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Autore: Book boy    19/08/2013    1 recensioni
Un attentato da parte delle nuove Birgate Rosse ai danni di un giudice coraggioso che ha condannato cinque dei loro compagni. Il racconto dell'unico sopravvissuto della scorta del giudice Sizi.
Genere: Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo bene quella mattina. Quella dannatissima mattina in cui persi tutti i miei compagni adempiendo al mio dovere verso lo Stato. Io facevo parte della scorta di Sizi, il giudice del processo alle nuove BR. Quel giudice aveva mandato in carcere con l’ergastolo i cinque terroristi che avevano compiuto l’attentato a Filini, uccidendolo brutalmente insieme a tutti e tre i componenti della sua scorta. L’avevano fatto saltare con il tritolo. Noi della scorta di Sizi eravamo in tutto quattro: Io, Claudio Morini detto “Johnny”, Alessandro Bisenzi e Carlo Puttini. Tutti noi facevamo parte della polizia, tranne Carlo che era un carabiniere. Ci conoscevamo tutti molto bene e dopo essere entrati nella scorta eravamo divenuti grandi amici. Viaggiavamo sempre con due macchine: Su una salivano Alessandro e Carlo, e loro trasportavano il giudice, io e Morini viaggiavamo sull’altra. Le nostre armi in dotazione erano, oltre alla pistola personale M9 Beretta d’ordinanza, il fucile mitragliatore Mk1, ma quello lo sapeva usare praticamente solo Morini, che con la pistola faceva schifo. Però bene o male tutti noi ce la cavavamo con il tiro al bersaglio, anche per questo ci misero nella scorta. Quando mi comunicarono che avrei fatto la guardia del corpo a Sizi rimasi folgorato ed euforico. A soli 28 anni mi ritenevano talmente bravo ed efficiente da farmi entrare in una scorta, ero al settimo cielo. Però solo io, quando lo comunicai a Elena la mia ragazza subito si mise a piangere e nascose il viso fra le mani. Io rimasi interdetto, insomma conoscevo i rischi di quel lavoro, ma anche fare il poliziotto nel momento in cui ci trovavamo era anch’esso un rischio. Perciò ricordo che l’abbracciai e le dissi “Stai tranquilla, nessuno mi farà del male” e lei smise di piangere e si strinse a me. Ricordo anche che volli subito contattare gli altri componenti della scorta, di cui conoscevo bene soltanto Alessandro, con cui avevo fatto qualche posto di blocco. Conobbi tutti gli altri il giorno dopo, in un bar vicino a Monte Citorio. Subito si rivelarono molto simpatici e da lì iniziò la nostra amicizia. Claudio aveva 30 anni, li aveva compiuti da poco perciò gli facemmo gli auguri anche se in ritardo, Alessandro ne aveva 27 mentre Carlo, il più vecchio ne aveva 41, infatti lui era il capo scorta. Incontrammo Sizi in tribunale, e subito capii che era una brava persona ma molto distaccato e forse anche un po’ timoroso, ma credeva in ciò che faceva e mai e poi mai si sarebbe tirato indietro dalla guerra al terrorismo. Il nostro primo impiego avvenne proprio quel giorno quando lo scortammo dal tribunale a casa sua, dove lo aspettammo alla porta per circa un ora, tempo in cui pranzò e stette un po’ con i suoi figli e sua moglie. Lo riportammo in tribunale al pomeriggio e verso sera tardi lo riaccompagnammo nuovamente a casa, dove addirittura ci invitò ad entrare ma noi rifiutammo cordialmente dicendo che in servizio non potevamo accomodarci. Ma in realtà sapevamo tutti che lui non vedeva l’ora di passare un po’ di tempo con i suoi bambini di 7, 12 e 17 anni. Perciò noi andammo a mangiarci una pizza quella sera e ci divertimmo da morire parlando del più e del meno. Andò avanti così per una settimana o giù di lì. Fino a quel dannato 19 agosto. Mi ricordo che alla mattina mi svegliai di buon ora, come al solito, verso le 6:00 – 6:30 visto che prendevamo servizio alle 7 in punto. Feci una colazione leggera con Elena, poi mi vestii con giacca e cravatta, allacciai alla cintura la fondina dove tenevo la Beretta, baciai Elena e, come ogni mattina gli dissi di stare tranquilla e di non preoccuparsi per me. Dentro di me non pensavo davvero che ci sarebbe stato pericolo, non so precisamente il motivo ma mi sentivo sicuro, come se andassi a prendere servizio normalmente, senza dover scortare un giudice minacciato più volte dalla Brigate Rosse. Non avevo paura. Uscii di