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Autore: Rota    24/08/2013    2 recensioni
Sveglio, forse: ci sono immagini che sembrano reali – desideri forti quanto necessità vitali che si infilano, che prendono posto della vera volontà, confondendosi con i sogni che il subconscio suggerisce quando le difese sono abbassate ed è tutto tempesta, è tutta incoscienza non più repressa. E non sembra sonno, non sembra realtà, è solo voracità che rende paradossalmente poco umani.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gokugakuji, Kogaiji
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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*Autore: Rota
*Titolo: Just like a pill
*Fandom:
Saiyuki
*Personaggi: Kougaiji, Dokugakuji
*Generi: Introspettivo, Sentimentale
*Avvertimenti: What if...?, Shonen ai, Tematiche delicate, OOC, One shot
*Rating: Arancione
*Credits:
Lyrics by “Just like a pill”, Pink
*Note: Ho messo “tematiche delicate” in quanto, lo dico fin da subito, la mia fanfic parlerà della dipendenza da droga, o della dipendenza in senso lato. Quindi, come dire, è abbastanza pensate per questo motivo. Ho messo OOC in quanto, ovviamente, Kougaiji non si è mai visto in certi contesti, e quindi è abbastanza naturale che io sia andata Out of Character.
La stesura è stata per me molto difficile in quanto c'è una parte di me dentro considerevole – no, non sono mai stata dipendente, se questo può rassicurarvi XD
Ambientata durante il Reload, dopo che Kougaiji si è “svegliato” dallo stato in cui il dottor Nii lo ha messo a forza. Un grazie in particolare a Iria per la betatura e i consigli (L)
Buona lettura (L)

 













 

 

I can't stay on your life support, there's a
shortage in the switch,
I can't stay on your morphine, cuz its making me itch
I said I tried to call the nurse again but shes
being a little bitch,
I think I'll get outta here

 

Where I can run just as fast as I can
To the middle of nowhere
To the middle of my frustrated fears
And I swear you're just like a pill
Instead of makin' me better, you keep makin' me ill
You keep makin' me ill

 

 

 

Sveglio, forse: ci sono immagini che sembrano reali – desideri forti quanto necessità vitali che si infilano, che prendono posto della vera volontà, confondendosi con i sogni che il subconscio suggerisce quando le difese sono abbassate ed è tutto tempesta, è tutta incoscienza non più repressa. E non sembra sonno, non sembra realtà, è solo voracità che rende paradossalmente poco umani.


 

Kougaiji si sveglia davvero e si rende conto d'essere contro il pavimento, mezzo nudo e fuori dalle lenzuola calde del letto. Ha la pelle sudata e respira pesantemente, un braccio lungo il fianco contratto e l'altro teso in avanti, con le lunghe dita che afferrano il vuoto. O si allungano nel tentativo di afferrare qualcos'altro.

Stringe il pugno e si ritrae su se stesso, con un rantolo di dolore. Guarda con la coda dell'occhio il letto poco distante, distende le gambe ma non riesce neanche a toccarlo – c'è un dolore alla spalla che gli suggerisce una caduta nel momento dell'incoscienza, probabilmente avvenuta poco prima, e la vergogna si fa dolorosa quando doloroso è il colpo che gli pulsa appena sotto il mento.

Trema, e cerca di convincersi che è rabbia quella che gli corre lungo la pelle e lo sconquassa come una scarica elettrica a basso voltaggio, persistente e fin troppo intima. Ha la gola secca e fa fatica a deglutire – c'è una brocca piena d'acqua sul comodino accanto al letto, con un collo alto e una maniglia sottile. Kougaiji prova a mettersi su un fianco, per fare leva su una delle mani, e dietro la frangia chiara che gli oscura la vista, bagnata e attaccata a tutta la fronte, riesce solo a vedersi la mano tremante, che stringe il vuoto aprendosi e chiudendosi, in cerca di qualcosa che non è il suolo.

Il pavimento, contro il suo palmo, è freddo: gli procura altri brividi. Il primo tentativo fallisce con un nulla di fatto, e anche quando il giovane prova a usare entrambe le mani, alza il busto e fa qualche metro, arriva al comodino ma non riesce più a piegare alcun arto: le gambe non gli rispondono e lui non può alzarsi, non può arrivare all'acqua. Rimane disteso ancora, a tremare.

