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Autore: E m m e _    20/08/2013    1 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 22
Io ci sarò (DI MIRI)
Hariel
Stavo esplodendo. 
Ogni singola particella del mio essere entrava in collisione con un’altra, fino a spintonarsi tra loro, per autodistruggersi, come le particelle che si scontrano nel momento esatto in cui la fiamma inizia a bruciare il legno. 
Semplicemente, piangevo. 
-          Non ti credo.
Mentii, facendo un altro passo indietro. Gli occhi azzurri simili al cielo mi scrutavano, muovendosi su di me e intorno a me, come per controllare che non ci fosse una seconda porta dalla quale fuggire. 
-          Stai mentendo! 
I suoi occhi… Non riuscivo a scrollarmeli di dosso! Pesavano come due enormi macigni sulle mie spalle già cariche di problemi di per sé. 
Lui si avvicinò, velocemente, ma fermai il suo inseguimento scivolando dietro al bancone di marmo bianco e afferrando un affilato coltello da cucina. 
L’uomo indietreggiò, lentamente, alzando le mani fino all’altezza delle spalle. Feci un passo avanti, e poi un altro, e un altro ancora, fin quando a dividerci non fu che meno di un metro.
-          Sei come lui, vero? Come tutti gli altri che ci hanno attaccato questa notte! 
L’uomo mi lanciò un’occhiata, confusa, mentre inarcava un sopracciglio con estrema spontaneità. 
I suoi occhi sembravano quasi chiedermi se fossi seria o meno, come se tutto ciò che mi era appena scivolato dalle labbra fosse una stupida barzelletta.
-          Cosa? Oh, ti sbagli tesoro. 
Fece un passo avanti, forse pensando che avessi abbassato la guardia, ma con abilità alzai il coltello, allungando rapidamente il braccio nella sua direzione. 
-          Loro ti hanno rapita, controllata, e manipolata. 
Continuò ad avanzare, mentre abbassava una delle mani, ancora alzate, sfiorando con un dito la punta affilata del coltello. Quando lo vidi premere con forza l’estremità dell’arma, presi a tremare. La lama affilata tremolò tra le mie dita strette con talmente forza da diventare bianche, mentre il materiale argentato si tingeva di un rosso acceso. E non nero come mi sarei aspettata. 
-          Non sei un… 
Le mie parole erano tremolanti e nella mia mente apparvero assurde. Ogni mio pensiero, in quel momento, era del tutto irrazionale e distruttivo nei miei confronti. 
Lasciai cadere il coltello e l’uomo si pulì il rivolo di sangue che gli usciva dal polpastrello sulla stoffa del pantalone scuro. 
-          Demone? No di certo! Loro sapevano che cos’eri, Hariel, loro sapevano che la guerra sarebbe iniziata, e chissà, forse l’hanno persino provocata! Questo non lo so per certo, ma posso dirti ciò di cui sono sicuro: tu hai un dono, piccola. Qualsiasi cosa tu fossi qualche settimana fa, ora è completamente svanita. 
Fece un altro passo avanti, quasi azzerando la distanza tra di noi, poi continuò a guardarmi per qualche secondo, in silenzio, sembrava quasi che non respirasse neppure. 
-          No… Non è così. Io sono e sarò sempre la stessa.
Non avevo mai detto così tante bugie in una sola frase. 
-          Invece sì, e loro lo sapevano più di chiunque altro, ed erano gli unici a poterti contattare senza sembrare dei possibili sospetti. Perché loro sapevano di me, e conoscevano la mia situazione. 
Rimasi in silenzio a fissarlo, senza muovermi di un millimetro. 
Sentivo il mio corpo vibrare, muoversi incontrollatamente, come una foglia contro la potenza del vento. 
-          E qual è la tua situazione?
L’uomo fece un passo avanti, ma questa volta fui pronta ad arretrare, anche se le mie gambe.. in realtà il mio intero corpo, mi supplicavano di rimanere immobile.
-          Non potevo entrare nella Torre Bianca e non potevo portarti via da lì, nello stesso momento, non avevo la più pallida idea di come entrare qui dentro fin quando la battaglia con i Demoni non fosse finita. Avrei dovuto aspettare ancora una volta una fuga, una pazza idea di uscire nel quasi unico posto in cui saresti potuta essere al sicuro. Ed io non potevo aspettare ancora.
Mille domande vorticavano nella mia mente, spingevano, si strattonavano sulla mia lingua, ma non riuscii a pronunciarne nemmeno una. Scoppiai a piangere ancora una volta e strinsi gli occhi.
Chi era lui? Perché era lì? E se diceva la verità, perché non si era fatto avanti prima che tutto ciò cominciasse? 
Mi sentivo debole, fragile più che mai, in quel momento sapevo solamente che volevo essere forte, che dovevo sapere, avevo il diritto di sapere tutta la verità. 
-          Quando ti ho tenuta in mano per la prima, unica volta, eri così piccola. Eri un piccolo batuffolo biondo, leggerissimo e bellissimo. Anche se avevi solo pochi giorni, avevi già la testa piena di capelli!
Quasi scoppiò a ridere, ma si contenne mostrandomi solamente un dolce sorriso. 
-          Eri davvero minuscola! Così tanto piccola che quasi stavi sulla mia mano!
Così dicendo aprì la mano destra e me la mostrò. 
-          E poi sono dovuto partire.
