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Autore: Fuecchan    19/08/2013    2 recensioni
Piccola one-shot scritta durante il periodo estivo.
Avrei dovuto pubblicarla tempo fa ma mi son trattenuta per le vacanze ancora un po'.
Ora vi lascio a questa Missing Moment RinxHaruka - Free!
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa: Per la resa migliore dell’atmosfera della canzone, vi consiglio di ascoltare questa https://www.youtube.com/watch?v=xMlou7Q0GRE

Buona lettura!

 

• Why’d I have to wait •

RinxHaruka – Free!


Where were you when
everything was falling apart?

Per quanto acqua e cloro fossero i miei principali pensieri al tempo, credo di non aver mai tenuto conto tanto di una persona come in quel periodo.
Da quando Rin aveva lasciato tutti noi, non so per quale motivo, era andato tutto a rotoli.
Non con gli altri.

Nella mia vita era passato ogni qual si voglia motivo per continuare a nuotare; qualsiasi pretesto per migliorarmi, qualsiasi spinta per andare avanti e diventare sempre meglio era stata scaricata violentemente nella putrida latrina quale era il dimenticatoio nella mia testa.

Tuttavia, nel dimenticatoio non ci era finita la persona che aveva causato tutto questo.
Un bel paradosso, ammetto, ma era così.

Eppure, quando tutto nella mia testa era andato a rotoli, lui dov’era? In Australia? O nascosto nella nostra città aspettando il momento giusto per attaccare?

Come gli squali.

Ma in tutto questo perdere ogni speranza e voglia di competitività, l’amore per quello che era ed è l’acqua per me non era mai tramontato. E non accenna a farlo minimamente.
Il tenue cullare dell’acqua di una piscina.
Dell’acqua in generale.
Questa forse era l’unica cosa che spegneva l’agonizzante bruciore della ferita aperta nel mio petto. Quella ferita che mai sarebbe stata risanata.
Una sola persona poteva. Ma questo, ovviamente, non poteva minimamente immaginarlo.

Sta di fatto che lui in quel momento non era lì, non con noi.
Con me.
A sorridere come faceva sempre.

Una gara al tempo era motivo di risate, di dolci sorrisi di bambini, di spinte amichevoli e pacche sulle spalle o tra i capelli.
Ma da allora eravamo tutti cresciuti, mantenendo tutti il nostro carattere principale, ma dentro di me qualcosa era morto e sepolto.

Dov’eri quando tutto intorno attorno a noi è crollato?

 

And all I needed was
A call that  never come[…]

Ogni comportamento tenuto da Rin non aveva il benché minimo senso logico.

Ci ritrovammo a parlarne anche con Rei-kun, il nostro nuovo membro, che di logica ne capiva più lui di un matematico iscritto all’albo.

Ovvio che non aveva senso.
La sete di vittoria, di competitività che aveva come scopo il primeggiare, non era una giustificazione per come si era comportato con noi, con me.

Dopo l’ultimo incontro che avevamo avuto nel negozio di attrezzi sportivi di nuoto, non avevo più avuto sue notizie in nessun modo.
Niente.

Neanche una telefonata.
E io l’ho aspettata tanto.

Tempo addietro chiedemmo Kou-chan di darci il suo numero di telefono, ma niente di niente era riuscita a smuoverla dalla sua posizione.

Si comportava quasi da spia infilatrata per conto di Rin.
Una cimice in piena regola.

Ma lei non aveva minimamente intenzioni cattive. L’unica cosa che desiderava era vedere suo fratello come era un tempo, prima che partisse per l’Australia.

Anche io volevo vedere questa cosa.
Anche io volevo che venisse di nuovo a nuotare con noi.

Ma non era possibile.

Per questo avevo ponderato nella mia testa che il ritornare a far parte di un team di nuoto, fosse l’unica soluzione possibile; la più plausibile, per tentare di avere a che fare ancora con lui; per avere uno scontro finale e definitivo e liberarlo da quel narcisimo e quella concezione di perfezione nello sport, che lo aveva completamente estraniato da quella che era, al tempo, una piccola ed accogliente famiglia.

