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Autore: I Camminatori dei Sogni    22/08/2013    0 recensioni
Il forum i Camminatori dei Sogni presenta la prima Chain Novel su La Ruota del Tempo, una via di mezzo tra fanfiction e Gioco di Ruolo scritta a più mani.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono nuovi personaggi creati dai giocatori/autori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico, ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte decima]



Mabien Asuka

Il sole era tramontato e il cielo, già plumbeo, stava scurendo maggiormente per l'avanzare della sera, mentre le donne fuggite con lei da Acarvende se ne stavano ancora ferme, a poche centinaia di passi dal luogo in cui erano letteralmente precipitate. Il passaggio si era aperto a più di un metro da terra, facendo cadere violentemente le fuggiasche che l'avevano oltrepassato, inconsapevoli che dall'altra parte i loro piedi avrebbero vagato nel vuoto. Fortunatamente il terreno gonfio di pioggia aveva attutito l'atterraggio, che si era risolto con lesioni di poco conto, fatta eccezione per una ragazza: Pafes, che per ironia della sorte si rivelò essere la terza Figlia della Luce del gruppo, si doveva essere rotta una gamba.
Il lento spostamento da lì era dovuto principalmente a quell'incidente, aggravato dal fatto che Hilda e la ferita stessa avevano vietato categoricamente l'uso del Potere per guarirla, poi la resistenza di una delle donne ad essere consegnata ai Manti Bianchi non aveva certo aiutato, costringendo le altre a legarla con mezzi di fortuna. Infine c'era il continuo discutere tra Hilda e Thea, che si appartavano, il più delle volte portandosi dietro anche Mab, come in quel momento.
La reclusione aveva segnato la sua compagna di viaggio più pesantemente di quanto Mab avesse sospettato: i lineamenti del viso si erano fatti spigolosi per l'eccessiva magrezza e quello che mesi prima era stato un colorito candido, ora appariva piuttosto un malsano pallore. Le avevano anche parzialmente tagliato i capelli, per motivi igienici probabilmente: ora non erano molto più lunghi di quelli di Mab, oltre che rovinati e arruffati nello stesso modo. Il suo aspetto insomma era cambiato, facendola apparire più fragile ad una prima occhiata, ma ciò non intaccava minimamente quell'aria autoritaria e sicura che portava tutti a seguirla. Nonostante gli abiti logori e inzuppati di fango, nonostante la posizione scomoda in cui la metteva il fatto di essere una Figlia della Luce salvata da un'incanalatrice, era riuscita ad ottenere l'obbedienza delle altre fuggiasche. La spaventosa intensità del suo sguardo non era per nulla sminuita dall'aspetto smunto del viso in cui era incastonato: Mab era quasi sconvolta nel notare addirittura con che sfrontatezza lo posasse su Thea mentre chiarivano il da farsi, con quel tipico distaccato disgusto da Manto Bianco che faceva rabbrividire.
Ciò che Hilda provava davvero era tutta un'altra storia, che solo Mab poteva sapere: se non fosse stata lei stessa ad aver creato quel maledetto legame, avrebbe giurato fossero le emozioni di qualcun'altra, non di quell'arrogante statua di ghiaccio li davanti a lei.
«Sarò onesta con te» disse dopo una lunga pausa di silenzio «Sto svolgendo una missione di fondamentale importanza, lei è con me per questo. Non ho la minima intenzione di farmi intralciare da te»
Thea non battè ciglio.
«So perfettamente che a questo punto non ti fidi della mia parola, motivo per cui non starò a sprecare altro tempo con inutili spiegazioni» la posizione di Hilda era pericolosa da qualsiasi angolazione la si volesse osservare, eppure continuava sprezzante a guardare Thea dall'alto in basso «Se hai qualcosa da ridire, lo fai ora, oppure fai quello che dico io»
L'altra donna continuava a guardarla inespressiva.
«Non fare giochetti con me, drin'tsang.»
Drin'tsang. Qualsiasi cosa significasse, fu d'impatto su Thea, perchè finalmente alzò le sopracciglia chiaramente stupita.
«Non ne ho il tempo. Ora ascoltami»
Thea annuì lentamente.
Mab fissò prima l'una poi l'altra interdetta: le due non avevano abbassato per un attimo lo sguardo che si puntavano reciprocamente addosso, era più che evidente che non avrebbero voluto collaborare, ma a quanto pareva lo avrebbero fatto. Hilda era spaventata come mai l'aveva sentita. Mai.
«Prima di tutto, e parlo ad entrambe» comprese anche Mab nel gesto che fece con la mano, ma non la guardò «Evitate di incanalare a meno che non ve lo dica io. Le motivazioni sono due. Se hai detto il vero e ci troviamo a sud di Elligai, anche se siamo entro i confini della Confederazione, non siamo così lontane dalle Città della Notte da poterci ritenere al sicuro, dal momento che, come voi mi insegnate, un incanalatore può sentire altri che incanalano. Il secondo motivo è che ho subito abbastanza l'uso del Potere da farmelo bastare e avanzare per tutta la vita. Quindi non fatelo»
Thea annuì. Un attimo dopo Mab si trovò trafitta dagli occhi glaciali di Hilda che attendevano che anche lei facesse altrettanto. Lo fece.
«Ora cerchiamo un riparo prima che ricominci a piovere, attendiamo la notte e domani mattina faremo una parte del viaggio insieme per poi dividerci come ho spiegato. Tu e Pafes porterete le donne alla guarnigione più vicina. Io e Mab andremo per la nostra strada»
Era su quel punto che Thea aveva palesato per la prima volta la sua disapprovazione, costringendo Hilda a spiegazioni che non avrebbe svelato nemmeno a Mab, se avesse potuto, ma questa volta non fu su questo che obiettò.
«Pafes ha una gamba rotta e io da sola potrei avere difficoltà a gestire le altre»
«A parte la prigioniera, nessuna oppone resistenza, anzi mi pare che due non vedano l'ora di tornare a casa. Non ci vedo nulla di così complicato»
«E' curioso che prima abbiate voluto tirar fuori quelle donne e ora non mi possiate aiutare a portarle alla prima guarnigione...»
Hilda sorrise «Anche questo fa di me una Serva dell'Ombra?»
«Non farei dell'ironia sull'argomento»
Hilda sorrise di nuovo
«Temo che tu non abbia ben chiaro a chi stai parlando» Attese un lungo istante prima di riprendere «Hai usato le donne rinchiuse là dentro come scudi mentre aprivi quella cosa per fuggire, donne che potevano essere innocenti come me, come Jajaline, come Pafes. Io non ho avuto il coraggio di lasciarle lì a farsi flagellare dalle Guardiane non appena ce ne saremmo andate. Mi sento anche in colpa per quelle che non ho potuto salvare. Ma che ne può sapere di umanità una come te?»
«Non è delle mie colpe che stiamo parlando» battè le ciglia una volta «E' agli Inquisitori che spetta giudicare la nostra colpa o la nostra innocenza»
«Magari verrà il tempo, ma non è ora. Tu vuoi tornare a fare rapporto, hai testimoni e una prigioniera da spremere. Non è stupendo? Fai ciò che vuoi, ma non intralciare me.»
«Avete anche voi informazioni utilissime da riferire alla Confederazione, inoltre immagino siate stremata da settimane di reclusione, perchè non concedersi un paio di giorni alla guarnigione? Vien quasi da pensare che voi il giudizio degli Inquisitori lo vogliate proprio evitare» gli occhi di Thea, se possibile, si fecero ancora più acuti nel dire quelle ultime parole.
Come potesse Hilda mantenere quell'aria di algida arroganza, mentre dentro ribolliva di paura e di rabbia, Mab non riusciva a spiegarselo.
Per tutta risposta, la Figlia della Luce sorrise ancora una volta.
«E' un'accusa?»
«Come ho già detto, spetta agli Inquisitori questa parte»
«Pensa quello che vuoi, riferisci quello che vuoi, basta che ora non mi intralci. Intesi?» Hilda interruppe solo in quel momento il contatto visivo con l'altra donna, spostandolo verso le altre, sedute a qualche metro da loro «Sperando che tu abbia finito, possiamo metterci in marcia: non voglio dover camminare troppo a lungo al buio in questo terreno fangoso. Coordinati con Pafes e fatevi aiutare dalle altre con la prigioniera.»
Incredibilmente Thea le obbedì, allontanandosi.
«Come l'hai chiamata?» chiese Mab, appena Thea fu abbastanza lontana.
«Non sono cose che ti riguardano» rispose secca l'altra, lo sguardo pensieroso fisso sulla schiena della donna con cui aveva parlato fino ad un attimo prima.
Mab alzò gli occhi al cielo e sospirò.
«Mi dirai almeno dove stiamo andando?»
Le emozioni di Hilda tamburellavano ancora in preda ad un panico insolito. Attese un'infinità prima di rispondere.
«Ne parleremo meglio domani. Tu tienila sempre d'occhio. Hai modo di capire quando usa il Potere?»
«A meno che non usi protezioni, si.»
«E' pericolosa, Mab. E' follemente pericolosa. Mi serve il tuo aiuto» solo in quel momento si girò a fissarla, dritto negli occhi. Il legame sembrava crepitare, mentre Hilda finalmente cercava di ammansire il proprio irrequieto turbamento. «Dovrai aiutarmi se vogliamo salvarci. Devi fidarti di me, qualsiasi cosa ti chieda»
«Che intenzioni hai?» chiese Mab allarmata.