Improvvisamente il suo volto si rabbuiò, i suoi occhi divennero bassi, oscuri e assenti. Avevo paura di parlare, di pronunciare la fatidica domanda che mi pesava sul petto: dov’eri tu quando Sophia, mia madre, era morta? Dov’eri tu quando venivo trasportata da una famiglia all’altra?
-          Quando tua madre è morta e fu annunciata la tua scomparsa, pensai al peggio. Il giorno della tua nascita, molti avevano optato per avere il tuo affidamento. Famiglie di Angeli, di Demoni, anche di Caduti. Tutti avevano scoperto la verità su di te e sul tuo enorme potere: una capacità talmente unica e rara che in mani sbagliate avrebbe potuto procurare una vera condanna per tutti noi, anche se eri così piccola… E poi… 
Alzai lo sguardo verso di lui che, a sua volta, prese a guardarmi con talmente tanta intensità che sentii il mio stomaco ridursi quasi ad un chicco di riso. Sentivo il respiro affannoso, il cuore battere a mille contro la cassa toracica.
-          Annunciai la tua morte. 
Sentii il mondo cadermi addosso, mentre dentro di me milioni di schegge affilate laceravano tutto ciò che trovavano nel loro cammino. 
-          P…Perché?
Fu tutto ciò che riuscii a dire, con le mani sudaticce e tremanti che stringevano una parte del vestito scuro. 
-          Perché eri viva, Hariel. Quella notte temetti il peggio, ma non abbastanza per comprendere quanto falsa fosse questa mia assurda idea. Se tutti loro avevano ragione, se tu eri, anzi sei, tutto ciò che loro pensavano, beh, le conseguenze della tua morte sarebbero state disastrose per l’intero pianeta! E la conferma mi è arrivata il giorno in cui la domestica di tua madre, Doreen, venne a farmi visita fingendo di voler dare le dimissioni. 
Il suo viso si illuminò in un immenso sorriso che quasi mi sciolse il cuore. 
Pareva quasi che stesse rivivendo quel momento. 
-          E ti disse tutta la verità. 
Mi sfuggì di bocca, mentre i miei occhi cercavano disperatamente i suoi. All’inizio non capii perché quel gesto, per me, sarebbe risultato tanto importante: forse perché volevo sapere se avevo ragione, o forse perché, finalmente, dopo anni e anni in cui mi ero sentita completamente diversa dall’intero mondo, ora potevo finalmente dire a me stessa di aver trovato qualcosa che finalmente mi apparteneva. Un padre, una famiglia… E poi, come un fulmine al ciel sereno, il mio umore cambiò e altre mille domande si aggiunsero alle precedenti, lasciandomi quasi senza fiato. 
-          Non sei mai venuto a prendermi. 
Tremai dalla rabbia e gli lanciai un’occhiata di fuoco. 
-          TU MI HAI ABBANDONATA!
-          Io ti amavo Hariel, dal primo istante, dal tuo primo respiro! Perché mi parli così? 
Con le lacrime agli occhi, battei un piede a terra e gridai, con tutta la forza che avevo, con tutta la rabbia accumulata nell'ultimo periodo della mia vita. Urlai per l'esasperazione che mi riempiva il petto, fino a soffocarmi. 
-          Perché mi hai fatto questo! Perché per tutta la vita sono stata circondata da futili bugie, da stupidi sogni e da stupide speranze di una vita normale! 
Sentivo miriadi di lacrime scandire ogni secondo che passava, come un assillante promemoria di tutto il dolore che stavo subendo. E per un attimo mi chiesi: perché io? Perché la vita aveva scelto di scagliarmi tutto quello come un pesante macigno, con la quale potevo solo sperare di aver abbastanza forza per sostenerlo? Io, che di forza non ne avevo mai avuta abbastanza nemmeno per vivere la mia vita? Io che per diciassette anni avevo vissuto nella forza di mio fratello, sempre se avevo ancora il diritto di chiamarlo così? E poi avevo avuto la faccia tosta per fare lo stesso con Hesediel e Mikael e con tutti gli altri, come se la mia vita , in qualche modo, valesse di più della loro. 
E mi odiavo, mi odiavo così tanto in quel momento! 
-          Come sei riuscito a farlo, a fingere per diciassette anni che non contassi un bel niente per te, eh? Come puoi farlo quando io, allo stesso tempo, piangevo perché mi sentivo parte di qualcosa che non mi apparteneva? Mentre io mi sentivo così dannatamente diversa, SBAGLIATA?! Questo riesci a chiamarlo amore? Perché io non ci riesco, proprio non ce la faccio... 
Avevo detto tutto ciò con odio, tra le grida più alte che la mia gola avesse dovuto sopportare.
L'uomo davanti a me non parlava, era fermo e respirava a malapena, ma riuscivo comunque a vedere il suo petto alzarsi e abbassarsi attraverso il tessuto leggero della sua camicia azzurra. 
-          Forse hai ragione, piccola mia. Non ti avrò amata come meritavi, ma ti ho amato più che ho potuto, più di quanto tutti gli altri potessero accettarlo o almeno concepirlo. 
Quell'affermazione mi fece più male che uno schiaffo, eppure continuò a farmi piangere. 
E per un attimo sperai davvero che stesse mentendo, mentre la parte opposta di me mi gridava di abbracciarlo e di non dover temere più per niente perché finalmente avevo trovato la mia vera casa, il vero posto in cui potermi sentire davvero me stessa e al sicuro dagli occhi degli altri. 
E poi la porta si aprì con un colpo secco, mostrando l'imperiosa figura di Damabiah, spalleggiato da altri Angeli, che per me rimanevano volti senza nome, e lì, in fondo a tutti loro, Hesediel, che mi guardava impietrito davanti alla scena della quale ero la protagonista. 
