Chapter 12.
Miss Mystic Falls.
(part 2.)
“Hai visto come sono bravo?” esclamò Xander, appoggiando una mano sulla vita di Caroline. La
ragazza si strinse a lui, sorridendo divertita. Era da poco terminato il primo giro
di danze e le coppie protagoniste del concorso stavano cominciando il secondo
in compagnia di alcuni presenti. “So fare perfino il casquet,
vuoi vedere?”
Caroline si mise a ridere.
“Sei un bravo ballerino” lo appoggiò, premendo
una mano sulla sua spalla. Alexander gonfiò il petto, sorridendo orgoglioso.
“Non si può dire lo stesso di tuo fratello,
eh?” commentò, indicando Ricki con un cenno del capo. Il giovane stava
ondeggiando a ritmo di musica a fondo pista, suscitando l’ilarità di un
gruppetto di ragazze che l’attorniava. Caroline scosse il capo rassegnata: fare
il buffone durante gli eventi più formali di Mystic Falls era tipico di suo fratello. Aveva un talento naturale
nel riuscire ad attirare l’attenzione e sapeva sempre come ravvivare l’atmosfera,
quando le cose incominciavano a farsi noiose.
“E il piccolo teppista dove l’hai lasciato?”
chiese ancora Xander, guardandosi attorno alla
ricerca di Oliver. Non riuscì ad individuare nemmeno lui.
“A casa con l’influenza” rispose la ragazza,
dando una scrollata di spalle. “Mi preoccupa un po’, ultimamente” ammise poi.
“Si comporta in modo strano, è sempre nervoso e sembra più distaccato del
solito.”
“Ma va, sta benissimo” la rassicurò
bonariamente Xander. “Magari si è trovato la
fidanzatina. Tra l’altro, a proposito di fidanzati, dame e accompagnatori…”
aggiunse, facendo ruotare leggermente Caroline per poterle indicare qualcuno
alle sue spalle, “…Sembra che al cavaliere di Harper
caschi un po’ troppe volte l’occhio verso di te” osservò, mentre Caroline sbirciava
in direzione della coppia. Intercettò lo sguardo di Bryant che le sorrise,
chinandosi poi in avanti per sussurrare qualcosa nell’orecchio alla sua
dama. “Il buon vecchio Cooper si è preso
una cottarella, mi sa!” proseguì Xander, abbassando il tono di voce. “Mi toccherà fargli il
sedere a strisce durante i prossimi allenamenti di hockey!”
“E perché mai?” lo interrogò la ragazza,
inarcando un sopracciglio. “Non sarai mica geloso, Xander
Bello?”
L’amico le fece la linguaccia
“Proprio no, nanetta,
ma ho promesso a tuo fratello maggiore che ti avrei tenuta d’occhio” spiegò,
facendole fare una giravolta. “Et voilat! E poi insomma, stiamo parlando di Cooper”
aggiunse, tornando ad appoggiare una mano sul fianco di Caroline. “Dai, quello
si spreme il formaggio spray direttamente in bocca! Non va bene per un tipetto
schizzinoso come te!”
“Parli proprio tu che odori sempre di biscotti e
patatine!” lo rimbeccò Caroline, dandogli un colpetto con il piede.
“Beh, ma quelli sono buoni! Io profumo!” si difese
tronfio il ragazzo, prima di abbandonare l’espressione scherzosa. “Ti ho già
detto che vestita così stai benissimo, vero?” chiese.
Caroline si sentì arrossire. Distolse lo sguardo,
non riuscendo a non sorridere.
“Anche tu sei carino” rispose, analizzando con tenerezza
l’aspetto insolitamente curato ed elegante dell’amico, “Anche se ammetto che il
tuo crestino un po’ mi manca: non c’è gusto a spettinarti così e non posso
nemmeno più chiamarti porcospino!”
gli fece notare, improvvisando un broncio infantile. Xander
sorrise.
“Io invece
posso ancora chiamarti nanetta bionda, guarda un po’!” commentò
scherzosamente. “Mi hai sorpreso, signorina Lockwood” esclamò poi, tornando ad
assumere lo sguardo addolcito di poco prima. “Non pensavo che avresti accettato
sul serio di partecipare alla cerimonia. È stato bello vederti scendere da
quelle scale.”
Caroline sorrise.
“Sono felice
di averlo fatto, sai?” ammise, distogliendo lo sguardo, appoggiando il capo sul
petto del ragazzo.
Lo era davvero.
“Sono felice anch’io.”
Xander
le sorrise. Si chinò in avanti per posarle un bacio sui capelli e tornò a
cingerle la vita, guidandola lungo la pista da ballo. A prescindere da come si
sarebbe concluso il concorso, Caroline sentiva di aver già ottenuto una piccola
vittoria.
