E’
notte fonda quando un elfo tremante ti sveglia. Ci metti un po’ a capire
perché:
-
Il signorino Harry non si sente bene. - squittisce agitato.
Con
un balzo scendi dal letto, con due arrivi alla sua stanza.
Appena
apri la porta lo senti tossire e senti l’ansia montare. E’ disteso sul letto,
piegato su se stesso, ansimante... solo e indifeso.
Ti
avvicini e lui si accorge di te, con uno scatto si ritrae dalla tua mano tesa.
-
S-sto bene. - mente, ma l’aria gli manca e quasi non
senti il suo sospiro. Ha l’affanno pesante, al limite dell’asma.
-
Piantala, Harry! - ruggisci, mentre provi di nuovo ad avvicinarti.
Ansima
ancora.
Resti
con le braccia tese, non sai cosa fare. Fai apparire un elfo e gli ordini di
chiamare un Medimago a una velocità tale che neanche
ti ricordi di aver parlato.
Resti
a guardarlo respingerti mentre continui a non sapere cosa fare.
-
Harry... - sospiri ferito dal suo netto rifiuto.
Lui
intanto prova a calmare il proprio respiro mentre si appiattisse contro il muro
alle sue spalle, il più lontano possibile da te. Ma il petto continua ad
alzarsi e riabbassarsi mentre i suoi occhi sono lucidi di dolore e spavento.
-
...Harry... - sospiri ancora e senti il tuo cuore dolere.
Provi
di nuovo a toccarlo, con la certezza di una nuova ritrosia, quasi non ti
accorgi dei suoi movimenti.
In
poco più di un secondo ti trovi avvolto dalle sue braccia, il suo respiro
affannoso sulla spalla e il suo corpo tremante contro il tuo e, per un attimo,
t’irrigidisci non sapendo cosa fare.
Ma
l’esitazione dura ben poco, e, prima ancora di accorgertene, lo hai stretto
forte a te e hai iniziato ad accarezzargli la schiena. Piano, per calmarlo e
rassicurarlo.
Lo
stringi, come lui stringe te, quasi come se temesse di perderti.
Ti
spezza il cuore, tutto questo. E in un piccolo cantuccio dello stesso, ti piace
che si aggrappi così a te, anche se sai che è insensibile da parte tua.
Quando
il Medimago arriva, e nonostante la stessa esitazione
di Harry al riguardo, a malincuore sei costretto a lasciarlo andare. Per
precauzione, nel frattempo hai praticato su di lui alcune leggere
trasfigurazioni affinché l’altro non lo riconosca.
-
Posso parlarle in privato? - chiede il dottore dopo una breve visita. Annuisci
e lo raggiungi fuori, fai perfino finta di non notare un accenno di tremore da
parte del moretto all’idea di restare solo.
-
Sicuramente è stato un attacco d’ansia. - ti dice il Medimago.
- E’ una condizione psicologica, solitamente presente in persone che hanno
avuto un trauma. La reazione viene causata spesso da preoccupazioni e da
situazioni opprimenti. - continua.
Tu
sbatti le palpebre più volte.
-
Sta bene ora? - chiedi, apprensivo.
Lui
ti scruta - In che rapporti è con il paziente? - ti chiede.
Non
sai cosa rispondere, ti limiti a un - E’ un mio amico. -
Non
ti passa nemmeno per l’anticamera del cervello di chiamarlo “servo”.
-
Ho notato che lo abbracciava. - continua il dottore - Credo che sia bastato
questo a calmarlo. -
-
Quindi dovrei abbracciarlo ogni volta che si sente male? -
-
...Beh... - fa lui - A quanto pare è stato il paziente a scegliere questo modo
di calmarsi. -
Non
sai cosa ribattere. Non sai cosa pensare della situazione.
Tuttavia,
sai che è giunta l’ora di parlare con Harry a cuore aperto... e di capire.
Passi
la notte con lui.
Quasi
con esitazione cerchi di riabbracciarlo e, malgrado la sua riluttanza iniziale,
sicuramente dovuta a un moto di vergogna per come si è comportato, si lascia
coinvolgere in quell’atto intimo.