Lanciai un'occhiata all'uomo, che però aveva già abbassato lo sguardo verso il pavimento. 
-          Va via Nicolas, mi pare che tu abbia già fatto abbastanza qui. 
Tuonò Damabiah con gli occhi fissi su di lui che, però, aveva ancora lo sguardo basso, come un condannato a morte. Per un attimo pensai che lui avrebbe alzato lo sguardo verso l'Angelo e gli avrebbe detto qualcosa, ma l'uomo si limitò ad avvicinarsi alla porta. 
-          Allora è così che finisce. Come puoi odiarmi così tanto?
Questa volta fui io ad abbassare lo sguardo, imbarazzata dalle mie grida. Lui non rispose e mise
una mano sulla mia spalla, lasciandosi sfuggire un breve sospiro. E poi tutto accadde in una frazione di secondo: l'immagine si stese davanti ai miei occhi, come un paesaggio davanti agli chi di un pittore.
 
“Vidi due grandi dita sfiorare la pelle nuda della schiena del neonato, lì dove due sottilissime cicatrici avevano lasciato il ricordo di un qualcosa che aveva tentato di lasciar sfuggire e che però aveva solamente lacerato un sottile strato di pelle.
-          Mamma mia, quanto è piccola! 
La voce maschile e famigliare mi riempì le orecchie con talmente tanta violenza che quasi non mi scoppiarono i timpani. 
-          E quanto è bella! Proprio come la sua mamma! 
L'uomo afferrò la neonata e la poggiò sul materasso, con delicatezza infinita, come se persino un respiro stonato dagli altri avesse potuto farle del male. 
-          Avete già scelto un nome per lei? 
E solo allora riuscii a riconoscere quel tono di voce. Damabiah lasciò che il padre della piccola potesse riprenderla tra le sue braccia. 
-          Hariel. 
Mi sentii sprofondare nel vedere il volto dell'uomo che, un attimo prima, era avanti a me e adesso sorrideva all'Angelo che lo aveva scacciato. 
-          Colei che porta chiarezza.
Vidi Damabiah sorridere mentre pronunciava quelle parole con tono potente. 
-          Il Leone di Dio, la sua più grande potenza, é così che l'hanno chiamata! Come se fosse un'arma, questo proprio non riesco ad accettarlo. 
Detto questo alzò la bimba verso la luce artificiale del lampadario, anche se la bambina stessa pareva brillare di luce propria. 
-          É destinata a grandi cose, lo sai. 
Nicolas avvolse la bambina con una copertina, poi si voltò verso l'Angelo, guardando serio nei suoi occhi chiari. 
-          Lei non sarà mai costretta a fare qualcosa che non vorrà. Hariel non sarà mai un oggetto nelle loro lucide mani.
Nicolas lasciò la bimba nella culla e, senza smettere di guardarla, prese a mormorare piano le note di una vecchia ninna nanna.
-          Neanche se questo dovesse prevedere la fine dell'immenso Piano che il Signore aveva per ognuno di noi? 
La frase che Damabiah pronunciò, bloccò la ninna nanna di Nicolas che afferrò con dolcezza il ditino della bimba, e questo sembrò riservargli un tenero sorriso.
-          Neanche se fosse Dio stesso a reclamarla.
Riuscii appena a vedere Nicolas incontrare gli occhi della bambina, con gli stessi occhi adoranti che avevo anch’io, una volta, guardando quello che avevo creduto fosse mio padre. Uno sguardo pieno di orgoglio, e poi tutto divenne buio."
 
Fui catapultata violentemente alla realtà, mentre il mondo si faceva più delineato e dettagliato sulle mie retine. Eppure qualcosa continuava a sfumare la scena davanti a me. 
Forse le lacrime, forse la verità che mi era stata negata per molto tempo. 
-          Ti prego, non andare.
Ma quando la mia vista migliorò, Nicolas era già lontano, verso la porta. 
-          Non puoi farlo ancora! Non puoi abbandonarmi così!
Corsi in avanti, ma Damabiah e Hesediel mi fermarono, bloccandomi entrambe le braccia. 
Mi voltai prima verso l’Angelo e, per la prima volta, lo guardai con occhi diversi. Con gli occhi di una persona nuova, che sapeva una verità che tutti fingevano di non conoscere. 
E poi mi voltai verso Hesediel che, però, non mi guardava dritto negli occhi come sempre. Il suo sguardo era distante, assente, come se stesse ricordando qualcosa di molto lontano da allora. 
-          Lasciala. 
Era la sua voce, eppure tutto mi pareva diverso in quell’istante.
Quante cose erano cambiate in quella frazione di secondo in cui avevo visto la mia vera identità, in cui avevo conosciuto il mio vero sangue, per la prima e forse ultima volta?
Damabiah disse qualcosa, ma le parole rimbombarono nel nulla. Per un attimo sentii solo le dita calde di Hesediel abbandonare il mio braccio, e il suo sussurro suggerirmi di correre, e alla svelta.
E così feci. 
Superati Damabiah e Hesediel, superati gli Angeli, e superata la prima porta, riuscii a raggiungerlo. 
Lo abbracciai da dietro, piangendo, mentre lui si voltava piano, guardandomi quasi con confusione. 
-          Ti prego non lasciarmi!
Lui mi guardò negli occhi. Le sue iridi blu nelle mie. E poi infilò una mano nella tasca dei pantaloni, tirando fuori un cartoncino. 
