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Autore: Alaysia    23/08/2013    2 recensioni
*SPOILER COG*
Non era riuscito a dirgli addio.
Il funerale era stato uno strazio, ogni parola lo aveva ferito, come tanti piccoli pezzetti di carta, un graffio dopo l’altro, fino a quando il dolore al petto non era diventato insopportabile.
*
-E allora perché mi sento così? Se fossi stato un po’ più sveglio, se avessi pensato prima alla mia famiglia …- si alzò di scatto e diede un pugno all’albero accanto a lui, una scintilla di follia gli illuminò per un attimo gli occhi blu –Magnus perché mi sento così in colpa?-
Quel tono disperato fu come uno schiaffo in faccia. Si alzò lentamente e si avvicinò al cacciatore, che gli dava le spalle.
-Non farti questo Alec. Tu non hai nessuna colpa- sussurrò mentre gli stringeva una mano sulla spalla.
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OK. La morte di Max è stata molto triste e mi è dispiaciuto molto per tutti i Lightwood ... soprattutto per Alec, non so perchè. Forse perchè se mi immagino Max, lo vedo più legato ad Alec che agli altri. E penso poi a Magnus. E allora ... ecco un'idea
Ritorna l'autrice della serie *odio come scrivo* xD
Ecco a voi:

Non era riuscito a dirgli addio.
Il funerale era stato uno strazio, ogni parola lo aveva ferito, come tanti piccoli pezzetti di carta, un graffio dopo l’altro, fino a quando il dolore al petto non era diventato insopportabile.
Sentiva di dover dire qualcosa, era il maggiore della famiglia, avrebbe dovuto alzarsi e parlare di quanto Max fosse speciale, di quanto gli piacessero i fumetti e i muffin che servivano da Taki ma se avesse aperto bocca non sarebbe uscito un solo suono.
Accanto a lui Jace era immobile, la faccia sembrava scolpita nella pietra, lo sguardo puntato verso il fuoco che lentamente trasformava in polvere loro fratello, eppure Alec percepiva il suo pensiero che volava altrove, che cercava di scappare da quella cerimonia che era puro masochismo per entrambi.
Poco più in la Maryse e Robert piangevano. Per Alec non c’era niente che potesse turbare di più che vedere un adulto piangere. Se poi gli adulti che piangevano erano i pilastri su cui si basava la sua famiglia, vederli in quello stato era scioccante.
Si maledisse per aver pensato quelle cose e continuò ad accarezzarla testa di Izzy, abbracciata a lui, singhiozzante.
In quel momento, in quel preciso momento, sentì l’impulso di dire la frase, quelle tre parole che lo avrebbero fatto sentire peggio e meglio nello stesso momento.
Ave atque Vale.
Alec strinse con gli occhi con forza, odiandosi per essere così debole, per non riuscire ad accettare il fatto che non aveva più un fratellino, che non avrebbe più portato Max in centro per comprare le vecchie cassette e i fumetti, che non gli avrebbe mai più detto che era ora di andare a dormire, che non avrebbe mai più sentito la sua risata contagiosa.
Si voltò verso il suo parabatai e gli parve di vedere un luccichio nei suoi occhi dorati, oppure era solo il riflesso del fuoco, che congedava Maxwell Lightwood da quel mondo.
 
Dopo la cerimonia Maryse e Lightwood avevano chiesto ai figli di tornare a casa da soli. Loro sarebbero rimasti ancora un po’ li.
Alec annuì con forza, voleva solo andarsene da li, si sentiva sul punto di vomitare, o di esplodere, o tutt’ e due.
Erano tornati nella loro casa, presa in prestito da chissà chi, e ben presto si era ritrovato solo nell’atrio: Izzy era corsa in camera sua senza guardare nessuno in faccia, Jace si era seduto sul davanzale della finestra ed era rimasto li, come in coma, a guardare da lontano il cimitero.
Poi c’era stato un momento in cui Alec, nel silenzio dell’atrio, aveva sentito qualcosa rompersi. Non era un rumore che veniva da fuori.
Ma da dentro.
Si era piegato su se stesso tenendosi le mani strette sulla pancia, il volto contorto in una smorfia di dolore e gli era venuta voglia di piangere, di parlare a qualcuno, di urlare, di distruggere tutto.
Aveva aperto la porta e aveva cominciato a correre come se avesse un demone alle spalle. Aveva corso con una velocità quasi impossibile, cercando di allontanarsi dal dolore al petto.
Eppure era come un’ombra. Non ci si può disfare di un’ombra a meno di non essere sotto il sole di mezzogiorno.
Alec si fermò di colpo e alzò lo sguardo.
Era davanti a lui.
Bello come sempre.
Il suo sole di mezzogiorno.
 
