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Autore: Reik93    24/08/2013    6 recensioni
Dal testo:
“Tesoro…” le aveva detto, lisciandole i capelli come faceva quand’era bambina “…casa non è il luogo in cui sei cresciuta, casa è ovunque sia chi ami…ed anche se ti senti in obbligo di stare con noi, il tuo cuore ha già cambiato residenza”.
Probabilmente, però, le aveva lasciato l’indirizzo sbagliato.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Harry/Hermione, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Perchè a te piace guardare le stelle, Hermione



Sembrava tutto così diverso, uguale certo, ma allo stesso tempo diverso.
I muri, che solo pochi mesi prima Hermione aveva visto crollare e diventare macerie, si ergevano nuovamente fino al soffitto, spessi ed austeri come li ricordava. Erano stati ricostruiti con i medesimi mattoni di mille anni prima, quando Hogwarts era solo il nome che le due streghe e i due maghi più famosi dell’epoca avevano dato al loro sogno.
Forse era proprio per questo che, ai suoi occhi, la Sala Grande appariva uguale e diversa: la disposizione dei mattoni doveva essere mutata con i lavori ed Hermione si era convinta che non avrebbe mai più ritrovato quello con l’angolo smussato, vicino all’ingresso.
Un senso d’inquietudine l’aveva pervasa a quel pensiero. Anche la sua vita era cambiata, e sarebbe cambiata ancora, ma tutti avrebbero continuato a vedere in lei la brillante strega che aveva contribuito in maniera determinante alla vittoria su Voldemort.
Non che le dispiacesse, in fondo.
Aveva sempre amato veder riconosciuti i propri meriti, eppure l’idea che nessuno sapesse, la stava logorando.
Con qualche difficoltà, aveva raggiunto uno dei lunghi tavoli, già occupati da molti dei suoi vecchi compagni.
Non si erano accordati, non c’era stato un via vai di gufi da una finestra all’altra; era bastata la notizia, riportata sulla Gazzetta del Profeta, che la scuola fosse di nuovo agibile a richiamarli in quel luogo, sentito per anni come casa.
E a ricordare ad Hermione l’atmosfera famigliare di allora fu il volto di Neville, con il suo perenne cipiglio spaesato, mentre le si sedeva davanti, seguito da Seamus, Dean e, infine, Ron.
“Arriverà…” le disse, incrociando il suo sguardo interrogativo. “…sai com’è fatto Harry”.
Lo sapeva bene, meglio di chiunque altro, probabilmente.
Sorrise appena, notando, con un velo di tristezza, l’assenza di Ginny, prima che un rumore metallico invadesse la sala, attirando la sua attenzione.
Minerva McGranitt li stava osservando dalla posizione privilegiata del tavolo dei professori, tra cui spiccava il vuoto lasciato da un cappello di velluto azzurro e da un’unta chioma nera, di cui Hermione si stupì provare nostalgia.
La guerra aveva cambiato davvero molti equilibri. Se ne accorse una volta di più fissando gli occhi della professoressa inumidirsi di commozione, la stessa che trapelava dalla sua voce, mentre pronunciava un discorso d’encomio ai caduti. Lei, che era sempre stata padrona di sé anche nei momenti critici, sempre algida ed intransigente nel suo mantello verde smeraldo appariva, ora, come una donna colma di sofferente gratitudine.
Non dimenticò nessuno. E quando citò Fred Weasley, dicendo che lui avrebbe preferito essere ricordato con un sorriso, fu naturale per tutti voltarsi verso la porta, dove Molly si strinse le mani al petto e mimò con le labbra i propri ringraziamenti.
Hermione ne approfittò per dare un’occhiata all’atrio: era deserto.
 
