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Autore: Loop    24/08/2013    1 recensioni
“In un paio di giorni dovremmo raggiungere Beacon Hills.”
Scott, contrariato, lo fissò per un secondo.
“E che diamine sarebbe?”
Warnings! Fluff, fluff inutile e abbondante senza nessun motivo, assenza di serietà e incongruenze storiche: questa fanfic nasce solo dall'insana voglia di vestire Tyler Hoechlin come Clint Eastwood e giocherellare con mille e una ship.
Quindi lol.
Enjoy da luv
Genere: Avventura, Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Derek Hale, Lydia Martin, Peter Hale, Stiles Stilinski , Un po' tutti
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I   


Gunslinger, beware.

Ai mie adorati
Pablo&Bran Lovecraft


 

 





Dovevano essere circa le cinque del mattino.
Derek lo capì dai colori lattiginosi del cielo e da un’alba stentata che si arrampicava sulle montagne a est.
Quello che non capiva era perché stesse fissando il cielo.
Poi però realizzò: era sdraiato a terra. Ma…
Oh, già. Il proiettile.
I predoni li avevano attaccati di notte –Derek riusciva quasi a ricordare la scena per intero: suo fratello che urlava qualcosa, due di loro che lo inseguivano. Il buio della notte. Il suono di uno sparo, il sangue.
La voce di Scott che si faceva lontana.
Riusciva anche a ricordare di aver incitato il cavallo tanto da farlo schiumare.
Ma come fosse arrivato lì – o dove fosse, esattamente, lì, no, non ne aveva idea.
Tutto quello che sentiva adesso era la spalla che bruciava come l’inferno e – cazzo, era argento.
Lentamente sentì la sua coscienza fluire via. Anche il dolore si fece tenue.
Era la fine.
Maledetto Peter.



***



“C-cosa?”
“Uno straniero, signorino. Ed è ferito.”
“Che vuol dire..?”
“Gli hanno sparato, signorino. Quella sciagurata di Molly l’ha portato dentro per pietà, ma il giovane sputa sangue nero e noi non sappiamo che fare e…”
Stiles non era sicuro al cento per cento di aver capito cosa diamine stesse succedendo.
Tutto quello che sapeva era che alle cinque e mezza del mattino le domestiche avevano cominciato a urlare come delle scalmanate.
“Dov’è Deaton?”
“L’abbiamo mandato a chiamare, signorino, per favore, scenda, di sotto è un pandemonio.”
“Va-va bene, dammi trenta secondi.”

Derek aveva perso coscienza da un pezzo quando, finalmente, Deaton fece capolino nella stanza per gli ospiti dove era stato accomodato.
Il giovane Stilinski aveva aiutato i domestici a togliere i brandelli di camicia inzuppati di sangue nero, trattenendo un paio di cali di pressione con stoica resistenza.
Deaton era il medico della piantagione, ma in realtà si prendeva cura di tutti, famiglia Stilinski inclusa. Aveva accudito la madre del signorino fino all’ultimo respiro, alleviandole il dolore come meglio poteva – metà con la medicina tradizionale, metà con riti sciamanici di dubbia provenienza ma di innegabile efficacia.
“Signorino, gli altri possono andare. Posso cavarmela da solo.”
Stilinski fece un segno d’assenso con la testa e le domestiche uscirono di corsa, neanche troppo contrariate.
“Deaton, che cosa diamine dovrebbe essere questa schifezza nera? E’ infettiva?”
“No, signorino, non lo è.”
Gli aveva risposto senza smettere di fissare lo sconosciuto. Aveva già visto quell’espressione nei suoi occhi: c’era qualcosa che non andava.
Nonostante questo, Deaton era d’acciaio. Placidamente estrasse dalla sua borsa i bisturi e li sterilizzò sul fuoco dell’unica candela accesa nella stanza, con un gesto tanto fluido quanto meccanico.
Quando la lama toccò la carne, l’uomo ebbe uno spasimo violento: Stilinski gli bloccò preventivamente le spalle con tutto il peso del corpo, mentre Deaton estraeva il proiettile.
La pallottola era fumante.
Stilinski guardò la scena allibito: il foro del proiettile si rimarginò sotto i loro occhi richiudendosi ad una velocità impossibile.
Un minuto.
Era passato un minuto e dove doveva esserci un foro profondo quindici centimetri non c’era più nulla.
Solo le chiazze nere – sul pavimento, sul torace dello straniero, sui vestiti di Stilinski e di Deaton – non erano scomparse.
Deaton sospirò.
“Appena riprende coscienza, rifocillatelo e rispeditelo in strada. Quest’uomo si porta dietro un sacco di guai.”
Stilinski, pallido, fissava a tratti l’espressione tranquilla di Deaton  e a tratti il viso ispido dello straniero che, lentamente, riacquistava colore.
“Penso che tu mi debba spiegazioni più esaustive di  così.”
“Mi creda, signorino, lei non vuole sapere.”