casa, mi diressi alla caserma e incontrai gli altri della scorta, prendemmo le due macchine che usavamo di solito e ci dirigemmo verso l’abitazione di Sizi in via Caeni. Suonammo al citofono come ogni mattina e ci rispose la moglie, gli comunicammo che eravamo noi della scorta e dopo pochi attimi il giudice uscì dalla porta principale. Salì subito in macchina mentre noi controllavamo ogni angolo lì intorno. Claudio imbracciava il mitra, già carico e pronto a sparare al minimo segnale d’allarme. Risalimmo a bordo e partimmo in fretta. Il tragitto durava 7 o 8 minuti se non trovavamo molto traffico. Svoltammo in alcune vie secondarie ma tutto era come ogni giorno: tranquillo. Io e Morini eravamo dietro alla macchina del giudice. Io ero alla guida e lui al posto del passeggero, di fianco a me. Davanti  a noi vi erano alcune macchine che si fermarono ad un semaforo. E li fu la fine. Appena la prima auto si fermò al rosso dal marciapiedi a sinistra arrivò correndo un uomo con una giacca di pelle e una sciarpa avvolta intorno al viso. Aveva in mano un mitra. Subito sparò ad Alessandro che era l’autista della macchina del giudice. Altri due armati di Uzi, uno dei quali nemmeno aveva il volto coperto ma soltanto un paio di occhiali da sole iniziarono a sparare contro di noi. Io d’istinto mi gettai a terra, vicino ai pedali dell’auto sentendo i piccoli pezzi del parabrezza crivellato cadermi sulla giacca. Quando finì la raffica ci alzammo entrambi ed io estrassi la pistola, mentre Claudio iniziò a far fuoco sugli attentatori. Subito ne freddò uno colpendolo al petto. Io intanto scesi dall’auto aprendo la portiera ed utilizzandola come scudo dai colpi degli altri. Sparai alcuni proiettili nella direzione da cui provenivano le raffiche di fucile, mentre con la coda dell’occhio vidi Carlo che, sceso dalla sua macchina stava sparando ed uccidendo uno dei terroristi mentre faceva da scudo al giudice Sizi con il suo stesso corpo. Portò il giudice verso la nostra macchina, in direzione di Claudio che sparava all’impazzata verso un muretto poco distante dove erano al riparo altri brigatisti. Anche io continuai a fare fuoco, poi cambiai il caricatore quando quest’ultimo finì ed andai incontro a Carlo, aiutandolo a scortare il giudice verso la nostra auto, per partire ed allontanarsi dal luogo dell’agguato. Claudio sparò ancora per qualche attimo, dopo di che si voltò verso di noi e ci urlò “Portatelo in sal..” Un colpo proprio in quel momento gli trapassò la gola facendo schizzare dappertutto un fiotto di sangue che imbrattò di rosso vermiglio la carrozzeria della nostra auto bianco latte. “No!!” Urlai, continuando a sparare verso il muretto, mentre i terroristi rispondevano continuamente al fuoco. Carlo riuscì a far arrivare sano e salvo Sizi all’auto, alla portiera dietro ma appena prima che il giudice salì un raffica di mitra crivellò il capo scorta che come tentativo di disperato coraggio si gettò sul giudice impedendo al terrorista di colpire il suo obbiettivo principale. Lo freddai con due colpi, poi mi voltai e corsi verso Sizi, che trovai a terra in una pozza di sangue che però non apparteneva a lui ma bensì a Carlo che gli era riverso sopra facendogli da scudo. Lo sollevai quasi di peso, lo spostai e diedi una mano al giudice per alzarsi. Mi misi davanti a lui, facendogli scudo con il mio corpo, esplodendo gli ultimi colpi rimasti nell’ultimo caricatore che avevo. Continuai a premere il grilletto mentre arretravo con il giudice subito dietro le spalle che tentava di proteggersi con le braccia. Premetti il grilletto ancora una volta e sentii uno strano “clik” e capii di aver finito i colpi. Mi voltai ed urlai a Sizi “Corra, corra signor giudice!” Mentre io con estremo coraggio, ancor più di quanto credetti di avere, feci da bersaglio per i brigatisti. Questi spararono nella mia direzione ed all’improvviso sentii una sirena avvicinarsi rapida, e poi un'altra ed un’altra ancora e capii che i rinforzi si stavano avvicinando, fui felice di questo ma un attimo dopo sentii un fischio, come un gatto che soffia, molto vicino a me, e un dolore lancinante alla spalla, capii che mi avevano colpiti e improvvisamente, fulmineo come una puntura sentii lo stesso dolore anche al petto, poi: buio.
