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Autore: vannagio    22/08/2013    6 recensioni
Laurie strillò fino a raschiarsi la gola, quando due grosse mani la afferrarono sotto le ascelle e la sollevarono in aria. Tenne gli occhi chiusi e le orecchie tappate, perché con i mostri funzionava così, glielo aveva detto la sua amica Betty, se non li vedi non ti possono fare niente. La mamma diceva che era una sciocchezza, che i mostri andavano affrontati a occhi spalancati e pugni serrati, ma Laurie preferiva il metodo di Betty.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Blake/Il Comico, Laurel Jupiter/Silk Spectre II, Sally Jupiter
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”




Il mostro




«Ti piacciono i pancake, ranocchio?».
La voce era lontana, arrivava dalla cucina insieme a un fracasso infernale. Nascosta sotto il letto, Laurie si tappò le orecchie con le mani e chiuse gli occhi, come quando la mamma beveva troppo, decideva di cucinare e tutte le pentole cadevano per terra. Voleva sempre cucinare quando beveva troppo e Laurie non capiva perché, alla mamma non piaceva stare in cucina.
«Ah, sei qui!».
Laurie strillò fino a raschiarsi la gola, quando due grosse mani la afferrarono sotto le ascelle e la sollevarono in aria. Tenne gli occhi chiusi e le orecchie tappate, perché con i mostri funzionava così, glielo aveva detto la sua amica Betty, se non li vedi non ti possono fare niente. La mamma diceva che era una sciocchezza, che i mostri andavano affrontati a occhi spalancati e pugni serrati, ma Laurie preferiva il metodo di Betty.
«Cazzo, quanto fiato per dei polmoni così piccoli!».
Anche la mamma aveva urlato, tanto.
Era successo che qualcuno aveva suonato il campanello e la mamma aveva detto quella brutta parola che Laurie non doveva ripetere e che lei invece diceva sempre quando papà dimenticava le chiavi a casa. Dopo aver guardato nello spioncino, però, la mamma aveva spalancato gli occhi e serrato i pugni. Laurie aveva pensato subito che doveva esserci un mostro dietro la porta. Vattene via, Eddie! Non costringermi a chiamare la polizia! aveva detto la mamma. Allora la porta si era spalancata all’improvviso e la mamma era volata per tutto il soggiorno, andando a sbattere contro la parete. La cornice col disegno che Laurie le avevo regalato per Natale le era caduta sulla testa. Laurie non sapeva che fare, voleva aiutare la mamma, ma poi il mostro era entrato, e rideva, ed era grosso, e lei non ricordava più come si faceva a respirare. Così con le ginocchia molli aveva guardato il mostro che si caricava la mamma sulle spalle e la chiudeva dentro lo sgabuzzino. Prima di sbarrare la porta le aveva buttato dentro una di quelle bottigliette che alla mamma piacevano tanto. Nel caso ti annoiassi, Sally. Poi non dire che non ti voglio bene! Mentre la mamma strillava picchiando contro la porta dello sgabuzzino e il mostro continuava a ridere, Laurie si era nascosta sotto il letto della sua cameretta pregando che papà tornasse presto dal lavoro. Poi le urla erano finite ed era cominciato il baccano in cucina.
«Allora, ti piacciono i pancake?».
Laurie iniziava a vedere i puntini bianchi dietro le palpebre e a sentire le onde del mare nelle orecchie, tanto forte stava serrando gli occhi e premendo le mani contro le orecchie. Il mostro sospirò e lei arricciò il naso: sapeva di fumo e qualcos’altro, qualcosa di zuccheroso e acido. Era lo stesso odore della mamma, quando beveva troppo e papà la sgridava. Laurie si tranquillizzò un po’, un mostro che odorava come la mamma non poteva essere tanto cattivo.
«Va bene, ranocchio. Fa’ come ti pare».
La mise giù e il fracasso di pentole ricominciò. Questa volta più vicino. Laurie rimase paralizzata, in piedi, con gli occhi chiusi e le orecchie tappate, per un tempo che le sembrò per sempre, fin quando lo sfrigolio caldo e familiare del burro non la colse di sorpresa.
«So fare solo i pancake. Vedi di farteli piacere».
