Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |      
Autore: DreamKun    20/08/2013    2 recensioni
La prima cosa che notò fu il simbolo decorato sulla carta, in alto, una pianta rigogliosa che si sviluppava attorno ad uno scettro. La corona Ducale posta sopra allo stemma ed il motto della Duchessa vergato su di uno striscione immaginario “nella conoscenza, verità; nell'arte, onestà”. Solo un dettaglio deturpava quell'immagine che ormai conosceva a memoria: una striscia nera che, impertinente, spezzava lo stemma a metà ed annunciava il Lutto corrente.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Leila dai Passi Sospesi
Capitolo I

Il suo dito scorreva sulle parole, accompagnava il movimento delle labbra che mimavano le parole vergate con tanta cura sulla pergamena.
Leila sapeva che quel comportamento era infantile per una ragazza della sua età, ma la testardaggine di non voler comprendere il contenuto di quella lettera era così forte da renderla quasi bambina, il labbro inferiore tremava leggermente mentre gli occhi diventavano sempre più lucidi, il bellissimo azzurro chiaro delle iridi brillava al contatto con la luce del sole che trapelava dalla finestra.
Strinse i pugni fino a sentire un lieve pizzico, e poco dopo qualche goccia di sangue si faceva strada sul palmo pallido. Gettò la pergamena per terra e si avvicinò ad ampie falcate alla finestra, il viso quasi premuto sulla parete a fianco.
Sospirò, e anche quel breve rumore fu interrotto dai primi singhiozzi.
La luce le accarezzava il viso, si diceva che il sole baciasse i belli, ma in quel momento l’espressione di Leila era solo una maschera di finta freddezza per nascondere la smorfia di estrema tristezza che le incrinava leggermente le labbra verso il basso. In quel momento anche i suoi capelli biondi e lucenti acquistavano un’opacità tipica di chi ha vissuto troppo. Eppure era così giovane, aveva solo quindici anni.

In quel momento una farfalla sbatté le sue tenere ali proprio vicino alla ragazza. Era la stagione della fioritura, era Primavera, e Leila non poteva permettersi di piangere proprio ora che i fiori sbocciavano con i loro colori vivaci e le ciliegie maturavano sugli alberi, lei amava quella frutta, così tenera e delicata. Ogni primavera si arrampicava sui ciliegi che si estendevano nei campi della Contea e passava i pomeriggi a mangiare e guardare le nuvole. Era così bello.

La Primavera era in netto contrasto con il suo attuale stato d’animo, e Leila non lo sopportava. Tirò con rabbia le tende, mentre nella penombra si avvicinava alla lettera per rileggerla ancora una volta.

La prima cosa che notò fu il simbolo decorato sulla carta, in alto, una pianta rigogliosa che si sviluppava attorno ad uno scettro. La corona Ducale posta sopra allo stemma ed il motto della Duchessa vergato su di uno striscione immaginario “nella conoscenza, verità; nell'arte, onestà”. Solo un dettaglio deturpava quell’immagine che ormai conosceva a memoria: una striscia nera che, impertinente, spezzava lo stemma a metà ed annunciava il Lutto corrente.
Si soffermò poi sulla data e sul luogo, “Maniero di Edan. Trentaduesimo giorno del Mese di Imbloc”.
Era passata una decina di giorni dall'invio della lettera, probabilmente il Casato stava prendendo tempo prima di annunciare a tutti la triste notizia.
Un moto di disprezzo si fece strada negli occhi di Leila, fu visibile solo per qualche istante. Poi, fu di nuovo tristezza.
“Questa mia non viene scritta con la solita leggerezza e spensieratezza con cui solitamente vi aggiorniamo della situazione nel Ducato, cara cugina.
Anche io mi trovo in difficoltà mentre qui, con la sola luce di una candela a consolarmi, mi accingo a rovinarti la giornata.

Non amo i giri di parole, soprattutto in certe circostanze. Dunque, ti prego di accettare queste parole così come le scriverò, con la serietà ed il contegno che ti si addice.”
In quel punto la calligrafia diventava più fitta, acquisiva dei tratti maggiormente ufficiali, dotandosi di miniature magnifiche. Uno sfarzo che non si addiceva al contenuto.