Me lo mise tra le mani, poi si avvicinò a me, baciandomi la fronte.
-          Per ora è meglio così, piccola. Ma io ti ritroverò, sempre!
Lo guardai mentre si allontanava, oltrepassando il grande portone. Mi strinsi in me e Hesediel si avvicinò, senza parlare. Mi baciò la fronte e mi circondò nelle sue braccia. Ma io non riuscivo a guardarlo. 
Volevo soltanto morire, ancora. 
Abbassai lo sguardo verso le mie mani, che stringevano ancora il cartoncino. 
“ Via del Santo Cuore, 87. Io posso aiutarti. –Papà.”
 
Mikael
 
Guardai il vuoto tremulo della stanza, lo sguardo fisso in un punto inesistente. 
Sentivo il mio cuore battere forte contro la cassa toracica, e sembrava non aver alcuna intenzione di farla finita.
Dalla zona inferiore del convento urla e gemiti salivano alti, come sussulti spaventosi del vento, preceduti da grandi passi che correvano chissà dove e porte sbattute con furia.
Avrei voluto solo avere la forza di alzarmi da quel letto e andare a controllare cos’era successo, ma il mio corpo mi imponeva di rimanere lì, immobile, a respirare il silenzio e a farne dono, una volta tanto. Ma perché parlavo così tanto? Perché qualsiasi cosa uscisse dalla mia bocca pareva il veleno fatale di una serpe assassina?
Ma poi decisi: dovevo alzarmi. 
Feci forza sulle braccia e alzai il mio peso dal materasso sfondato, e mi sporsi in avanti. 
Per un attimo le immagini davanti a me furono distorte da un improvviso giramento di testa che, per qualche secondo, mi tolse il fiato. 
Dondolai fino alla porta, dove trovai sostegno nella gelida maniglia d’ottone, che parve l’unica cosa in quella stanza vuota a darmi sollievo. 
Chiusi gli occhi e respirai profondamente, stordito da quel brusco cambiamento fisico che era appena avvenuto in me, senza controllo. 
L'oggetto era freddo, immobile, proprio come me.
Bene Mikael, hai raggiunto il massimo delle tue aspettative, pensai senza muovermi di un millimetro. Ora sei il pomello della porta, una volta quel pensiero mi avrebbe fatto ridere, ma non quella. 
Almeno sono un bel pomello, la mia finta modestia continuò a non farmi nemmeno sorridere.
-          Ok, adesso basta, sono stufa! Pensi davvero che questo servi per proteggermi? Perché io non credo!
Hariel. La sua voce mi fece sussultare, il mio cuore prese a scalpitare di una strana paura che non capivo; era la stessa sensazione di quando sei un ragazzino e i tuoi genitori ti beccano mentre violi una regola da loro imposta.
In quell'istante non feci nulla, bloccato dalla nauseante sensazione di aver fatto qualcosa che non andava fatto. Ma improvvisamente capii; quell'agitazione, quell'ansia, quella paura, non erano mie, non mi appartenevano.
Erano state inviate...
-          NO, TU SMETTILA! Smettila di far finta che non sia successo niente, o che un gruppo di Demoni non ti abbia rapita o quasi uccisa!
Gabriel. 
Il suono della sua voce mi inviava, invece, sensazioni reali, che mi appartenevano. E la prima a scuotere il mio animo fu sicuramente l'irritazione, seguite da altre non molto piacevoli. Il mio corpo mi spinse verso la finestra aperta dalla quale, purché da una notevole distanza, riuscivo a vedere l'intera scena: Hariel e Gabriel erano l'una davanti all'altro, mossi semplicemente da un tremito di rabbia e affanno causato dalle alte grida.
Salta, suggerì una voce nella mia testa.
E sta attento a non farti vedere!, le diedi ragione. Affacciato alla finestra, notai che erano abbastanza lontani perché potessi saltare nella siepe senza essere beccato.
Potevo farcela. 
Senza staccare gli occhi dalla siepe saltai, sentendo l'aria irrompere tra i miei capelli e modificarne la forma a suo piacimento.
Atterrai sui piedi, perfettamente in silenzio, come un felino, un piede avanti all'altro, senza esitazioni. 
-          Pensi di potermi proteggere, non è così? Oppure pensi che io ti debba qualcosa, per avermi custodita come un trofeo da mostrare? 
Hariel tremava, i suoi occhi azzurri vibravano di tristezza.
-          Io sono tutto ciò che rimane della tua famiglia! Quella che ti ha mantenuta fino a poco tempo fa!
Gabriel, invece, ringhiava e mostrava i denti, come un animale.
-          E tu questa la chiami famiglia? Un paio di persone che si vedono a malapena e che mantengono il loro rapporto raccontandosi bugie? È questa la famiglia per te?
Gli occhi di Hariel erano tristi e impenetrabili. Difficili da dimenticare quando sai che, un tempo, avevi la sua stessa espressione disegnata sul volto.
Sentivo le dita di Gabriel scrocchiare in un pugno, che faceva ricadere pesantemente sul fianco destro.
-          Hariel...
Il suo era un ringhio spaventoso, stava per perdere la pazienza, eppure Hariel non lo accontentò, continuò a gridare e a piangere ininterrottamente.
-          Tu non sai niente sulla famiglia! 
Gridò lei, facendo un passo avanti.
-          Questa è la tua famiglia, ora! 
E con forza si strappò la catenina che portava al collo, probabilmente un cimelio di famiglia.