Harry fece la sua comparsa, mentre l’eco del brusio suscitato dal nome di Sirius Black si disperdeva tra i presenti, che si lasciarono sfuggire versi d’ammirazione abbastanza contenuti; almeno finché qualcuno dal tavolo del Tassorosso non urlò: “Ehi, c’è Harry!”.
Il respiro le si rintanò velocemente in gola e gli occhi impazienti lo cercarono tra la folla, ma fu lui a trovarla per primo.
“Ciao, Herm” la salutò, liberandosi dal suo abbraccio stritolaossa per accasciarsi sulla sedia libera, accanto a lei.
Aveva la solita aria stropicciata: il colletto della camicia sgualcito, i capelli arruffati in un groviglio che dava l’impressione di non poter essere sciolto, gli occhiali tondi un po’ storti sul naso.
“Dov’è mia sorella?”.
“Si è fermata con tua madre e, prima che tu mi faccia il quarto grado, Hermione, si, mangio, dormo abbastanza, mi lavo i denti tutte le sere e non ho più vestiti in lavanderia che nell’armadio!” concluse d’un fiato, rivolgendole un sorriso che la fece desistere dal muovere repliche. Era il sorriso che sfoggiava quando non voleva farla preoccupare: sollevava un angolo della bocca, poi scopriva i denti nell’espressione più rassicurante di cui era capace.
Per questo si era abituata a guardarlo dritto negli occhi, scossi e di un verde sempre un po’ spento quei giorni in cui la cicatrice bruciava od ometteva particolari angustianti dell’ultimo sogno che l’aveva tormentato durante la notte, costringendola a soffiare un afflitto: ‘Oh, Harry! Non sai mentire!’.
Al contrario di quanto si aspettava, però, essi brillavano, attraversati da una luce che troppo raramente aveva visto bagnarli.
Harry le nascondeva qualcosa. Qualcosa che lo entusiasmava.
 
 
Nel periodo immediatamente successivo alla guerra, i pensieri di Hermione erano stati delle meteore, concatenazioni di concetti passeggeri e del tutto inspiegabili per una mente razionale come la sua, che culminavano in un cratere di ‘se’.
Era un aspetto nuovo di se stessa, maniaca del controllo e dell’organizzazione, che non le piaceva, nonostante Ron tentasse di supportarla.
“È naturale avere dei dubbi dopo quello che abbiamo passato” diceva.
Ma la tempra di quelle parole, perfette all’apparenza, si era rivelata troppo leggera, troppo fragile, troppo sbagliata.
Hermione, infatti, non aveva paura di quanto le avrebbe serbato il futuro, ma dei passi che si era lasciata alle spalle. Erano stati quelli giusti?

 
 