«Fidati di me»
«Lo rendi sempre più difficile»
Hilda abbassò la testa e sospirò
«Hai ragione. Ti chiedo sempre di darmi fiducia, ma io non faccio altrettanto con te. Dovrei dopo... dopo oggi. Forse ti dovrei anche delle scuse. E' difficile... per me è difficile avere a che fare con te. Ad ogni modo siamo sulla stessa barca ora e non possiamo far altro che spalleggiarci, quindi dobbiamo fidarci l'una dell'altra»
Mab si rese conto di aver la bocca aperta: Hilda praticamente le aveva chiesto scusa, si poteva dire che l'avesse ringraziata. Richiuse la bocca di scatto e sentì con stupore la propria risata. Non trovando parole per replicare, raggiunse le altre.
Il gruppo era pronto a rimettersi in marcia: Thea faceva strada procedendo tra l'erba alta e le scivolose pozze d'acqua che vi si celavano; Pafes, con la sua gamba malamente steccata, la seguiva aiutata da Jajaline, una donna sulla quarantina capitata in una sorta di retata dei Ribelli in un paese al confine nord della Confederazione; destino che la accomunava a grandi linee alle due donne che, dietro di lei, scortavano Azlae Ben'cron, una Ribelle interventista che aveva organizzato operazioni clandestine in cui erano stati uccisi o catturati tanti suoi compagni, e Fenra Kelislys, una spia ribelle scoperta a vendere informazioni ai Manti Bianchi. Hilda e Mab chiudevano la fila.
«Potresti almeno permetterci di Guarirla»
Hilda la trapassò con lo sguardo.
«Che senso ha ormai che tu continui a disprezzare l'uso del Potere?»
«Mab, renditi conto... sono nata pensando che il Potere fosse un'arma del Male, credendo in questo sono stata cresciuta e poi sono stata educata per combatterlo. Per quanto poi io sia dovuta scendere a patti con me stessa su tante di quelle cose da non aver più ben chiaro lo stesso concetto di Bene e Male, la sola idea del Potere è associata in me ad un impulso negativo. Non so se riuscirò mai a superarlo.»
Mab scosse la testa.
«Non ha alcun senso»
«Non dico che abbia senso, ma io fino a poco tempo fa non ero troppo diversa da Thea, da un certo punto di vista. Sono una Figlia della Luce, devota all'Ordine e alla Luce sopra ogni altra cosa. Così sono cresciuta. La Confederazione insegna a vedere le cose bianche o nere, io però vedevo sfumature a cui ho sentito il bisogno di dare una spiegazione. Una parte di me, quella più razionale, ti ha visto innocente dieci anni fa, ma un'altra, quella frutto dalla mia educazione e dalla mia cultura, ti vede solo come un'incanalatrice, un pericolo, un errore, qualcosa di innaturale che non dovrebbe esistere. Lotto da anni per mantenere un equilibrio tra queste parti, incapace di liberarmi di una delle due, e la Luce solo sa quanto sia stato difficile, quanto lo è tuttora. Non chiedermi troppo»
Mab osservò Hilda con la coda dell'occhio: camminava fiera come un soldato, elegante come una regina, sporca come il più lurido dei mendicanti. Quante contraddizioni! I contrasti avvolgevano quella donna fin nel profondo del suo essere, fin dalla prima immagine che Mab aveva di lei: la presa forte sulla spada sguainata contro di lei e il volto rigato dalle lacrime. Solo ora, grazie a quelle parole, realizzava quanto la decisione di risparmiarle la vita quel giorno a Daing dovesse aver pesato sulla coscienza della Figlia della Luce, un tormento forse pari a quello che poi aveva inferto a lei vendendola come schiava. Per poi salvarla di nuovo, Mab ricordava ciò che aveva appreso durante gli interrogatori ad Acarvende. Un giorno le avrebbe strappato tutta la verità. E forse quel giorno non era così lontano: Hilda ancora non lo aveva ammesso a sé stessa, ma il suo disprezzo nei suoi confronti stava venendo meno e quella fiducia, che Mab per chissà quale stupida ragione si sentiva di concederle, veniva pian piano ricambiata.

Quando Mab aprì gli occhi, il chiarore del giorno inondava i ruderi tra cui avevano trovato un minimo di riparo per la notte. Mentre si alzava striracchiando i muscoli indolenziti dalla scomodità del giaciglio e dal movimento insolito del giorno precedente, sentì la voce di Hilda bassa, poco distante. Si girò seguendola, vedendo le tre Figlie della Luce già sveglie, che discutevano tra loro.
«Prima partiamo, meglio è» concluse Hilda, facendo annuire le altre due.
«Sveglio le altre» disse Thea, alzandosi.
Dopo un attimo Hilda chiese a Pafes
«Sei sicura di potercela fare?»
«Preferisco essere abbandonata qui, piuttosto che essere Guarita da loro» rispose l'altra, caricando di disprezzo la parte finale della frase.
Hilda annuì.
«Farei lo stesso» aggiunse dandole un lieve colpetto di incoraggiamento su una spalla.
«Lady Al'Kishira» la voce incerta di Pafes fermò Hilda mentre si alzava «Allora perchè...?»
Non c'era bisogno che terminasse la frase: se per Thea la presenza di Mab al suo fianco era una prova del fatto che Hilda fosse una traditrice, per Pafes era ancora solo una cosa incomprensibile, ma certamente tutt'altro che positiva. Era evidente il rispetto che la Figlia provava verso il suo superiore ed era allo stesso modo palese quanto questo stridesse con il sospetto che provava nei suoi confronti, probabilmente fomentato anche dalla stessa Thea.
Hilda si riabbassò per guardare meglio Pafes negli occhi, con quel suo fare sicuro e disinvolto.
«Se ti fidi di lei, potresti anche fidarti di me»
«In realtà... in realtà non mi fido di nessuna di voi due: lei è un Manto Bianco che può incanalare, Luce! E voi... voi sembra stiate partecipando ad una battuta di caccia, usando quella donna come fosse il vostro cane. Non c'è molta differenza per me. Vi ho sempre stimata, pensavo voi foste...»
Hilda sospirò e la interruppe.
«Temo non ci siano spiegazioni che possano giustificare quello che sto facendo ai tuoi occhi. Me ne dispiace. Per me stessa, per il nome della mia famiglia e per quello stesso dei Figli della Luce, che rappresento. Al posto tuo avrei le stesse perplessità. Ad ogni modo non vi chiedo molto, solo di rientrare senza di me»
Pafes abbassò lo sguardo
«Obbedirò, in nome della stima che ho provato per voi obbedirò. Per questo e soltanto a patto che non ci chiediate altro»
«Saremo ad una vallata di distanza entro sera»
Quando Pafes alzò gli occhi, seguendo il movimento di Hilda che si rimetteva in piedi, Mab vide che luccicavano di lacrime.
«Vorrei poterti promettere che un giorno comprenderai tutto questo» furono le ultime parole che le disse Hilda prima di allontanarsi, immersa come non mai in ondate di tristezza e vergogna che debellò a fatica.
In poco tempo erano tutte pronte a partire.
Il terreno non si presentava meno insidioso rispetto al giorno prima, ma la luce del sole rendeva un po' più semplice attraversare le praterie in pendenza che si trovavano davanti a perdita d'occhio.
L'aria era frizzante a quell'ora del mattino, ma l'estate era imminente, era palese per i colori sgargianti della natura, perciò appena il sole si fosse alzato avrebbe fatto un po' più caldo. Gli abiti strisciavano fastidiosamente sulla pelle, rigidi per il fango del giorno prima che si era seccato. Thea guidava ancora il gruppo e aveva pronosticato una mezza giornata prima di giungere all'avamposto che conosceva in quella zona. Non era molto distante in realtà, ma Pafes e la prigioniera erano una zavorra che rendeva il cammino più lento e difficoltoso. Hilda aveva concordato che avrebbero fatto metà strada insieme, poi si sarebbero divise: quale sarebbe stata la loro destinazione, Mab ancora non lo sapeva, ma probabilmente la Figlia della Luce attendeva che fossero sole per dirglielo. Almeno questo era ciò che si augurava.
Si erano messe da poco in viaggio, quando Hilda cominciò a rallentare per rimanere indietro quel tanto che le serviva per mettere Mab al corrente del proprio piano di fuga senza essere udita dalle altre. Parlava a voce bassa, mantenendo una calma concentrazione che rendeva ancora più agghiacciante quanto stava proponendo.
«No» rispose secca Mab, cercando a sua volta di non lasciarsi trasportare dallo sconvolgimento che provava.
«Ho cercato tutta notte un'altra soluzione, ma non ho scelta Mab. Non abbiamo scelta. Devi aiutarmi»
Era terribilmente difficile mantenere la calma, fingere di avere una conversazione normale, quando avrebbe voluto urlarle che era una pazza. Respirò a fondo, rilassando nervi tesi allo spasimo.
«Non puoi chiedermi questo»
«Non pensare che per me sia facile. Devo Mab, dobbiamo!»
«Dev'esserci un altro modo. Io non posso...»
