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Autore: TheMask    22/08/2013    2 recensioni
Mi è venuto spesso da pensare a quando Matt se n'è andato dall'orfanotrofio.
Insomma, non so come mai, ma non riuscivo a immaginarlo andarsene via e basta. E' vero che, dal poco che possiamo sapere su questo personaggio non sembra uno che piange sul latte versato, ne uno a cui importa troppo dove vive.
Però... alla fine un orfanotrofio è una cosa importante nella vita di una persona. Si, sto dicendo banalità.
Già un orfanotrofio normale, e il fatto di essere orfani, è una cosa che penso sia dura da affrontare, figuriamoci un orfanotrofio come QUELLO.
Perciò, nonostante il poco spazio dedicato a Matt, il distacco da una casa così speciale mi ha sempre suscitato molte domande sul suo conto.
Spero che gradiate questa one-shot, anche se so che non è un granché essendo scritta così di getto, non so neanche io bene perchè.
Baci, Mina
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto fumando una sigaretta, appoggiato allo stipite della mia vecchia stanza.
E’ strano pensare che da domani questa non sarà più la mia stanza.
Su quel letto ci ho studiato così tante ore che il totale potrebbe ammontare a qualche centennio.
In ogni asse del pavimento mezza marcia c’è un mio ricordo, in ogni grano di stucco in risalto sul muro c’è un discorso importante avvenuto proprio qui…
Ho vissuto così tante cose che non so come farò, da domani, a non riferirmi più a questo posto come a “casa”.
Mi ricordo tutto, tutto quello che ci ho passato. Tutti i pomeriggi dedicati allo studio, tutti quelli dedicati ai giochi,  tutti quelli dedicati agli scleri di Mello…
Già, Mello…
E’ per lui che sto lasciando tutto questo. Casa mia…
Dove sei, Mello?
Mi rendo conto solo ora che la parte della mia vita che si può chiamare infanzia è definitivamente finita.
Non posso rimanere qui, infatti, non sapendo che lui è la fuori.
Non l’ho mai lasciato solo e non intendo cominciare ora. Certo, è davvero insopportabile, sempre pieno di se, un po’ viziato e assolutamente anaffettivo, ma… io sono il suo migliore amico e sono un tipo leale, quindi lo cercherò anche fino in capo al mondo.
Ma dove sarai andato? Dove sarai scappato?
Gli voglio davvero bene. Mi ha fatto sempre soffrire molto, ogni volta che mi snobbava per altre persone, o quando mi trattava come un idiota, o anche quando non mi prendeva mai sul serio.
Non capivo mai se mi usava o se mi voleva davvero bene.
L’unica certezza era che io mi ero decisamente affezionato a lui, cosa forse non buona.
Mi sento così freddo. Sto gelando, dentro.
Non fraintendiamoci, qui si sta sempre bene grazie a caloriferi e condizionatori, ma quello che sto per fare mi sta trasmettendo un gelo che non pensavo di poter contenere.
E’ come se una parte di me si fosse ghiacciata.
E’ tutto così silenzioso, qui. Nulla sembra fare rumore e si ha l’impressione che non ci sia alcuna forma di vita a parte se stessi.
La cenere della mia sigaretta cade per terra, ma non me ne accorgo.
Stringo in mano un oggetto che mi regalò Mello molti anni fa, a un compleanno. Sapeva che il mio sogno era volare.
Chissà se sai qual è ora il mio sogno…
Volare, ma non con qualche aeroplano  o elicottero, no. Io, da piccolo, sognavo di volare davvero, staccandomi da terra senza sforzo. Sognavo di librarmi in cielo, in su, sempre più in su, nell’aria fredda dell’altitudine.
Così, all’inizio del mio ottavo anno di vita, il mio amico mi regalò un paio di occhiali più grandi di me.
Non capivo cosa volesse dire, così mi spiegò: “Sono da aviatore. Per volare, no?”
L’avevo trovato un regalo fantastico e li avevo sempre tenuti nel primo cassetto della mia scrivania.
“Se mai volerò, ti giuro che li metterò!” avevo esclamato, ricordo, pieno di felicità tanto da scoppiare.
“Si, vabè, non giurare su queste stronzate” aveva risposto pigramente il biondo, spiazzando il mio ingenuo animo da bambino.
Ci ero rimasto male, ma avevo comunque apprezzato il suo gesto.
Era la prova che mi ascoltava quando parlavo, cosa sulla quale spesso avevo qualche dubbio.
E li avevo ritrovati li nel cassetto, al loro posto, tutti impolverati. Erano stati quegli stupidi occhiali da aviatore a farmi esplodere quella strana sensazione. Era sgradevole. Era come se qualcuno mi avesse strappato qualcosa.
Sentivo che non sarebbe mai più stata la stessa cosa. E
ra finito il tempo dei giochi e degli scleri di Mello. Non l’avrei più sentito lamentarsi della classifica, non l’avrei più ascoltato ripetere per ore le definizioni di fisica… non mi sarei mai più incantato a guardare il soffitto, non avrei più lamentato dolori alla schiena a causa di quel “fottutissimo materasso”, vecchio più di me.
Pensavo a qualcuno che presto sarebbe venuto in quella camera: un ragazzo nuovo, piccolo e privo di esperienze.
Chissà lui come l’avrebbe vissuta.
Se si sarebbe sentito rivoltato come un calzino, lasciandola, se si sarebbe sentito come vuoto, come privo di sogni.
Quegli occhiali da aviatore, arancioni, li stringevo come se fossero un’ancora.
Come se potessero tenermi fermo li.
Ma sapevo che, finita quella sigaretta, avrei voltato i tacchi e avrei chiuso per sempre quella porta. E con essa avrei chiuso tutta una parte della mia vita.
Spero che tu mi veda, Mello. Spero che tu veda quello che sto facendo.
Altra cenere cadde sul pavimento. Mi accorsi che stavo fumando il filtro e lo buttai per terra, schiacciandolo poi con la punta degli stivali.
Guardai ancora una volta quelle quattro scarne pareti.
Spero che tu mi veda, Mello. Perché se ora sto piangendo silenziosamente, e se ora sono così vulnerabile e stupido, fra poco tutto questo sarà sparito.
Se ora sono solo e mi sento solo, se ora i ricordi mi stanno picchiando, ancora pochi minuti e io non penserò mai più a tutto questo. Spero che tu ti imprima queste immagini nel cervello. Questi suoni. Questi pensieri idioti.
Dovunque tu sia, da solo, sappi che qui hai lasciato molto silenzio.
E senza di te, questa non è più casa mia.
Spero che tu mi veda piangere, Mello, perché non piangerò mai più.

Sbattei per l’ultima volta la porta, facendone scricchiolare i cardini.
Girai i tacchi e me ne andai, lasciando un ultimo mozzicone di sigaretta a morire sull’uscio.
Non è più casa mia.
  
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