***
I'm dying to catch my breath
oh why don't I ever learn
I've lost all my trust that
I'm sure we try to
Turn it around
All I Need. Within Temptation
Dopo l’ennesimo bicchiere di
vino e qualche risata strappata ad alcune ragazze che aveva conosciuto quel
mattino, Ricki incominciò a domandarsi come se la stesse passando Vicki. La
cercò al centro del salone e la trovò intenta a ballare un lento assieme al suo
accompagnatore. Sembrava radiosa; per nulla delusa, in apparenza, dalla
presenza di Eric al suo fianco, lì dove avrebbe dovuto esserci lui. Il giovane
sbuffò, posando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo e si incamminò zoppicante
lungo lo spiazzo adibito al ballo. Intercettò l’espressione vivace di sua
sorella che stava ridendo di qualcosa che Xander le
aveva appena sussurrato all’orecchio. Le fece l’occhiolino e raggiunse
Victoria, facendo del suo meglio per non esordire in smorfie di dolore ogni
volta che poggiava il piede a terra. Si schiarì la voce e picchiettò una mano
sulla spalla di Eric, che gli rivolse un’occhiata incuriosita.
“Ehilà!” esclamò, stringendosi nelle spalle. “Bella cerimonia,
eh?”
“Che cosa c’è, Ricki?” lo interrogò Victoria.
Non c’era rabbia o delusione nel suo sguardo, ma nemmeno il classico brillio di
vivacità che era solito ravvivarlo.
“Quindi sei tu Ricki?”
chiese l’accompagnatore della ragazza, aprendosi in un sorriso amichevole. “Io
sono Eric” comunicò , tendendogli la mano. Ricki la strinse, analizzando
circospetto l’espressione imperturbata del giovane. Aveva l’aria di essere una
bravo ragazzo e la cosa, stranamente, lo infastidì.
“Sì, molto piacere” rispose
sbrigativo, ritirando la mano. “Ti spiace se prendo in prestito la tua dama per
un ballo?”
Tornò ad osservare Victoria
che sembrò esitare, combattuta tra la sorpresa e il desiderio di opporsi.
Eric si voltò verso di lei
come a volersi assicurare che fosse d’accordo. Vicki gli rivolse un timido
cenno del capo che risultò fuori luogo, in contrasto con i modi di fare
esuberanti e decisi che la caratterizzavano in genere. Eric si allontanò e
Vicki si lasciò guidare da Richard al centro dello spiazzo lasciato libero per
le danze.
L’emozione provata nel
momento in cui lui la cinse per i fianchi si affievolì in fretta, respinta dal
ricordo della delusione di poco prima. Ripensò al proprio sguardo che frugava
speranzoso la folla e non riuscì a non rivolgergli un’occhiata di rimprovero,
nel sistemargli le braccia attorno al collo.
Non era la prima volta che le capitava di
aspettarlo inutilmente. C’era una parte di lei che aveva l’abitudine di
cercarlo ovunque, senza nemmeno sforzarsi di nasconderlo. Alle feste, sugli
spalti durante le partite e perfino in giro per casa, quando Jeffrey non era in
Florida. Vicki era abituata a non lasciarsi intaccare dalla delusione
quando le sue ricerche non andavano a
buon fine, ma quella volta le cose erano andate in maniera diversa. Era stato
Ricki a decidere che ci sarebbe stato, a promettere che si sarebbe fatto
trovare. La sua promessa, tuttavia, non
era stata mantenuta.
Sospirò, decidendosi
finalmente a ricambiare lo sguardo del ragazzo. Avere quegli occhi scuri che la
osservavano così da vicino riusciva sempre a provocarle il bisogno di dimezzare
ulteriormente la distanza tra di loro. Quel pomeriggio, tuttavia, la sua
attenzione venne focalizzata su altro.
“Hai un aspetto orribile”
annunciò, alludendo all’aria stanca del ragazzo e al suo aspetto scombinato.
Ricki tirò un sospiro di sollievo.
“Grazie per aver aperto bocca.
Quando stai zitta troppo a lungo mi inquieti un attimino.”
“Si può sapere che avevi di
tanto urgente da fare stamattina?” chiese la ragazza, osservandolo con
insistenza. In quel momento Ricki le pestò un piede, ma Vicki non sembrava
affatto turbata dai suoi movimenti impacciati sulla pista. “E come mai
zoppichi? Sei andato a giocare a calcio?”
“Magari” commentò il
ragazzo, prima di intercettare la sua espressione interrogativa. “Intendevo dire… magari ci fossi andato ieri sera. Non parlavo di
questa mattina!” si affrettò a specificare. “Il fatto è che ieri, dopo il
Grill, ero talmente esausto che mi sono addormentato sul volante. Ho dormito in
macchina e mi sono svegliato tardi, così sono corso a casa per cambiarmi. Ho
cercato di arrivare qui in tempo, ma ho mancato l’inizio della cerimonia per
un soffio….Scusa!”
fu costretto ad aggiungere, quando il suo piede si scontrò accidentalmente con
quello della ragazza. Vicki spostò il suo, minimizzando con un cenno del capo.