«Ascoltami» la voce si era leggermente alzata, svelando ciò che Mab percepiva tramite il legame. Si calmò, si accertò che le altre non si fossero accorte di nulla e riprese «Quella donna non dubita che siamo Serve dell'Ombra. Quella donna ha la totale certezza che io e te siamo Serve dell'Ombra. E il suo compito è annientare Servi dell'Ombra. So fin troppo bene cos'è lei, uno degli strumenti più potenti ed oscuri dell'Inquisizione, addestrata per non fallire. Le ho fatto credere che anche tu sia una cosa del genere, una Maledetta, una drin'tsang, ma non so quanto la cosa possa mitigare il suo assoluto senso della giustizia. Non ci permetterà di allontanarci. Lo so»
Mab quasi si spaventò quando Hilda le prese una mano, stringendola con forza.
«Non ci darà scelta. Mab per favore, ho bisogno del tuo aiuto. Non te lo chiederei se potessi farne a meno»
Come si poteva affrontare una cosa del genere? Mab si sforzava di continuare a camminare, guardando fisso davanti a sé, ma le gambe erano incerte, la vista vacua, la mente vacillava al pensiero di quanto le era stato chiesto.
«Ti giuro Mab, vorrei evitarlo... Luce, è terribile! Lo so! Ho provato ad analizzare ogni alternativa, ma non abbiamo altra scelta»
Le strinse ancora la mano, avvicinandosi.
«Devi aiutarmi. Dimmi che lo farai»
«Non hai voluto usare il Potere nemmeno per Guarire Pafes e ora mi chiedi questo? Che razza di mostro sei?»
«Mab ti prego, ti scongiuro, credimi. E' la disperazione che mi costringe. Non possiamo semplicemente scappare, non ce la faremmo. Credimi»
«No» Mab aveva voglia di mettersi a piangere.
Hilda strinse la sua mano ancora più forte e caricò di disperazione il modo in cui semplicemente disse il suo nome.
«Mab» suonò come una supplica.
«Io... lasciami almeno il tempo per...»
«Non abbiamo tempo, Mab. Credo di aver capito dove siamo, grazie alla Luce conosco piuttosto bene queste zone. Voglio fare in modo di avvicinarmi all'avamposto quel tanto che basti a quelle donne per poterci arrivare anche senza una guida, non manca molto. Se ci avviciniamo troppo, rischiamo di essere viste mentre andiamo nella direzione opposta ed essere prese per fuggitive. Non ti chiedo molto, solo di bloccare Thea e Pafes quando le prenderò da parte per dar loro gli ultimi ordini. Sto cercando il punto giusto. Poi farò io il resto, non tu»
«Credi basti così poco per quietare la mia coscienza?»
«Non credere che sia diverso per me, per la Luce!» Anche questa volta la voce era leggermente salita. Attese un lungo respiro prima di riprendere a parlare «Non rendere le cose più difficili di quanto già non lo siano. La Luce solo sa quanto mi pesi, ma se vogliamo salvarci, questo è l'unico modo»
«Perchè anche Pafes?»
«Luce Mab, siamo nella Confederazione! Ogni parola contro di me a questo punto, mi condurrà dritta al patibolo. E tu con me! Anzi tu mi aprirai la strada! Dovrei eliminare tutte queste donne per poter stare davvero tranquilla che non facciano il mio nome. Luce! Non voglio nemmeno pensare alle conseguenze... Aiutami Mab, ti prego»
Lo sforzo di star calma era vanificato dal suo tremore, reso ancora più evidente dal contatto tra le loro mani. Era sincera. Se c'era una cosa utile nell'aver intessuto il flusso che le aveva legate, era il fatto che Mab poteva capire quando Hilda le mentiva. Non era questo il caso. Era davvero terrorizzata da Thea, lo aveva sentito sin dal primo momento.
Non servì una risposta vera e propria a quella folle richiesta d'aiuto: ad un certo punto Hilda doveva aver compreso che Mab si era arresa all'idea. La cosa non la tranquillizzò, la rese solo mortalmente triste, ma risoluta. Strinse un'ultima volta la sua mano, prima di lasciarla.
«Credimi Mab, tutto questo per me è molto più difficile di quanto tu possa immaginare. E non parlo solo di quanto sto per fare. Che mi piaccia o no, ho solo te, posso contare solo su di te e fidarmi soltanto di te. E siamo sole contro tutti per ora. Ogni cosa è più difficile di quanto io stessa potessi immaginare quando ho deciso di affrontare tutto questo» Stordita dall'orrore per ciò che doveva fare, Mab venne colta di sorpresa dall'allarme che Thea lanciò all'improvviso.
«Pericolo!»
Tutte le donne si fermarono di scatto. Hilda soltanto corse avanti per raggiungere la capogruppo. Poi anche Mab colse l'entità di quel pericolo: c'erano Incanalatori a breve distanza da loro.
La decisione di Hilda fu rapida e l'ordine quello di muoversi in fretta nella direzione opposta. Cominciarono a scendere la collina sul lato più scosceso, issando Pafes e la prigioniera in spalla con non poche difficoltà. Dietro di loro un numero imprecisato di donne stava incanalando Saidar in modo massiccio, forse per cercare lei e Thea, sebbene evitassero apposta l'uso del Potere.
Una sgradevole vista le sorprese oltre il ciglio dell'altura: un accampamento militare semideserto poteva solo significare pattuglie in circolazione in quell'area. Furono avvistate poco dopo. Il rumore degli zoccoli in avvicinamento scatenò presto il panico, dividendo le fuggiasche. Thea e Mab rimasero accanto e incanalarono per potersi difendere, ma attirando così il gruppo di incanalatori.
«Ora Mab!»
Il comando di Hilda la colse impreparata per un attimo, ma poi capì. Imbrigliò Thea con flussi d'aria e la schermò appena in tempo perchè la donna, troppo impegnata a lanciare strane tessiture che scomparivano appena venivano scagliate, potesse controbattere. Anche se troppo tardi, ci provò comunque, così rapida e furente che a stento Mab riuscì nell'impresa. Poi vide il suo sorriso gelido e sprezzante accogliere l'avvicinarsi di Hilda, prima di distogliere lo sguardo, incapace di assistere a ciò a cui stava collaborando.
«Lo sapevo» rise Thea «E' il mio collo che ti interessa, vero, puttana dell'ombra?»
L'orrendo suono di ossa fratturate giunse un attimo dopo, gonfiando di lacrime gli occhi di Mab. Rilasciò immediatamente il flusso ormai inutile, abbandonò la Fonte stessa e un attimo dopo si sentì strattonare con violenza per un braccio. Seguì Hilda in una corsa alla ricerca di un rifugio, trovandosi poi ad assistere, da una posizione relativamente riparata tra un gruppetto di fitte betulle, alla carica di una pattuglia di Figli a cavallo su alcune di quelle che erano fino a poco prima le loro compagne di viaggio. Pafes gridava il proprio nome, nel tentativo di farsi riconoscere ed evitare l'irruenza con cui quei soldati si stavano scagliando verso di loro. L'avanzata fu però bloccata da una pioggia di fuoco: ne seguì la vista di uomini e donne con le divise dei Guardiani di Acarvende che scendevano la collina intessendo colpi devastanti.
Altri Manti Bianchi giunsero dalla vallata e forse anche da qualche altra direzione, perchè in men che non si dica quell'incontro si trasformò in un vero e proprio scontro tra Ribelli e Figli della Luce. Cavalli, lance, spade e frecce potevano poco contro i flussi del Potere, ma il numero giocava a favore dei Manti Bianchi, bilanciando quella che altrimenti sarebbe stata una battaglia dall'esito scontato.
Mab si vedeva bene dall'attingere alla Fonte, ora accucciata insieme a Hilda tra una parete rocciosa, un fitto groviglio di alti tronchi d'albero e il corpo di un cavallo in agonia. La visibilità sugli eventi attorno a loro era definitivamente compromessa, in cambio però di un riparo quasi sicuro. Al di fuori di quel fortuito rifugio, la battaglia rombava tra boati e grida feroci. Mab si strinse la testa tra le mani e pregò solo che finisse presto.



Siadon

Attese che anche l'ultimo uomo attraversasse il portale. Paziente, autoritario, senza lasciar trasparire la stanchezza e lo sforzo che gli costava mantenere quella Tessitura. Sei incanalatori. Più Varald, la Guardiana e altri tredici uomini. Un bel casino.
Avrebbe voluto lasciarne nelle prigioni buona parte ma non aveva idea di come avrebbero reagito i prigionieri che già erano lì con lui. Probabilmente lo stesso Varald, che si era dimostrato tanto obbediente, avrebbe avuto qualcosa da ridire sulla catena di comando. Non poteva permettersi di creare malumori. Contava su un bel crollo per ridimensionare il gruppo, ma non avvenne nulla del genere ed anche il ventiduesimo uomo attraversò il portale indenne.
Bravi, incanalate quanto volete, i Traditori dei Manti Bianchi staranno già indicando dove ci troviamo su una mappa. Pensò Siadon, rallegrato dall'idea di poter consegnare tutta quella gente ai Figli della Luce.
«Ripariamoci sotto quelle rocce. Questa notte riposeremo e domani decideremo cosa fare da uomini liberi.»