Per quanto io abbia aspettato, pazientemente, costantemente, quella chiamata che attendevo, non è mai arrivata.

 

Why’d have to wait?
Where were you?
Where were you?

 

Makoto, qualche giorno prima, mi aveva raccontato che il nostro vecchio complesso dove praticavamo nuoto, era stato completamente demolito.

Lì, aveva incontrato il nostro vecchio istruttore.

Non so con esattezza cosa si siano detti, ma quando tornò aveva uno sguardo traboccante di comprensione, sopratutto quando mi guardava.
La cosa che mi arrecava più fastidio, era che non ne conoscessi il motivo. Makoto non aveva mai avuto bisogno di provar pena per me, soprattutto perché non che ne avessi bisogno, in fondo.

Ma quella giornata, mi guardava così dolcemente, quasi come un fratello.
Era strano fatto da parte sua, lui che era sempre così solare, al vedermi si imbruniva come una giornata di pioggia.
Davvero, mi infastidiva non poco.

Al che, dopo aver attentamente ponderato se agire o meno, decisi di andare a vedere ciò che rimaneva di quella che era una parte del nostro passato.
A mio parere la migliore, la più gioiosa e brillante.

Non distava molto dalla scuola, Makoto doveva per forza usare la bici per arrivarci da casa, ma dato che mi trovavo nei dintorni scolastici, decisi di andarci a piedi, per l’appunto.

Quello che trovai sembrò lacerare ancora di più quella ferita che sanguinava ancora copiosamente.
Come se non fosse sufficiente la pugnalata alla schiena che Rin ci – mi -  aveva inferto così brutalmente, a sangue freddo
Vedere i propri ricordi, il proprio tempo speso, le giornate e le stagioni, che erano amabilmente conservate tra quelle mura, ora sepolti sotto un mucchio indistinto e freddo di macerie.
Come se tutto quello che c’era stato lì, fosse passato inevitabilmente in secondo piano. Il progresso non si ferma, vero, ma perché distruggere posti importanti per pochi singoli per il bene della comunità.
Sembra quasi un’omologazione.
Ma non mi ci soffermerò oltre.

L’unico pensiero che mi sfiorava in quel momento, era che lì, ormai, non ci fosse più niente che legasse me e Rin. In qualche modo quel filo delicato, e già logoro, era stato spezzato inevitabilmente da una scavatrice, quasi con noncuranza, con cattiveria, e menefreghismo.
Tutto quanto era sparito ormai, tutto; e soprattutto nessuno di noi poteva farci niente, nessuno aveva avuto il tempo di salvare quello che era rimasto di noi lì dentro, quel pezzo di anima che avevamo lasciato, noi piccoli ed innocenti fanciulli sognatori quali eravamo.

Mi piaceva pensare che qualcosa era ancora rimasto, come fossilizzato da quella caduta di calcestruzzo e cemento che ha abbattuto quello che mi aveva convinto che solo non ero.
Un po’ un paradosso.
Ciò che distrugge, ha anche la facoltà di conservare.

Così, con questa prospettiva abbastanza positiva, mi addentrai attraverso i nastri gialli, che, tecnicamente dovevano impedire il passaggio ad i pedoni.
I miei ricordi, quelli di Nagisa, di Makoto e di Rin, erano molto più importanti della mia sicurezza. Un livido o due non mi avrebbero certamente ucciso in quel momento, ma il vedere quella struttura per terra, al culmine della sua bellezza, aveva frantumato quello che era rimasto della mia anima, o la parte sana.

Una volta scavalcate le barriere di plastica, mi ritrovai davanti a quel cortile che ora alberi di pino e ciliegi non ne conteneva più, ma solamente mucchi e mucchi di muri crollati, intonaco rovinato e pieno di muffe e strane piantine parassite che ci vivevano sopra.