“Sei senza speranze”
commentò poi, lasciando affiorare un sorriso divertito. Ricki diede una
scrollata di spalle.
“Sono dannatamente simpatico
e incredibilmente sexy, per questo mamma e papà mi hanno fatto goffo: non
potevo nascere senza difetti” spiegò, improvvisando un inchino con il capo.
“Sul sexy non ho nulla da
ridire” osservò la ragazza, “Ma lo è anche Eric e lui non mi ha mai pestato il
piede in tutta la mattinata”
commentò, rivolgendogli
un’occhiata eloquente. Ricki fece una smorfia.
“Beh, questo Eric è
sicuramente gay” concluse, rivolgendo al ragazzo un’occhiata di sottecchi.
“Non è gay, Ricki. Te lo
posso assicurare.”
“Dai, hai visto con che genere di abbronzatura
se ne va in giro?”
Vicki gli rivolse
un’occhiata interdetta.
“Ma che cosa c’entra?”
“E poi balla! Scommetto che a
casa ha una collezione di tutù rosa…”
“Insegna hip
hop, non danza classica” lo contraddisse
la ragazza, pur non riuscendo a trattenere un sorriso. Ricki le rivolse
un’occhiata attenta, cercando di scorgere in lei qualcosa che potesse
suggerirgli se fosse arrabbiata o meno.
“Quanto mi odi al momento su
una scala da 3 a 10?” domandò infine, inclinando appena il capo. “L’uno e il due non ce li ho messi perché ho
immaginato che non ce ne fosse bisogno”
aggiunse poi in tono di voce scherzoso.
Vicki non gli rispose.
“Ti sei ubriacato ieri
sera?” domandò invece, senza più sorridere.
Ricki scosse il capo.
“No, certo che no!”
La ragazza non sembrava
convinta. Ricki sbuffò, fermandosi un istante per far riposare la caviglia
dolorante.
“Avevo avuto una serataccia,
Vic” commentò in sua difesa, ripensando con un
brivido agli avvenimenti della sera precedente. Victoria lo scrutò con
attenzione, le braccia ancora allacciate al suo collo .
“In questo momento vorrei
tanto sferrarti una delle mie letali piroette rotanti, lo sai?” commentò
infine, continuando a sostenere il suo sguardo. La delusione era evidente nei
suoi occhi, eppure continuava a sembrare incredibilmente tranquilla. Ricki si
era aspettato a più riprese che lo sorprendesse con uno schiaffo o una scenata
di qualche tipo, ma intuì presto che Vicki non fosse il tipo da lasciarsi
andare a quel genere di comportamenti. L’aveva sempre reputata un po’
infantile, troppo bambina nei suoi modi esuberanti, e per l’assenza totale di
vergogna che la spingeva a esternare ogni cosa con semplicità. Eppure, ogni
tanto, sapeva dare sfoggio a un certo livello di maturità che non si sarebbe
mai aspettato da lei.
“Vieni con me” dichiarò infine, sfilando la
presa dai suoi fianchi e porgendole la mano. La guidò oltre le coppie di
persone che ballavano, fermandosi a una decina di metri dai tavoli del buffet.
Vicki gli rivolse un’occhiata incuriosita, mentre Ricki tornava a mettersi le
mani in tasca. “Voglio solo essere sicuro che tu capisca questo: non l’ho fatto
intenzionalmente” spiegò il ragazzo, stringendosi nelle spalle. “Sarò anche un
cretino patentato, ma non sono uno stronzo. Non fino a questo punto. Non ti
avrei mai proposto di farti da cavaliere se non fossi stato sicuro al cento per
cento di volerlo fare. E non avrei corso il rischio di combinare un casino
rimanendo addormentato in macchina, se non ci fosse stato un motivo più che
valido.”
Vicki lo ascoltò in
silenzio, tenendo le braccia incrociate sul petto. Lo guardava con espressione
attenta, intenzionata ad analizzare con minuzia ogni sua parola ed espressione,
per paura di coglierci una falla.
“E qual è questo motivo più che valido?”
chiese infine, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Come?”
“Dicevi che ieri sera hai avuto una serataccia” ricordò ancora Victoria. “Per caso c’entra qualcosa lo sceriffo?”
Richard esitò, colto alla sprovvista.
“Mi devi almeno la verità, Ricki” osservò la ragazza, sostenendo il suo sguardo con determinazione. Richard si sfregò il capo con nervosismo e annuì.