Dopo qualche minuto, un profumino caramelloso e invitante le fece brontolare la pancia. Laurie era troppo curiosa, se il mostro avesse voluto mangiarmi lo avrebbe già fatto, e poi non aveva mai sentito parlare di mostri che preparavano i pancake, così aprì gli occhi e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
La prima cosa che notò fu che si trovava in mezzo alla cucina. La seconda, che il pavimento era ricoperto di pentole. La terza, che la farina e lo zucchero sfusi formavano sul banco da lavoro un velo bianco che sembrava neve fresca, che le bucce delle uova erano state abbandonate accanto al lavello e che il miele colava fuori dal barattolo rovesciato. La quarta, che il mostro era alto e grosso come Bigfoot, con un sigaro incastrato tra i denti, la fronte aggrottata, un mestolo in mano e il naso sporco di impasto. All’improvviso il mostro alzò lo sguardo su di lei e Laurie sussultò, come quando la mamma la beccava con le dita nella marmellata.
«Era ora!». Il mostro sorrideva, adesso. Era un sorriso bizzarro, il suo. Storto per colpa del sigaro e un po’ pericoloso, ma a Laurie tutto sommato piaceva, perché formava uno strano ricciolo sotto l’angolo destro dei baffi e tante fossette sulla guancia. «Perché non ti siedi, nel frattempo che aspetti?». Con un gesto del mento le indicò la sedia e il tavolo. «Come li vuoi, i pancake? Con lo sciroppo d’acero?».
Laurie guardò dubbiosa in direzione dello sgabuzzino. E lui sorrise ancora.
«Non ti preoccupare per tua madre. Vedrai che le farà bene, ha bisogno di riflettere un po’».
A Laurie scappò un mezzo sorriso che cercò di nascondere subito, ma lui se ne accorse e le fece l’occhiolino.
«Non possiamo farla uscire? Anche alla mamma piacciono i pancake».
Era una bugia, alla mamma non piacevano i pancake, diceva che la facevano ingrassare. La mamma non voleva che Laurie raccontasse bugie, ma quella volta non contava, lo stava facendo per un buon motivo. Il mostro però scosse la testa, mentre faceva saltare i pancake con la padella sotto gli occhi sbalorditi di Laurie.
«No, ranocchio. Se la faccio uscire, lei ricomincia a strillare e addio pancake! Ce li mangiamo tu ed io, invece. In santa pace. E quando abbiamo finito, la lasciamo uscire. Che ne dici?».
A Laurie sembrò un buon compromesso, così fece sì con la testa.
Poco più tardi erano seduti l’uno di fronte all’altra, al tavolo della cucina, il sigaro spento su un piattino e le gambe di Laurie che andavano su e giù sotto il tavolo. Il mostro si era messo in bocca cinque pancake, tutti in una volta, poi aveva chinato la testa indietro e si era spruzzato lo sciroppo d’acero direttamente in bocca. Quando tornò a guardarla, aveva le guance gonfie come palloncini e a Laurie scappò da ridere.
«Ah, lo trovi divertente, piccola monella? Perché non provi anche tu?».
Lei sgranò gli occhi e fece di no con la testa. «La mamma non vorrebbe».
«La mamma è impegnata a riflettere, ricordi? Non lo saprà mai».
Anche questo era vero. Laurie si gettò un’occhiata preoccupata alle spalle, poi con il cuore che faceva tum tum nel petto, afferrò rapida un pancake e lo fece sparire in bocca più velocemente possibile, come se la mamma potesse uscire dallo sgabuzzino da un momento all’altro e coglierla sul fatto. Infine prese lo sciroppo e cercò di imitare il mostro. Non era brava come lui, però: il flacone sputò sciroppo come una fontanella, imbrattandole tutta la faccia.
«Lo stai inclinando troppo, ranocchio, tienilo dritto. E non premere così forte». Il mostro prese un pancake e lo usò a mo’ di tovagliolo per pulirle il viso. «Sprecare tutto questo bendidio sarebbe un peccato. Apri la boccuccia, ranocchio». Laurie obbedì senza pensarci due volte e lui le infilò il pancake-tovagliolo in bocca. «Da brava, adesso riprova».
Laurie annuì, risoluta. Chinò la testa indietro, con la massima attenzione tenne dritto il flacone e fece pressione con le dita il più delicatamente possibile. Un lungo filo continuo di sciroppo colò morbido e lento dal flacone alla bocca aperta di Laurie.