“Sei pensierosa, Hermione. Qualcosa ti preoccupa?”.
La voce di Harry giunse in un caldo sussurro al suo orecchio, ridestandola.
“N-no” rispose frettolosamente.
“Allora puoi dirmi che ti ha fatto quella povera carota? Sono più di dieci minuti che la tormenti!”.
Guardò il piatto, dove l’ortaggio era ormai ridotto ad una purea arancione, e una smorfia le piegò labbra in un malriuscito tentativo di sorridere.
“È stata la prontezza della mia risposta a tradirmi?” chiese, posando la forchetta ed incrociando il suo sguardo: somigliava molto a quelli che Silente regalava dietro ai suoi occhiali a mezzaluna.
“Quello…e la carota!”.
Entrambi scoppiarono in una sottile risata che terminò con lo strascichio di una sedia: Harry si era alzato.
“Vieni!”.
“Dove?”.
“A fare due passi. Anch’io ho qualcosa d’importante da dirti”.
Fu grazie a quella rivelazione che Hermione si convinse ad accettare la sua mano e a seguirlo.
Era calda ed ossuta, come la ricordava, col dito medio leggermente più storto degli altri a causa di una brutta caduta dalla scopa.
Si ritrasse un momento solo per avvisare Ron, trovandolo, però, troppo impegnato a discutere di Quidditch e a strafogarsi di pudding al cioccolato e lamponi. “Non se ne accorgeranno…” mormorò, aumentando la presa per vincere le sue ritrosie, indicando con uno scatto della testa il punto in cui Ginny stava amabilmente chiacchierando con alcune sue compagne.
Il lago nero si apriva immutabile alla fine del parco, inghiottendo i luccicanti riflessi delle prime stelle che erano comparse nella notte. Quando lo raggiunsero, Hermione si rese conto di non aver aperto bocca durante il tragitto, come Harry del resto, e di provare una spiacevole sensazione di disagio, circondata da quel silenzio, interrotto di tanto in tanto dal gorgogliare dell’acqua che bagnava la riva.
“Allora, signorina Granger, mi dica…quale angoscia la tormenta?”.
In tutta risposta, si strinse le spalle, strusciando il naso e le guance sul bavero alzato del cappotto, studiando il profilo di Harry tra i ricci ispidi che lo coprivano. Fissava l’orizzonte come se ci fosse una creatura che solo lui era in grado di vedere e dava l’impressione di volerla raggiungere, avanzando negli attimi in cui l’acqua si ritirava e tornando, invece, sui suoi passi quando piccole increspature gli guizzavano sulle scarpe.
“Niente…” trovò il coraggio di sospirare in fine “…solo un po’ di timore…per il futuro”.
Neanche lei sapeva mentire, ne erano consci entrambi, eppure finse di crederle e rinunciò ad indagare oltre. Non che si aspettasse un comportamento diverso da parte sua: Harry possedeva un tempismo perfetto, sapeva sempre quando incalzarla di domande, senza tuttavia risultare asfissiante, e quando tacere, pazientando la venuta di tempi più maturi, tempi in cui sarebbe stata lei stessa a confidargli ogni cosa.
“E tu, Harry? Dove sei stato in questi mesi? Non ti sei mai fatto vivo se non con qualche lettera striminzita…ero….eravamo preoccupati!”.
Sentì il volto accalorarsi all’improvviso, le dita informicolarsi nella presa con si teneva i fianchi, i piedi minacciare il tipico motivetto che accompagnava ogni sua attesa di spiegazioni.
Harry prese un profondo respiro ed Hermione temette per un secondo che si volesse buttare.
“A Godric’s Hollow”.
“Cosa?” replicò lei, cercando di mascherare il tono di rimprovero con uno sguardo stupito.
“È pur sempre casa mia…”.
Le sue labbra assunsero una strana piega, tesa e delineata da due fossette agli angoli della bocca: sembrava evidenziare l’ovvietà di quanto aveva appena detto. “Certo i balconi sono divelti, la maggior parte delle pareti è saltata in aria e…”.
“…e manca il tetto, Harry!” sbottò, esasperata dalla naturalezza con cui il suo amico la stava informando di aver vissuto praticamente come un barbone.
Mancava”.
A quella precisazione non era preparata, così si trattenne dal srotolare la lunga predica che aveva già pronta in mente, con grande rammarico della sua lingua, premuta contro il palato.
“Ci…ci sto lavorando. Voglio farla tornare com’era un tempo, basandomi sulle villette antistanti. Il piano superiore è già a buon punto e il giardino…beh, ti eri accorta che aveva un bellissimo giardino? Eliminate l’edera, i rovi e l’erbacce sono sicuro che diventerà magnifico! Tu che ne pensi?”.
Aveva parlato con una tale concitazione da ricordargli l’Harry sotto il potere della Felix Felicis; a fatica gli era stata dietro ed ora si ritrovava a balbettare, non avendo avuto il tempo di assimilare una simile notizia, davanti ai suoi occhi sgranati, così simili a quelli speranzosi di un bambino.
“Io…io…non so che dire…Harry…è…è…credo sia un’idea splendida e molto dolce”.
Lo vide esultare in un modo discreto e pacato, sollevandosi sulle punte e lasciando poi che le suole ricadessero pesanti affondando nella battigia, incurante dell’acqua che gli arrivava alle caviglie.
Il suo sguardo si era rincollato all’orizzonte, dove probabilmente il suo progetto si stava già compiendo: una villetta bianca con il cancello in ferro battuto ed un’aiuola si roselline selvatiche sul retro.
Hermione sorrise.
Amava quel suo lato ingenuo e la rara sensibilità di credere semplice un gesto tanto meraviglioso, amava il modo un po’ goffo di chiederle consiglio, amava Harry.
 