Si convince di aspettare un poco, per vedere di ritrovare la calma. Non è una cosa che possa durare in eterno: ogni incubo ha la sua dose di angoscia ma anche la sua fine, con un balzo sul materasso dovuto a un pasto troppo pesante o ad una temperatura non giusta. Di questo il principe riesce a convincersi – ne è sicuro. Ma c'è comunque qualche pensiero vagamente razionale che fa capolino, nonostante la strenua e cocciuta resistenza, e che pare carezzevole persino all'orgoglio e al contegno del nobile principe.

Un poco di quella roba non farà male.

Un poco e basta, non è niente.

Un poco e non sgarro neanche.

Nessuno se ne accorgerà, per così poco.

C'è una parte di lui che vuole convincersi che non gli serve e che, davvero, non sa neppure dove prenderla, quella roba; l'altra parte sostiene che se è capace di strisciare può arrivare ovunque e sì, sa bene dove si trovi, quella roba: basta fare il percorso all'indietro e tornare da Nii.

Kougaiji riconosce la rabbia, in tutto quel tremore, ma questo non ferma gli spasmi del suo corpo. Ha paura di riuscire ad alzarsi sulle braccia perché non sa dove il suo corpo traditore lo possa portare, dove quella parte di cervello maledetta, buia peggio di un'ombra, conduca il suo andare.

Fa più male.

La porta della stanza lascia filtrare uno spiragli di luce, all'inizio, ma dopo viene spalancata e con la luce porta con sé anche una voce che non sia quella dell'incoscienza.

-Kou!


 

Se fosse razionale scegliere da cosa trarre piacere, Kougaiji saprebbe indirizzare il proprio desiderio con più giudizio.

Non è questione di pudore, non in questo caso, perché se la vita che sta conducendo fosse sana non avrebbe problemi a dire di poter provare soddisfazione dal fare l'amore con l'uomo a cui è così intimamente legato.

Anche adesso che lo bacia, mentre lo prende in braccio con quell'apprensione che gli tende i lineamenti del viso, li congela nella preoccupazione e fa irrigidire tutto il suo corpo, sa di stare bene e che il tremore sarà calmato, dopo qualche minuto d'attesa – non è solo nel buio, e ora su quel materasso così grande, e quelle maledette lenzuola che pur tirate non scoprono nessuno, c'è un peso diverso dal suo, una piega del letto che dona calore e due braccia forti.

Le parole che gli sussurra all'orecchio importano relativamente, perché se il primo messaggio è di stizza il secondo arriva diretto, ed è pieno di amore.

Cosa ti dice il cervello, Kou; scusami se non ero qui con te.

Non ti rendi neanche conto di quello che ti sta succedendo; mi prenderò cura di te ancora di più.

Non riesco a vederti così, Kou; farò in modo che tu non ti faccia mai più vedere così.

Ti prego, ti prego riprenditi; ti amo e questo sta uccidendo anche me.

Ti prego; ti amo.

Kougaiji si addormenta con difficoltà una seconda volta, con le dita che stringono la mano di lui, al suo fianco.


 

Si sveglia placido, con il rumore del respiro di lui nelle orecchie e il suo fiato caldo addosso – è piacevole e sembra che gli basti, almeno per quella mattina.

La voce di una cameriera dalle orecchie appuntite gli giunge dolce, come il profumo della colazione che è appena stata introdotta nella sua stanza, adagiata su un carrello. Il principe si alza a sedere e ringrazia non solo con un cenno del capo; il sorriso di lei è una piccola soddisfazione.

Lascia lento la mano do Dokugakuji e si alza: questa volta le gambe reggono e lo portano persino a fare qualche passo. Il nuovo giorno ha portato la speranza di una nuova forza, di nuovo coraggio.

Kougaiji prende il vassoio con la colazione e raggiunge di nuovo il letto, dove sveglia l'altro demone con un tocco leggero alla spalla.