Diversi prigionieri urlarono di gioia, lasciandosi andare in pacche sulle spalle, canti e risate. Si sistemarono sotto una grande parete strapiombante. Qualcuno si lamentò per la somiglianza con i cunicoli delle prigioni, ma le grosse nubi che coprivano il tramonto non promettevano nulla di buono per la notte. Ben presto venne acceso un grande fuoco e non passò molto tempo prima che un paio di incanalatori riuscissero ad abbattere un cervo. Siadon stava ancora cercando di rimuovere i sassi dal buco che aveva scelto per sé, continuamente interrotto da qualcuno che voleva ringraziarlo, sdebitarsi o raccontare la propria storia, forse nella speranza di scoprire qualcosa in più su di lui.
Peccato non avere del buon vino. Pensò allegro quando un piacevole odore di selvaggina alla brace iniziò a diffondersi in quello che iniziava a sembrare un accampamento.
«Ma dove siamo?» Chiese Varald quando finalmente rimasero soli. Fatta eccezione per la ragazza, che ormai era diventata l'ombra dell'assassino.
Siadon sistemò un altro sasso, saggiando la resistenza del muretto che stava costruendo. Osservò gli uomini che cantavano e ballavano attorno al fuoco prima di rispondere.
«Tu ne conosci qualcuno?» chiese infine, ignorando la domanda del gigante.
Varald grugnì, guardando sospettoso la piccola trincea eretta da Siadon.
«Di alcuni ho sentito delle storie. Uno però lo conosco, tra tutti i bastardi che potevamo liberare è l'unico che avrei volentieri lasciato a marcire in quel buco.»
«Ha tutta l'aria di essere una questione personale.» rispose Siadon incuriosito.
«Lo è» annuì l'altro, fissando con odio un biondino alto e snello che cantava e batteva le mani, seguito e incitato da chi gli stava attorno.
Siadon attese incuriosito alcuni momenti, cercando di tenere a bada il suo lato paranoico che stava già producendo una serie di ipotesi più o meno plausibili. La prima cosa che avrebbe fatto l'indomani, sarebbe stata cercare quella dannatissima radice.
«Si chiama Tevor, vero?» chiese la ragazza, che continuò a parlare senza attendere una conferma «è di Tsorovarin, condannato per cospirazione e incitamento alla guerra. La sua collaborazione ci ha permesso di azzerare l'intero gruppo. Volevano costringere le Città della Notte in una spirale di attacchi che avrebbe portato alla guerra aperta contro la Confederazione... Non è un bene che sia in libertà, andrebbe rinchiuso. O eliminato...» la Ribelle si concentrò poi su Varald, sgranando gli occhi preoccupata «e lui è uno di loro!»
Siadon si affrettò ad intervenire, prima che le emozioni della ragazza potessero scontrarsi troppo duramente con la sua tessitura, distruggendole la mente e i suoi preziosi ricordi con essa «Calmati... va tutto bene, Varald è nostro amico ora». La abbracciò come se fosse una bambina impaurita. Di fatto lo era, la Compulsione l'aveva ridotta a qualcosa di molto simile. Lei chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare, persa in un mondo tutto suo, nel quale la fiducia e la fedeltà verso Siadon erano le uniche certezze.
L'assassino continuò a stringerla, sedendosi su di un masso e guardando Varald da sopra la testa della ragazza.
«Ah brucia!» imprecò Varald dopo alcuni istanti «eravamo solo un gruppo di stupidi mocciosi, ecco cosa eravamo! Convinti che bastasse entrare in qualche villaggio e scacciare quattro Manti Bianchi per liberare degli Incanalatori oppressi... Beh, non è andata così. I quattro Manti Bianchi erano parecchi di più e gli Incanalatori oppressi non provarono nemmeno a ribellarsi. Per non parlare poi della gente comune, pronta a mettere al rogo sia noi che quei disgraziati in catene che aiutavano i Figli a darci la caccia. Alcuni di noi rimasero ammazzati, gli altri tornarono a Calavron per scoprire di essere ricercati. Tevor venne preso subito, noi riuscimmo a scappare ma sapevamo che avrebbe ammesso tutto e collaborato volentieri, pur di alleggerire la propria pena. Nel giro di un paio di mesi, anche io ero ad Acarvende.»
Siadon annuì pensieroso. Dunque l'anziano non ha mentito, ci sono davvero dei Ribelli interventisti. Tra tutti, loro dovrebbero avere meno problemi ad accettare uno come me.
«Non devono essere molti quelli che la pensano come voi.»
Varald sbuffò infastidito, aprì la bocca ma la richiuse subito dopo squotendo la testa e cercando un sasso abbastanza comodo su cui sedersi. Siadon non gli mise fretta. Osservò distrattamente gli uomini che festeggiavano chiassosi, analizzando al contempo il comportamento del gigante fino a quando non lo vide sistemarsi su di un masso piatto.
«Sono una massa di donnicciole.» sentenziò Varald con tono rassegnato «Persino i Neglentine e i Ladrielle. Donnicciole! Giocano a fare i grandi condottieri ma cosa fanno davvero? Si nascondono. Come tutti gli altri.» Siadon ascoltò Varald senza dire una parola, ignorando il silenzio della pausa fino a renderlo pesante, spingendo l'altro a colmarlo col resto del discorso «E come se non bastasse, oltre a nasconderci non riusciamo nemmeno a collaborare decentemente tra noi. Ti rendi conto? Avremmo la forza per porre fine all'Inquisizione, per salvare un'infinità di innocenti e vivere liberi all'aperto e invece no. Ce ne stiamo rintanati nei nostri buchi a litigare come bambini, a nascondere segreti gli uni agli altri. Che senso ha? Siamo più liberi degli Incanalatori che vivono nella Confederazione, certo, ma davvero tanto quanto crediamo? Io dico di no.»
Siadon annuì lentamente «E sei disposto a sacrificare delle vite, molte vite, per cambiare le cose?»
«Sì» rispose Varald senza esitare.
Ovviamente ti aspettavi la domanda, volevi che te la facessi.
«Il Vecchio nelle prigioni, un Guardiano di alto rango molto anziano, è lui che mi ha messo nella tua cella, vero?»
Varald sbatté le palpebre stupito. «E io che ne sò? Chiedi a lei!» indicò con un cenno di capo la ragazza addormentata.
Lo prendo come un sì «Sono convinto che quel vecchio la pensi più o meno come te. Mi ha accennato a qualcosa del genere, sarebbe interessante andarci a parlare.»
«Stai scherzando! Vorresti tornare ad Acarvende? Dopo aver ucciso e... dopo qualunque cosa tu abbia fatto a lei?»
Siadon alzò le spalle «Altre idee su chi potrebbe vederla allo stesso modo?»
«Forse. Ma perché dovrei dirlo a te?» chiese Varald sospettoso.
Come spia fai davvero pietà pensò l'assassino notando diversi dettagli che indicavano quanto l'uomo sperasse di trovare in lui un alleato.
«Siamo nella Confederazione.»
Varald lo fissò più impaurito di quanto volesse mostrare «Stai scherzando?»
«No.» sorrise Siadon «Sono un Manto Bianco, o meglio, lo ero. Ora tanto la Confederazione quanto i Ribelli vogliono la mia testa. Per non parlare dei Tiranni. L'unica cosa che mi è rimasta è la lotta contro l'Ombra» e Thea. Adorava avere quella consapevolezza incrollabile della presenza di sua... moglie, là fuori, da qualche parte. Gli dava un senso di appartenenza che non aveva mai provato in vita sua. Era bellissimo, anche ora che lei non era lì vicino poteva sentirne la presenza. A volte credeva di udirne la voce o di percepirne il profumo.
«Ma perché la Confederazione?!» chiese Varald con un sussurro, osservando sospettoso il bosco avvolto dalle tenebre, appena oltre il chiarore dei fuochi.
Siadon si prese qualche momento prima di rispondere «Davvero non noti alcuna similitudine?» Varald corrugò la fronte sospettoso, tentato dall'idea di dare l'allarme.
Non dirai nulla. Non sai dove sei e l'unica volta che hai visitato la Confederazione chiunque voleva ucciderti. Hai bisogno di me per sopravvivere qui. Pensò Siadon divertito.
«Vuoi sapere cosa sarebbe successo se foste riusciti a liberare quel villaggio? Se gli Incanalatori vi avessero seguito, non denunciato, e se la gente comune vi avesse visto come salvatori, non come nemici mortali? Nulla, non sarebbe successo nulla. Nemmeno liberando diversi villaggi, nulla. I Manti Bianchi avrebbero insabbiato la cosa, probabilmente avrebbero bruciato quei luoghi per poi diffondere un sacco di nuove storie, alimentando la paura verso gli Incanalatori.»
Varald sbuffò «Magari! Ci hanno solo preso a calci. Ma non mi hai risposto, perché qui?»
Ti facevo più sveglio. Non sarà un'idea troppo contorta? Sembra tutto così semplice ma forse dal suo punto di vista non ha proprio senso. Eppure dice di non aver problemi a sacrificare delle vite e non può pensare che io abbia una gran morale, mi ha visto sacrificare e uccidere prigionieri senza battere ciglio. Quello che ho fatto a questa qui poi va ben al di là della violenza fisica. Eppure ho almeno un briciolo della sua fiducia. Certo, adesso sa anche che gli servo per sopravvivere ma era qui anche prima di sapere che siamo nella Confederazione.
«Allora? Niente balle, non è un caso se hai scelto questo posto.»