“Rendiamo noto il decesso di Sua Grazia Erina, la Duchessa di Belladonna,
convochiamo a Maniero di Edan tutta la Casata, e porgiamo le nostre condoglianze a Sua Grandezza Aramos dei Clivei, Conte di Ambrosia, la Contessa Consorte, Clivia Belladonna, figlia della defunta Duchessa, ed alla nostra cara cugina, Leila dei Clivei.

Tutta la Casata dei Belladonna è stata afflitta da una grave e triste perdita a cui solo il tempo saprà dar rimargino. Auspichiamo che l’Albero e lo Scettro possano di nuovo unire la nostra famiglia sotto un’unica guida e che rimangano il simbolo portante della potenza della nostra stirpe.”

In basso vi era la firma della cugina, Areia Belladonna.

Leila respirò profondamente e chiamò una delle sue ancelle.
Aveva recuperato il suo contegno e il portamento aristocratico che le si addicevano.
-Portatemi l’abito blu scuro, decorato con piccoli diamanti, e preparate i gioielli che più vi si abbinano.-
La donna non indagò sul motivo della sua richiesta, probabilmente aveva già intuito qualcosa.
La ragazza si avvicinò alla toletta quasi con ribrezzo, la sua immagine nello specchio le ricordava fin troppo sua nonna. La defunta Duchessa di Belladonna.


L’ora di cena fu annunciata dal suono regolare di una campanella. Il tintinnio risuonava in tutto il Castello, provocando a Leila la sensazione che la sua testa pulsasse incessantemente.
Si appoggiò al muro quasi freddo del corridoio mentre la sua mano corse a toccare la schiena, quasi volesse allentare i lacci del corpetto che sembravano volerla soffocare.
“Leila…sono io…mi senti?”
La ragazza sussultò al sentire quella voce. La riconobbe subito, era quella della Duchessa di Belladonna. Era sua nonna.
Si staccò dal muro e girò su se stessa qualche volta, in cerca del punto da cui provenisse la voce. Alla fine, si ritrovò esattamente dov’era prima, con la sola consapevolezza che fosse stata una mera illusione.
-Mi Signora state bene?-
Leila si voltò verso la ragazza, era una della servitù. Annuì lentamente con la testa.
-Si, tutto bene. Ho solo avuto un leggero giramento di testa, è sicuramente colpa della stanchezza.-
Rispose, cercando di apparire sicura, ma il tono che ne uscì non convinse neppure lei.
Accennò un sorriso e poi tornò a camminare verso la Sala dove si sarebbe tenuta la cena.

Il rumore ritmico dei suoi tacchi si zittì solo quando un’ancella la raggiunse affannata, reggendo l’ampia gonna alzata da terra con una mano.
-A cena c’è anche Sir Edward, il figlio primogenito dei Conti di Ebbio.- l’altra ragazza si avvicinò ancora di più a Leila per non farsi sentire. –Sembra che sia entrato nelle grazie dei vostri genitori.-
Quella frase la colse di sorpresa. Probabilmente restò qualche secondo con la bocca mezza aperta, posa che sicuramente non si addiceva ad una nobile.
Alla fine, con un gesto simile allo scacciare le mosche, rispose.
-Non sono in vena di complimenti e convenevoli.-
Con quella frase spalancò le ampie ante del portone e si fermò a pochi passi dalla soglia, con lo sguardo dei tre presenti puntato addosso.
La Sala era grande, le pareti di pietra erano spesse e alte,
mentre il soffitto, animatamente decorato con gli stemmi delle varie famiglie imparentate e dai simboli della Contea, che vantava varie sfumature di colori, contrastava pienamente con lo stile spoglio che si poteva riconoscere nel resto del grande spazio.
Un grosso camino con inciso l’albero e lo scettro riscaldava la Sala, normalmente fredda, ed era posto alle spalle del capotavola.
Gli ampi finestroni erano coperti da tele rosse, colore che riprendeva alcune parti del soffitto, che ondeggiavano lentamente accompagnate da una leggera brezza.
Non vi era nessun tappeto, il pavimento ruvido era a volte anche freddo.
In definitiva, era la classica Sala dei Castelli nordici, completamente diversa dagli sfarzosi saloni delle Reggie della Regione centrale, in particolare il Castello Reale vantava uno stile così riccamente decorato e curato da sembrare surreale.