Allora Gabriel scattò in avanti, con un nuovo ringhio, ancora più spaventoso del precedente. Sembrò passare meno di una frazione di secondo quando Hariel si ritrovò a terra, la mano poggiata sulla guancia pulsante, che brillava di luce rossastra lì dove era stata colpita dal colpo preciso di Gabriel. 
-          Io ho deciso che tu saresti potuta rimanere con noi, i MIEI genitori non sapevano nemmeno se tenerti con loro o aspettare che l’ambulanza ti portasse via!
Scoppiò a ridere quando si accorse di aver sottolineato quella possessione sui suoi genitori. 
-          E poi ci sono i tuoi genitori! Ma loro che hanno fatto, invece?
Le sorrise, maligno. La ragazza, invece, tremò ancora, il labbro inferiore e roseo si muoveva lentamente, come i suoi occhi azzurri e opachi. Hariel era una candela che stava per spegnersi.
-          Tua madre di ha abbandonata, tuo padre ha preferito vivere la sua vita come se tu non fossi mai nemmeno esistita. Io sono la tua famiglia, Hariel, e non ti permetterò di fuggire di qui ancora una volta! 
Hariel tremò, solo un attimo, poi guardò Gabriel e, con non so quale forza riuscì a dire con voce seria:
-          Allora preferisco restare senza una famiglia.
Un'affermazione tanto pungente da gelarmi il sangue nelle vene. Ma c'era qualcosa in me che bruciava, all'interno della mia anima sepolta, lì dove risiedeva il mio infallibile istinto, per la quale molti mi ricordavano. Lo stesso istinto che in quel momento mi diceva che Gabriel l'avrebbe colpita ancora una volta e che era il momento di reagire.
Saltai in avanti e con la mia velocità, riconoscibile solo in determinati Angeli, afferrai Hariel e la spostai a una decina di metri da lui.
Quando Gabriel mi vide, con la stessa rapidità con cui lo avevo allontanato, azzerò le distanze, facendomi battere la testa a terra.
Lo afferrai per il colletto della camicia e feci lo stesso, ribaltando i ruoli.
Lo strattonai con talmente violenza che riuscii a vedergli un rivolo di sangue segnargli la tempia e bagnargli una piccola ciocca di capelli biondi. Mi sorprese quando, con una spinta, mi fece ricadere bruscamente a terra, procurando un rumore talmente forte da attirare file di curiosi intorno a noi. Anche Lia.
-          Portatela via.
Fu tutto ciò che riuscii a dire, in un sospiro.
Alcuni si avvicinarono ad Hariel, che però non parve volersi muovere di un solo millimetro dalla propria posizione.
Gabriel si lanciò verso di me, ringhiando. E Lia lo guardava. Mi guardava! I suoi occhi divennero ancora più scuri quando, spaventata, gridò:
-          ATTENTO! 
O forse lo immaginai talmente tanto da crederlo reale un attimo prima che la lama infuocata di Gabriel mi colpisse...
 
Lia
 
Strillai, ma l'attimo dopo Mikael era a terra, un braccio allungato avanti a sé, in direzione di Gabriel che venne catapultato contro la parete bianca. Mikael gridava, o forse gemeva dallo sforzo delle sue azioni. Un’azione che mi riempi il cuore di paura quando lui chiuse con forza la mano in pugno e un rumore di ossa spezzate riempì l'aria.
Un ultimo grido, solo uno, poi entrambi gli angeli ricaddero a terra...
 
 
Gabriel si voltò meccanicamente quando, debolmente, bussai alla porta già aperta della sua stanza. Senza che lui rispondesse, entrai. 
-          Sono uno stupido, non è così? 
Mi vietai, mentalmente, di rispondergli e mi sedetti di fianco a lui, sul letto dalle coperte grigiastre.
-          Volevi proteggerla.
Mi limitai a dire, guardando le mie mani intrecciate contro il mio grembo.
-          L'ho picchiata, Lia. Per diciassette anni ho fatto di tutto perché non accadesse mai, perché nessuno la ferisse. E poco fa sono stato io a farlo.
Mi voltai a guardarlo, e vidi molto più di due iridi dorate; in fondo a quello sguardo notai la tristezza, il terrore di aver perso tutto ciò che amava.
-          Per tutta la vita le ho promesso che mai, neppure una volta, si sarebbe mai dovuta sentire sola. Ci sarei sempre stato io a proteggerla, a stringerla a me quando sarebbe stata triste.
Gabriel si piegò su sé stesso e si coprì il viso con le mani grandi e pallide.
-          Sono stato un bugiardo.
Ebbi un brivido, sentendo la voce di Gabriel spezzarsi in un gemito, poi i miei occhi formarono una sottile patina di lacrime che prese a sfumare la mia visuale.
Non avevo mai visto Gabriel piangere, e mai avrei voluto farlo. Ma quelle lacrime, che tanto mi bruciavano gli occhi, non erano le mie, e neppure riuscivo a sentirle tali.
Il mio sguardo si posò sul braccialetto che mi sfiorava il polso, e lentamente presi a respirare, concentrandomi a far mia quella sensazione di calma sperando che, forse, anche Hariel l'avrebbe provata.
-          Come sta? 
Rimasi in silenzio e il respiro rimase fermo tra le mie labbra talmente tanto a lungo che i miei polmoni presero a bruciare.
-          Appunto.
Non disse nient'altro per un bel po’ di tempo, abbastanza a lungo per percepire i nostri battiti cardiaci andare uno più rapido dell'altro, come in una gara senza premi. Strinsi gli occhi e, allo stesso tempo, le mani in pugno contro le coperte. Dovevo sembrare proprio una stupida!