Siadon sbatté le palpebre, mettendo a fuoco il volto di Varald. Era troppo stanco, iniziava ad avere difficoltà a gestire la paranoia provocata dall'astinenza. La mattina seguente avrebbe trovato quella maledetta radice, avrebbe obbligato tutti a scavare, se necessario. Certo poi avrebbe anche dovuto ucciderli, non gli piaceva che qualcuno conoscesse certi suoi segreti. Sospirò lentamente, concentrandosi sul dialogo con Varald.
«Se vuoi costringere qualcuno a combattere, non puoi lasciargli alternative. Attaccare i villaggi di confine è inutile, perché in poco tempo tutto tornerebbe come prima. I Ribelli dovrebbero scegliere tra la guerra aperta e il rinchiudere gli interventisti per continuare a vivere in pace. Preferiscono la seconda.» indicò Varald per sottolineare il concetto «Se invece i Manti Bianchi sapessero come trovare i Ribelli, se conoscessero anche solo la posizione delle loro città. Non ci sarebbero alternative, la guerra aperta sarebbe inevitabile. Ecco perché siamo qui.»
«Pazzo bastardo...» sussurrò Varald fissandolo inebetito «Niente balle, vuoi solo venderci in cambio della grazia!»
Siadon sorrise amaro «Per quelli come me non esiste alcuna grazia, solo la tortura. Infinite torture per estorcere anche il dettaglio più insignificante, poi altre torture per ottenere tutte le confessioni che vogliono e solo allora, se sei fortunato, la morte.» lo fissò negli occhi lasciando trasparire tutta la sua determinazione «Non sono così pazzo. Noi tre torneremo ad Acarvende appena sarò sicuro di aver consegnato gli altri.»
«Acarvende! Ti rendi conto? E non dovrei crederti pazzo?»
«Dubito che raccontando il resto ti convincerei del contrario. Comunque, sei tu che non vuoi dirmi da chi altri potremmo andare.» rispose Siadon alzandosi, dopo aver fatto sdraiare la ragazza. «Credo che la cena sia pronta.»
Varald lo scrutò preoccupato. Era evidente che detestava essere costretto a seguire le sue decisioni.
«Nemmeno loro ti perdoneranno»
«Il perdono è l'ultima cosa che cerco» rispose Siadon con una scrollata di spalle, prima di dirigersi verso il fuoco.

Siadon tornò all'accampamento quando le prime luci dell'alba iniziavano a disperdere le nuvole che ancora incombevano su di loro.
«Dannazione! Dove sei stato?» gli chiese Varald senza preoccuparsi di tenere la voce bassa, svegliando così diversi uomini.
«Avevo bisogno di schiarirmi le idee» rispose allegro. Cercare quelle maledette radici di notte non era stato semplice, ma non poteva rivelare agli altri quella sua debolezza. Era stato fortunato, ne aveva trovate abbastanza da farsene anche una buona scorta, ora aveva davvero le idee chiare.
«Signori, sveglia!» gridò Siadon prima che Varald potesse replicare «E' tempo di trovare un tetto, vesti asciutte, vino, donne e qualsiasi altra comodità che un villaggio possa offrire a uomini liberi come noi!»
Forse non tutti, ma di certo la maggior parte dei suoi compagni erano dei criminali. Il fatto di non avere del denaro con loro non sarebbe stato un grosso ostacolo.
La conferma furono le urla entusiaste, accompagnate da vigorose pacche sulle spalle, che ricevette in risposta a quell'annuncio.
Varald scosse la testa contrariato, aiutando la ragazza ad alzarsi e preoccupandosi addirittura di chiederle come stava. Non era un buon segno, si sentiva un suo burattino e in lei vedeva qualcuno nella sua stessa situazione. Dovevano tornare al più presto dai Ribelli, lì si sarebbe sentito più libero e Siadon non avrebbe corso il rischio di trovarsi accoltellato nel sonno. Almeno non da lui.
La promessa di un posto caldo e accogliente diede a tutti la spinta necessaria a partire velocemente, il sole non era ancora sorto quando il gruppo lasciò la caverna per dirigersi verso quello che Siadon sapeva essere il Sud. Non aveva mentito, stavano davvero andando verso un villaggio.
Un villaggio trasformato in accampamento di Figli della Luce, ma pur sempre un villaggio. Pensò allegro, valutando che di quel passo sarebbero bastate poche ore di cammino.
La sua felicità però non durò a lungo. Erano più o meno a metà del viaggio, la forseta stava lasciando spazio a radure sempre più ampie ed a praterie. Erano sul fondo di un'ampio avvallamento, al riparo di alcune vecchie querce, quando percepì incanalare una gran quantità di Potere, oltre la bassa collina che bloccava la loro visuale.
«Fermi. Non incanalate e state al riparo.»
Poco dopo un corno lanciò un segnale che conosceva bene: cavalleria dei Figli della Luce all'attacco. I Manti Bianchi stavano caricando un gruppo di Incanalatori, non c'erano dubbi.
Dannazione, mai una volta che fili tutto liscio!
Erano al riparo, la battaglia si stava svolgendo oltre la collina, se avessero continuato per la loro strada nessuno li avrebbe notati. Però c'era molto Potere in gioco e lui poteva percepirne solo la parte maschile. Chi erano quegli Incanalatori? Possibile che i Ribelli li avessero trovati tanto facilmente? E se avessero sconfitto i Figli, avrebbero potuto seguirli fino al villaggio e a quel punto il suo piano sarebbe andato in fumo. Doveva farsi un'idea più precisa.
Si voltò verso Varald, voleva ordinare a tutti gli altri di rimanere nascosti mentre loro avrebbero risalito la collina per studiare la situazione. Aprì la bocca ma improvvisamente gli mancò il fiato. Si strinse l'addome, convinto di non trovare altro che poltiglia da quanto doleva. L'attimo dopo si stava contorcendo a terra, incapace di sputare il fango e le foglie che gli entravano in bocca. Avrebbe voluto urlare come mai in vita sua ma non riusciva nemmeno a respirare. I polmoni si erano trasformati in due fornaci e gli occhi sembravano volergli schizzare fuori dalle orbite, tanto era contratto ogni suo nervo. Lontano, da qualche parte, delle voci lo stavano chiamando ma l'unica cosa reale, in quel momento, era il dolore.
Thea... Thea! THEAAAA!!



Davrath

C’era qualcosa di stranamente appagante nello svegliarsi con il sole già alto. Mentre si alzava pigramente dal letto, Davrath assaporava il piacere, nuovo per lui, che derivava dalla consapevolezza di non essere atteso, né in ritardo per i compiti quotidiani, e di godere della massima libertà nell’organizzare la propria giornata. La camera profumava di essenze primaverili: qualcuno aveva portato una catino d’acqua tiepida in cui erano immersi fiori ed erbe aromatiche. Davrath provò d’istinto un senso di vergogna per non essersi svegliato al rumore di un estraneo che entrava nella stanza: ad Adendath non sarebbe mai successo. Se uno degli allievi veniva sorpreso a dormire oltre la veglia, i suoi compagni venivano lasciati liberi di svegliarlo in qualsiasi maniera volessero, e i ragazzi avevano una fantasia infinita. Ora però era diverso: nessuno lo avrebbe criticato per avere oziato, anzi nessuno sarebbe venuto a disturbarlo per tutta la giornata, a meno che non fosse lui a desiderare qualcosa. Represse quindi la vergogna e si impose invece di godere delle piccole piacevolezze che non aveva mai conosciuto durante la sua vita da recluta dei Figli della Luce.
Indossò quindi le sue soffici pantofole e andò a sedersi allo scrittoio, posto di fronte all’ampia finestra ad arcate, dove i suoi servitori invisibili avevano lasciato un portavivande di terracotta. I domestici del Palazzo dovevano essere i più discreti del mondo: Davrath non era mai riuscito a fermare uno per parlarci. Unica eccezione era la ragazza muta che appariva quasi magicamente ogni volta che Davrath desiderava qualcosa; come facesse ad essere sempre presente senza farsi vedere rimaneva un mistero. Era stato Dazar a spiegargli che la fanciulla non era dotata della parola, dopo che Davrath in più di un’occasione le aveva rivolto delle domande sul Palazzo, sulla città e sui Ribelli; domande che, per una ragione o per un’altra, non avrebbe invece rivolto all’uomo del quale in principio aveva diffidato. 
E’ naturale che non mi fidassi di lui, si disse il ragazzo giustificandosi mentre sollevava il coperchio del contenitore e assaporava la fragranza del pane fresco. Per lui i Ribelli erano sempre stati i suoi nemici e Dazar avrebbe capito se non mostrava completo affidamento sulla sua parola. 
Inoltre, se il trattamento che gli era stato riservato in seguito aveva sicuramente rassicurato Davrath, le circostanze in cui era stato condotto al Palazzo gli avevano fatto inizialmente presagire una brutta sorte.