Scostai immediatamente lo sguardo altrove, trovando un punto su cui arrampicarmi sopra quella montagnetta bianchiccia e ancora circondata da una sottile polvere. La demolizione doveva essere abbastanza recente. Ma non era questo un pensiero importante, anzi, ancora meglio, se niente si era ancora totalmente depositato, forse qualcosa era ancora recuperabile, in mezzo a quel brutale e cruento sfacelo.

Arrivato ad una certa altezza, notai che c’era uno spigolo di carta plastificata che spuntava, svolazzante alla brezza del pomeriggio, tra due pezzi di cartongesso, che si erano sovrapposti dopo il crollo.
Mi chinai, lentamente, tentando di non perdere la presa con le suole delle scarpe dove avevo saldamente poggiato i piedi, e la raccolsi, tirando un po’, ma con cautela per evitare che si rovinasse – qualunque cosa essa fosse.

Mi sorpresi di trovare una nostra vecchia fotografia, quella della nostra vittoria extrascolastica.
Quasi stetti per cadere, mentre tentavo di trovare un appoggio per accomodarmi, ed osservarla meglio; ma l’unica cosa che trovai fu una mano che mi teneva la schiena.

Perché ti ho dovuto aspettare? Dov’eri?
Dov’eri?

Just a little late
You found me
You found me

Rimasi un momento intontito.
Nel mio cervello ormai stavo cadendo rovinosamente giù, per quella scarpata artificiale che si era creata dalla caduta del complesso.
Ma realtà era ben diversa. Ero immobile, un po’ obliquo, con ancora quella fotografia tra le mani, e una mano che mi sorreggeva, a stento, la schiena per evitare che cadessi.

Che fosse Makoto che era venuto a controllarmi, prevedendo, quasi come un veggente, una mia possibile caduta per la mia smania di temerarietà?
Possibile, ma non in questo caso.

Mi girai lentamente, trovando sotto gli occhi un cappello, che sembrava di marca, blu scuro, capelli magenta che da sotto svolazzavano trascinati dal piccolo venticello, che si stava portando via anche quelle polveri tanto fastidiose.
Sbattei un paio di volte le palpebre, lasciando che il cervello metabolizzasse la cosa, lentamente, forse troppo, dato che la figura piazzata che mi tratteneva, cominciò a brontolare qualcosa.

-Ne hai per molto?-

Scossi leggermente la testa, come se mi fossi ripreso da un lungo coma, ed era come se lo fosse stato, e piano, con un colpo di reni, mi aggrappai ad una sporgenza di tubi di ferro che sporgeva – fortunatamente non erano arrugginiti – e usando quelli come appiglio, riuscii a scendere lentamente, sotto un occhio attento di quel ragazzo che era sceso abilmente dal mucchio di muri caduti, con un paio di balzi.
Arrivato a terra, uscì lentamente dalle delimitazioni di plastica, che, tecnicamente, avrebbero dovuto impedire a chiunque il passaggio in quel cantiere, ma due ragazzi, tranquillamente, ci erano entrati come se fosse stata la cosa più facile del mondo.
Non molto sicuro.

Appena fuori, al sicuro, e col mio tesoro tra le mani, potei dedicarmi col pensiero nell’individuare quel ragazzo – anche se sapevo perfettamente chi fosse, era solo che il mio cervello si rifiutava categoricamente di crederlo.
Insomma, sembrava quasi impossibile una cosa del genere, che lui si fosse spontaneamente presentato qui, dove ovviamente non sapeva nemmeno di quello che era successo, e mi avesse dato una mano.
Secondo la sua logica avrei anche potuto farmi male, ma facendo un altro ragionamento gli servivo vivo dato che aveva come smania quella di battermi in una competizione seria, con punteggi e tutto il resto.