Doku pare agitato, nel primo istante di veglia, ma poi guarda il suo viso, lo scruta, e si rasserena. Si alza a sedere e condivide con lui il momento, quell'ora di serenità.

Non c'è agitazione nel sentire la presenza altrui vicina, per quanto non si necessiti di contatto fisico ravvicinato o costretto o per quanto non occorrano forzatamente parole dolci che abbiano un retrogusto di patetico, di melodrammatico. Dokugakuji si concede l'unico gesto di imboccarlo una volta, più per sfizio che per altro, e pur senza cogliere la leggera e innocente malizia impressa Kougaiji lo accetta e continua come se niente fosse. Al di là della consapevolezza individuale e sessuale, il signor principe mantiene integra una purezza di fondo come poche ce ne sono al mondo.

Doku, d'altronde, ha paura di toccarlo – di mostrarsi debole e quindi di agitarlo senza motivo: vuole, vorrebbe davvero poterlo abbracciare così da sentire il ritmo del suo cuore, ora così calmo e rilassato, che non ha paura di niente e niente desidera senza trovare soddisfazione appagante, che lo plachi e lo renda bello come sempre. L'umiliazione e la mortificazione nel pensare, quelle volte che capita, che la colpa è anche di Kougaiji stesso, che non riesce a farsi bastare l'amore totale che prova per lui, lo inacidisce di disagio nello sguardo. E poi si ricorda che lui, di fronte ad un principe, non è nulla; e poi si ricorda e si convince che Kougaiji, se davvero potesse realmente volere e seguire quel volere, non sceglierebbe per tutti loro così tanto dolore. Lirin deve ancora riprendersi dal proprio coma e Yaone, la dolce Yaone non riesce a imporsi su di lui e viene vinta dalla sua stessa debolezza, dalla sua fragilità dolorosa e non riesce a fare niente che gli dispiaccia o che lo faccia stare peggio, persino aiutarlo a sconfiggere l'ombra della sua dipendenza. Allora gli procura pillole non di droga ma simili, che diano soddisfazione in ormoni e plachino, o almeno ci tentino, la sua fame. Fa quel che può, anche lei, nella misura in cui può.

Sono soli sulla via che conduce alla luce.

Kougaiji trema, all'improvviso, e fa cadere il bicchiere sul vassoio e rovescia l'acqua. La sorpresa gli fa allontanare le mani e Doku è più veloce di lui a recuperare il pezzo di vetro e l'acqua che ancora contiene. Con un sorriso, lo porta dolcemente alle sue labbra, per abbeverarlo; lui si corruccia appena e lo fissa, mentre beve quei due sorsi freschi.


 

Un poco di quella roba non farà male.

Un poco e basta, non è niente.

Un poco e non sgarro neanche.

Nessuno se ne accorgerà, per così poco.

Potrò trarne solo piacere, per un grammo di quella roba.

Potrò smettere di tremare, di avere incubi. Ecco cosa accadrà.

Se ne prendo un poco, non ne sono dipendente.

Ne prendo un poco, non tutto quello che Nii mi dava. Solo poco. Solo quel che serve.

Nessuno soffrirà per questa cosa.


 

-Kou, ti amo.


 

L'amore basta?

L'amore non basta. L'amore basta quando posso toccarlo, quando posso amarlo, quando posso viverlo. L'amore non basta quando mi lascia solo al buio, con i desideri che non posso negare anche al sogno, quando l'intimo me mi sbatte in faccia la mia debolezza con la crudeltà che solo i miei nemici mi hanno usato contro.

L'amore no, non basta a fermare la fame – ma l'amore si stringe quando c'è il dolore, l'amore si morde quando c'è solo la foga, l'amore è caldo nonostante il sudore che impregna i vestiti, fermo nonostante il tremore sulla pelle.

L'amore basta?

Se è nella tua voce, l'amore forse potrebbe bastarmi. Ma dimmelo ancora una volta, chiedimelo ancora: risponderti mi da la giusta soddisfazione.


 

-Kou, ti amo.