Mi risvegliai solo due giorni dopo, all’ospedale, circondato da infermieri e dottori che controllavano i vari macchinari intorno a me. Ero intontito e il dolore al petto e alla spalla erano insopportabili e infatti digrignai i denti per poter resistere sena urlare. Il dottore si accorse del mio risveglio, sorrise ed urlò “E’ vivo, è vivo!” mi fece iniezione di morfina e capii di essere stato ricoverato. Fui insignito della medaglia d’oro al valor civile, come ogni altro componente della scorta di Sizi. Il giudice era sano e salvo e nemmeno ferito.  Elena aveva pianto tantissimo in quei giorni ma quando seppe che ero vivo pianse ancora di più per la gioia e anche io piansi perché ero fiero di me stesso e di tutti i miei compagni che solo allora capii essere morti. Mi intristii tantissimo quando lo seppi, delle persone con cui avevo condiviso gli ultimi giorni, che erano diventati dei compagni, degli amici, dei fratelli. Feci le condoglianze alla moglie di Puttini, l’unico sposato e al figlio di 10 anni. Spiegai a loro come andarono le cose, sottolineando che Carlo era morto da vero eroe, sacrificando sé stesso per lo stato e per il giudice Sizi. Quest’ultimo probabilmente si sentì responsabile delle morti dei tre della scorta e del mio ferimento, perciò fu triste e malinconico per molti giorni e il tutto esplose durante i funerali di stato di Claudio Morini, Alessandro Bisenzi e Carlo Puttini, i tre della scorta morti per difendere la giustizia. Quando parlò davanti a tutti gli scesero le lacrime, parlando di come tutti quanti, nessuno escluso avrebbe dato la vita per lui e loro lo avevano fatto, combattendo da eroi contro il terrorismo. In fine parlò di me, che per ultimo gli fui vicino e lo protessi, come anche Carlo aveva fatto, con il mio stesso corpo. Anch’io tenni un discorso e le parole che dissi, le dissi per dare conforto, o almeno provarci, verso le vedove e gli orfani che avevano perso un padre, un marito o un fidanzato “Quando conobbi gli altri tre della scorta, diventammo subito amici, amici stretti e fratelli, uniti per combattere un nemico comune, un cancro all’interno dell’Italia. Noi tutti conoscevamo i rischi del nostro mestiere, e proprio per questo ci eravamo preparati a tutto. Purtroppo anche a morire per un eroe come il giudice Sizi che in prima linea ogni giorno combatte il terrorismo. Tutti e tre i componenti della scorta sono caduti da eroi e come tali dovranno essere ricordati per sempre!” Una lacrima mi rigò la guancia sinistra mentre un applauso fatto da tutti i presenti in chiesa mi investì come un onda. Avevamo protetto Sizi. Avevamo vinto noi, le Brigate Rosse avevano perso. Lo stato, un'altra volta, aveva trionfato.
  
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