“Stavo aiutando mio fratello” ammise infine, guardandosi poi attorno. Trovò subito Fell: stava parlando con un gruppetto di persone dall’altra parte della sala. Ricki fece una smorfia nella sua direzione e tornò a rivolgersi alla ragazza. “Senti, Vic, la verità è questa. Ci sono delle persone qui a Mystic Falls che hanno delle doti fuori dal normale. E non sto parlando del mio sedere perfetto, ma di roba forte, cose che non si vedono tutti i giorni. E allo sceriffo Fell queste persone non piacciono per niente.”
“Doti fuori dal normale?” ripeté Vicki, scrutandolo con aria improvvisamente allarmata. “Mica starai parlando dei Morgan, vero?”
Ricki le rivolse un’occhiata sbigottita.
“Che diavolo c’entrano i Morgan, adesso?” chiese, tornando a guardare Fell con espressione guardinga. “Io parlavo di Mase” aggiunse poi, abbassando il tono di voce.
Questa volta fu Vicki a sgranare gli occhi.
“Tuo fratello ha un dono?”
“Shhhh!”
Ricki si affrettò a zittirla, prima di passarsi con nervosismo una mano fra i capelli.
“Sì, quello di riuscire a rompere le palle come nessuno. Vic, mi spieghi che cosa c’entrano i Morgan in tutto questo?”
La giovane si morse il labbro, visibilmente in conflitto. Era sul punto di rispondere qualcosa, quando Carol Lockwood li raggiunse, interrompendo il loro discorso.
“Victoria, dovresti incominciare a raggiungere le altre concorrenti” spiegò, indicandole la gradinata principale, “Stiamo per comunicare i risultati del concorso.”
La ragazza annuì: tutto a un tratto avvertì le prime avvisaglie dell’agitazione punzecchiarle lo stomaco.
“Arrivo subito” rispose alla donna, voltandosi poi nuovamente verso di Ricki che sembrava intento ad analizzarsi con imbarazzo la caviglia.
“Ti fa male?” chiese, osservandolo apprensiva. Il giovane diede una scrollata di spalle.
“No, è che credo di essermi messo un calzino al contrario. Ascolta, Vic…” aggiunse poi, tornando serio. “Dobbiamo decisamente riprendere il discorso sui Morgan, dopo la cerimonia. È importante.” sottolineò, accennando a Fell con un cenno del capo.
Vicki non sembrava molto convinta, ma annuì comunque.
“Devo andare a raggiungere le altre” dichiarò
infine, cercando Caroline con lo sguardo. “Sappi che, comunque, non ti ho
ancora perdonato. Ma non sono arrabbiata.”
Ricki assunse un’espressione colpevole.
“Lo capirei
se tu lo fossi”
Vicki si scostò la frangetta
dagli occhi e sorrise.
“Dopo tutti questi anni, se
non avessi imparato a non prendermela con te, avrei trascorso ogni ballo
scolastico ingollando gelato e deprimendomi, di fronte al DVD di Dirty Dancing… Ecco tua sorella!”
esclamò poi con un sorriso, facendo cenno con la mano a Caroline. “Vado da lei,
prima che incomincino a tremarmi le gambe per l’agitazione!”
Il ragazzo annuì, tornando a
infilarsi le mani in tasca.
“Ehi, Vic!”
la interruppe poi, trattenendola per il polso. Si chinò verso di lei per
assicurarsi che riuscisse a sentirlo, al di là del frastuono generale. “Grazie per il ballo” le disse all’orecchio,
prima di incamminarsi verso i tavoli del buffet con le mani in tasca e l’andatura
ancor più zoppicante rispetto a poco prima. Vicki lo osservò allontanarsi in
silenzio, posando poi lo sguardo sulle
coppie che ancora danzavano al centro della stanza. I suoi occhi erano tornati
a ravvivarsi della solita vivacità.
“Avrei mai potuto dirti di
no?” sussurrò in risposta, consapevole
del fatto che Ricki fosse troppo distante per poterla sentire.
I tried many times but nothing
was real
Make it fade away, don't break
me down
I want to believe that this is
for real
Save me from my fear
Don't tear me down
All I Need. Within Temptation
***
“Sono un ottimo ballerino, ricordi? Posso tenerti con
me?”
Casper. 1995
Oliver guidò Anna in una delle tante salette adiacenti al
salone principale. La musica risuonava attutita in lontananza, suggerendo che
le tre coppie protagoniste del concorso avessero già incominciato a ballare. Di
tanto in tanto la voce di qualche presente li raggiungeva dal corridoio. La
preoccupazione di Anna al pensiero che qualcuno potesse sorprendere Oliver a
parlare da solo sfumò quasi subito. Era difficile restare impensieriti troppo a
lungo in compagnia di quel ragazzo.
“Come mai mi hai portata
qui?” domandò incuriosita. Oliver le sorrise.
“Tutte le partecipanti a Miss Mystic Falls dovrebbero aprire le danze contemporaneamente”
rispose, sistemandosi di fronte a lei. “Non hai potuto partecipare la prima
volta, ma potresti farlo ora.”