E
funziona. Si tranquillizza completamente, rilassandosi tra le tue braccia, e
non puoi che esserne felice.
-
Perché ti sei sentito male...? - gli chiedi all’improvviso, in un sussurro,
quasi temessi di rovinare il silenzio tranquillo che si è creato ora, lontano
dagli ansiti di qualche ora prima.
Lui
resta mollemente aggrappato a te, mentre il suo sguardo è lontano, perso chissà
dove.
-
Ti ordino di rispondermi. - gli fai ancora, senza però nessuna nota imperativa
nella voce.
-
Perché mi hai baciato quel giorno? - chiede invece lui, sorprendendoti.
I
suoi occhi sono ancora lontani, occhi che vorresti puntati su di te.
Vieni
colto alla sprovvista. Tanto che per qualche istante non sai cosa rispondere.
Ma non riesci a dirgli che lo ami, hai il terrore che si allontani da te
disgustato.
Il
tuo silenzio è prolungato e lui vuole la sua risposta, tanto che alza lo
sguardo su di te, finalmente, e lo incrocia al tuo.
-
Vorresti farlo ancora? - ti domanda ancora, in un sussurro.
Non
puoi fare a meno di osservagli le labbra. Ma non sai cosa dire.
Vedi
le sue iridi traballare e, più in profondità, una scintilla nascosta, che per
un attimo ti fa sognare. Quando avverti il suo respiro caldo sul viso, ti
accorgi finalmente che si sta avvicinando.
Immediatamente
senti l’adrenalina invaderti, gettandoti in una sorta di paura e aspettativa.
Per
un lungo istante vorresti accogliere quel tocco, intercettare le sue labbra e
divorarle.
Ma
sai che non è giusto. E’ come se tu stesso non fossi ancora pronto a questo,
semplicemente perché sai che non lo è lui.
Racimoli
tutto il tuo coraggio per piegare la testa di lato e così evitare il bacio.
Si
ferma, guardandoti tra il ferito e il mesto. Ti si spezza ancora un po’ il
cuore, come se poi ne fosse rimasto qualcosa...
Non
sai cosa dire. Apri più volte la bocca sperando che le parole escano da sole,
ma non è così, e ti ritrovi avvolto dal silenzio sotto gli occhi tristi
dell’altro.
Però
devi dire qualcosa, non puoi mantenere il silenzio, non più.
E
con questo pensiero in testa non puoi far altro che chiedergli - Cosa vuoi da
me? -
-
In che senso? - rimbecca immediatamente lui, tuttavia meno interrogativo di
quello che vuole far sembrare.
E
improvvisamente, il discorso, come preparato ti sovviene alla mente e non puoi
fare a meno di proferirlo, come se quel piccolo sforzo iniziale ti avesse
meccanicamente dato il via.
-
Cosa ti aspetti che faccia? - chiedi quindi ancora - Perché ti sei fatto
accogliere proprio da me? Chiunque ti avrebbe preso con sé, sei il Salvatore
del mondo. Perché hai scelto proprio me? Per farti comandare? Per masochismo?
Io... - prendi fiato - Io non ce la faccio, Harry. Non è così che voglio starti
vicino. –
E
improvvisamente quell’abbraccio che vi mantiene uniti ti sta stretto e non puoi
fare a meno di allontanarlo. Ti metti seduto, con la testa fra le mani
prendendo un lungo sospiro.
-
Tu vuoi stare con me perché pensi che io ti odi, ma non è così. Vuoi sapere
perché ti ho baciato? - alzi gli occhi e lo affronti, non perdi tempo nemmeno a
decifrare il suo sguardo, sei concentrato su quello che provi tu.
-
Io ti amo, Harry. - mormori - E solo un imbecille non ci sarebbe arrivato
prima. -
Ti
alzi e pieghi la testa di lato, perso per un attimo tra i tuoi pensieri - Io...
- fai poi.
Ma
nonostante ci sia molto da dire è come se la verve che ti animato solo pochi
istanti prima fosse scemata. Quindi rimarchi quell’ordine che Harry ancora non
ha soddisfatto.
-
Voglio che torni a essere te stesso. -
E
adesso, davvero, non hai più nulla da dire. Nel silenzio annuisci in un certo
senso verso te stesso, poi ti giri per andare via.
