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Autore: musa07    22/08/2013    6 recensioni
" Quei capelli dorati gli apparvero come un faro nella notte. Una notte buia e tempestosa.
Poco importava che sopra di loro le stelle brillassero in cielo. Quello che non brillava affatto in quella sera era il suo sorriso."
Una 8059 che si discosta un pò dal mio solito genere. Alias: dopo tanta mia demenza, ci stava qualcosa di serio.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Hayato Gokudera, Ryohei Sasagawa, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok, non voglio rovinarvi il climax quindi solo piccola nota tecnica per dirvi che i ragazzi sono in versione TYL. E Dino e Takeshi lovelove sono sempre più figherrimi. Noo! Dovevo stare seria, almeno ‘sta volta, uffi!
 
 
 

Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno”

 


 
Sera – Yamamoto Takeshi
 
 
Quei capelli dorati gli apparvero come un faro nella notte. Una notte buia e tempestosa.
Poco importava che sopra di loro le stelle brillassero in cielo. Quello che non brillava affatto in quella sera era il suo sorriso.
Takeshi neanche sapeva come e perché fosse arrivato fino a lì …  Sapeva solo che non poteva neanche lontanamente immaginarsi di restare in quella casa. La loro casa …
Dove rifugiarsi allora? 
Tsuna non c’era, si trovava in quel momento a chilometri di distanza. Da chi andare dunque a chiedere soccorso? Non avrebbe sopportato i silenzi di Hibari, non avrebbe sopporto - per contro – la confusione mitragliante alla quale l’avrebbe sottoposto Ryohei per tentare di tirarlo su di morale. E allora? E allora era corso dall’unica altra persona che sapeva avrebbe ascoltato sì in silenzio, ma che sarebbe anche stata in grado di fargli sentire meno il peso della schiacciante solitudine che gli stava massacrando il cuore.
Aveva sollevato gli occhi nocciola quando aveva sentito la porta aprirsi davanti a lui e il suo sguardo si era posato su quei fili aurei. Era così difficile far scendere lo sguardo fino agli occhi marroni dell’altro. Era difficile posare lo sguardo su qualsiasi paia d’occhi in quella sera perché non voleva assolutamente leggervi la pena o peggio: la pietà o la compassione. Ce n’era già tanta nei suoi.
Sospirò, abbassando mestamente il capo a terra.
- Non hai freddo? – la voce di Dino arrivò come un guanto, ad avvolgerlo, notando il suo abbigliamento leggero nonostante il vento frizzantino che si era abbattuto implacabile durante tutta la giornata. Si limitò a scuotere la testa, sempre tenendo lo sguardo fisso a terra almeno fino a quando quel silenzio non gli pesò. Perché gli ricordava altri silenzi … Silenzi di risposte non date e di domande non fatte. Silenzi di domande rimaste senza risposta molto semplicemente perché risposte non ce n’erano. Per l’ennesima volta si chiese se fosse stata la cosa giusta tacere quando invece sarebbe stato il momento di parlare o, per assurdo, tacere e imparare ad ascoltare di più, magari a leggere in quei silenzi. E dire che era convinto che ormai loro due, lui e Hayato, fossero in grado di comunicare semplicemente con lo sguardo. Ed è vero. Eccome se era vero. Lo era sempre stato fin da subito. Proprio per questo non c’era stato tanto bisogno di parole in quei giorni. Un’ora prima. Era bastato semplicemente fissarsi negli occhi per capire quello che nessuna delle due bocche aveva il coraggio di formulare. Per l’ennesima volta sentì una stilettata attraversargli l’anima, implacabile. Mai avrebbe pensato che l’animo umano fosse in grado di sopportare tanto dolore.
Takeshi alzò gli occhi, davanti a sé. Davanti alla vita che impetuosa continuava a scorrergli di fronte.
Domani mattina il sole sarebbe sorto lo stesso e sarebbe tramontato. Come faceva tutti i giorni. La vita sarebbe andata avanti, non avrebbe aspettato nessuno.
- Vieni dentro … - nuovamente la voce dell’altro sembrò arrivargli da una dimensione spazio-temporale che non gli apparteneva. Tutto gli stava arrivando ovattato. Ma non il dolore. Oh no: quello era cieco e sordo. Pungente e implacabile.
Dino, nel momento in cui si scostò dalla soglia per farlo entrare, si ritrovò a pensare che dalle poche parole che era riuscito a strappargli durante la breve telefonata che Takeshi gli aveva fatto poco prima, aveva capito dovesse essere successo qualcosa, ma non pensava qualcosa di così grave.
 