Annabelle gli rivolse un’occhiata incredula,
senza riuscire ad aggiungere nulla.
“Forse non te l’ho detto, ma sono un ottimo ballerino” proseguì il ragazzo,
tendendole la mano. “Ti va di ballare?”
Anna annuì, stringendo la mano che il ragazzo le porgeva. Quel contatto non
aveva consistenza, così come il tocco di Oliver sul suo fianco. Le dita del
ragazzo erano disegnate sulla sua pelle, sul suo vestito, ma non la sfioravano
per davvero.
“Non possiamo toccarci” osservò
infine la ragazza, un po’ in imbarazzo. Il sorriso di Oliver si estese.
“Sono un’artista” le ricordò,
stringendosi nelle spalle. “Non ho bisogno di sforzarmi più di tanto per
immaginare quello che non c’è.”
Annabelle ricambiò il sorriso, stringendosi a
lui. Quella frase racchiudeva alla perfezione tutto ciò che pensava di Oliver.
Non erano molte le cose che riuscivano a ostacolare il suo ottimismo; aveva la
capacità innata di sapersi fabbricare la felicità con poco. Certe volte gli
bastavano una manciata di fogli bianchi e una matita, altre un cielo stellato o
la scia di qualche aereo solitario. Spesso anche solo un sorriso. Sapeva
lasciare in chiunque lo circondasse un’impronta di quella serenità che doveva
averlo caratterizzato fin da piccolo.
Anna era grata di aver trovato la sua amicizia. Le piaceva ascoltarlo quando
fischiettava qualche vecchia canzone ad un ritmo pacato, completamente sfasato
da quello originale, come se anch’esso fosse calibrato a rispettare l’animo
tranquillo del ragazzo. Aveva trascorso molti pomeriggi a chiacchierare con lui
o ad osservarlo lavorare a uno dei suoi modellini e la sua compagnia l’aveva
aiutata a sentirsi meno sola.
Every now and then
We find a special friend
Who never lets us down
I due ragazzi continuarono a
ballare, ignorando il volume basso della musica che proveniva dal salone
principale. Oliver non aveva detto una bugia: se la cavava davvero bene come
ballerino.
“Sembri felice” osservò
improvvisamente Anna. “Più del solito” .
Il ragazzo arrossì leggermente.
“Lo sono, perché ho risolto i miei
problemi con Mase” ammise, riferendosi alla conversazione avuta con l’amico
quella mattina. “In realtà sono un po’ spaventato per via di quello che mi ha
confessato, ma non riesco a preoccuparmene in questo momento. La mattinata è
trascorsa benissimo; sembrano tutti sereni e anche tu sorridi di più” aggiunse.
Anna strinse le braccia attorno al collo del ragazzo e chinò appena il capo per
nascondere l’improvviso filo di malinconia nel suo sguardo.
“Vi meritate un po’ di tranquillità” disse con
decisione, prima di tornare a ricambiare lo sguardo di Oliver. “Tu e la tua famiglia…
I tuoi amici. Sono contenta che non siate più in pericolo.”
“Dovrei ringraziarti per aver
cercato di metterci in guardia” osservò in quel momento Oliver. “Sono felice
che tu sia venuta da me: ho guadagnato un’amica” ammise con semplicità. Quelle poche frasi
sembrarono alimentare la tristezza tratteggiata nello sguardo di Anna.
Who understands it all
Reaches out each time you fall
You're the best friend that I've found
“C’è qualcosa che non va?” domandò
improvvisamente il giovane, rivolgendole un’occhiata impensierita. “Non sorridi
più.”
Lentamente, la ragazza scosse il
capo.
“Stavo ripensando alla sera in cui
mi hai vista per la prima volta” spiegò infine.“Non avrei mai immaginato che fosse
possibile comunicare con te. Quando eri più piccolo mi fermavo spesso a
osservare la tua famiglia, sai?” aggiunse, sorridendo della sua espressione
incuriosita. “Mi piaceva sedermi accanto a te e a Jeremy per guardarvi
disegnare. I tuoi fogli erano sempre pieni di nuvole e aerei di tutti i colori”
ricordò, facendo ridere il ragazzo. “In un certo senso credo di averti
considerato mio amico sin da allora. Eri sempre sorridente e mi riusciva facile
immaginare che qualcuno di quei sorrisi potesse essere rivolto a me.”
Oliver si strinse nelle spalle.
“Ti avrei sorriso di sicuro, se
avessi saputo che eri lì” confessò,
ripensando alle tante serate trascorse a disegnare alla luce delle
stelle in compagnia del padre. “Vorrei che tu non avessi quello sguardo”
dichiarò a un certo punto, destando la preoccupazione della ragazza.
“Quale sguardo?”
“Lo sguardo di chi sta per
andarsene.”