Il giorno in cui era stato prelevato le guardie erano giunte all’accampamento un paio d’ore prima dell’alba. Davrath si ricordava di avere assistito al confronto tra i guerrieri del gruppo che lo scortava, tutti ragazzi poco più anziani di lui, e i soldati della guardia cittadina, che al confronto sembravano veterani. Alla fine
nessuno aveva messo mano alle armi, anche se la discussione che si era accesa aveva fatto pensare al peggio. Davrath aveva intuito subito di essere al centro della disputa e che si stava decidendo della sua sorte. L’assenza di Morgan, l’unico del gruppo che pareva avere un grado rilevante nella gerarchia di questo popolo, aveva senza dubbio pesato sul successo delle guardie, che avevano infine preso Davrath in consegna. Durante il tragitto fino al Palazzo, Davrath era stato bendato per cui non conosceva nulla dell’ubicazione della città in cui si trovava. Aveva poi trascorso i cinque giorni seguenti negli sfarzosi alloggi che Dazar gli aveva generosamente offerto. Il senso di pericolo si era progressivamente ridimensionato man mano che il vecchio gli aveva illustrato la situazione, anche se Davrath non dubitava, nonostante gli agi e le comodità che gli venivano concessi, di essere pur sempre un prigioniero.
La colazione consisteva in alcune croccanti fette di pane tostato e imburrato accompagnate da una confettura di frutta che Davrath non riuscì a riconoscere. Il ragazzo ignorò il coltello da burro preparato accanto al paniere e chiuse gli occhi, concentrandosi. Gli bastò un attimo per trovare la Fonte, anch’essa silenziosa ma onnipresente come la servitrice muta. Riaprendo gli occhi, si concentrò sulla marmellata, poi sul pane: una fetta dopo l’altra furono ricoperte da uno strato rosso e gelatinoso.Davrath osservò la copertura di marmellata: non proprio uniforme... posso fare meglio.
La libertà di incanalare a piacere era la cosa più sorprendente di questa sua prigionia: non solo non gli venivano imposti limiti, ma Dazar lo aveva addirittura incoraggiato ad usare il Potere! Era bastato poco per convincere il ragazzo a cedere al richiamo della Fonte. Da quando aveva accidentalmente incanalato, quel disgraziato giorno in cui era stato scoperto, Davrath era stato costantemente tormentato dal desiderio di abbracciare di nuovo quel meraviglioso flusso d’energia che lo faceva sentire onnipotente. Mentre consumava tranquillamente la sua colazione, il ricordo di quei brevi attimi in cui la sua esistenza era cambiata per sempre riapparve alle soglie della sua mente; non si oppose, naturalmente: era solo un triste evento del passato, che ora non poteva più nuocergli.
Quel giorno – quant’era passato? Una settimana? Due? Aveva ormai perso il conto del tempo trascorso... 

...era un giorno come un altro, in cui al duro allenamento mattutino era seguita una battuta di caccia con suo padre, niente di meno che il Comandante dell’esercito dei Figli della Luce di Adendath.
Era un uomo duro e con un elevato senso del dovere, e aveva allevato Davrath alla stessa rigida maniera con cui si istruisce un soldato. Andare a caccia per lui non era una distrazione dalla vita militare, un modo per trascorrere più tempo col figlio, no per lui era un altro allenamento, un altro modo per permettere a Davrath di mostrare le sue qualità. Quel giorno, iniziato come tanti altri, sarebbe finito nel peggiore dei modi, e il ragazzo avrebbe mostrato a suo padre non già le qualità tanto cercate, ma forse il lato più oscuro che un soldato della Confederazione non vorrebbe mai vedere, soprattutto in un figlio.
Era un pensiero che Davrath aveva condiviso per tutta la sua giovane vita, era stato addestrato per combattere l’Ombra, il tetro dono del Potere che poteva insinuarsi in qualunque momento e in chiunque, e non biasimava suo padre per la sua indissolubile tenacia a voler fare di lui un soldato perfetto: era anche il desiderio di Davrath… fino a quel giorno.
Erano arrivati al limitare di un radura nel bel mezzo del piccolo boschetto che si estendeva oltre l’accampamento. Suo padre era profondamente concentrato e Davrath ricordò di sentirsi stranamente inquieto, spaventato ma anche eccitato. Non sapeva ancora cosa stesse accadendo in lui, ovviamente, ma forse in qualche modo il suo corpo lo aveva già avvertito e stava cercando di dargli dei segnali? Difficile dirlo, senz’altro in quel momento tutta la sua concentrazione era volta all’unico scopo di braccare e uccidere un cervo prima che lo facesse suo padre.
L’animale si trovava di fronte a loro, all’estremità opposta della radura, ignaro del pericolo così come lo era Davrath, mentre si preparava a scoccare la freccia che avrebbe cambiato per sempre la sua vita.
Un fruscio alla sua destra lo costrinse a spostare lo sguardo verso la fonte del rumore: qualcosa si muoveva oltre gli alberi, e quando Davrath si voltò di nuovo verso la sua preda si accorse che questa era già scappata, probabilmente allertata dallo stesso suono. 
Suo padre, ovviamente, non si era lasciato cogliere di sorpresa: aveva capito prima di Davrath che cosa era accaduto, ed era pronto a prepararsi ad affrontare qualunque cosa fosse uscita da quegli alberi.
Fece un cenno al figlio, indicandogli di spostarsi lungo il bordo della radura per aggirare il pericolo imminente, mentre lui sarebbe rimasto ad attendere che l’animale gli si parasse di fronte.
Davrath ebbe appena il tempo di posizionarsi quando un grosso lupo uscì dal suo nascondiglio per avventarsi dritto su suo padre. L’uomo non esitò, scoccò la freccia nell’attimo stesso in cui vide il muso dell’animale emergere dagli alberi, ma nonostante il colpo fosse andato a segno non riuscì a fermare la corsa frenetica del lupo. Davrath vide suo padre estrarre allora la spada e prepararsi a un corpo a corpo ma il ragazzo non gliene diede il tempo: agendo d’istinto aveva scagliato la sua di freccia, che si conficcò nel cranio dell’animale facendolo stramazzare al suolo a pochi passi da suo padre. Davrath trasse un sospiro di sollievo, ma quando si avvicinò all’uomo per sincerarsi delle sue condizioni lo trovò che guardava impallidito la minaccia appena abbattuta, senza avvedersi immediatamente della presenza del figlio. Allora guardò nella sua stessa direzione e un senso di panico ma misto a una forte eccitazione lo colse: una punta di freccia emergeva dalla fronte, perfettamente a metà strada tra quelli che un tempo erano stati gli occhi, lasciando il resto a sciogliersi insieme a quello che doveva essere il cervello. Del vapore esalava da quella massa informe e un lieve sfrigolio di carne bruciata dava l’impressione che la testa dell’animale avesse preso fuoco. 
Ma non c’erano fiamme. 
La punta della freccia cadde al suolo, liberata da tendini e muscoli ormai sciolti, e Davrath allungò una mano per toccarla. 
Fu allora che suo padre si riprese.
«Che cosa hai fatto?» gli chiese in un flebile sussurro.
Davrath non disse nulla, sapeva con certezza di essere stato lui la causa e discolparsi non sarebbe servito a nulla.
Ma non aveva idea di come aveva fatto e anche sapendolo non sarebbe comunque servito a nulla…
In quel preciso istante seppe che la sua vita di soldato della Confederazione era finita. Le sue vesti bianche di Figlio della Luce sarebbero state tolte per sempre, e al loro posto sarebbero venute quelle di un fuggitivo, un fuggitivo servo dell’Ombra.
«Che cosa hai fatto?» incalzò suo padre alzando la voce. 
Davrath si scosse dal torpore per vedere suo padre minacciarlo con la spada sguainata, il pallore di poco prima sostituito con il rosso di una rabbia furente.
Lo guardò negli occhi per un istante, ben consapevole che quello sarebbe stato il loro ultimo sguardo.
«Perdonami,» mormorò tra le lacrime, e poi corse come non aveva mai fatto prima, lasciandosi indietro le urla di suo padre che già chiamavano aiuto per cominciare una caccia all’uomo che sarebbe finita solo con la sua morte.

Davrath tornò con la mente al presente, a quella nuova vita a cui si era sorprendentemente adattato in modo così naturale. Il repentino cambiamento in lui talvolta lo sconcertava, quasi intimorendolo, ma era quello il segreto della sopravvivenza: i più forti andavano avanti, e i più forti erano coloro che si sapevano adattare.
Non era ancora del tutto a suo agio in quelle sue nuove vesti, ancora il pensiero di suo padre faceva capolino nella sua mente, ma era poco più di un prurito, e il mondo della Confederazione e i Figli della Luce stava via via sbiadendo dai suoi ricordi per fare spazio a quello che era ormai il suo futuro.
Si lavò e indossò abiti puliti, poi scese nel cortile. Il giardino era piuttosto ampio e la vegetazione era folta, benché disposta in modo ordinato, per cui Davrath poteva facilmente fingere a se stesso di trovarsi all’esterno, piuttosto che confinato in un quartiere privato di un palazzo. In quella primavera benedetta dalla Luce Davrath non avrebbe potuto trascorrere un minuto più del necessario al chiuso, per cui aveva richiesto che alcuni mobili e comodità fossero spostati nel cortile, in modo da passarvi il maggior tempo possibile. 
Quel giorno si sentiva pienamente vigoroso e in forma, per cui sganciò il fodero che era appeso ad una delle pareti e ne estrasse una spada da esercitazione. Mentre ripassava alcune forme, gli tornarono in mente i movimenti innaturalmente fluidi e rapidi con cui Morgan si era destreggiato sul campo di battaglia contro i Trolloc. 
Darei il mio braccio destro per sapere come faceva!