Leila accennò un inchino.
-Mio Lord è un piacere avervi qui a Castello, più lieta notizia non poteva giungere alle mie orecchie.-
Avvicinandosi a lui, notò l’occhiata equivoca che le rivolse. Ignorò la situazione e quasi si strappò al baciamano in cui si esibì.
-Siete sempre incantevole, Lady Leila.-
Quella frase era vuota quanto la testa dell’uomo che le stava parlando. Era il tipo di persona che non sopportava,
il classico dongiovanni.
-E voi non mancate mai di cortesia.-
Puntualizzò sperando che quella situazione imbarazzante cessasse.
Leila si sentì rabbrividire sotto lo sguardo severo del padre, mentre la madre, compreso come si sentiva, sorrise leggermente.
-Benissimo, spero che la cena sia di vostro gradimento.-
Dopo la frase di convenevole, la servitù iniziò a sfilare portando in tavola portate sostanziose, selvaggina appena cacciata e buon vino che coltivavano sui Colli Ambrosiani.

La cena le sembrò interminabile, più volte si scoprì ad osservare annoiata il contenuto vermiglio del calice, con sguardo vacuo.
Le voci le giungevano lontane, mentre i profumi degli aromi usati per cuocere la carne le sembravano così pungenti da provocarle un fastidioso prurito.
“Leila…sono io…mi senti?”
Quelle semplici parole le risuonavano nella testa, quasi assordanti ed opprimenti,
il tono dolce e quasi rassicurante della nonna risultava come quando era viva, e l’unico effetto che sortiva era ricordare alla ragazza la cruda verità,
quella verità scomoda ed odiosamente triste,
Leila aveva un rapporto speciale con la Duchessa, era cresciuta tra i suoi racconti di creature fantasiose, era sempre stata confortata dalle pillole di saggezza che le riservava nei momenti di bisogno, aveva pianto tra le sue braccia e sorriso con lei.
Ed ora che era morta, le era venuta a mancare la spalla su cui appoggiarsi, si sentiva nuda e indifesa,
le mancava quella protezione su cui aveva contato e su cui poteva affidarsi,
la convinzione che non l’avrebbe più rivista, ne l’avrebbe più potuta abbracciare le faceva crollare il mondo addosso,
e inaspettatamente non riusciva a trovare un punto da cui trarre la forza necessaria per sostenere quello sforzo.
I suoi genitori volevano rifilarle lo scarto della Corte Reale, Sir Edward, come marito, la sua Casata ora era in bilico, e probabilmente i Collalto ne avrebbero approfittato per tentare di affondarli definitivamente ed ottenere il controllo di tutta la Regione centrale e ricacciare i Belladonna tra i Colli Ambrosiani e nei pressi del Lago Curta.
Il Patriarcato, inoltre, era bramoso della Contea di Ambrosia visto l’immenso patrimonio storico che probabilmente si celava nei suoi Colli.
I Belladonna erano al centro della battaglia tra i Collalto e le Sorelle della Luce, erano il premio in palio, ed al momento, semplice carne alla mercé dei predatori, se non avessero ritrovato una guida al più presto,
e Leila sapeva che i Belladonna della Regione Centrale non erano altro che corrotti spalleggianti dei Collalto. Sua nonna glielo aveva ripetuto più volte.

-Ma ditemi, Lady Leila, visto l’arrivo della bella stagione avete in programma qualche viaggio verso la Regione Centrale? Sono sicuro che la Regina vi vorrà nella sua Corte durante il suo viaggio estivo nel Reame.-
La voce mielosa di Edward la riportò alla realtà così improvvisamente che quasi non lo fulminò con lo sguardo.
–Siete una Dama così affascinante e di buone maniere, spicchereste tra le Dame di Compagnia che ora si vezzeggiano alla Corte. Sono solo oche che seguono in tutto e per tutto la Regina, figlie di ricchi mercanti o di Collalto che cercano l’appoggio della Corona.-
Quell’ultimo commento quasi la fece sorridere. Per una volta era d’accordo con quello spocchioso nobilastro.
-Dubito che Sua Maestà abbia interesse per una Dama che vive raccolta tra i Colli Ambrosiani e di cui quasi nessuno conosce il nome,
ma non nascondo che la prospettiva mi interessi, le oche mi sono sempre state simpatiche.-