Una
volta fuori dalla porta il tuo cuore ti pare pesante e ti senti soffocare.
Ti
chiedi vagamente se la malattia di Harry non sia contagiosa...
Probabilmente
è stato tutto un lungo e spossante sogno. La storia di Harry, s’intende.
Te
lo domandi dal momento che osservi, quasi in trance, la sua stanza vuota.
Probamente
è così: lui è morto, lo è sempre stato e hai giocato al padrone con un fantasma della tua mente.
Non
c’è più ombra di Harry.
La
sua stanza è vuota perfino della sua essenza, come se l’altro non ci avesse mai
vissuto.
Non
si è mai sentito a casa, qui. Mai.
E
tutte le ore, i giorni passati con lui sono stati una perdita di tempo.
Tu
per lui sei stato soltanto una perdita di tempo.
Tu.
Non. Sei. Servito. A. Nulla.
Non
lo hai aiutato.
Ti
senti vuoto, improvvisamente. E’ come se dentro di te ci fosse una voragine e
il tuo cervello fosse... spento.
Stanco
di pensare, stanco di fare una qualsiasi cosa, torni sui tuoi passi e ti aggiri
nella tua casa come un fantasma.
Non
sai nemmeno dove stai andando.
E’
come se avessi improvvisamente trovato il vuoto davanti a te, come se fin’ora
avessi scelto una strada e nella nebbia buia si fosse presentata una voragine
davanti ai tuoi piedi e, senza averla vista, tu fossi precipitato... forse
precipiti ancora.
Quasi
ti sembra di sentire il fischio nelle orecchie dato dalla carezza del vento.
Una carezza così forte e potente da assordare.
Scorri
la tua agenda, senza nemmeno vedere le parole che vi sono scritte.
E...
pensi a lui.
Crolli
con la testa tra le braccia incrociate e lui riempie il tuo vuoto interiore,
tormentandoti. Ti appare quando chiudi gli occhi e il ricordo della sua voce ti
riempie le orecchie.
E
lì nonostante quella stanza non ne serbi alcun ricordo, non ne sia affatto
pregna, come se tu ne fossi
completamente intossicato.
Sei
tu la spugna della sua essenza, colui che può effettivamente indicare che è
vissuto accanto a te.
Non
è stato un sogno semplicemente perché un sogno non può far tanto male.
Quindi
senti finalmente il bisogno di prenderlo a pugni!
Se
fin’ora non lo hai fatto per una sorta di rispetto, di volontà di stringerlo a
te... adesso non ne puoi più. Sei stanco fargli dono di una dolcezza che
l’altro non vuole.
Vuole
crudeltà? E la avrà.
Ti
alzi immediatamente, spinto dall’adrenalina che ti scorre all’idea di prenderlo
a cazzotti e fargli tanto male, almeno un millesimo di quanto lui fa del male a
te.
Perciò
corri a cercarlo. Giri tutta la città, guardando in tutti i posti dove potrebbe
essersi rifugiato, una nuova nicchia che potrebbe essersi creato per sfuggirti.
Non
riesci a trovarlo, eppure la tua foga non scema.
Provi
a cercarlo perfino nel suo vecchio nascondiglio, anche se non ci speravi più di
tanto. E infatti, come previsto, lui non c’è.
E
improvvisamente, all’idea che sia sparito anche dalla città, ritorni nel buco
nero.
Ripensi
al pomeriggio passato come senzatetto e ti senti così triste e depresso che torni
a sederti lì, tra la spazzatura. Non tanto per cosa rappresenta quel posto, ma
solo perché sei stanco... hai camminato molto e non hai voglia di tornare a
casa. Incurante.
Stai
fermo lì, a fissare il vuoto perso nei tuoi pensieri.
Ti
accorgi che piove, solo quando senti picchiettarti il viso dalla gocce. Ma non
presti più di tanto attenzione, anzi.
Finalmente
il tempo asseconda il colore della tua anima.
Alzi
gli occhi al cielo, incurante del fatto che l’acqua ti dia fastidio. Osservi lo
sprazzo di paradiso che si intravede dal palazzo che ti da asilo. E’ grigio. Le
nuvole viaggiano in fretta.