Quel giorno, mentre il guerriero Ribelle volteggiava nella sua danza mortale, Davrath aveva visto i flussi di Potere creare delle scie intorno a lui, come i nastri colorati usati dalle danzatrici. Le tessiture, però, venivano create e scomparivano così velocemente che non era riuscito a capirne il funzionamento. Ora il ragazzo avrebbe potuto chiedere informazioni a riguardo a Dazar, ma temeva di innervosire il vecchio pressandolo con troppe domande. Ad un tratto, mentre affinava la coordinazione degli arti nell’esecuzione di La quercia scuote i suoi rami, decise di fare un tentativo improvvisato; attinse quindi un minimo frammento di Potere dalla Fonte, che non aveva mai rilasciato, e intessé come meglio poteva dei flussi d’Aria in modo che sospingessero il proprio braccio destro in un affondo eccezionalmente veloce.
La tessitura funzionò, anzi, la sua spinta si rivelò talmente potente che Davrath temette per un istante che gli venisse staccato il braccio dal tronco. Travolto da quell’artificiosa corrente d’aria, il ragazzo perse l’equilibrio e finì lungo disteso nell’erba. Mentre si risollevava rabbiosamente da terra, si sentì improvvisamente osservato. Pregando che si trattasse solo della ragazza muta, si voltò di scatto verso il porticato alle sue spalle, la lama nuovamente in resta. Invece, con suo grande sconcerto, Davrath mise a fuoco i lineamenti del vecchio Dazar. 
Perfetto, si disse sarcastico, gran bella figura! La sua considerazione nei miei confronti sarà senz’altro aumentata vedendomi capitombolare come un idiota nel goffo tentativo di imitare una tecnica di combattimento che sicuramente è antica quanto esclusiva.
L’attempato gerarca Ribelle uscì dal cono d’ombra della colonna dove si era piazzato per seguire le esercitazioni del suo ospite e avanzò verso quest’ultimo con la sua andatura calma e dignitosa. Il sorriso sul suo volto rugoso non pareva ironico o derisorio, anzi tradiva un certo compiacimento.
«Vedo che hai colto l’essenza della tecnica dei Neglentine. Molti si immaginano chissà quali segreti o tessiture complicate nascosti dietro a questo pretenzioso stile di combattimento... Niente affatto. Occorre molto banalmente manovrare gli elementi in armonia con le proprie membra, in modo da infondere forza e rapidità ai movimenti.».
«Chiedo scusa, non vi avevo visto arrivare.», disse Davrath esitante: non era ancora del tutto sicuro se il vecchio dicesse sul serio o se lo stesse prendendo in giro. «Voi praticate questa tecnica?».
Dazar rise sonoramente: «No, non la pratico. Le mie stanche membra non me lo permettono.».
Nonostante il suo aspetto fosse reso fragile dall’età, e sebbene la sua posizione di comando nel clan locale gli imponesse di mantenere un certo contegno, il Ribelle dava segno di avere una personalità forte e decisa. Il suo tono era sempre risoluto e quello che diceva non assumeva la forma di opinioni, ma di sentenze inconfutabili. 
La personalità giusta per un uomo di potere, riflettè Davrath. Anche suo padre aveva un carattere simile: Davrath non dubitava che egli avrebbe potuto ambire al grado di Capitano ed ottenere il comando dell’avamposto di Adendath. 
«E, se anche potessi, non mi cimenterei. E’ una perdita di tempo: una tecnica spettacolare quanto inutile!» aggiunse Dazar.
Davrath rimase interdetto: «Ma... l’ho vista mettere in pratica da Morgan mentre combattevamo i Trolloc... sembrava alquanto efficace.».
«Chi? Quel giovane soldato che ti ha trovato?», e fece un gesto seccato. «Lascialo perdere! Un rampollo della famiglia Neglentine a cui hanno affidato una missione solo perché ha qualche aggancio nel Consiglio del loro clan. E adesso, solo perché ha avuto la meglio su un branco di stupide bestie pelose, pensa di aver compiuto un’impresa e si dà un sacco d’arie. Ma ha fatto solo il suo dovere! Bah... Qualche altra pattuglia e imparerà a tenere i piedi per terra, credimi.».
L’Anziano prese Davrath per un braccio e lo accompagnò al centro del cortile: «Vedi quell’albero? Il salice? E’ morto lo scorso inverno, per il gelo.».
Mentre il ragazzo cercava di capire il nesso con la tecnica Neglentine, flussi di Potere comparvero brevemente attorno al tronco della pianta. Poi, con uno schianto secco, l’albero esplose scagliando tutto intorno frammenti di legno, corteccia e fronde.
«Avevo detto al giardiniere di abbatterlo... bah!», mormorò tra sé Dazar. «Beh, comunque... hai capito cosa intendo? Posso eliminare nemici con la stessa, ridicola semplicità, senza muovere un dito. E non uno solo, ma decine per volta.».
Davrath provò l’istinto di scostarsi dal vecchio, dal cui corpo percepiva irradiarsi una straordinaria misura di Potere, ma si costrinse a rimanere al suo fianco, dandosi del codardo. 
E’ vero: possediamo un’arma micidiale, imbattibile, pensò. Ma può essere considerata onorevole?
Il vecchio ora lo stava fissando, studiando la sua reazione; Davrath non ebbe il coraggio di confessargli il suo dubbio, ma l’altro sembrò comunque leggergli nel pensiero: «Troppo facile per te, Davrath? Preferisci sporcarti le mani? Guardami: sono gobbo e claudicante. Eppure, da solo, potrei tenere a bada un assalto nemico alla città: potrei dare il tempo ai nostri soldati di organizzare le difese, o di mettere in salvo la gente... In guerra non esiste il rispetto per il nemico: se sai di essere più forte, schiaccialo!» e accompagnò l’espressione battendo le mani tra loro.
«Non ascoltare quelli come il giovane Neglentine, Davrath.», aggiunse dirigendosi di nuovo verso il porticato. «Onore, nobiltà, dignità: sono belle parole, ma non hanno sostanza. Quel genere di individui cercherà sempre di confonderti con questi concetti fumosi. E sai perchè? Perchè ti temono, hanno paura di te. Quel Neglentine, ti ha forse detto di essere un Ribelle? Ha forse ammesso di fronte a te di essere il tuo nemico?».
No, mi ha mentito. Mi ha fatto credere che il suo contingente fosse un piccolo gruppo di incanalatori in fuga. Mi ha condotto qui dicendo che questo era il loro villaggio. 
«Per non parlare delle sue stranezze... Hai notato il colore dei suoi occhi?», soggiunse Dazar con un bisbiglio all’orecchio di Davrath.
Mentre, invitato dal vecchio, si accomodava al tavolinetto di marmo sotto al porticato, Davrath ripensò a qualcosa che Morgan gli aveva detto durante il viaggio. «Morgan mi voleva fare credere che io avessi una capacità particolare per fare avvenire cose inconsapevolmente. O qualcosa del genere... non fu molto preciso. Usò un termine strano: Ta'veren.»
«Una parola dall’origine antica, il significato dimenticato dai più», mormorò pensieroso l’Anziano. «Una parola che i giovani ignoranti come quel Neglentine non dovrebbero usare a vanvera, senza nemmeno conoscerne l’importanza... Ma, per fortuna, noi Ribelli non siamo tutti così.» Dazar sorrise allargando le braccia in un gesto di discolpa. «Anzi, per scusarmi del cattivo trattamento iniziale, ho una proposta per te.» Il vecchio chiamò la servitrice muta con uno schiocco delle dita e richiese che venisse portato loro qualcosa di fresco da bere.
Una volta che fu loro servita una bevanda rinfrescata in ghiaccio, Dazar cominciò a spiegargli quale fossero le circostanze presenti in cui si trovava il popolo dei Ribelli, un insieme frammentario e disorganizzato di comunità più o meno numerose, disseminate nel lungo arco formato dalla catena delle Montagne della Nebbia. Più di ogni altra cosa quel giorno, Davrath fu colpito da questa candida e fiduciosa apertura da parte del vecchio Ribelle, che sembrava improvvisamente dimentico di parlare ad un Figlio della Luce, nemico atavico della sua gente. Il ragazzo venne quindi a sapere i nomi delle varie Città della Notte, nonché dei clan che le abitavano, le loro principali occupazioni e le loro caratteristice peculiari.
Quando Dazar s’interruppe, invitandolo con un gesto ad esprimersi, Davrath dovette ammettere in tutta onestà: «Queste sono informazioni preziose. Qualunque dei miei ex superiori all’avamposto pagherebbe il proprio peso in oro per venirne in possesso!».
Ridacchiando, il vecchio rispose: «Beh allora spero che gli ufficiali di Adendath siano ben pasciuti!» Poi ritornando serio: «No, francamente a questo punto non temo un tuo voltafaccia, Davrath. I Figli della Luce non comprerebbero mai informazioni da un Incanalatore, nemmeno se queste notizie potessero portarli dritti dritti su di noi – cosa di cui peraltro dubito molto. Inoltre credo che tu sia un ragazzo intelligente e non penso che baratteresti un trattamento come quello che ti riserviamo qui per una cella di Cab’inde, senza contare tutto quello che potresti imparare da noi...»
Lo sguardo che gli rivolse il vecchio era così innocente e onesto che Davrath si sentì in colpa.