 
Il biondo lo ritrovò nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciato poco prima fuori in giardino quando era rientrato in casa per recuperargli qualcosa per coprirsi oltre alla camicia che indossava, dato che stava tremando dal freddo. Seduto a terra, ginocchia strette al petto, sguardo perso nel vuoto, muto … nel più completo e totale silenzio.
Takeshi sentì qualcosa posarsi delicatamente sulla testa tanto da coprirgli gli occhi.
- Grazie …. – sussurrò infilandosi la felpa grigia. La prima parola che le sue labbra avessero formulato da quando era entrato. Tirò su la zip della cerniera inspirando. Sapeva di buono. Sapeva di Dino. Sospirò anche nel momento in cui il padrone di casa gli porse una tazza fumante di the.
- Grazie … - biascicò di nuovo. Si sentiva come un animale braccato, ferito.
- Basta ringraziarmi. – ridacchiò il biondo cercando di destarlo dal suo torpore mentre gli si sedeva affianco. Portando le labbra alla tazza gli lanciò un’occhiata di sottecchi per poi riportare gli occhi marroni davanti a sé, a fissare l’enorme pino grigio che svettava in giardino.
Non l’avrebbe di certo forzato a parlare. Finchè Takeshi non si fosse sentito di dire qualcosa, lui non avrebbe fatto altro che aspettare.
- Tra me e Hayato è finita … -
Ecco: era riuscito a formulare quelle terribili parole. Ma fu Dino a muoversi a disagio dalla posizione seduta nella quale si trovava mentre sgranava gli occhi incredulo. Fu un duro colpo da incassare per il giovane boss italiano. Quei due, nell’immaginario collettivo di tutti loro, erano LA coppia. Indistruttibile. Inaffondabile. Incrollabile. Per questo dalla sua bocca non riuscivano ad uscire parole di senso compiuto. Spostò nuovamente lo sguardo sullo spadaccino che si stava torturando nervosamente le dita, quasi ancora incredulo a sua volta.
- Ma … ma com’è possibile? – riuscì a formulare alla fine Dino. Certo, non era una cosa sensata e nemmeno neanche tanto originale o incoraggiante da dire, ma veramente furono le uniche cose che gli uscirono e furono queste parole a destare l’altro dal suo torpore. Finalmente Takeshi spostò lo sguardo su di lui.
- Non … non andava molto bene ultimamente … - confessò per la prima volta a qualcuno facendo mancare di nuovo il fiato al biondo. E quanta sofferenza senza fine questi riuscì a vedere negli occhi dell’altro, accompagnata anche dal rimorso, da un senso di colpa latente pronto ad esplodere.
– Hayato era un po’ strano negli ultimi tempi. Stanco, nervoso, intrattabile ed io non capivo cosa fosse. Non capivo perché non me ne parlasse. Inizialmente pensavo fosse qualcosa di cui non mi poteva dir nulla, sai: cose che dovevano sapere solo lui e Tsuna …. – e qui si dovette fermare cercando quell’aria che si sentiva mancare da qualche ora a quella parte, portando lo sguardo lontano. Dino si limitò ad appoggiargli una mano sul braccio a fargli sentire che lui c’era. Che era al sicuro in quel momento. Takeshi gli fu grato di quel gesto riportando lo sguardo su di lui e di nuovo il biondo si sentì lacerare dentro. Com’era possibile che nessuno di loro si fosse accorto di nulla? Si chiese per l’ennesima volta. Ripercorreva con la memoria ogni singola volta in cui li aveva visti insieme ultimamente e non aveva percepito niente di strano.
- Dino tu hai idea di cosa voglia dire per me non essere stato in grado di capire i suoi turbamenti interiori? Di non essere stato in grado di leggergli dentro, di non capire il perché di tutto questo. Ma soprattutto … il fatto che lui non me ne abbia reso partecipe. –
E fu allora che una lacrima, una sola lacrima calda, sgorgò sul volto di Takeshi. La sentì pizzicare all’angolo dell’occhio sinistro incerta, indecisa … Quasi non se la aspettava Takeshi. Rimase per un attimo interdetto perché era consapevole del fatto che se le avesse permesso di uscire molte altre l’avrebbero seguita. La sentì scendere lungo la guancia per poi poggiarsi delicatamente sulle labbra prima di concludere la sua corsa sul mento. E l’unica cosa che poté fare Dino fu di render ancora più salda la presa stringendogli ulteriormente il braccio.
- Lui continuava a dirmi che non c’era niente, che andava tutto bene. L’ho pressato. Gli sono stato sotto. Ho taciuto quando mi ha detto che lo stavo stressando, che se ci fosse stato qualcosa me ne avrebbe sicuramente parlato. Fino a stasera … -
E qui di nuovo il Guardiano dovette fermarsi, asciugandosi velocemente gli occhi con il dorso della mano. Dino vide che le sue dita stavano tremando.
- Quando Hayato è rientrato in casa e … e come sempre ultimamente si è buttato sul divano salutandomi appena … io … io … gli ho detto che non potevamo continuare così … -
Ormai non tentò neanche più di asciugarsi le lacrime e la mano la usò per aggrapparsi a sua volta a quella dell’altro sempre posata sul suo braccio mentre continuava a fissare davanti a sé anche se, con lacrime agli occhi, non vedeva più nulla.