 
La ricerca di una risposta ai dubbi che l’asserragliavano aveva condotto a quella: inaspettata, scombussolante, terribilmente azzeccata.
Stava guardando la pioggia picchiettare i vetri della sua camera alla Tana e ricoprirli di piccole gocce che formavano spesse scie gelatinose, raccogliendosi poi nella cornice della finestra, quando aveva visto un passerotto spiccare il volo dal canneto e tentare disperatamente di raggiungere un riparo più consistente. Seguendolo con lo sguardo, era riuscita a scorgerlo mentre si rifugiava tra i rami di una quercia e un timido sorriso, che per lunghi giorni le sue labbra avevano dimenticato, era comparso sul suo volto, prima di venir risucchiato dalla malinconia a cui, ormai, il suo stato d’animo si era abituato.
I Weasley non se n’erano accorti, un po’ per il dolore ancora vivo e pulsate della perdita di Fred, un po’ per la sua bravura a mascherarla: l’ultima cosa che voleva era pesare su una famiglia già notevolmente ferita.
Ma quel giorno, rimasta sola in casa, senza Ron che l’illudeva di capirla, aveva deciso di non fingere, di non nascondere l’invidia provata nello scoprire con quanta facilità quell’uccellino si era appollaiato nel suo nido, nonostante il temporale.
Perché a lei non era concessa? Perché non riusciva a trovare altrettanto rapidamente il suo nido?
All’inizio aveva creduto che la causa di quell’angoscia fossero i suoi genitori, il pensiero che loro non sapessero nulla di lei e della sua esistenza. Ma anche dopo averli rintracciati, anche dopo aver visto riaffiorare nelle loro menti i ricordi che aveva cancellato, non era riuscita a scacciare il senso di vuoto che si portava dentro e, dietro consiglio di sua madre, aveva deciso di trasferirsi per qualche tempo alla Tana.
“Tesoro…” le aveva detto, lisciandole i capelli come faceva quand’era bambina “…casa non è il luogo in cui sei cresciuta, casa è ovunque sia chi ami…ed anche se ti senti in obbligo di stare con noi, il tuo cuore ha già cambiato residenza”.
Probabilmente, però, le aveva lasciato l’indirizzo sbagliato.
Un afflitto sospiro si era condensato sui vetri. “Se solo ci fosse Harry…”.
Già, Harry…non Ron o Ginny, ma Harry.
Lui non avrebbe sbuffato davanti a risposte non date, non sarebbe ricorso ad una frase fatta per cercare di consolarla, non si sarebbe illuso che qualche carezza d’incoraggiamento bastasse. Harry avrebbe capito. Semplicemente.
Si sarebbe seduto accanto a lei, rispettandone il silenzio per tutto il tempo necessario, che fossero minuti, ore o addirittura giorni; poi, al momento opportuno, avrebbe mormorato una battuta per sdrammatizzare e si sarebbe alzato, invitandola a fare lo stesso, cingendola in un abbraccio pudico e po’ goffo, tipico di chi non è abituato a certe forme d’affetto.
E a lei sarebbe bastato perché le mille carezze di Ron non valevano un abbraccio di Harry: solo nell’incavo della sua spalla, infatti, riusciva a sentire il lieve, piacevole e necessario tepore di casa.