-Ehi- disse Magnus sorridendo.
Alec chiuse gli occhi per un secondo –Ehi-
Il sorriso si congelò sul viso di Magnus –Cosa c’è?-
Alec avrebbe voluto dirglielo. Sul serio. Ma non gli usciva.
Lo stregone aggrontò le sopracciglia –Sei ancora arrabbiato perché non ho richiamato?-
Alec irrigidì la mascella. Sentiva la rabbia montargli nel petto, una rabbia che non aveva nessuna giustificazione, che nasceva dal dolore che non voleva saperne di uscire.
-No! Non sono arrabbiato per quello! Sono arrabbiato perché i miei genitori non sanno niente di me, i miei fratelli sembrano le uniche persone ad accettarmi, la mia città sta bruciando e …- ‘’e anche mio fratello sta bruciando’’ – e sono stufo, stufo di te e di tutti quelli che sembrano essere migliori di me, perché io sarò sempre il figlio sbagliato, il fratello sbagliato e il fidanzato sbagliato …-
Non riuscì a finire la frase, sopraffatto. Urlare non bastava, correre non bastava. Non sapeva cosa altro fare per sfogarsi, voleva farsi male, voleva pensare ad altro, e invece l’unica cosa che riuscì a fare fu appoggiare la schiena al tronco dell’albero e sentire le gambe che gli cedevano sotto il peso del suo dolore.
-Max … Max è morto e tutto quello a cui riesco a pensare che sto sbagliando tutto … io sono quello che avrebbe dovuto essere lì e … e …-
Fece una pausa. Per un attimo Magnus riuscì a vedere i suoi occhi blu pieni di dolore.
-Io non …- la voce di Alec era bassa e Magnus era sicuro che si sarebbe spezzata presto –io non … non so cosa fare-
Lo stregone chiuse gli occhi per allontanare quella visione devastante per un secondo. Non aveva mai visto Alec in quello stato, di solito lui era quello che razionalizzava, che parlava a voce bassa e non si scomponeva.
Ora invece era irriconoscibile: le bracciastringevano le ginocchia al petto e il viso era nascosto. A Magnus si strinse dolorosamente lo stomaco.
-Quando è successo?- chiese tenendo la voce bassa.
-Ieri. Durante l’attacco alla città … ho lasciato Izzy e Max soli con Sebastian e … io credevo che non fosse pericoloso … non potevo saperlo …- Alec cominciava ad ansimare a ogni pausa, come se gli avessero forato i polmoni.
-Hai detto bene- disse avvicinandosi a lui, senza toccarlo –Non potevi saperlo-
Alec si passò la mano sulla fronte. Sudava.
-E allora perché mi sento così? Se fossi stato un po’ più sveglio, se avessi pensato prima alla mia famiglia …- si alzò di scatto e diede un pugno all’albero accanto a lui, una scintilla di follia gli illuminò per un attimo gli occhi blu –Magnus perché mi sento così in colpa?-
Quel tono disperato fu come uno schiaffo in faccia. Si alzò lentamente e si avvicinò al cacciatore, che gli dava le spalle.
-Non farti questo Alec. Tu non hai nessuna colpa- sussurrò mentre gli stringeva una mano sulla spalla.
Il respiro di Alec si calmò impercettibilmente. Appoggiò la fronte all’albero e rimasero lì per qualche secondo, come se il tempo si fosse fermato: c’erano solo loro due.
Infine Alec si girò, evitando di guardare in faccia lo stregone, lo sguardo verso il basso e le spalle che tremavano.
-Non farti questo- sussurrò lo stregone asciugandogli con dolcezza una lacrima sulla guancia.
-Io non voglio piangere … continuo a chiedermi come faccia Jace … è così immobile, eppure lo sento che sta soffrendo …- disse lentamente, come se avesse rimuginato su quel concetto per ore.
Magnus sospirò -Anche tu stai soffrendo Alec-  socchiuse gli occhi da gatto –stai soffrendo tanto-
-Certo che sto soffrendo per l’Angelo!- urlò Alec in uno scatto d’iraimprovvisa –Cazzo certo che sto soffrendo. Era mio fratello- cominciò a camminare avanti e indietro sbuffando –e io non voglio stare così … tutto sta andando male, tutto … è colpa mia-
Magnus fece un passo  in avanti, mettendosi nella traiettoria di Alec. Lo prese per le spalle e lo costrinse ad alzare la testa. Lui continuò a evitare i suoi occhi.
-Guardami- disse appoggiandogli le mani sulle guance rigate di lacrime. Quando incrociò il suo sguardo riuscì a vedere una tempesta in quegli occhi blu: aveva sempre pensato che quel colore fosse quello del cielo di notte ma ora che lo osservava meglio sembrava quello di un mare agitato –Non è colpa tua- continuò ignorando Alec che scuoteva la testa –Alec. Non farti questo. Non è colpa di Isabelle, né tantomeno tua. La colpa è di Sebastian- gli accarezzò la nuca mentre il respiro di Alec cominciava a spezzarsi.
–No- concluse stringendolo a se, il viso del cacciatore appoggiato sul suo maglione morbido –Non è colpa tua-
Alec cominciò a gemere, poi a singhiozzare sempre più forte. Magnus ne fu sollevato. Non riusciva più a sopportare quella calma contenuta a malapena, quelle frasi corte che servivano a trattenere il dolore nascosto tra le righe. Gli accarezzò i capelli, poi la schiena e rimasero immobili in quella posizione fino a quando Alec non riuscì a parlare.
-Lo odio. Voglio che muoia. Voglio ucciderlo- singhiozzò –Lo odio- affondò ancora il viso nel maglione dello stregone.
Magnus gli accarezzò la guancia con tristezza -Lo so tesoro- gli sussurrò nell’orecchio –lo so-
Alec alzò la testa e guardò Magnus negli occhi. Sentì un impulso incontrollabile: dopo che non si erano visti per così tanto, avvertì il bisogno di averlo con se per più tempo.
E non sopportava il pensiero di rimanere da solo di nuovo.
Provò a controllare i tremiti della voce -Non … tu non … per … per favore …-
Chiuse gli occhi frustrato. Non riusciva a dire due parole senza singhiozzare o respirare troppo forte. Si sentiva completamente fuori controllo.
Magnus gli appoggiò le labbra sulla fronte –Piano Alec- gli spostò un ciuffo di capelli dagli occhi e li accarezzò piano, cercando di calmarlo –respira lentamente-
Alec strizzò gli occhi e si concentrò sul suo petto e quello di Magnus, in modo che si alzassero e si abbassassero alla stessa velocità. Sentì la mano dello stregone sulla sua schiena che andava su e giu lentamente, su e giu …
-Non tornare a New York. Non ancora- si maledisse per sembrare così supplicante, ma in quel momento tutto il suo orgoglio di cacciatore era ancora davanti alla tomba di Max. Lo avrebbe ripreso una volta tornato a casa.
Magnus sorrise dolcemente –Resto qui. Promesso- allungò le mani verso i fianchi ti Alec e lo avvicinò ancora più vicino a se. Appoggiò la propria fronte sulla sua  –Non ti lascio. Non vado via-
Alec si sentiva vuoto, ogni suono sembrava più basso, ogni movimento più lento. Altre lacrime gli stavano scendendo dal viso, ma non le accompagnava nessun singhiozzo, erano le ultime gocce prima della fine.
Respirò profondamente.
Guardò Magnus negli occhi –Scusa. Non dovevo dire quelle cose- sentì lo stomaco che si contraeva ma si impose di controllarsi.
-Ho sentito cose peggiori …- disse lo stregone con un sorrisino –e so cosa dicono le persone quando sono arrabbiate, o addolorate, o entrambe le cose- Alec fece un sorriso triste –considerati perdonato-
Il cacciatore annuì sollevato.
-Senti … vuoi che ti accompagni al cimitero?- disse Magnus con circospezione.
Alec spalancò gli occhi –Come?-
-Devi affrontarlo Alec. Devi riuscire a dirgli addio-
Magnus scosse la testa per impedire ad Alec di ribattere –tu prima mi hai chiesto perché ti sentissi così. La risposta è questa. Devi ancora salutarlo come si deve-
Alec prese un paio di respiri profondi –Come fai a saperlo?-
-Ho perso così tante persone che amo in tutta la mia vita
- sussurrò Magnus –so come ti senti. Credimi Alec, lo so perfettamente. A momenti avrei potuto leggerti nella mente-
Alec era dubbioso –Jace non ha …-
-Jace è Jace. E per fortuna tu non sei lui-
disse Magnus interrompendolo.
 