- Lui mi ha detto che se non mi andava più bene, che … - Takeshi fece una significativa pausa nella quale raccolse tutta la sua forza per realizzare quanto gli era stato detto. – Che quella era la porta … - concluse con un flebile mormorio mordicchiandosi il labbro inferiore.
- E tu cosa hai fatto? –
- Ho preso la porta e me ne sono andato. – ammise a disagio. Non andava molto fiero di quel gesto ma Dino non poté di certo dargli torto. Anche per uno buono e paziente come Takeshi c’era un limite umano di sopportazione.
Il biondo trasse un profondo inspiro prima di parlare ma l’altro lo precedette. Aveva bisogno di sfogarsi, di capire.
- E’ stata la prima volta Dino. E’ stata la prima volta che siamo stati così tanto senza parlarci. Ho come l’impressione che qualcosa si sia incrinato. -
- Takeshi, sai volte che io e Kyoya stiamo giorni senza parlarci? Anzi, ad essere più precisi: è Kyoya che non mi rivolge la parola per giorni e giorni e io non ne vengo mai a sapere il motivo. – ci tenne a precisare il biondo cercando di farlo sorridere e stemperare al contempo la tensione.
- Sai com’è Hayato, no? Non è uno che dice una cosa per poi ritrattare. – gli ricordò il Guardiano.
- Quello sei tu veramente. – si permise di correggerlo il giovane Cavallone sorridendogli dolcemente. – Gokudera-kun è “ l’ira funesta del pelide Achille” – citò ricordandogli come a volte – anche se meno che in passato in verità - Hayato parlasse in preda al nervosismo per poi pentirsi l’attimo immediatamente dopo di quanto detto.
- Dovreste parlarvi. – lo incoraggiò vedendo come l’altro continuasse a tacere.
- Mpf, non penso abbiamo più molto da dirci. – dissentì Takeshi piegando le labbra in un sorriso amaro. – Quello che dovevamo dire ce lo siamo detti. Io sono stanco Dino. Stanco e sfiduciato. Non so più cosa pensare, io so solo … – non riuscì a finir di parlare perché stava cercando di fermare i singhiozzi che gli stavano salendo prepotenti alla gola mentre si stringeva ancora di più le ginocchia al petto, in una posizione di difesa, di autococcola.
Il biondo lo osservò attentamente attendendo che il suo dolore esplodesse come un fiume in piena quando spezza gli argini. E quel momento non tardò ad arrivare.
-  … io so solo che lo amo ancora. Ma non potevamo andare avanti così perché non stavamo andando da nessuna parte. Era come essere ad uno stallo. Ad un bivio. Dovevamo saltare. Saltare insieme, come abbiamo sempre fatto. Ma uno dei due non ha afferrato la mano dell’altro, troppo chiusi e presi dai nostri silenzi e abbiamo lasciato andare le cose alla deriva … Ma io lo amo. -
E fu allora che gli argini si spezzarono.
- Lo so Takeshi, lo so. – gli sussurrò dolcemente Dino passandogli un braccio intorno alle spalle per stringerlo a sé e lasciarlo finalmente sfogare. Takeshi pianse anche lacrime che non credeva di possedere aggrappandosi alla maglia dell’altro che si limitò ad accarezzargli la schiena, cullandolo fino a quando non si fu calmato.
- Takeshi guardarmi: si sistemerà tutto, ok? Adesso avete solo bisogno di prendervi tempo e un attimo di respiro. – bisbigliò il biondo asciugandogli via con i pollici le lacrime dal volto. Lo spadaccino assentì con il capo, dubbioso in verità. Non era certo che Hayato volesse rimettere le cose in carreggiata. Per la prima volta in dieci anni, non era in grado di leggergli dentro.
- Posso fare qualcosa per te? – di nuovo la voce di Dino si riportò in una modulazione che dire dolce sarebbe stato usare un eufemismo.
- Posso restare qui stanotte? –
- Ma certo, ovvio! Questo era scontato. – replicò il padrone di casa sgranando gli occhi. -Qualcos’altro? – e lo invitò con gli occhi a parlare perché vedeva chiaramente che nello sguardo dell’altro c’era un altro desiderio inespresso.
- Posso, posso dormire con te? – spiattellò alla fine Takeshi massaggiandosi la nuca imbarazzato. – Scusami, so che ti sembrerà una richiesta infantile e non è una proposta oscena giuro, ho troppo rispetto di te e Hibari. È solo che … sono anni che non dormo in un letto da solo e morirei schiacciato dalla solitudine. In una nottata del genere poi … - farfugliò imbarazzato parlando ad una velocità supersonica così inusuale in lui, non avendo il coraggio di guardare in faccia il suo interlocutore che invece se la stava ridendo sotto i baffi. A Dino fece una tenerezza indescrivibile. Gli sembrava un cucciolo smarrito e indifeso. In tutti quegli anni che lo conosceva non l’aveva mai visto con un’espressione così confusa e smarrita e sentì un bisogno istintivo di proteggerlo.
- Ehi! – lo ammonì prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a fissarlo negli occhi. – Shh, non serve che ti giustifichi, non con me. Dormiamo insieme, ok? Sì? –
- Sì … - biascicò Takeshi riconoscente all’amico con lo sguardo ricolmo di gratitudine.
- Sì! – ribadì Dino con uno dei suoi sorrisi.
- Pensi che Hibari ci ucciderà per questo? – gli chiese tra il serio e il faceto.
- Molto probabile. – rise Dino che invece sapeva che Kyoya avrebbe capito benissimo. – Ma noi glielo spiegheremo parlando molto lentamente e scandendo bene le parole. –
Per la prima volta in quella serata, il volto di Takeshi si aprì in un sorriso.
 