-          Cosa posso fare per farti stare meglio? 
Tutto pur di rompere quel dannato silenzio tra di noi. Per un attimo pensai che avrebbe detto "Niente", poi i suoi occhi smisero di tremare e, con il suo intero corpo, si voltò verso di me.
Provai a guardarlo, ma al tempo stesso non riuscivo a sostenere tanta brillantezza, 
così abbassai lo sguardo, chiudendo quasi del tutto gli occhi.
Sentii il calore del corpo dell'Angelo farsi sempre più vicino mentre io rabbrividivo.
Le sue dita mi sfiorarono il polso che reggeva il braccialetto, ma furono talmente calde e improvvise che mi ritrovai ad allontanarmi con un gesto fulmineo. Pensai che Gabriel se la sarebbe presa, ma, al contrario, sorrise. 
-          Non muoverti...
La sua voce fu un sussurro leggerissimo.
Quando la sua mano ritornò sul mio polso, trattenni il fiato, e aprii un po’ di più gli occhi, abbastanza per vedere le sue abili dita sfilarmi rapidamente il gioiello.
-          Ma... 
Gabriel mi interruppe solamente avvicinando di più il viso al mio.
-          Voglio solo che quello che sto per fare sia reale.
Il mio cuore si ritrovò a sopportare nuovi battiti, sempre più massicci e veloci contro le costole.
-          Como? 
Sentii Gabriel sorridere mentre il suo viso era talmente vicino da poter sentire l'odore del suo respiro freddo contro il mio volto.
E poi le sue labbra sfiorarono le mie, delicatamente, come se da un momento all'altro mi sarei potuta rompere in mille pezzi.
Erano calde, dolci, mentre si muovevano contro le mie. Ricambiai il bacio, poi Gabriel inarcò il suo corpo verso il mio, dando più intensità al bacio. Ricambiai nuovamente, poi qualcosa mi frenò, facendomi rabbrividire.
-          Gabriel...
Mi staccai dal suo corpo e ripresi respiro, indietreggiando sul letto e riprendendo il braccialetto dal materasso.
-          Io... Mi... Mi dispiace.
Anche Gabriel si allontanò, abbassando lo sguardo e poggiando prima i gomiti sulle ginocchia, poi la testa tra le mani.
Non parlò, non si mosse neanche di un millimetro. L'avevo ferito ancora di più, e non potevo far niente per evitarlo.
E allora non potei far altro che alzarmi e dirigermi verso la porta.
-          Vai da lui, non è così? 
Sapevo già a chi si riferiva, ma non risposi. Aprii la porta e feci un passo avanti ma, prima di oltrepassarla del tutto, lanciai un'occhiata alle mie spalle, lo sguardo fisso verso la figura dell'Angelo ricurvo su sé stesso e con lo sguardo pieno di tristezza e rimorso.
-          Sei un bravo fratello, Gabriel.
 
Mikael
 
La porta si aprì scricchiolando, di una lentezza infernale, e da lì subentrò la figura esile di Lia, con i capelli scuri che le scendevano sulle spalle e le mani che reggevano un vassoio lucente, sul quale erano posizionate file e file di bende pulite e varie boccette che contenevano, sicuramente, medicinali. 
-          Aladiah è già passata, per tua informazione. 
Lei non mi guardò neanche, fece un passo avanti e, con il piede, chiuse la porta, facendola sbattere rumorosamente. Posò le bende e le boccette sul letto, poi si sedette di fianco a me. 
Con assoluta non curanza mi afferrò la mano bendata e iniziò a sfilare la benda che presentava già piccoli puntini rossi in superficie. 
-          Infatti, è lei che mi ha mandato qui, ha dimenticato di disinfettare la ferita sulla mano e ha chiesto a me di venire. 
Non aggiunse nient’altro ed io la guardai mentre mi sfilava la benda dalla mano, mostrando lo strano squarcio che mi si era formato sul palmo quando la Luce era sprizzata via dalla pelle, colpendo Gabriel e facendolo arrivare sulla parete del convento. 
-          Qui devo disinfettare.
Disse allungando l’altro braccio verso una boccetta bianca.
-          Brucerà per un po’. 
E detto questo spruzzò il contenuto liquido su un pezzo di ovatta grande quanto la mia mano, per poi posarlo sulla ferita. Un brivido mi percorse la schiena quando il liquido entrò in contatto con la pelle ancora lacerata. Poi passò sui polpastrelli, anche se lì le ferite erano quasi del tutto rimarginate. 
-          Fa male?
In un attimo notai quanto la sua voce si fosse spezzata, in un batter di ciglio. Alzai lo sguardo verso di lei, ma Lia manteneva gli occhi sulle sue mani, tremanti contro le mie. 
La guardai, senza darle una risposta ben chiara. Volevo solo che lei andasse via di lì. Volevo soltanto rimanere solo. 
-          No. 
La mia risposta risultò più secca di quanto volessi. 
Silenzio assoluto, così tentai di migliorare la situazione con un “Ma grazie dell’interessamento.”, anche se lei non si voltò. 
Lia tentò di nascondere le lacrime mentre, rapidamente, afferrava la benda e la faceva scorrere lungo il palmo della mano, con attenzione infinita.
-          Non farlo mai più. 
La sua voce ruppe il silenzio tombale che si era formato tra di noi, come una nebbia protettiva che non ci permetteva né di attaccare né tantomeno di essere feriti. 
-          Cosa? Prendere a calci in culo il tuo fidanzatino? 