Trema, nella vasca da bagno, con l'acqua che lo bagna ancora attraverso il gettito forte che la mano di Doku direziona con attenzione. Colpisce la nuca, lì dove i nervi hanno un centro nevralgico e dove è possibile regolare un fresco o un caldo piacere, a seconda del desiderio; l'acqua tiepida, dopo che ha accarezzato la base del collo, viene portata ad una spalla e poi all'altra, passando quindi all'altezza delle scapole e sparendo quindi sotto per qualche istante – ricompare dopo, e segue altri tragitti.

Il viso di Kougaiji si trova nascosto tra le ginocchia di lui; la sua figura è rannicchiata, seduta sul fondo della vasca piena a metà, con le gambe strette al petto da un abbraccio blando, poco convinto. Fuori, quasi del tutto asciutto, si trova Dokugakuji, la cui mano passa con pazienza costretta tra i capelli rossastri, cercando di formulare una carezza che non sia pietà, rancore e dolore.

Kougaiji trema e tutto è freddo, persino le parole che ha appena sentito pronunciare.

Sente il rumore delle gocce che si infrangono contro la superficie dell'acqua, ne segue e ne osserva le increspature e le piccole onde, tenta di interessarsi a qualcosa che non sia il suo bisogno ma è difficile e quella mano sul suo capo non aiuta – la sente pesante e prova quasi stizza, quasi avversione.

Chiedere aiuto è difficile, accettarlo ancora di più, subirlo non viene preso neppure in considerazione. Si può anche comprendere la disperazione di chi sta attorno, quando la situazione è critica, la fermezza che a stento si mantiene per amore altrui, per bisogno altrui, a tal punto da rimanerne toccati e commossi sinceramente. Ma per quanto grazioso sia un animaletto, animaletto rimane, estraneo e diverso, incomprensibile e inavvicinabile.


 

Kou sente un corpo fisico occupargli il mezzo delle gambe – gli piace la sensazione di qualcosa che pesa sul suo ventre perché gli dà la sensazione completa del contatto e del legame. Anche quello che viene dopo gli piace: una scia di baci che coprono il suo petto scoperto dall'asciugamano candido che, raccolte anche le ultime gocce di bagnato, è stato abbandonato a terra, ormai privo di valore.

Viene preso e attirato verso l'amante dalle braccia di lui, toccato dalle sue mani che partono dalla vita e percorrono tutti i fianchi, fino a raggiungere il collo e le braccia. Gli bacia la bocca e le labbra, non piano; lo costringe ad aprire gli occhi e a guardarlo: lui non è un sogno ed è tutta la soddisfazione di cui ha bisogno.

Doku glielo dice, che sarà la realizzazione del desiderio che lo tormenta. Lo dice con una tale malizia che persino Kougaiji la coglie, se ne vergogna e prova di nuovo cosa sia la vergogna sulle guance rosse e con uno sguardo che non vuole più reggere alcuna visione e alcun sorriso.

Dokugakuji lo ripete, contro il suo orecchio.

Scende di nuovo e gli bacia il retro dell'orecchio, il mento e il collo, il pomo d'Adamo che porge e la fossa che divide le linee delle due clavicole. Il piacere si fa fisico, sotto le sue carezze, rende gonfio di sangue e veloce nel battito.

Kougaiji è nudo e lo è anche Doku, dopo un po'. C'è rumore di lenzuola tirato, preso e strattonato, accarezzato con movimenti lenti che non hanno fretta ma non per questo sono gentili: Doku è premuroso e attento, ma non leggero né delicato.

Hanno già fatto l'amore altre volte e non c'è alcuna paura – il desiderio è cosa conosciuta e spazza via paura e dolore, timore e inesperienza. C'è quella dolcezza di fondo nei gesti di entrambi, portati per natura a non provvedere a se stessi quanto al piacere dell'altro, senza pensarci troppo, senza doppio fine.

Come Doku bacia, Kou provvede a rispondere come la sua posizione gli consente. Sempre.

Con una carezza, un movimento non casuale delle braccia e delle gambe, un richiamo dolce che sa di richiesta non prorogabile. Kou pretende la sua bocca, in quei momenti, e Doku sa che l'obbedienza gli è dovuta. Non prova neanche a resistere alle sue parole e percorre, con le labbra, di nuovo la lunghezza del suo corpo.