- Dino, questa non è la tua stanza. – proferì incuriosito Takeshi dopo che si erano accomandati sotto le lenzuola e ora, mani incrociate sulla nuca, fissavano entrambi i disegni arzigolati che le ombre dei rami del pino in giardino disegnavano sul soffitto della camera.
- No. – biascicò il diretto interessato, sentendosi colto in fallo. – No, non è la mia stanza … Scusami Takeshi scusami, ma non riuscirei mai a condividere il mio letto con qualcuno che non sia Kyoya. Questa stanza è neutra per tutti e due, sia per me che per te. – si giustificò ridacchiando, sentendosi terribilmente in colpa perché non voleva mettere l’altro a disagio in nessuna maniera.
- Non ti devi scusare. – si affrettò a rassicurarlo il moretto sorridendo a sua volta. – Ti capisco perfettamente. – concluse in un soffio che mise sull’attenti l’altro che capì che bisognava correre ai ripari in fretta prima che l’amico ricadesse nel baratro della malinconia più cupa e disperata proprio adesso che si era un po’ calmato. Si girò di lato mettendosi disteso sul fianco fissandolo prima di uscirsene con un innocente: - Vuoi fare l’amore? – sussurrato appena.
- EH?! – quasi urlò Takeshi voltandosi a fissarlo scioccato mettendoci tuttavia una frazione di secondo per capire che l’altro lo stava bonariamente prendendo in giro e l’aveva fatto con il solo e unico intento di distrarlo e gliene fu silenziosamente grato anche se lo apostrofò con un divertito: - Scemo! – colpendo con il cuscino mentre si metteva seduto.
- Sì, dai Cavallone: spogliati! – stette allo scherzo. – Però stai tu sotto. – lo sfidò puntandogli l’indice sul petto in maniera fintamente minacciosa.
- Oh, questo sarebbe tutto da vedere. – replicò il biondo imperturbabile mentre sorrideva all’idea colpendolo a sua volta con il cuscino costringendolo a distendersi nuovamente.
- Dino, vero che si sistemerà tutto? – mormorò lo spadaccino l’attimo immediatamente dopo facendo calare nuovamente un pesante silenzio mentre lo fissava con uno sguardo speranzoso a cercare in lui quelle parole che voleva assolutamente sentirsi dire. Quella conferma che placasse la sua anima in pena.
- Ma certo. Certo che si sistemerà tutto. – gli promise, pregando in cuor suo che l’altro non avesse percepito l’attimo di esitazione che aveva avuto nella voce perché Dino non poteva assolutamente sapere cosa stesse balenando nella mente di Hayato in quegli attimi. A cosa stesse pensando in quegli stessi identici istanti e l’unica cosa che poté fare, fu posargli una carezza sulla guancia  invitandolo a dormire.
 
