se nulla fosse accaduto, ma Dorothy scompare tra i camici
bianchi dei colleghi e George la segue con lo sguardo.
Non
sa bene perché ma si è precipitato fuori dalla
stanza in cerca di
Dorothy – avrà fatto quattro rampe di scale in due
minuti netti –,
poi realizza che dopo una scena del genere può essere andata
solo in
un posto.
«Così tipico di te, Dorothy: quando la situazione
si
fa difficile, scappi».
Non vedendo alcun taxi all'orizzonte
Dorothy abbassa il braccio, dopodiché gli si rivolge con lo
stesso
tono imperioso: «Così tipico di te, George:
umiliarmi in pubblico è
ancora il tuo forte».
George si trattiene, vorrebbe risponderle
qualcosa del tipo: “Non è
così difficile umiliarti, Dorothy”,
ma per qualche strana ragione non riesce a canzonarla come da
copione.
«Mi hai stupito, Dorothy Crane».
Dorothy lo
conosce bene: quando George l'apostrofa con il suo nome completo non
scherza mai. Ecco perché fa un passo indietro e sorride con
una
espressione distesa: «Cosa vuoi farci, George... ognuno ha il
suo
posto segreto».
George caccia le mani dalle tasche, fa un
passo in avanti e le chiede in tutta naturalezza: «E il mio
qual
è?».
Dorothy si mordicchia nervosamente le labbra, sono delle
luci abbaglianti a salvarla sul gong: «Noi non siamo fatti
per stare
insieme, George. Tutto qui».
Non esattamente la risposta che si
aspettava, pensa George, aprendole la portiera del taxi.
«Allora,
in tal caso, non dovrebbe essere un problema prendere un taxi
insieme».
Dorothy
si sveglia con un mal di testa assurdo, reduce da una serata non
proprio piacevole e con la netta sensazione di essere in ritardo.
Quando schiude le palpebre le luci dell'alba si son levate da un bel
pezzo, ma la sua sveglia ancora non suona. Gli unici rumori che si
odono sono quelli della televisione in cucina e delle credenze aperte
con fare smanioso.
Dorothy realizza la realtà dei fatti solo
qualche secondo dopo, quando flette il busto in avanti con una
espressione di terrore in volto e nota che sul suo pavimento non sono
solo i suoi vestiti ad aver affrontato una notte inaspettata.
«Ancora fissata con questi prodotti biologici,
eh?»,
dichiara George, oltrepassando la soglia della camera e sbattendole
di fronte un pacco di biscotti.
Dorothy vorrebbe rispondergli
come ai vecchi tempi, ma non crede di aver focalizzato bene la
situazione.
«Mio Dio, non ho sognato», risponde Dorothy,
mettendosi letteralmente le mani tra i capelli.
«Sarei stato
meno prestante nei tuoi sogni», inveisce George, pieno di
sé.
«Oppure stai ammettendo di aver già sognato quello
che è successo,
Dorothy?».
Non ha tempo di stare al suo gioco, è in ritardo e
chissà in quale altro guaio l'avrà cacciata
George, conoscendolo.
Dorothy cerca con smania le sue scarpe con il tacco, ma è
George a
svelarle un altro arcano mistero: «Temo di doverti ricordare
che
oggi non hai alcun impegno di lavoro».
Dorothy
si ferma per un sol momento, poi realizza precisamente il giorno
della settimana e anche la data: da non crederci, George Coleman ha
passato qualche ora nel suo appartamento e già le sta
scombussolando
la vita.
«Spiegami com'è successo tutto
ciò...», chiede
Dorothy, gettandosi con un tonfo sordo sul letto.
George decide
di affiancarla, per poi dichiarare senza incertezza alcuna:
«Siamo
noi, tutto qui».
Dorothy
sa benissimo che George non è tipo di uomo con il quale
pianificare
una famiglia, eppure si rende anche conto di quanto siano
inevitabili. Ogni volta che le loro strade si
incrociano
finisce sempre allo stesso modo e lei non riesce affatto a opporsi,
pur concentrando tutte le sue forze.
E
invece è notte fonda, il profumo di George è
ancora sui suoi
cuscini – anzi, a dir la verità si estende in
tutta la casa –,
sembra di esser tornati indietro nel tempo.
Forse certe cose non
cambieranno mai, forse alcune persone rimarranno dei muri che si
tenteranno sempre di sfondare. Dorothy contempla tutto ciò
dallo
stipite della porta, mentre George è intento a cucinare
qualcosa che
dovrebbe avere l'aspetto di una brodaglia.
«Con quale faccia
entrerò domani in clinica?», chiede più
a se stessa che a lui.
George si volta, colto di sorpresa, poi ribatte: «Con la
stessa
faccia con la quale sei entrata il primo giorno: affascinata da
me».
«Parla colui che pensava di abbordarmi di nuovo il primo
giorno».
Ecco, colto in fallo, George Coleman non può proprio
negare quell'affermazione; Dorothy esulta tra sé e
sé, almeno per
una volta vale la pena farle avere la meglio, esibendosi in una
strana danza della vittoria. George nega placidamente con il capo,
girando con il mestolo nel pentolino.
«Allora, cosa ne pensi di
tutto... questo?», Dorothy
si avvicina, lasciando scivolare la mano sul mestolo.
A dispetto
di ogni possibile insicurezza George sa cosa rispondere a quella
domanda, in fondo ha avuto un bel po' di tempo per pensarci: «Ti
stupirò, Dorothy: penso che sia fantastico.
Davvero
fantastico, come la prima volta che te lo
dissi».
Quello
sarebbe un segnale criptico per qualsiasi essere umano, se solo
Dorothy Crane non fosse l'eccezione alla regola: deve rivangare con
la mente indietro nel tempo, quando gli confessò che lo
amava e lui
rispose con un semplice: “Fantastico”.
Ora tutto ha più
senso, pensa Dorothy, forse nel linguaggio Colemaniano
–
o forse sarebbe meglio parlare di dizionario? –, quello
è un
segnale più che chiaro. Dorothy sorride, si chiede come
abbia fatto
ad essere così stupida, dopodiché ribatte: «Anche
io».
____________________________________
Queste
sei flashfic seguono un ordine cronologico, il tutto avviene
nell'arco di una giornata: dalla mattina fino alla sera, se non si
fosse capito. XD
Dunque, alcune spiegazioni: il ristorante a cui
si fa riferimento nella seconda flash è quello che appare
nella
01x02, questa è una mia fissa mentale a dirla tutta. George
ha
definito quel ristorante il suo “posto segreto”, a
mio parere ci
andava con Dorothy ai tempi in cui stavano insieme. Da qui tutta la
questione sviluppata nella terza flashfic. Quando George dice a
Dorothy: “Fantastico”, dovete
pensare al pilot, quando
Dorothy disse a George: “Io ti dissi che ti amavo e
tu mi
rispondesti: 'Fantastico'”. George non
sarà mai il tipo di
persona che dirà “ti amo”, secondo me
quello era il suo modo per
ricambiare (non compreso da Dorothy la prima volta), lei lo ha capito
la seconda volta. :3
Vabeh, vado a farmi film mentali da qualche
altra parte. Non smetterò mai di dire quanto questo telefilm
sia
stato ingiustamente cancellato. e_é
Grazie per aver letto!
Kì.