Con quel ragionamento che mi ronzava fastidioso nella testa, camminai per qualche metro più in là rispetto a quel cantiere, e mi sedetti su una panchina di pietra che si trovava poco distante. Una di quelle che sembrava di granito, ma non lo era.
Mi rigirai il foglietto di carta tra le mani: Un lato bianco, e l’altro con quattro facce sorridenti completamente ignare di quello che sarebbe successo in seguito. Cacciai un enorme sospiro dalle narici, quasi come se mi volessi liberare di tutto quello che avevo inalato lì, in mezzo a quel macello; ma in realtà volevo cacciare la sensazione che aveva cominciato a maturare dentro di me nel momento in cui identificai Rin che mi stava salvando da una situazione piuttosto scomoda, all’insaputa di tutti, senza nemmeno sapere per quale motivo io fossi lì.
Come i super-eroi.

E con lo stesso criterio con cui era comparso prima così, come se fosse stato teletrasportato, lo vidi sedersi accanto a me, come se si aspettasse qualcosa dal sottoscritto – non che fosse sbagliato – ma da me, in quel momento, non poteva ottenere altro che indifferenza.

-L’educazione l’hai buttata nel cesso?-

Incalzò ancora, ottenendo un mio sguardo. Piano ruotai il capo cominciandolo a guardare, mentre si toglieva con un movimento fluido il cappello – non aveva più motivo di nascondersi in quel momento da me né da nessun’altro – e si aggiustò appena i capelli con una mano.
Storsi le labbra, ponderando se rispondergli o meno, se dargli o no la soddisfazione di essere preso in considerazione da me, che ora mi tratta tanto come un nemico mortale.

-Per …?-

-Ti ho letteralmente salvato il culo e tu l’unica cosa che sai fare è non guardarmi nemmeno in faccia.-

Si girò verso di me, lasciando che i nostri sguardi si incrociassero inevitabilmente, quasi incatenati, i suoi di un magenta splendente. Lo vidi stringere tra le mani il cappellino e sospirare, tornando con lo sguardo basso.
Era frustrante non saper cosa dire in quel momento per Rin, sicuramente. Io invece avevo tanto da dirgli, ma avrei taciuto sino al momento giusto. Ogni cosa a tuo tempo, non potevo certo tempestarlo di domande così, a freddo, sarei stato mandato al diavolo categoricamente.
Alzai gli occhi verso di lui e lentamente gli passai la fotografia.

-Come sapevi che ero qui?-

Il mio sguardo in quel momento non faceva trapelare molto, anzi quasi niente a dirla tutta. Storsi il naso però mentre attendevo una sua risposta, che non tardò ad arrivare, più calma e pacata di quanto mi aspettassi.

-Kou.-

Tagliò corto semplicemente il magenta mentre si rigirava quel pezzetto di carta tra le dita, quasi come se si trattasse di qualcosa di strano per lui da trovarsi tra le mani. Lo vidi sospirare, pesantemente anche.
Io a quella risposta annui, anche se una piccola parte di me sapeva perfettamente che la causa di quel “accidentale” incontro fosse proprio la piccola sorellina di Rin. Alla fine lei agiva con buone intenzioni, ad insaputa del fratello, ovviamente.

Il mio sguardo si spostò all’edificio demolito poco lontano da noi, e piano qualcosa dentro di me si smosse, qualcosa che non doveva smuoversi.
Il sapere che l’unica cosa salva della nostra infanzia, della nostra amicizia soprattutto, fosse una semplicissima fotografia, mi fece appesantire violentemente il petto. Ora non c’era più nulla che ci legava, niente, eravamo due estranei. Potevamo tranquillamente non guardarci più negli occhi e fare finta che non ci fossimo mai conosciuti seriamente, che non avessimo mai condiviso nulla, come due perfetti estranei, per l’appunto.

Ma questa cosa invece di crearmi sollievo, mi rendeva tutto più difficile, pesante, doloroso. Come se per scappare un carcerato dovesse prima attraversare una coltre di filo spinato, dall’altra parte la liberà.
Ma le ferite del cuore non vanno via con un po’ di ovatta e disinfettante.
Piano tornai con la testa china, tirandomi un po’ la frangetta per coprire gli occhi, trovando vergognoso quel mio esternarmi così tanto, sì me ne vergognavo tantissimo, non mi era mai successo.
Avevo visto piangere, ma quando mi capitava che accadesse, non mi era mai capitato di essere visto… Mai.