«Fi fono fiufita!», esultò con le guance stragonfie.
Il mostro scoppiò a ridere. «Bravissima! Tutta il tuo papà!».
Ma la sua risata funzionò come il cancellino della maestra sulla lavagna, cancellò tutta l’allegria di Laurie. Le aveva fatto tornare in mente la porta che si spalancava all’improvviso, la mamma che volava attraverso il soggiorno e le urla dietro la porta dello sgabuzzino. Come mai la mamma non strillava più? La mamma non smetteva mai di strillare quando cominciava, soprattutto se beveva troppo, soprattutto quando gli occhi le diventavano lucidi per la congiuntivite, non sto piangendo, tesoro, è la congiuntivite, soprattutto con papà.
«Che ti prende, adesso? Non ti piacciono più i miei pancake?».
Laurie si strinse nelle spalle e non riuscì a dire nient’altro. Un po’ perché aveva ancora la bocca piena di pancake, un po’ per il lombrico di paura che le si contorceva nello stomaco. Il mostro la fissò per alcuni istanti, poi spostò lo sguardo sulla porta dello sgabuzzino e sospirò pesantemente.
«Mi farò ammazzare. E sarà tutta colpa tua, ranocchio». Si alzò e Laurie gli fu subito dietro. «Sally?», chiamò lui, bussando alla porta. «Il ranocchio, qui, è preoccupato per te. Potresti dire qualcosa, così si tranquillizza?».
Da dentro lo sgabuzzino non arrivò nessuna risposta. Laurie fissava la maniglia della porta senza battere ciglio: Betty le aveva raccontato che una volta era riuscita a far cadere un bicchiere dalla mensola con la sola forza dello sguardo, Laurie non le aveva creduto, però adesso provare non costava nulla.
«Andiamo, Sally! Non ti sarai offesa per l’entrata ad effetto, vero? Oppure ce l’hai con me perché ti ho rinchiusa lì dentro? Mi ci hai costretto tu, in fondo. Se ti fossi comportata da persona civile non saremmo arrivati a questo punto».
Ancora nessuna risposta e la porta non si apriva. Betty le aveva sicuramente mentito. Laurie poggiò un orecchio alla porta.
«Mamma, stai bene?».
Il mostro la spinse di lato.
«Sally, sto per aprire, c’è ranocchio qui accanto a me. Mi raccomando, niente scherzi».
Quando il mostro spalancò la porta, Laurie deglutì a vuoto. La mamma era seduta su un secchio capovolto, circondata da scope e flaconi di detersivi, le braccia incrociate sotto il seno e sulla faccia quello sguardo. Lo sguardo che rivolgeva a Laurie quando tornava da scuola con un brutto voto. Solo che adesso era rivolto al mostro, che forse non sapeva il pericolo al quale stava andando incontro, perché sorrideva. Oppure lo sa ma non ha paura, pensò Laurie col naso all’insù, grande e grosso com’è! Lo invidiava un po’, al suo posto Laurie sarebbe corsa a nascondersi di nuovo sotto il letto.
«Ti sei calmata, adesso?», chiese lui.
La mamma scattò in piedi e Laurie fece un passo indietro. «Vaffanculo, Eddie!».
Laurie si tappò subito le orecchie, non aveva il permesso di ascoltare le parole brutte. Il mostro invece sì, infatti sorrideva.
«Lo prenderò per un no».
«Come ti sei permesso? Non hai alcun diritto di piombare in casa mia e spaventare a morte mia figlia!».
«Sì, invece. Ho tutto il diritto di vederla. Voler passare del tempo con lei non mi sembra una richiesta tanto campata in aria. Non puoi tenermi lontano da…».
La mamma lo interruppe con un ceffone in pieno viso che gli fece voltare il capo. Laurie trattenne il fiato, ma quando il mostro tornò a guardare dritto negli occhi della mamma stava ancora sorridendo. In modo diverso da prima, però. Il ricciolo sotto l’angolo destro dei baffi e le fossette sulla guancia erano scomparse. Era un sorriso finto, come quello che i clown del circo si disegnavano sulla faccia con i pennarelli. E a Laurie i clown facevano una gran paura.