Erano lì, davanti alla tomba. Era stato tutto già fatto.
Alec non se ne era reso conto, ma doveva essere rimasto con Magnus per un bel po’ di tempo. I suoi genitori non erano più li, dovevano essere tornati a casa.
‘’Probabilmente a litigare …’’ pensò lui con una punta di rammarico.
Alzò lo sguardo e, sebbene facesse male come poche ore prima, guardò.
Magnus era accanto a lui, che lo osservava –Vuoi che dica qualcosa?-
Alec scrollò le spalle come per dire ‘’fai tu’’ e lo stregone cominciò a parlare in una lingua che non aveva mai sentito, ma che aveva un suono morbido e intimo, come il loro appartamento a New York. Chiuse gli occhi e si fece trascinare da quei suoni fino a quando non ci fu silenzio.
-Che lingua è?- chiese infine Alec senza girarsi.
-Un dialetto cinese poco conosciuto. In questa lingua è scritta la mia poesia preferita- rispose Magnus stringendogli la mano.
Alec respirò a fondo e chiuse gli occhi.
Ora era il suo turno.
 
-Alec mi insegni ad usare l’arco?-
-Max torna a giocare in salotto …-
-Ma dai Alec! Mi dici sempre di no …-
-Mmh … va bene-
-Si tiene così?-
-Si, ma fai attenzione … ecco … ora metti le mani dove ce le ho io …-
-E’ pesante questo arco-
-Ma se praticamente lo sto reggendo io?-
-E’ pesante lo stesso-

Alec ridacchiò -Dai … ora tendilo-
La gocciolina di sudore che aveva imperlato la fronte di Max lo aveva intenerito mentre si affannava a tendere l’arco professionale.
-E ora?-
-Prendi la mira e molla-

 
-Ave atque vale, Maxwell Lightwood- disse Alec con una voce che non si riconosceva.
Strinse la mano di Magnus con forza e lui contraccambiò, come se solo quella stretta gli potesse dare la forza di continuare.
-Ave atque vale-
  
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