Inclinai la testa verso di lei, e mi costrinsi a farle un sorrisetto ironico. 
-          Mi dispiace ma è stato lui a cominciare. Io mi difendevo dal tuo angioletto e proteggevo Hariel. 
Lia alzò lo sguardo verso di me, e schiuse le labbra, lentamente. 
-          Avrebbe potuto ucciderti!
Si alzò di scatto e indietreggiò rapidamente. 
-          Pensi davvero che una checca come Gabriel possa anche solo scalfirmi?
Lia mi dava le spalle, ma improvvisamente si voltò, i suoi capelli si mossero rapidi nell’aria immobile della stanza, come frustate mute.
-          Prima di arrivare lì, ero nella biblioteca del convento. Cercavo informazioni su ciò che erano i nostri Alleati, un tempo: gli Arcangeli.
Mi fermai a guardarla mentre i suoi occhi si riempivano di strane lacrime. 
-          Dio diede loro un terribile potere, che poteva essere definito come la prima maledizione mai esistita: gli Angeli potevano avere tutto, come non potevano avere niente, ma gli Arcangeli, beh, loro potevano avere tutto ciò che volevano. Dio dava loro un obbiettivo, e loro lo avrebbero superato in un modo o nell’altro. Anche l’aspettativa più semplice poteva trasformarsi in un bagno di sangue senza limiti. 
Tremava, piangeva, era immobile ed era fuggiasca. Mille sentimenti contrastanti mi riempivano il petto, scalpitando furiosamente per arrivare a un traguardo inesistente. La realtà dei fatti che però nessuno vedeva. Era lontana, quasi quanto la verità che Lia manteneva dentro di sé. 
-          Gabriel è uno di loro, non è così? 
Non mi mossi, non dissi nulla, la guardai e basta. La risposta mi rimase suggellata tra le labbra, senza sfuggirmi. 
Gabriel era un Arcangelo, come tutti gli altri. 
E come con tutti gli altri, lo avevo affrontato senza paura, prima e dopo la Caduta. 
Per un Paradiso senza oppressioni. Per un mondo migliore, senza paura dei sentimenti e di Dio. 
Un’esistenza piena di amore e di speranza, per un mondo dove Angeli e Uomini, Mortali ed Eterni, avrebbero potuto vivere in pace per la Grazia di Nostro Signore. 
Era questa la nostra causa, il motivo della nostra Caduta.
-          E tu lo sapevi. 
E adesso guardavo lei, con gli stessi occhi con cui, per la prima volta, vidi un essere umano, con gli stessi occhi con cui avevo guardato Alissa ogni giorno prima della sua morte.
Con gli stessi occhi guardavo Lia, senza che lei ricambiasse tale intensità. 
I suoi occhi erano fiamme scure, che brillavano, si contorcevano in tiepidi tremiti, che scoppiettavano di un fuoco tremendamente soffocante. 
-          Forse sarebbe stato meglio se l’avesse fatto, non trovi?
Quella frase mi uscì spontaneamente, senza alcun timore di ciò che lei avrebbe pensato.
Lia non parlava, era immobile davanti a me, con lo sguardo perso nel mio. 
Forse, infondo, pensava anche lei che avevo ragione. Forse una parte di lei, non so quale e di quanta importanza, sapeva che la sua vita sarebbe stata più facile senza di me nei paraggi. 
-          Io ti odio. 
Fu tutto ciò che riuscì a dire, spezzando il silenzio. 
-          Ti odio così tanto!
I suoi occhi si fecero pieni di lacrime, talmente grandi e pesanti che le fu quasi impossibile tenerli aperti. 
-          E ti odio perché non riesco a odiarti! Ed è così… frustrante
Mi sembrava quasi impossibile vederla come un leone furioso quando il suo aspetto era simile a quello di un gattino terrorizzato. 
-          Io voglio odiarti, perché sarebbe meglio. Perché così tutti sembrano soffrire di meno, anche se in piccola parte. E vorrei odiarti, con tutto il cuore e con tutta l’anima! Ma lo giuro…
Si fermò un attimo per prendere fiato, poi incollò le braccia lungo i fianchi, con un gesto secco. 
-          Io lo giuro. 
Un’altra pausa mentre i suoi respiri diventavano sempre più affannosi. 
-          Ci ho provato. Ma non ci riesco. 
Non riuscivo a guardarla, volevo solamente scomparire dal suo mondo. Lei non mi voleva, eppure sentivo che se fosse svanita il mio avrebbe fatto lo stesso. 
-          Si chiamava Alissa. 
Sentii i suoi occhi sulla mia pelle, scrutarmi piano, studiando la mia espressione cupa, piena di rimorso. 
-          L’ho vista morire davanti ai miei occhi. 
Strinsi le mani in pugno e gemetti. 
-          Avrei potuto salvarla, ma non l’ho fatto. 
Le parole uscivano, mio malgrado, con rabbia, con una forza che sembrava non finire mai. 
-          Ed è morta. 
Pensavo che non avrebbe parlato, ma taciuto nel mio dolore, lasciandomi solo nella mia oscurità, nel mio passato che mai sarei riuscito a dimenticare. 
-          Non riesco a capirti, Mikael. Un minuto prima mi odi, l’attimo dopo mi stai appiccicato, prima sei protettivo, poi totalmente assente. Ed ora… 
Poi abbassò lo sguardo, e strinse le mani contro lo stomaco, come se stesse per vomitare. 
E fu allora che notai il braccialetto di Hariel scintillare sul suo polso. 