Annabelle gli rivolse un’occhiata colpevole.
“Sapevi che non sarei rimasta ancora
a lungo” gli ricordò, avvolgendo in maniera un po’ più salda le proprie braccia
attorno al collo del ragazzo. Non servì a molto; l’assenza di consistenza del
proprio corpo la faceva sentire come se potesse scivolare via da un momento
all’altro. “Forse non dovresti più cercarmi così spesso.”
“Perché?” la interrogò il giovane,
smettendo di ballare. “Perché le cose non possono restare così come sono? La
tua presenza non fa del male a nessuno.”
Annabelle scosse il capo.
“Sono un fantasma, Oliver” rispose.
“Non faccio parte del tuo mondo. Tu vivi nel presente, io sono il passato. Non
è mai un bene mescolare le due cose tra di loro troppo a lungo.”
“Non voglio che tu vada via” ammise
il ragazzo, raccogliendo le mani di Anna nelle sue. “E non ho paura di fare
confusione fra presente e passato. Ho appena scoperto che il mio migliore amico
è un lupo mannaro. Penso di potermela cavare anche con un’amica fantasma, no?”
Quell’ultima osservazione fece
sorridere la giovane.
“Non me ne andrò” promise,
stringendogli le mani. “Sarò sempre qui
quando avrai bisogno di me. Anche le volte in cui non potrai vedermi.”
I know you can't stay
A part of you will never ever go away
Your heart will stay
Oliver sembrò rassicurarsi al suono
di quelle parole. Annuì, portando le braccia della ragazza a cingergli
nuovamente il collo.
“Balliamo ancora?” suggerì infine. Annabelle rise. Quando sollevò il capo per guardare il ragazzo negli occhi non poté fare
a meno di evocare il ricordo di un secondo sguardo, un po’ meno limpido, ma
tanto intenso quanto quello rivolto a lei in quel momento. Ripensò a un altro
giovane Gilbert dal sorriso dolce. A delle dita che si intrecciavano alle sue
con la stessa delicatezza di quelle di Oliver.
I due ragazzi tornarono a ballare,
questa volta in maniera più sciolta, come se avessero dimenticato di non poter
percepire l’uno il tocco dell’altro. Quando Anna spostò lo sguardo oltre le
spalle del giovane sobbalzò, notando all’improvviso la figura immobile di un
uomo. Qualcuno li stava osservando con sguardo incredulo dal lato opposto della
stanza.
Anche Oliver si accorse della sua
presenza; i suoi occhi indugiarono apprensivi sulla figura del padre e si
soffermarono sulla sua espressione confusa, quasi smarrita. Smise di ballare,
la mano ancora intrecciata a quella della ragazza. Jeremy fece qualche passo
verso di loro.
“Anna?” mormorò, incapace di
distogliere lo sguardo da lei. Il ricordo di Annabelle
aveva occupato i suoi pensieri per l’intera mattinata, estraniandolo dal
presente e riportandolo mentalmente a un’altra cerimonia di Mystic
Falls. All’epoca lui non era poi molto più grande di
Oliver. La noia provata al pensiero di dover partecipare a una simile
ricorrenza era scomparsa nel momento in cui la ragazza aveva fatto ingresso nel
salone principale della Hall. Spazzata via in fretta dal sorriso che Annabelle aveva rivolto a Jeremy quel pomeriggio di
venticinque anni prima.
Da tempo pensava che non
l’avrebbe più rivista. Anna era da sempre il fantasma di quel passato che
ancora gravava sulle sue spalle. Un passato che stava imparando a lasciarsi
indietro poco a poco per non rischiare di venire schiacciato a terra dal
suo peso.
Adesso che lei era di nuovo
lì, di fronte a lui, non avrebbe più voluto distogliere lo sguardo. La chiamò
ancora, come se temesse di vederla sparire da un momento all’altro.
I'll make a wish for you
And hope it will come true
That life would just be kind
To such a gentle mind
Annabelle annuì. Continuava a non avere percezione del proprio corpo, ma
le sue emozioni si erano fatte improvvisamente nitide, con un’intensità tale da
fare male. Per anni la giovane aveva vegliato su di Jeremy in silenzio. Più
volte gli aveva sorriso, posandogli una carezza sul capo quando il pensiero
delle persone che aveva perso lo opprimeva, spegnendo il suo sguardo
all’improvviso. In quei momenti era stato più facile dirgli addio, promettendo
a se stessa di non tornare ogni volta. Sembrava tutto più complesso ora che i
suoi occhi erano consapevoli di essere attraversati dallo sguardo di Jeremy.
Ora che lui la vedeva per davvero.