Con
un po’ di rammarico ti rendi conto che smetterà presto.
Ti
scosti una ciocca bagnata dal viso. Ti chiedi ancora dove possa essere, quando
improvvisamente ti sovviene la risposta.
C’è
un solo posto dove tu non abbia ancora cercato.
Stavolta
ti Smaterializzi, non puoi attendere oltre, e arrivi in fretta.
Quando
entri nel mausoleo funebre dove nomi su nomi sono elencati su di una lapide
nera, ti accorgi immediatamente della figura che è in piedi a osservarli, uno
per uno, con intensità.
Lo
guardi fissare quei nomi senza tuttavia avvicinarti. Non vuoi rovinare il
momento solenne che sta vivendo. E’ una cosa privata, solo sua.
Anche
se vorresti farne parte.
Ora
più che mai ti rendi conto di non poter diventare davvero importante per lui.
Lui non è più capace di affezionarsi a qualcuno, è troppo provato.
Ti
rendi conto che non puoi essergli utile se non con quel rapporto che tanto
odiavi.
Era
la cosa migliore per entrambi.
Con
questa consapevolezza, ti avvicini infine a lui.
-
Ce ne hai messo di tempo. - ti dice piano senza guardarti ma scorrendo ancora
quella lista.
-
Già. - sospiri - Colpa mia. -
-
Non trovo il mio nome. - dice ancora - Lo cerco da quando sono qui. -
Tu
invece lo individui immediatamente, e glielo indichi.
-
Ah. - fa - Sono poco attento, lo avevo sotto gli occhi. -
Ora
i suoi occhi scrutano il suo stesso nome, con una maniacale attenzione.
-
E’ una bella lapide. - dice ancora. Annuisci. - Ci sono anche quelli di Ron e
Hermione... ma sono così lontani dal mio. Stupido alfabeto. - rimbrotta.
-
Già. - acconsenti - Stupido alfabeto. -
Poi
c’è silenzio tra voi. Restate misticamente quieti a fissare quella lapide
fredda.
-
Avrei voluto esserci anche io qui. - confessi con naturalezza. - Avrei voluto
essere tra questi nomi. -
Ti
accorgi che lui si è girato verso di te, ma prendi tempo prima di guardarlo.
-
Anche tu, immagino. Nel senso, realmente. -
-
Sarebbe stato più facile. - dice, infatti.
-
Ma sarei stato anche io lontano da te, nella lista. - fai ancora tornando a
osservare la stessa - Come lo sono sempre stato. - sussurri subito dopo.
-
Per quanto mi sia sforzato... non posso fare nulla per aiutarti. - continui -
Tu vuoi morire. -
Lui
temporeggia abbassando la testa.
-
Se vuoi posso ucciderti. - dici ancora poi lo guardi biecamente.
-
Mi uccideresti sul serio? - ti chiede quindi lui in un sussurro - Lo faresti
davvero? -
Sorridi
senza nessuna dolcezza o allegria. E’ una smorfia, nervi tirati e labbra piegate
all’insù.
-
Se servisse lo farei. - confessi quindi con sincerità. - Vuoi che ti uccida? -
I
suoi occhi tornano sulla lapide in marmo nero, la fissano, stavolta senza
neanche guardarla. Valutando l’ipotesi probabilmente.
-
Non servirebbe. - lo senti dire dopo un po’ - ... credo di non voler più
morire. -
-
Allora cosa posso fare per te, Harry? Come posso aiutarti? -
E’
questa la vera domanda che ha costellato la vostra esperienza assieme. E
‘questa che volevi porgergli da sempre...
Lui
esita prima di allungare timidamente una mano e farla scivolare nella tua, con
tuo sommo stupore.
Una
sola frase esce dalle sua labbra, come un raggio di sole nella pioggia di
Londra. Raro e magico, come il sorriso che ora si è dipinto sul volto del tuo
amato.
-
Lasciami mantenere la mia promessa. - ti chiede - Lasciami prendere cura di te.
-
E
stavolta, quando si avvicina per baciarti, non puoi fare a meno di assaporare
quel tocco e stringerlo a te.
Note finali:
Finito! Alla prossima!