Socchiusi delicatamente gli occhi, sentendo piano le lacrime cadermi dagli occhi. La cosa buffa era che non emisi nemmeno un singhiozzo; ero talmente triste e provato che le lacrime cominciarono a scendere da sole in completa autonomia. Per certi versi mi sentii un po’ meglio, per altri mi chiedevo cosa sarebbe successo se Rin se ne fosse accorto.
E non ebbi nemmeno il tempo di finire di pensarlo che si girò inevitabilmente verso di me.

-Ohi, che ti prende?-

Estranei.

-Haruka tutto apposto?-

Dì addio al tuo passato.

E senza che me ne accorgessi i singhiozzi arrivarono, gli occhi erano chiusi, sapientemente, ma le lacrime erano sempre più copiose, sempre più pesanti e salatissime.
Ma una mano, con forza, mi strattonò un polso, per costringermi ad alzare lo sguardo e a mostrargli la mia condizione.
Alzai di scatto il viso trovandomi Rin a poco, molto poco da me. Rimasi inevitabilmente immobile mentre mi prendeva piano il viso con le mani e, sapientemente, con i pollici mi asciugava le lacrime.

-Vedi di darti una calmata, io non affronto le mammolette.-

Ma perché era ancora così determinato con questa smania di vittoria, perché voleva ancora affrontarmi. Semplicemente perché.

Piano un’idea, una piccola teoria mi balenò in testa. Spalancai gli occhi mentre ancora Rin tentava in tutti i modi di asciugarmi le lacrime, che senza il mio comando, continuavano ad uscire così, nonostante anche la mia anima stesse placando il suo dolore.
E se il nuoto, o meglio, lo sfidarsi costantemente, fosse l’unica cosa che ci legasse in quel momento? E se Rin avesse già sofferto per la consapevolezza che la nostra amicizia non avesse più punti di connessione tra di loro, nessuna base, se non il nuoto stesso?

Mi calmai lentamente e tolsi piano le mani di Rin dal mio viso. Come a comunicargli che le cose, dentro di me, procedessero al meglio. Piano vidi il magenta avvicinarsi sempre di più a me, come se volesse quasi visitarmi. Ma stavo bene in quel momento. Una volta raggiunto quel pensiero, la mia anima era in pace, in parte.
Ma qualcosa ruppe quella pace, e sempre per colpa sua.

Socchiusi semplicemente gli occhi, inspirando lentamente, mentre sentivo le labbra di Rin sull’angolo delle mie, immobili, non si sarebbero mosse lo sapevo, non sarebbero andate oltre, perché andarci avrebbe significato qualcosa di irrimediabile sia per me che per lui, soprattutto per lui dato che il suo orgoglio lo avrebbe tormentato fino alla fine dei suoi giorni.

Aprii gli occhi, notando che si era allontanato da me, si era ficcato il cappello sulla testa e si intascò la fotografia, come se niente fosse. Si alzò lentamente, lasciandomi seduto su quella panchina, e si girò appena senza incrociare il mio sguardo.

-Questa la tengo io…-

Disse piano, completamente avvolto dall’imbarazzo e da una sensazione di calore in tutto il corpo, o almeno immaginavo si sentisse come mi sentivo io.
Io annuii, piano, continuandolo a guardare, con gli zigomi infuocati e rossissimi, ma prima che sparisse nel parchetto che circondava la nostra, ormai, ex sede di nuoto, gli dissi qualcosa.

-È un po’ tardi, ma mi hai trovato.-

 

 

L’angolo – depresso – dell’autrice

Ebbene siamo giunti anche alla fine di questa ennesima one-shot, ispirata alla canzone dei The frayYou found me” che ci stava tutta.
L’ispirazione me l’ha data una mia amica che ci ha fatto su un piccolo video a scazzo sui due personaggi, e devo dire che l’ho trovata davvero come punto d’ispirazione.
Spero che sia piaciuta anche a voi!
Lasciate un commento!
Un Bacio

 

Fue

   
 
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