-Mentre voi, Sir Edward, avete progetti futuri?-
Il suono rauco della voce del Conte risultò goffo, probabilmente il vino l’aveva stordito.
-Oh, Vostra Grandezza, al momento sto tentando di commerciare con la Capitale, le nevi si sono sciolte quindi la Pianura Centrale offre ottime possibilità di spostamento per noi del nord,
anche se prevedo dovremo impiegare molti fondi per l’ampliamento del Porto, che attualmente è uno dei pochi attivi nel Regno.-

Il modo velato di vantarsi di Sir Edward non fu ignorato dalla Contessa Clivia che dopo aver sorseggiato un poco di vino, lo assecondò.
-Iniziativa lodevole, in effetti i Collalto hanno avuto alcune dispute con le Sorelle della Luce in merito al possesso della costa, ma poi non mi sono interessata più di tanto. Per caso sapete come si è concluso il tutto?-
-Si, mi ricordo che successe qualcosa, penso che la costa sia stata divisa tra il Patriarcato ed il Ducato dei Collalto, quindi desumo entrambi possiedano un Porto.-

Quei discorsi frivoli infastidirono Leila. Come facevano i suoi genitori ad ignorare ciò che era successo?
Come faceva a stare li a parlare con Sir Edward mentre la Duchessa di Belladonna giaceva morta in qualche punto del Maniero di Edan?
Non sopportava quella situazione.
-Madre, ho bisogno di parlarvi in privato, penso che la servitù abbia frainteso alcune disposizioni riguardanti la camera per Sir Edward.-
La Contessa consorte, leggermente spiazzata, annuì non molto convinta e si alzò dal tavolo.
-Marito carissimo, Sir Edward, spero possiate scusarci. Vi lasciamo ai vostri discorsi.-
Con quella frase fredda lei e la figlia si allontanarono dalla Sala dove fino a poco fa discutevano serenamente.


-Leila cosa c’è di così urgente da trascinarmi via dalla cena in presenza di un’ospite?-
Il modo in cui la madre finse di non comprendere quasi fece ridere la ragazza. Era sorprendente come quella donna fosse così avvezza alla vita di Corte da ignorare i bisogni della figlia.
Estrasse quella missiva ormai stropicciata dal vestito vaporoso e la lanciò contro la donna.
-Voi lo sapete cos’è questa vero?-
iniziò con tono aggressivo, senza volerlo.
–Sicuramente nostro cugina ne ha mandata una simile anche voi, ma nessuno si è degnato di consolarmi con una sola, stupida, parola.
Conto davvero così poco io?
Contava davvero così poco la nonna per voi?-

Quell’ultima frase apparì troppo pesante anche a lei, Clivia impallidì e sembrò sul punto di svenire, mentre Leila le si avvicinò mormorando qualche scusa.
Restarono vicine per diversi secondi, il tempo sembrava pesante sulle spalle di Leila, e ogni istante che passava comprendeva di aver ferito sua madre.
Solo dopo quell’interminabile silenzio la voce scossa da radi singhiozzi della Contessa consorte riempì lo spazio vuoto della stanza dove si erano ritirate.
-Non c’è mai stato un momento così pesante neanche per me. Questa perdita mi ha colta di sprovvista, è stato un colpo assestato a porte aperte,
non ero pronta ad una notizia del genere, e questo ha contribuito enormemente alla paura che tu potessi soffrirne ancora più di me;
lo ammetto, forse non sono stata una buona madre, forse avrei dovuto parlarne con te, confrontarci…..in fondo, era mia mamma come tua nonna, e so quanto le volevi bene,
so quanto la sua morte possa gravare sulla tua autostima e sulla tua stabilità.
Ma avevo paura che potessi infierire su di una ferita ancora aperta, avevo paura di concorrere solo alla tua sofferenza.-