 

Da quel giorno, ogni suo singolo pensiero era rivolto al passato.
Se il primo anno non si fosse presentata in modo così dispotico e saccente, magari Harry l’avrebbe guardata fin da subito con occhi diversi…se al Ballo del Ceppo non di fosse fatta abbindolare dalla dolcezza un po’ rude di Krum, forse si sarebbe deciso ad invitarla e lei, per Harry, avrebbe accettato, sicura che in qualche modo si sarebbe fatto perdonare di averla considerata come ultima scelta…se, durante quel soggiorno a Grimmauld Place, non avesse origliato la conversazione tra lui e il suo padrino, non avrebbe avvertito una dolorosa fitta al cuore quando, rientrando, Harry gli chiese di mandare Ginny nella Torre di Astronomia.
“Certo, lo farò…” disse e puntò uno sguardo sbiadito sul lastricato scuro, pregando che così non sentisse il tono della sua voce affievolirsi. Era come se qualcuno le avesse squarciato il petto e si divertisse a punzecchialo con una bacchetta.
 
“Io…volevo sapere una cosa…sui miei genitori…”.
Una mano corse ad afferrare l’angolo del tavolo, mentre l’altra continuava a torcersi nella tasca.
Sirius parve non percepire il lieve disagio che permeava l’atmosfera e con una luce nostalgica ad illuminargli il viso gli fece cenno di proseguire.

“Mio padre come ha chiesto alla mamma di sposarlo?”.
Parlò così in fretta che non solo Hermione, nascosta sulla tromba delle scale, ma anche Sirius a pochi centimetri da lui faticò a comprendere.“Oh…oh!” si limitò a rispondere, assumendo un atteggiamento più serio e al contempo malandrino.
“C’è forse una
lei a cui stai pensando?”.
“Cos-? Ehm no..no…volevo solo…”.
“Va bene. Non devi scusarti per la tua curiosità…erano i tuoi genitori”.
Il tono della sua voce era divenuto calmo e paterno, mentre sollevava gli occhi al soffitto come se la risposta fosse incisa sulle travi.
“Dunque…” iniziò, combattuto tra amarezza e diletto “…accade nella Torre di Astronomia, nel maggio del nostro ultimo anno ad Hogwarts. Io e Remus avevamo trascorso intere nottate ad assistere alle prove…”.
“Prove?”.
“Già. Devi sapere che James diventava un vero imbranato quando si trattava di Lily…gli sudavano le mani, balbettava, dimenticava anche gli incantesimi più semplici…così, per evitare di fare una figuraccia, ci pregò di aiutarlo. A turni impersonavamo tua madre, mentre lui s’inginocchiava, bofonchiando qualche romanticheria, che, personalmente, trovavo ridicola…”.
Fissò il pavimento per qualche secondo, come se il padre di Harry fosse prono difronte a lui, con gli occhi accesi di speranza e un piccolo cofanetto tra le dita.
Harry, al contrario, sembrava poco convinto.
“Beh…fatto sta che una sera entrò raggiante in Sala Comune, dicendo che Lily aveva accettato!” tagliò corto e si lisciò i capelli in disordine, sotto lo sguardo denso di rammarico del figlioccio. “Aveva capito subito che era quella giusta…”.
Sirius aggrottò la fronte come davanti ad dilemma piuttosto complesso. “Questo non lo so. Era molto facile innamorarsi di Lily, una volta che la si conosceva. Dolce, brillante, con uno spiccato senso dell’umorismo…più di una volta ho sorpreso James a spiarla, mentre se ne stava rannicchiata sotto la finestra ad ammirare le stelle…e quando gli chiesi come si era accorto di amarla, lui…”.
A quel punto, Grattastichi balzò sui gradini, producendo uno scricchiolio che impedì ad Hermione di ascoltare la fine della storia, eccetto poche parole. “…lo so, era una risposta buffa e, per certi versi, priva di senso, ma…i suoi occhi non mentivano”.
 