“Ciao, Jeremy”
La sua voce si incrinò leggermente mentre quel
nome scivolava fuori dalle sue labbra, accarezzandole come aveva smesso di fare
da tempo. Annabelle lo guardò a lungo, sforzandosi di
sorridergli. Gli occhi di Jeremy si erano fatti lucidi e l’espressione spenta
che aveva offuscato il suo volto nel corso della mattinata aveva lasciato il
posto a una maschera di incredulità e malinconia.
C’erano tante cose che
premevano sulle labbra dell’uomo per farsi avanti e venire pronunciate.
Talmente tante che alla fine Jeremy scelse di non dire nulla. Tutto a un tratto
gli sembrò di aver parlato per ore solo guardandola.
Annabelle scosse il
capo, come a volerlo rassicurare. Infine tornò a sorridere. Ciò che Jeremy vide
in quel momento fu il sorriso della Anna dei suoi quindici anni; quella ragazza
un po’ strana, ma carina che aveva incontrato un pomeriggio in biblioteca. La
persona che l’aveva risvegliato dal torpore forzato che si era cucito
addosso per cercare di sfuggire al dolore.
Rispose a quel sorriso, un
sorriso rigato dalle lacrime di lei, e tese la mano in avanti, adagiandola
contro quella di Anna. Ancora una volta, come era accaduto anni prima, le loro
dita si intrecciarono e Jeremy sentì i propri polpastrelli affondare nel nulla.
Per un attimo gli parve quasi di poter avvertire il calore delle lacrime di Annabelle
che scivolano a inumidirgli la pelle.
If you lose your way
Think back on yesterday
Remember me this way
Fece appena in tempo a sorriderle
un’ultima volta e a tenderle la mano libera per asciugarle una guancia, che la
ragazza scomparve.
Il panico subentrò con prepotenza,
avvolgendogli lo sterno.
“Non c’è più?” mormorò, voltandosi
verso il figlio e interrogandolo con lo sguardo. Oliver scosse il capo,
rivolgendogli un’occhiata malinconica. Annabelle era
ancora lì vicino: la mano di Jeremy le stava sfiorando delicatamente una
guancia, ma lui non poteva saperlo. La ragazza annuì flebilmente in direzione
di Oliver, senza riuscire a controllare le lacrime che continuavano a rigarle
gli zigomi.
“Non se ne è andata” ammise il
giovane, avvertendo tutto a un tratto il cuore pesante. “Ma tu non puoi
vederla”.
Jeremy aggrottò appena le
sopracciglia prima di guardarsi attorno. Sperava di riuscire a scorgere la
figura di Anna da qualche parte nella stanza, ma non ci fu nessuno a ricambiare
il suo sguardo.
Sapeva che era lì, eppure poteva più
vederla.
“Perché?” mormorò, cercando una
risposta nello sguardo del figlio. Si passò una mano sul volto, la stessa che
poco prima aveva avvolto quella di Annabelle, e a
Oliver parve improvvisamente stanco, stanco e affaticato.
Si chiese quanto avesse sofferto da ragazzino
nel vedersi strappare via le persone che amava una alla volta, senza avere
nemmeno il tempo di poter dire loro addio. Si chiese quanto ancora avrebbe
sofferto e quanto fosse ingiusto il fatto che non potesse fare nulla per
aiutarlo a lenire quel dolore.
“Perché vuole che tu sia felice”
ammise infine, poggiando una mano sulla spalla del padre.
And I'll be right behind your shoulder watching you
I'll be standing by your side and all you do
And I won't ever leave
As long as you believe *
Solo in quel momento si accorse che la
stanza era piombata nel silenzio. La musica era cessata e la voce di Carol
Lockwood era appena percepibile per via della lontananza di quella stanza dal
salone principale. Il basso volume non riuscì ad impedire ad Oliver di
avvertire distintamente il nome di sua cugina, seguito da un boato di
approvazioni: Victoria aveva vinto.
“Dobbiamo tornare di là” riconobbe,
muovendosi in direzione delle porte. Solo quando tornò a voltarsi verso il
padre si accorse che Annabelle non c’era più.
Trascorse il resto del pomeriggio in compagnia dei suoi familiari,
ammirando orgoglioso il sorriso entusiasta di sua cugina. Vicki gli era
sembrata più volte sul punto di mettersi a saltellare per la gioia mentre
rimirava affascinata la fascia da Miss che portava al petto.
Oliver non ebbe modo di parlare da solo con il padre fino a sera, quando
Jeremy venne a trovarlo in camera sua. Chiacchierarono fino a notte fonda e
gran parte dei loro discorsi girarono attorno ad Annabelle.
Oliver riferì al padre di come avesse scoperto la sua foto in soffitta e Jeremy
gli raccontò del loro primo incontro in biblioteca. Oliver gli fu grato per
essersi confidato con lui. Sperava che, ascoltandolo, l’avrebbe aiutato ad
alleggerire il peso di quei segreti che manteneva in silenzio da tempo.
Prima di andare a dormire Jeremy chiese al figlio se pensava che Anna
sarebbe tornata presto
Oliver rispose di sì.