Il discorso si interruppe per un attimo, giusto il tempo per concedere a Leila di annuire e comprendere ciò che la madre stava cercando di dirle,
sapeva che per lei, una donna abituata alla sua maschera aristocratica, era difficile parlare così apertamente dei suoi sentimenti.
Riuscì solo a sorridere, e poggiare una mano sulla sua spalla.
-Vedi Leila,
come saprai io e tua nonna ci siamo divise quando ero giovane, mi sono sposata molto presto con tuo padre, il Conte di Ambrosia, e mi sono dovuta trasferire subito qui nella Contea.
La Duchessa invece era impegnata nelle faccende del Casato, i Collalto premevano sempre di più per ottenere le nostre terre,
e penso che anche lei iniziasse già allora ad essere stanca e spossata dal lavoro, era una donna forte, certo, ma non indistruttibile e…-

Leila interruppe la Contessa con una voce malinconica e piena di tutti quei ricordi che la legavano alla Duchessa di Belladonna.
-C-come è morta?-
-Non lo so, piccola mia, non lo so. Penso che Areia potrà dare risposta a molti dei nostri quesiti.-
Si strinsero nuovamente in un caloroso abbraccio, le vesti frusciarono delicatamente ricordando a Leila il soffice scricchiolio dell’erba dei campi sotto ai suoi piedi quando correva spensierata,
ricordava benissimo quando da piccola passava ore a contare i petali dei fiori colorati, per poi staccarli uno ad uno mentre esprimeva un desiderio,
era ancora più bella vedere le gocce di rugiada che risplendevano alla luce del primo sole mattutino,
ripercorse la dolcezza con cui la nonna le insegnava ogni anfratto misterioso, i nomi degli alberi e dei fiori della Foresta dei Sussurri,
si ritrovò ad asciugarsi una lacrima che le scendeva pigra dalla guancia.
Vide Clivia fare lo stesso, poco dopo, con un raffinato fazzoletto.
-Vieni Leila, torniamo di la. Domani partiremo per il Ducato.-
La frase apparì stranamente rassicurante alle orecchie di Leila, che sorrise timidamente alla madre e la seguì per i corridoi del Castello.

Quella notte il Castello era più silenzioso del solito, se non ne avesse conosciuto il motivo il suo pensiero sarebbe subito corso ad una di quelle fiabe in cui maghi e streghe ammutolivano le persone con degli incanti,
ma era solo una fantasia, purtroppo.
La sensazione schiacciante ed oppressiva che la totale assenza di rumori le provocava un bisogno di movimento, azione, qualunque cosa purché non dovesse crogiolarsi ancora in quell’universo ovattato e dannatamente leggero.
Sentiva il bisogno di fare, correre, urlare, sfogarsi.
Quella che ribolliva dentro di lei non era rabbia, alla fine aveva perdonato sua madre. La comprendeva; Così come lei comprendeva Leila.
Non voleva ammetterlo neppure con se stessa, ma in una remota parte provava paura, paura per il suo futuro: cosa sarebbe stato, ora, di Leila dei Clivei?
Quel dubbio la portò ad alzarsi dal letto a baldacchino, scostando con noncuranza le coperte di tessuto pregiato, lisce come le guance di un bambino.
Cercò di camminare il più rumorosamente possibile, con i piedi scalzi, mentre si avvicinava alla toletta.

Una voce si alzò leggera sul silenzio, il suono chiaro e sognante.

Alla piccolina, piccolina, lei piccolina
la mia bambina ha sonno, che sia benedetta
che sia benedetta