I corridoi erano deserti ed Hermine udiva distintamente i suoi passi riecheggiare tra le arcate secolari.
Non si era mai sentita così sola ad Hogwarts. Perfino i gargoyles, che tanto le avevano incusso paura, sembravano volgere il loro sguardo di pietra da un’altra parte, indifferenti.
Pregò di non incontrarla, ma il suo desiderio rimase inesaudito. Una volta varcata l’entrata della Sala Grande, infatti, fu Ginny stessa ad avvicinarla per avere notizie di Harry.
“Ti aspetta alla Torre di Astronomia, fa presto” bisbigliò, lottando contro l’improvviso nodo che le aveva serrato la gola e contro gli occhi dell’amica, spalancati e lucenti.
Superandola, Hermione ebbe la netta impressione che Ginny avesse intuito quale enorme mutamento avrebbe apportato alla sua vita quell’invito. O forse era la desolante consapevolezza di quanto sarebbe cambiata la propria ad annebbiarle la vista.
Harry stava per chiedere a Ginny di sposarla, era evidente.
Troppi fattori concorrevano ad avvalorare quella tesi: il misterioso atteggiamento del suo migliore amico, la torre, l’aura speranzosa che avvolgeva la piccola Weasley, il suo cuore in frantumi -se avesse prestato attenzione, Hermione era sicura che avrebbe sentito i cocci risuonarle nel costato.
Harry era stato il guizzo imprevisto nelle lunghe e banali giornate della sua vita, l’impetuoso torrente che l’aveva trascinata in mille avventure, levigandone gli angoli ed eliminando il calcare che regole e libri vi avevano sedimentato sopra rendendola troppo rigida, la primaverile pioggerellina scesa a consolarla nelle cocenti giornate di sole e solitudine; lei, invece, aveva rappresentato l’appiglio, l’argine su cui contare quando il fiume perde il controllo del suo stesso corso, la rassicurante superficie che attende la goccia mentre questa precipita.
C’era un’intera vita di motivi per cui lei e Harry sarebbero dovuti stare insieme eppure ne bastava uno soltanto per cancellarla:
Harry amava Ginny.
Catturò un labbro tra i denti e lo strinse con forza, come se servisse a rendere quella realtà più accettabile.
“Era ora! Che fine avevi fatto?”. Ron la guardava perplesso.
Aveva raggiunto il tavolo con la stessa volontà di un automa e solo in quel momento si accorse di quanto desiderasse trovarsi in un altro posto. “Bagno” rispose d’impulso, sedendosi e cercando di apparire il più naturale possibile.
Lui curvò un angolo della bocca e tirò le labbra in quel suo sorriso svogliato che non era mai stato capace di infonderle sicurezza.
Si sentì profondamente subdola.
In fondo, Ron, l’amava, a modo suo. Un modo un po’ egoista, infantile ed ambizioso che distingueva anche la sorella.
Ginny, infatti, si era innamorata di Harry ancor prima di conoscerlo, sedotta dalla fama e dalle imprese che il suo nome prometteva.
E Hermione era certa che lei avrebbe continuato ad amare sempre e solo quell’ideale, la scintillante reputazione di eroe che gli avevano cucito addosso.
Harry non lo meritava, o si amava tutto di lui -la testardaggine, l’imprudenza, il riserbo- o bisognava augurargli di trovare la felicità altrove, come stava facendo, anche se in cuor suo sapeva quanto ciò fosse impossibile.
Felicità ed Amore sono sentimenti simbiotici. Non hanno colore, né forma, non si posso afferrare né chiudere in un cassetto, tuttavia se ne prova nostalgia: non si sa cosa siano, ma se ne sente la mancanza.
Provò vergonga nel trarre conforto da un pensiero tanto infido: lei ed Harry non sarebbe stati uniti nella vita, ma avrebbero condiviso lo stesso destino. Amare senza essere ricambiati.
 
