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Autore: The Rocker    21/08/2013    1 recensioni
Non aspettatevi di trovare la classica storia, assolutamente no.
Starà a voi costruirla, questa storia, passo dopo passo, frase dopo frase. E se ho fatto bene il mio lavoro, alla fine vi resterà l'amaro in bocca.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era da una settimana che non ci vedevamo. Un’intera settimana senza una chiamata, un messaggio, un saluto, neanche un insulto.
 
Una settimana di indifferenza.
 
Ne conoscevo benissimo il motivo. Sapevo che quel mio gesto, quel mio andarmene –esattamente come se ne andava lei, ogni volta- le avrebbe dato fastidio. Ero consapevole delle conseguenze che avrei dovuto sopportare, eppure… eppure, mi mancava.
 
Mi mancava vederla mentre mi sorrideva complice dal pianerottolo delle scale, mentre mi spogliava con dolcezza, mentre sudata e soddisfatta si lasciava abbracciare ogni volta per qualche minuto in più.
 
Era lei a chiamarmi, ogni volta che aveva voglia di distrarsi, di essere consolata, di sfogarsi. Era lei a comandare nella nostra relazione. O meglio, questo era ciò che credeva.
 
Le lasciavo credere di avere tutto sotto controllo, di poter decidere ogni volta giorno e posizione. Ma ero io, in realtà, a tenere le redini del nostro bizzarro rapporto.
 
Se la mattina la salutavo, con un sorriso caldo e invitante, non dovevo aspettare che due ore prima di ricevere il suo invito. Altrimenti, se mi mostravo svogliato e distante, quasi maleducato, sapevo di potermi considerare libero per il pomeriggio.
 
E se, appena entrato in camera sua, mi sedevo con decisione sulla sedia, senza indugiare in complimenti e sorrisi, mostrandomi scontroso e irritato, mi avrebbe lasciato carta bianca una volta a letto.
 
Mi ci erano volute alcune settimane prima di capire qual era il giro del fumo. Settimane in cui mi rodevo le unghie, sperando in un suo invito, che puntualmente non arrivava mai; settimane in cui mi ero sentivo totalmente e incondizionatamente dominato da lei, da quel suo carattere forte, dalla sua determinazione, dalla sua allegria, dalla sua solarità, dalla sua sicurezza.
 
E ogni volta, dopo aver fatto l’amore, se ne andava senza neanche un bacio, senza una parola, un saluto. E, ogni volta, mi chiedevo il perché di quel gesto, così in disaccordo con il suo carattere.
 
Ogni volta. Ogni singola volta.
 
Senza mai riuscire a trovare una risposta, un motivo quantomeno plausibile.
 
Avevo pianto, a volte. Non sempre, avevo anch’io una dignità.
 
Le prime volte ci ero rimasto troppo male per piangere: me ne tornavo a casa basito, con la mandibola che sfiorava terra. Col tempo mi ci ero abituato, a questo strano rituale: sentivo una strana fitta al petto, come se qualcuno cercasse di schiacciarmi un polmone, ma passava velocemente.
 
Avevo preso l’abitudine di utilizzare la sua doccia, per poter avere sulla pelle il suo profumo ancora qualche ora. Ogni volta, mi facevo la doccia da lei; ogni volta mi ripetevo che sarebbe stata l’ultima, perché solo gli sfigati innamorati si riducono a certi livelli. Adesso, dopo qualche mese, la cosa mi infastidiva: mi sentivo usato, come se esistessi solo per soddisfare le sue voglie.
 
Mi mancava. Mi mancava in maniera irrazionale.
 
Avevo bisogno di un sostegno, un supporto morale. Forse una birra avrebbe potuto aiutarmi. Sospirai, aprendo il frigorifero in cerca di un succo di frutta.
 
Era stata lei a dirmi che le dava fastidio che il mio alito sapesse di birra: non sei un camionista, mi diceva. Mio padre, inappuntabile impiegato, ogni sera, prima di cena, si beveva una bella birra ghiacciata, qualsiasi fosse la temperatura esterna.
 
Ma, come sempre, ogni volta che si lamentava per qualcosa, io correvo subito ai ripari. Avevo abbandonato la birra in favore di un più sano succo di frutta; avevo cominciato a vestirmi con i jeans scuri e i giubbotti di pelle, perché, a suo dire, l’aria da cattivo ragazzo –io che non avevo neanche mai copiato durante una verifica- mi donava; avevo abbandonato il comodo divano per passare pomeriggi interi in palestra. Mi aveva già messo al guinzaglio, e non era neanche la mia ragazza. Era la mia scopamica.
 
Scopamica, non ragazza. Sesso, non amore.
 
Me lo ripetevo sempre, ogni volta che la sera mi saliva quella tristezza improvvisa un attimo prima di addormentarmi. Quella sensazione di abbandono, che nasce nella pancia, e si arresta alla gola.
 
Me lo ripetevo, e ogni volta mi addormentavo ancora più malinconico.
 
  
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