***



Beacon Hills si schiuse davanti a Scott che era già alto il sole da un pezzo.
Era minuscola, polverosa e mostruosamente affollata.
Raggiungila! Raggiungila il prima possibile! Gli aveva urlato Derek, prima di lanciarsi nell’altra direzione, portando con sé buona parte della banda che li aveva aggrediti.
Ed eccolo qui, senza la benché minima idea di cosa cercare.
Aveva solo un nome: Lydia. Ora, quante donne con quel nome potevano esserci in quel paese?  E Derek? Non metteva in dubbio le abilità di sopravvivenza del fratello, ma come diavolo l’avrebbe trovato?
Gli scoppiava la testa. E il suo cavallo non avrebbe retto neanche un altro mezzo miglio. Era costretto a fermarsi.
L’unica cosa lì che somigliava a un ostello, gli disse un uomo decisamente anziano in città, era la casa di tolleranza appena fuori dalla città – meta turistica non poco conosciuta, da quelle parti.
“Te la consiglio, giovanotto. Ti ripuliscono le tasche e il cuore, ma puttane come ne trovi lì non le trovi mica da nessun’altra parte!”
Scott lo guardò pieno di sconforto. Però… però sei il posto era famoso, forse lì qualcuno conosceva Peter. E forse ne avrebbe cavato qualche ragno dal buco.
Dopotutto non aveva la benché minima intenzione di intrattenersi con alcuna signora. Non ne aveva il denaro, in ogni caso.
Si avviò con calma. Mezz’ora dopo si trovava davanti a quella che doveva essere stata una casa padronale – e a conti fatti poteva ancora esserlo.
Quello che più colpì Scott era che quella doveva essere la più grande costruzione in assoluto in tutta Beacon Hills. Ed era un bordello.
In tutta onestà, avrebbe fatto carte false per non doversi addentrare in quel posto. Oltre al fatto che non aveva dimestichezza di ambienti simili, si sentiva sporco, stanco, affamato e puzzolente.
Deglutì a vuoto ed entrò, sperando di non sembrare un ragazzino goffo.
L’odore dolciastro che lo avvolse fu quasi traumatizzante: fiori marci, frutta, tabacco e qualcosa di davvero strano che non riusciva a distinguere.
Ad accoglierlo però non furono fanciulle ignude con fiori tra i capelli, ma due energumeni gemelli. Che puzzavano di cane tanto quanto lui.
Anche loro se n’erano accorti.
“Non ci piacciono i lupi, ragazzo. Portano un sacco di guai.”
Ringhiavano impercettibilmente in modo che solo Scott potesse sentirli.
“Non vi piacciono quelli della vostra specie? Siete degli Omega?”
Neanche a dirlo, i loro occhi erano diventati rossi. Scott si morse la lingua.
Maledizione.
“Non voglio guai, va bene? Volevo solo…”
Una testolina rossa fece capolino tra gli energumeni, un sorriso malizioso, di colpo, e due occhi verdi e umani a fissarlo sornioni.
“Hale. Tu sei Scotty Hale.”
I gemelli si guardarono confusi.
“Lydia, ma..”
Scott era confuso. Ma davvero tanto, tanto confuso.
“Tu sei Lydia? E come..”
“Dolcezza” disse, illuminando l’intero atrio con un sorriso, “Qui sei al sicuro.”.
  
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