«Pensi che me ne importi qualcosa di quello che vuoi?», strillò la mamma. «Non puoi svegliarti una mattina e di punto in bianco decidere di voler giocare a fare il…». La mamma si tappò la bocca, come quando si faceva scappare una parola brutta davanti a Laurie. «Non è uno scherzo, questo. Non stiamo parlando di un cucciolo o di una bambola. È una bambina, Eddie! Se tenessi veramente a lei, usciresti da questa casa e dalle nostre vite una volta per tutte».
Il mostro incrociò le braccia al petto. «Dovrai costringermi».
Anche la mamma sorrideva come un clown, adesso. «Come vuoi, ma ricorda che sei stato tu a chiedermelo».
Sfoderò dalla tasca della gonna una specie di pistola e lo colpì al centro del petto con un lampo di luce azzurrina. Il mostro cadde a terra e si dimenò come un pesce arenato sulla spiaggia, fin quando non perse i sensi. Laurie si era appiattita contro la parete.
«Mamma, come hai fatto?».
«Cosa ti dico sempre, tesoro? Occhi spalancati e pugni serrati. E all’occorrenza un buon nascondiglio segreto per le armi». Le arruffò i capelli. «Dai, aiutami a portarlo fuori».
Trascinarono il mostro fino al pianerottolo e lo fecero accasciare a ridosso della parete. Laurie si asciugò il sudore sulla fronte con la manica del maglione e si inginocchiò accanto a lui.
«Grazie per i pancake», gli sussurrò all’orecchio.
La mamma la teneva d’occhio da lontano, appoggiata allo stipite della porta.
«Che fai ancora lì? Torna dentro, su».
«Mi spiace lasciarlo qui da solo, poveretto».
«Quello è un mostro, Laurie. Non farti ingannare».
Laurie gli diede un bacio sulla guancia. «Un mostro simpatico, però».
Quando si rialzò, il ricciolo sotto l’angolo destro dei baffi del mostro era ricomparso, insieme alle fossette sulla guancia. Alla mamma, invece, era tornata la congiuntivite.


***


Sally aveva decisamente ragione, quel giorno di parecchi anni fa. Capitava, di tanto in tanto, che la mattina Eddie si svegliasse e che di punto in bianco decidesse di voler giocare a fare il padre.
Come quella mattina, per esempio. Aveva aperto gli occhi e constatato tre cose: si era addormentato di nuovo sul divano, il mozzicone di sigaro mandava ancora segnali di fumo dal posacenere e non vedeva sua figlia da quando aveva sbriciolato le dita dello stronzetto che le aveva palpato il culo in quel pub. Che poi… che cazzo ci faceva una ragazzina di quattordici anni in un pub?
A differenza di Sally, però, Eddie non capiva cosa ci fosse di male in quel modo di gestire i suoi doveri genitoriali. Meglio un buon padre ogni tanto, che un pessimo padre ogni fottuto giorno.
Mentre sedeva al bancone di un diner, faceva finta di leggere un giornale, sorseggiava caffè nero e spiava Laurie che faceva colazione qualche tavolo più in là in compagnia di Sally, Eddie si disse che non dubitava di essere nel giusto.
Quando sotto lo sguardo sdegnato di Sally, Laurie si ficcò in bocca cinque pancake, chinò la testa indietro e si spruzzò lo sciroppo d’acero direttamente in bocca, con un gran sorrisone sulle labbra Eddie si corresse: era assolutamente certo di essere nel giusto.







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Note autore:
Qualche giorno fa ho rivisto Watchmen e ieri chiacchieravo con bluemary e Kitsune Blake del Comico e del (non) rapporto con sua figlia. Da quel poco che si vede nel film, abbiamo ipotizzato che Eddie volesse bene a Laurie, che magari l’avesse tenuta d’occhio per un po’ e a sua insaputa quando era piccolina. E siccome io ho un debole per i padri che vogliono bene alle loro figlie… be’, eccoci qua. Edward Blake non era una brava persona, era una pessima, pessima persona. Ma, come con le persone vere, mi piace pensare che in lui ci fosse del buono e che non fosse tutto da buttare.
Per Eddie Bravo A Fare I Pancake ringraziate Kitsune Blake, io non c’entro nulla. Per il resto, date la colpa a me. Questa oneshot è un timidissimo tentativo di approccio al fandom, speriamo non sia un completo fallimento.
A presto, vannagio
   
 
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