Leila guardò verso la finestra, pensando di vedere qualcuno, rivolse poi lo sguardo verso la porta della stanza, ma era chiusa.
Si portò le mani alle tempie, stava forse impazzendo?
Quella era nuovamente la voce della nonna, cantava una ninna nanna che lei ricordava benissimo, ogni nota pizzicava i suoi ricordi, ogni sfumatura della melodia era un dolce profumo di rose.
Chiuse gli occhi, e per la prima volta le risultava facile farlo, senza paure, senza tristezza,
solo una chiara beatitudine che la invadeva.
Quelli non erano semplici ricordi,
si sentiva viva nel suo passato, ripercorreva con enfasi i momenti più speciali.
Poteva toccare la mano anellata della nonna, che reggeva tra le dita un libro rilegato in oro; la copertina del manoscritto attirava inspiegabilmente l’attenzione della bambina, che la fissava cercando di scorgerne ogni minimo, nascosto e speciale particolare.
Vi era raffigurato un paesaggio magnifico: Elfi e folletti giocavano felici in una radura, gli alberi alti e fitti alle loro spalle, quasi a volerli proteggere dalla crudeltà del mondo umano rappresentata da un imperioso incendio che si propagava lontano. Probabilmente in un villaggio di contadini in cui qualcuno siaveva rifiutato di pagare le tasse.
Dalle mani delle creature fantastiche si potevano notare fiotti di luce, sfere che levitavano e miriadi di sfumature: la magia era la protagonista di quella scena, e si manifestava nella sua forma più antica e pura, la luce.
Al limitare del bosco un esercito avanzava minaccioso verso i primi alberi, le spade sfoderate e gli scudi stretti al petto; si potevano quasi udire gli urli e gli esulti dei soldati.
Eppure, nessun elfo si stava preparando alla battaglia, nessuna arma, nessuna armatura. Solo la gioia era sovrana in quella radura, una gioia giovane e bambina, pura e libera. Non si sentivano minacciati dalla bellicosità del popolo umano,
erano calmi. Pronti ad accettare un destino probabilmente già tracciato e a ricongiungersi con i loro cari.
Solo un occhio attento avrebbe notato il secondo accenno alla magia: una donna, bionda, si stanziava in piedi sopra ad una collina, alle spalle dell’esercito. Le vesti sembravano ribellarsi alla loro forma naturale, alzandosi, svolazzando e gonfiandosi, portate da un vento che nessun’altro sentiva.
Aveva un braccio teso in avanti, ed il palmo si illuminava di una luce azzurrina. Nelle ultime file dell’esercito qualcuno era investito da una forza invisibile e si contorceva tra le grinfie di quella stretta magica.

Leila ricordava che la fiaba narrava di quella donna come la paladina della luce, una maga che era sfuggita dai canoni previsti per le sacerdotesse ed aveva sfidato un oscuro signore.
La ragazza sorrise, avvolta da quella calda coperta di memorie, all’idea di una donna così coraggiosa. L’avrebbe sicuramente ammirata.

Intorno a lei la musica tornò a riempire la stanza, mentre le immagini delle sue serate passate in compagnia di Erina Belladonna, il suo sguardo protettivo e le sue labbra sempre piegate in un appena accennato sorriso rassicurante, sfumavano nei contorni della camera in cui si trovava fino a poco prima.


fonte che scorre chiara e sonora
usignolo che nella giungla cantando piange
sta in silenzio mentre la culla ondeggia
alla piccolina, piccolina lei



I suoi passi leggeri sembravano scivolare sul pavimento della stanza, solo il fruscio della veste da notte osava insinuarsi tra le note della canzone che ancora riempiva le orecchie della ragazza,
era una lotta persa in partenza quella tra realtà e passato, Leila si stava lentamente abbandonando a quella sensazione di cullante tepore che le immagini rivissute poco prima le aveva lasciato.
Si sedette lentamente davanti alla toletta, lo specchi ampio rifletteva la sua immagine sognante: i capelli del colore del grano, leggermente mossi, incorniciavano un viso dei lineamenti lievi e delicati. Le gote sfoggiavano un rossore appena accennato e le lunghe ciglia concedevano agli occhi un’aria estremamente elegante accompagnata dall’affascinante azzurro delle iridi, simili a due sprazzi di mare rabbuiato dalle nebbie dei ricordi. Quel velo famigliare che più volte si faceva strada nello sguardo della giovane rendeva alla sua immagine un’innata maturità.
Le labbra erano sottili e spesso incrinate in uno sforzato sorriso, solo questa volta rimanevano socchiuse in un’espressione che di rado si poteva intravedere nel viso di Leila.