 
LA MATTINA DOPO
 
- La colazione viene servita in giardino, sotto il gazebo signore. – scherzò Dino seduto ai piedi del letto prima di alzarsi e uscire. Takeshi si lasciò sfuggire un piccolo sorriso prima di ricordare perché si trovasse in una casa non sua. In un letto non suo. Senza Hayato affianco … E allora il suo sorriso si offuscò mentre affondava il viso sul cuscino.
Avrebbe voluto dormire ancora un po’, almeno il sonno gli avrebbe impedito di pensare. Chiuse gli occhi ma era tutto inutile ormai, era sveglio.
“ Mio Dio!” pensò in preda allo sconforto più totale. “Cosa mi darà la forza per vivere questa giornata? Per vivere ogni santo giorno d’ora in poi.”
Non ebbe il coraggio di accendere il cellulare per timore non sapeva neanche lui di cosa. Temeva sia di vedere qualche messaggio da parte di Hayato, sia di non trovare nessun segno di mettersi in contatto con lui da parte sua. D’altra parte, neanche lui aveva fatto niente. Né un messaggio né una telefonata. Ma cosa avrebbe potuto, dovuto, fare? Il fatto di aver preso la porta ed essersene andato la sera prima non era già stato un gesto più che eloquente? E il fatto che Hayato non l’avesse seguito non era qualcosa di ancora più sintomatico? Si prese la testa tra le mani, nello sconforto più totale. Dentro di lui c’era il caos più profondo e atavico che gli impediva di capire quale fosse la cosa più sensata da fare.
- Forse era giusto che finisse così … - bisbigliò tra sé e sé.
“ No Takeshi, no!” ringhiò la sua anima in risposta. Certo era che le cose non potevano continuare come si erano trascinate negli ultimi tempi e se questo implicava essersi lasciati definitivamente … Un sospiro affranto gli uscì dalle labbra.
Si mise seduto, notando come Dino gli avesse lasciato sul comodino affianco un cambio di vestiti. Tanto la loro corporatura e statura erano pressoché identiche. Nuovamente, come la sera prima con la felpa, nel momento in cui indossò i capi fu travolto dal profumo dell’altro.
Arrotolandosi le maniche della polo uscì in giardino. E fu allora che lo vide …
 
 
Continua …
 


Clau: Com’è che mi è venuta da scrivere una cosa triste al limite dello angst (che devo ancora capire bene bene cosa sia^^,)? Mah… dopo tanta demenza mi è venuta fuori una cosa malinconica. Cioè, devo essere proprio posseduta. E perché mi sia venuta sui miei adorati Takeshi lovelove e Goku (uno più adorato dell’altro in realtà^//^)? Chissà … Se volete la faccio anche con la D18 eh!
Dino&Hibari: Ma anche no, grazie!
Clau: Hi hi hi. Comunque tranquilli: questa fic si dovrebbe risolvere in due capitoli, massimo tre. Comunicazione di servizio per chi segue anche l’altra mia long “ L’amicizia è amore senza le sue ali”: abbiate fede, non mi son dimenticata eh. Giurin-giurello che a breve mi metto sotto, che non mi piace lasciare le cose insolute. Tanto nella mia testa c’è già tutto il capitolo. Che poi non si capisca o si sappia se questo sia un bene o un male, questo è tutto un altro discorso ahahah. Arrivederci alla prossima e grazie per il sostegno che mi date sempre, davvero. Credo che non avrei neanche fatto la metà di quello che ho fatto se non avessi avuto il vostro prezioso supporto. Hum, mi sembra di essere Bilbo Baggins de “ Il Signore degli Anelli” con questa frase cacofonica^/////^. Detto questo, Vi abbraccio!!
 
   
 
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