Lia prese a tossire e si piegò piano, e, involontariamente, dondolò avanti e indietro. 
Scattai, fulmineo, verso di lei, per reggerla prima che cadesse. 
Singhiozzò contro di me, ed io la aiutai a reggersi in piedi. Un rivolo di sangue le era scivolato dal labbro e fu allora che il mio cuore prese a palpitare notevolmente. 
-          Che cosa vuoi davvero?
Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi erano completamente asciutti, come se tutte le lacrime fossero scomparse miracolosamente. Con la mano libera le sfiorai il mento, e avvicinai il viso al suo. La sentii chiudere gli occhi, e le sue labbra si mossero come se volesse parlare, ma io la zittii, avvicinandomi ancora di più a lei. Sfiorai piano le sue labbra con le mie, sentendo il sapore del suo sangue entrare in contrasto con quello dolce della sua bocca. 
Fui preso da un attimo di terrore quando le sue labbra si fermarono.
-          Lia…
Sussurrai. Forse stavo per scusarmi, forse stavo per riprendere, oppure stavo per aprire gli occhi alla realtà. 
-          Shh… 
Il suo fu solo un sussurro quando, infilando le dita tra i miei capelli, mi baciò, con più intensità di prima. Il suo corpo sfiorò il mio, per un attimo, mentre le nostre labbra danzavano le une contro le altre, un tango lento, passionale, pieno di magia. 
Aprii lentamente gli occhi e la guardai. I suoi erano un misto di paura e sconforto. 
Allungò una mano verso il mio viso e mi sfiorò lentamente la guancia, fino a scivolare sulle mie labbra, raccogliendo il sangue che lei stessa mi aveva lasciato durante il bacio.
-          Salvala, Mikael. So che è questo ciò che vuoi.
 
Hariel
 
Strinsi il bordo del lavandino con forza, sentendo le nocche di entrambe le mani diventare bianche, e le dita indebolirsi pian piano. 
Il sangue usciva a fiotti dalla bocca, incontrollatamente, e non sapevo quanti asciugamani avessi usato per tentare di ripulire il danno, senza alcun successo. 
Fermati, fermati, DANNAZIONE!, nella mia mente gridavo, ma nella realtà non avevo la forza nemmeno di riprendere respiro. Lanciai uno sguardo allo specchio mentre il sangue, lentamente, si bloccava, soffermandosi sul mio viso e sulla montagna di asciugamani che avevo accumulato sul lavandino. Respirai, sempre più rapidamente, tentando di riprendere il controllo di me stessa. Ma il mio cuore continuava a pompare sangue con più veemenza, e le mie labbra non sentivano altro che sapore metallico su di loro. 
-          Oh mio Dio, ma cos’è successo? 
Mi voltai di scatto verso la figura di Hesediel, bloccato vicino alla porta. I suoi occhi azzurri erano spaventati, completamente spalancati verso di me. 
-          Hesediel!
Corsi per abbracciarlo, terrorizzata, e lui non si staccò da me, nemmeno per un secondo. 
Lo strinsi a me, con forza, mentre le sue mani calde mi sfioravano la schiena, per fare lo stesso. 
-          Devi aiutarmi. 
Gemetti, tentando di pulirmi il viso con la manica del pigiama che uno degli Angeli mi aveva portato quando Damabiah stesso mi aveva scortato in camera, seguito da un gruppetto di Angeli e Uomini. 
-          Che cosa devo fare? 
La domanda era così chiara, semplice, eppure non riuscii nemmeno per un attimo a parlare. 
Un rumore distolse la mia attenzione, ma decisi di non aprire gli occhi, anzi, li strinsi con ancora più forza affinché tutto ciò che riuscissi ad avvertire fossimo io e Hesediel, insieme. 
-          Dobbiamo portarla a Via del Santo Cuore. 
Aprii gli occhi per incrociare quelli di Mikael, le quali labbra, come le mie, erano sporche di sangue ormai raffermo. Iniziai a tremare quando Hesediel prese a lasciare la presa su di me. 
-          Da suo padre.
E poi Mikael lanciò a terra il cartoncino che Nicolas mi aveva lasciato.
Quello di mio padre.
 
Siamo noi i figli degli antichi mostri
e dei giganti delle epoche passate?
Siamo noi eroi possenti
o solo piccole persone di sempre?
A noi appartiene il mondo e la realtà,
noi ne siamo i padroni…
Oppure siamo solo schiavi ribelli
sempre in lotta alla ricerca di qualcosa?
Vediamo lontano ma siamo ciechi,
sentiamo tutto ma siamo sordi...
Siamo noi angeli caduti e immemori,
oppure siamo demoni tristi
battuti ma non rassegnati?
Siamo noi messaggeri
che non ricordano
quale sia il messaggio
e quale la sua destinazione?
Amiamo e odiamo
con forza e passione
oppure restiamo immobili
per tutta la vita
ottenebrati dall’orrore
della rivelazione?
Forgiamo da soli il nostro fato,
oppure crediamo in superiori forze
che ci obbligano ad un triste destino?
Siamo noi esseri immortali,
ignari della nostra natura
e imprigionati in una materia
dolorosa e mortale?
Siamo noi gemme splendenti
ma sporche di fango…
Siamo noi stelle cadenti
ma che brillano intense…
Siamo noi capaci di gelido fuoco,
Siamo noi capaci di malvagità,
Siamo noi capaci di bontà.
Siamo noi Angeli o Demoni…
Ma dove sta la verità?

( Vallant Langosco )
   
 
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