D’un tratto, all’inizio della tavolata si levò un mormorio di cui Hermione capì la causa solo quando vide Ginny precipitarsi dalla madre, che stava scambiando due chiacchiere con la McGranitt. Era girata e troppo distante perché potesse sentire, ma non era ancora pronta.
Così, prima che annunciasse a tutti l’imminente matrimonio, lasciò la sala, ignorando i richiami di Ron.
Corse a capo chino, con i ricci che le solleticavano le guance, e senza una meta precisa finché la distanza tra lei ed il resto del mondo parve soddirfarla.
Era sotto la Torre di Astronomia. Ansante si maledisse, marcando combattuta il primo scalino e proseguendo con maggior decisione.
La porta era aperta, ed Harry, a pochi metri, scrutava l’orizzonte dalle stesse merlature dove un anno prima aveva visto precipitare Silente.
Non entrò, ma rimase sullo stipite, quasi in attesa di ottenere il permesso.
C’era uno strano silenzio nell’aria ed Hermione si sentì smarrita. Perché non parlava? Si aspettava forse che sarebbe stata lei ad andargli incontro, congratulandosi?
Mi chiedi troppo, Harry…Stinse l’anello di metallo appeso alla porta. Tremava.
Dalla punta dei piedi all’ultimo ispido capello che aveva in testa, il suo corpo era scosso dai brividi; e quel silenzio non aiutava certo a farli cessare.
“Ho lasciato Ginny”.
Lo disse con una calma disarmante, continuando ad ammirare il parco con le mani in tasca, come se le avesse appena rivelato di essersi dimenticato un libro in aula. Hermione rimase scioccata, mentre, dopo quelli che erano parsi secoli, il suo cuore riprendeva a battere.
“Tu..che cosa?”. La sua voce risultò stridula e sconnessa, ma non vi diede peso. Era troppo occupata a fissare Harry e a tenere a bada il proprio petto, che ora si alzava e abbassava tanto velocemente da minacciare di lacerarsi.
“L’ho lasciata”.
“P-Perché…io credevo che…”.
Non seppe come continuare e, dopo un paio di boccheggi, tacque.
Harry si limitò a fare spallucce, mostrandole parte del suo profilo, illuminato dalla luna.
Sembrava guardarla attraverso un velo, che non aveva intenzione di scostare; perciò, muovendosi con la stessa dimestichezza di chi ha paura di vedere il pavimento crollare, lo raggiunse, agganciandosi alla balausta di ferro.
La mano di Harry sovrastò subito la sua, incastrando le dita tra le nocche. E proprio da quel punto, Hermione sentì sprigionarsi una sorta di calore che le riverberò sulla pelle, accendendole il viso. “Perché?” ripeté con maggior enfasi.
Gli occhi di Harry la fecero trasalire.
Erano lucidi come al suo arrivo e solo in quel momento si accorse che non era luce esterna a renderli brillanti, ma minuscole striature dorate che circondavano la pupilla. Sembravano bruciare.
Quando parlò, Hermione venne irradiata dalla certezza che acqua e roccia avrebbero continuato ad esistere insieme, fianco a fianco. E sorrise.
“Perché a Ginny ama volare e dominare il cielo, mentre tu, Hermione, ti accontenti di ammirarlo, perché lei vuole possedere le stelle e a te piace guardarle”.
 
 
 

Angolo Autrice

Salve a tutti! ^^
Questa la prima fanfiction che pubblico sul fandom harrypottiano e spero vivamente di non aver offeso nessuno postandola.
Ecco io ho letto tutti i libri, visto i film naturalmente ma...un bel pò di tempo fa! ^///^ E negli ultimi tempi, riaccesa la passione, ho iniziato a leggere qualcuna delle vostre fic...beh, insomma....più leggevo, più immaginavo finali diversi e questo è il risultato!
Spero di non aver fatto errori (lo so, mi ripeto...) dal punto di vista di nomi, tempi e fatti del romanzo...e se ce ne sono, fatemeli notare!
Ringraziando fin da ora chi legge/recensisce, mi congedo.
 
besos


Reik93
  
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