Non era quello che intendevo, pensò, cercando di pensare a qualcos’altro su cui indirizzare il discorso. «Chiedo scusa, ma mi sembra che abbiate menzionato una proposta che dovevate farmi?»
«Mmm... sì, ci stavo arrivando infatti.», disse Dazar sorseggiando la bibita ghiacciata. «Ecco, la ragione stessa per cui ti ho parlato dei clan, è che mi piacerebbe accoglierti tra noi, non più come prigioniero, ma come Ribelle, con tutti i diritti di ogni altro membro dei clan.»
Davrath rimase a bocca aperta, senza sapere cosa ribattere. Il vecchio quindi proseguì, con un tono pacato e ordinario che suonò in contrasto con le sue parole impreviste quanto sorprendenti: «Non mi fraintendere, non ho il potere di prendere da solo una decisione senza precedenti come questa. Tutto quanto ti sto dicendo dovrebbe passare poi al vaglio del Consiglio degli Anziani. Tuttavia, penso che ci siano buone possibilità di convincere gli Anziani degli altri clan, posto che riusciamo a mostrare loro il vantaggio di avere qualità indubbie come le tue dalla nostra parte.»
Finalmente, riprendendosi dalla sorpresa iniziale, Davrath risucì a formulare una domanda: «Fare di me un Ribelle? Ma... cosa esattamente trovate in me che possa valere una scelta simile?»
«Oh, più di quanto immagini, ragazzo,» rispose l’attempato Ribelle con un sorriso misterioso. «La tua abilità con il Potere, per cominciare. Tu probabilmente pensi che un novellino come quel rampollo dei Neglentine sia più forte di te. Niente affatto. Il tuo potenziale è enormemente maggiore del suo, per non dire di gran parte della popolazione Ribelle che detiene il Dono. Devi solo apprendere come sfruttarlo, poi sarai stimato e rispettato tra noi come solo pochi lo sono. E, credimi, sotto la mia guida imparerai in fretta.»
Davrath si distese contro lo schienale del canapè e prese un sorso dal proprio calice. Era una bevanda chiara, leggermente alcoolica, il cui aroma ricordava la lavanda. Non eccezionale, ma forse lo avrebbe aiutato a rinfrescargli le idee. Se da un lato, la magnaminità dell’offerta lo aveva positivamente stupito, dall’altro non era sicuro di essere davvero riuscito a cancellare del tutto il suo passato all’avamposto senza provare un minimo di vergogna al ricordo dei compagni caduti proprio per mano ribelle, e senza provare un minimo di rimorso per la causa che tradiva.
«Non so se...» iniziò in tono di scusa.
«Aspetta, non essere precipitoso.», lo invitò Dazar con un gesto della mano, «So bene a cosa stai pensando. Ma non temere, non ti sto chiedendo di diventare un traditore. Lascia però che ti racconti un paio di cose riguardo alla benemerita Confederazione...»
E così il vecchio iniziò una lunga tirata il cui scopo non troppo velato era quello di screditare il governo di Daishar Deyenieye, riportando a titolo di esempi alcuni fatti di ingiustizia e corruzione da parte dei Figli della Luce, dei quali i Ribelli erano chissà come venuti a conoscenza. Nessuna di quelle notizie riuscì a catturare davvero l’attenzione di Davrath: anche ad Adendath erano girate, a volte, voci che volevano alti ufficiali, giù nelle città, invischiati in faccende immorali o addirittura criminali, ma per lo più erano storie troppo grosse per essere vere; Davrath non era più un bambino: sapeva riconoscere le notizie gonfiate da quelle verosimili. Certo, non poteva nascondere che anche lui, come tutti i suoi ex-compagni degli avamposti di montagna, nutriva un’innata diffidenza per i colleghi delle grandi città, un sentimento che di tanto in tanto sfociava in vero e proprio disprezzo per quei Figli che non avevano mai provato cosa voleva dire vivere in un piccolo distaccamento isolato nelle Montagne della Nebbia, lontano dalle seducenti comodità e ricchezze della pianura. Ma, in fondo, se anche i fatti di malgoverno si fossero rivelati veri, la causa della Confederazione non ne sarebbe uscita minimamente sminuita.
Il ragazzo ascoltò pazientemente per un tratto, poi approfittò di una pausa del vecchio per interrompere il suo monologo: «Mi dispiace togliervi la parola, Anziano Dazar, ma devo avvertirvi: queste notizie non mi colpiscono più di quanto il fuoco bruci l’acqua.».
Davrath non sapeva come gli fosse venuto il paragone, ma vide che il suo intervento deciso aveva impressionato il suo interlocutore, che accettò l’interruzione con un gesto pacificatore ed un sorriso. Pensò quindi che fosse una buona idea proseguire in chiave metaforica: «Vedete... in ogni cesto di mele ce n’è qualcuna marcia, l’importante è assicurarsi di togliere i frutti cattivi dal cesto, in modo che non facciano marcire il resto. Alle mele marce ci pensano gli Inquisitori: tutti hanno la massima fiducia nella loro giustizia. Gli errori di pochi individui non possono compromettere l’immagine della Confederazione! Come potete ignorare la pace e la prosperità che essa ha portato in gran parte del continente?».
Forse si era fatto prendere un po’ dall’entusiasmo, ma vide che comunque Dazar non sembrava contrariato, anzi il suo sorriso si stava allargando.
«Ah! Bene, bene. Vedo che nonostante la giovane età hai già le idee chiare. Credimi, però, se ti dico che ci sono tante cose che non conosci... Esperienze del vasto mondo che, a causa del tuo confinamento in un avamposto isolato, non hai potuto fare. Ti assicuro che so di cosa parlo quando ti dico che la corruzione si diffonde tra i potenti molto più velocemente che il marciume tra le mele!»
E, a quel punto, il buonumore del vecchio sfociò in una risata, che per qualche motivo mandò un brivido su per la schiena di Davrath.
«Quanto agli Inquisitori, sinceramente...» proseguì Dazar tornando serio «...non credo proprio che tu li abbia mai visti in azione, eh figliolo? No, altrimenti sapresti come viene applicata la “giustizia della Luce”. Ma, dimmi: esattamente in che modo, secondo te, la Confederazione garantisce la pace alla propria gente?»
«Ecco, beh... è il compito dei Figli difendere la gente dalle minacce esterne, come i Tiranni, i Ribelli, ma anche mantenere l’ordine nelle città, catturare i comuni malviventi, e anche... anche le persone...».
«... macchiate dal Potere? E’ questa la definizione che stavi cercando?» intervenne Dazar con veemente sarcasmo. Seguì un lungo silenzio durante il quale il ragazzo abbassò lo sguardo, improvvisamente conscio di essere stato attirato in una trappola verbale; era consapevole del sorriso soddisfatto che l’Anziano del clan Faine gli stava rivolgendo, ma non aveva il coraggio di affrontare la propria sconfitta guardando l’altro negli occhi.
«Ragazzo, non è colpa tua se ti senti confuso.», il tono del vecchio era ora gentile e confortante. «Hai avuto solo pochi giorni per adattarti a questa nuova realtà. Hai già accettato il fatto che il Potere è tutt’altro che una contaminazione deprecabile e sono sicuro che col tempo arriverai anche ad accettare che la Confederazione non è una terra di pace e prosperità, ma piuttosto un fragile compromesso stipulato tra una minoranza benestante e un’oligarchia militare.»
Forse non ha tutti i torti... pensò dubbioso Davrath.
«Ti renderai conto che la tanto vantata potenza dei Figli è puramente aleatoria,» proseguì l'uomo senza notare l'espressione pensosa del ragazzo.
«Pensi veramente, dopo aver visto in azione le creature dell’Ombra, che i Figli potrebbero difendere le loro città da un attacco in forze di Trolloc e Myrdraal? Quando parlo di “attacco in forze” non penso al centinaio di bestie che ti hanno sorpreso durante la fuga, ma parlo di decine di migliaia. Centinaia di migliaia! Sì, figliolo, è questa la minaccia che dovremo probabilmente affrontare. Peccato che i valorosi Capitani Comandanti laggiù nella gloriosa Daishar Deyenieye non ne sospettino nemmeno l’esistenza, e che l’invincibile esercito dei Figli della Luce non sia minimamente preparato ad un simile confronto.»
Centinaia di migliaia? Il ragazzo alzò lo sguardo sconcertato a quella rivelazione. Forse Dazar stava solo tentando di impressionarlo - e se così era ci era pienamente riuscito - ma che bisogno aveva di farlo? Che diventasse un Ribelli a tutti gli effetti o rimanesse soltanto un loro "ospite", non cambiava il fatto che comunque quell'orda di creature dell'Ombra, piccola o grande che fosse, andava combattuta, e per farlo non avrebbe potuto schierarsi dalla parte dei Figli della Luce, non più oramai. Per cui che senso aveva ingigantire gli eventi?
No, Dazar gli stava solo narrando dei fatti, che gli piacessero o meno, e non importava che lui fosse una semplice recluta o un comandante: a differenza della Confederazione, qui la verità veniva condivisa con tutti i soldati.
Forse non se ne era ancora reso conto, ma quell'offerta così precipitosamente giudicata errata si fece strada nella sua mente con crescente forza, e alla fine della giornata era già entrata prepotentemente nei suoi pensieri come se fosse sempre stata sua.



continua...



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