Allungò la mano per afferrare la spazzola finemente intagliata, curare i capelli le permetteva di rilassarsi e non pensare a niente.
La spazzola le cadde di mano dopo pochi minuti, trattenne un urlo e la voce della duchessa smise di intonare la ninna nanna.
-Oh piccola mia, non hai ancora imparato a spazzolarti i capelli come si deve.-
Nello specchio Leila non era più sola, al suo fianco era apparsa l’immagine di Erina Belladonna, più giovane di qualche anno da come la ricordava, e con la stessa vitalità di sempre nello sguardo.
La mano affusolata della nonna riprese la spazzola da terra e ricominciò a passarla tra le ciocche dorate della nipote, doveva essere un sogno. Non poteva essere tutto reale, era tutta una congettura della sua mente divorata dai ricordi.
Leila si voltò, in cerca di una conferma: dietro di lei non c’era nessuno, spazzola levitava per la stanza portata da una presenza invisibile, tutto era silenzioso ed un venticello faceva muovere l’arazzo posto sulla parete.
-Leila, non devi cercarmi nella realtà, solo la tua mente ed il tuo cuore possono vedermi. Non devi..-
-Stregoneria! Q-questo è tutto un inganno di qualche strega eretica! Non si può ingannare la morte..non..-
Si alzò di scatto indietreggiando spaventata, la realtà era più potente e pesante di quanto si fosse immaginata, non poteva reggere quella situazione.
Tutto ciò era una maledetta stregoneria, qualche entità malvagia stava giocando con la sua mente, qualcuno voleva farla impazzire.
L’immagine della Duchessa rimaneva nello specchio, ora in piedi, dritta nella sua postura fiera. Guardava severa la nipote, la spazzola ancora in mano.
Passarono diversi istanti di silenzio che riempirono la stanza facendone risultare le mura quasi opprimenti, Leila stava provando la spiacevole sensazione di essere intrappolata in uno spazio troppo stretto per tutto ciò.
Si, ma tutto ciò cosa? Oltre a lei non c’era niente, o meglio nessuno. Era sola nella camera, doveva essere sola, cercava di autoconvincersi di star vivendo solo un sogno, che quell’assurda situazione fosse solo la disperata ricerca di appigli. Uno scherzo di cattivo gusto, ecco cos’era.
-Quindi pensi che io non sia reale?-
Leila non si mosse, non parlò. Semplicemente rimase allibita.
-Leila, avvicinati, ti prego.-
Quella richiesta la colse alla sprovvista. Eppure, una parte remota del suo corpo, involontariamente, fece in modo che la gambe si muovessero, apparentemente scoordinate, verso lo specchio che ospitava ancora la nonna.
Quando, nello specchio, si ritrovò davanti a lei, Erina le prese una mano, il palmo aperto, ed estrasse qualcosa dalle vesti. Le richiuse la mano attorno all’oggetto e sorrise, uno dei suoi soliti sorrisi.
-Non chiedermi cosa sia, a cosa serva, o perché io sia qui oggi. Le verità del mondo non si svelano alle persone come la neve si scioglie tra le mani, ma esse condividono con la neve fresca una caratteristica: quando pensi di stringerle saldamente, si sciolgono in un vuoto insignificante silenzio,
non devi mai pretendere di scoprire tutto, ciò che dovrai sapere si scoprirà a te da solo, con i suoi tempi.-

Non le diede tempo di replicare, sparì così com’era arrivata: silenziosamente, senza lasciare traccia del suo passaggio.
Leila quel vuoto lo sentiva ora, dentro di lei qualcosa si era rotto. Come una diga che cade, le lacrime le salirono agli occhi, inarrestabili, ed iniziarono a rigarle il viso.
Sperava che quel pianto la potesse pulire dai dubbi che l’aveva assalita poco prima, tutto era dannatamente confuso, come se il fumo di un camino stesse oscurando il sole ed i suoi occhi non riuscissero a vedere oltre.
Non voleva aprire la mano, sentiva tra le dita l’oggetto che la nonna le aveva lasciato, la conferma che tutto ciò non era stato un sogno,
la conferma che Leila non avrebbe mai voluto avere. Ora aveva paura, se le Sacerdotesse l’avessero scoperto, se l’Inquisizione l’avesse accusata di stregoneria, e se..
-E se niente, lei non aveva paura delle Sacerdotesse ed io dovrò fare lo stesso. Non sono una strega, e stasera non è successo assolutamente niente.-
Lo disse più per rassicurarsi che per convincersi di ciò.
Lanciò un ultimo sguardo allo specchio ora svuotato da quella seconda presenza, la spazzola era posata sulla toletta esattamente come se non fosse mai stata toccata.
Uno strano gelo la fece rabbrividire, probabilmente era il venticello che aveva sentito prima.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: DreamKun