L'amore ha la sua voce, quella notte, e non c'è incubo a tormentarlo.


 

-Kou, tu... stai vincendo questa cosa, vero?

L'amore ha la sua voce, quella notte, anche se suona almeno all'inizio un poco titubante e flebile, come se avesse qualche dubbio se continuare o meno – se sta interrompendo un sonno finalmente tranquillo oppure no, le è permesso continuare. Kougaiji apre gli occhi, con la guancia contro il cuscino, e li indirizza verso il compagno. Questi gli sorride e lo sprona ancora.

-Insomma, la stai superando?

Torna, alla fine, ad essere quello che è: qualcuno che ha bisogno di un supporto morale, della propria ragione per continuare a vivere.

Paradossalmente, l'inversione dei ruoli non è così semplice e neppure immediata, e comporta delle conseguenze che minano l'animo e lo corrodono nei propri indissolubili pilastri. Anche Doku non può che concedersi attimi di timida debolezza, e lo fa con quanta più discrezione gli è possibile.

Per sua fortuna, Kou in questo momento non sta affatto tremando.

-Sì, lo sto facendo. Anche grazie a te.

Il suo sorriso diventa più forte, come più salda la presa alla mano che stringe.

-Superiamo anche questo, giusto Kou? Assieme!

-Sì, lo supereremo.

-Io ne sono convinto, Kou.

Lo dice seriamente, come se dovesse convincere qualcuno – se stesso, probabilmente, più che l'altro.

E ora che sta buttando fuori delle parole e che quelle parole trovano qualche risposta seria, che il buio non minaccioso li protegge e li conserva nel letto caldo e privo dell'umido del sudore da angoscia, il suo sorriso si stira un poco e la sua fronte si corruccia per qualche istante. Le labbra tremano e poi si muovono.

-Ogni tanto ho avuto la sensazione di stare per crollare, te lo devo dire. Non ero sicuro di poter reggere.

Sospira e sorride, provando un moto di pietà per se stesso, come se fosse utile a modificare la situazione del momento.

-La verità è che non sopporto di vederti così fragile, Kou. Mi fa male, molto male.

Torna a stringere la mano di lui, gli si avvicina pure, per sentire la sua presenza, e Kou non fa alcuna piega né movimento di rigetto – questo aiuta molto, perché già solo sentire il profumo dei suoi capelli calma Doku in maniera inspiegabile, e fa raggiante il suo sorriso.

-Ma tra noi quello che sta soffrendo di più sei tu. Il tuo coraggio e la tua determinazione ti hanno portato su una strada difficile e lunga da percorrere. Posso solo immaginare quanto sia difficoltoso, per te.

Lo bacia, prima di concludere.

-Io sono qui, Kou. Sono qui.


 

Doku è lì anche quando ricomincia il tremore, quando Kou gli morde la mano perché l'istinto gli suggerisce che deve mangiare qualcosa, che la sua gola è troppo secca perché non beva e il suo stomaco è troppo vuoto.

Non c'è niente che soddisfi la sua fame nella punta di sangue che tinge di sapore la pelle di lui, quando i denti affondano nel palmo e il respiro si fa affannoso, concitato. I giorni passano e quel bisogno non si placa ancora – la buona volontà, le parole servono a concimare l'animo, non a frenare il corpo.

Doku lo sa, lo sa bene, e rimane fermo a farsi mordere, tra il senso di colpa che lo inchioda e il dovere morale che sente verso quel corpo che trema.

Lo abbraccia, tenta di fermarlo così, e c'è qualcosa che gli suggerisce che è inutile.

Poi le mani di Kougaiji si alzano alle sue spalle, con quella che sembra una volontà ponderata, e si aggrappano a lui con forza; il morso si allenta e c'è un piccolo rantolo che rotola fuoriuscendo dalla bocca di lui: lo sente benissimo.

Kou si calma, lento, e alla fine il cuore batte allo stesso ritmo di quello del compagno.

Quello è dunque il limite tra volontà e destino: ciò che viene definito attraverso la volontà coscienziosa e ciò che definisce.


 

La verità è che l'amore non basta mai.

Ma è necessario.

   
 
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