Eppure, una parte di lui non faceva
altro che domandarsi se l’avrebbero ancora rivista.
“Aspetta… Dove vai?”
“Dove posso proteggevi, fino a che non saremo di nuovo
assieme”
Casper. 1995
***
“Ehi!” esclamò Caroline,
non appena individuò Tyler all’ingresso del giardino sul retro. Erano da poco
trascorse le otto e i quattro Lockwood dovevano essere appena rincasati. “Come
è andata la cerimonia?”
Tyler si strinse nelle
spalle.
“Siamo stati bene” rispose, infilandosi le
mani in tasca. “Il titolo l’ha vinto Vicki, ma ho visto mia figlia davvero
contenta. Le ragazze si sono divertite parecchio. A voi come andata?”
“Tutto
tranquillo” rispose la ragazza, cercando Mase con lo sguardo. Lo trovò
seduto di spalle sul muretto che delimitava il giardino della tenuta . “Tuo
figlio mi ha fatto il bagno” non riuscì a fare meno di aggiungere.
Tyler le rivolse un’occhiata perplessa.
“Mi ha tirato l’acqua addosso” specificò
Caroline, non riuscendo a trattenere un
sorrisetto. “Ma poi si è calmato: ha passato tutto il pomeriggio a leggere.”
“Questo è già più da lui” osservò Tyler. “Mason
legge di continuo. Non lo diresti, ma è piuttosto intelligente e studia
volentieri. A scuola ha una media molto
alta.”
“Siamo sicuri che sia tuo figlio?” lo interrogò la
vampira, dandogli un colpetto con il gomito. L’uomo scosse il capo con fare
divertito.
“La sua condotta però fa schifo, però!” specificò,
mettendosi a braccia conserte. “Ha già rischiato di venire sospeso più volte.”
“Ecco, ora riesco a vedere le somiglianze!”
Tyler si mise a ridere.
“Pensi che
stia bene?” domandò poi, voltandosi in direzione del figlio.
“Io credo di sì” rispose la ragazza con
convinzione, guardando a sua volta verso Mase. Lo osservò stiracchiarsi e intrecciare le
dita dietro la nuca con il capo rivolto verso l’alto. Si sorprese a sorridere,
cercando di indovinare a cosa stesse pensando: i suoi silenzi la incuriosivano.
Dentro quella mente in continuo movimento avrebbe potuto esserci davvero di
tutto. Si chiese quanti pensieri dovesse
avere accumulato a forza di tenersi dentro ogni cosa.
Quando distolse lo
sguardo dal ragazzo si accorse che l’attenzione di Tyler era tornata a
rivolgersi verso di lei. Tutto a un tratto si sentì quasi a disagio, come se lo
sguardo dell’ uomo l’avesse sorpresa a compiere qualcosa di sbagliato. Fu una
sensazione che durò troppo poco per poter essere afferrata a pieno.
“Hai una bellissima
famiglia” ammise infine. Lo disse con semplicità, stringendogli affettuosamente
un braccio. Prima del suo ritorno a Mystic Falls non pensava che sarebbe mai riuscita a rivolgersi a
lui con la scioltezza di una volta. Temeva di aver dimenticato come fare a
sorridergli senza sentirsi gli occhi umidi di lacrime. La lontananza aveva
rafforzato le sue paure e indebolito il ricordo di quanto ci fosse stato tra di
loro ancor prima che diventassero più che amici. Quando aveva abbracciato Tyler per la prima volta
dopo dieci anni si era tuttavia riscoperta forte, molto più incline a fare un
passo indietro rispetto che a fuggire ancora una volta e a perdere tutto di
nuovo.
“Sono davvero orgogliosa del padre che sei
diventato” aggiunse.
Quando guardava Tyler negli
occhi vi leggeva qualcosa che i primi tempi l’aveva messa in soggezione, ma che
ormai riusciva solo più a strapparle un sorriso malinconico. Il suo era uno
sguardo che la spingeva ad evocare ricordi che nemmeno ricordava più di
possedere. Immagini poco nitide di una ragazzina bionda sulle spalle del padre
durante la parata di Mystic Falls.
Si sentiva piccola di fianco a Tyler. Era davvero un’adolescente che osservava
con ammirazione un padre di famiglia e provava orgoglio nei confronti del
percorso che aveva fatto. Era fiera del
suo essere uomo, marito e padre. Anche se la donna al suo fianco non aveva
potuto essere lei.
Tyler le sorrise, ma la
sua espressione si fece meno distesa quando il suo sguardo tornò a sorvegliare
i silenzi del figlio minore.
“Non penso di essere poi
così in gamba, come padre” ammise. “Certe volte ho perfino paura a guardarli,
perché temo di scoprirli arrabbiati o delusi.”
“I tuoi figli ti adorano” osservò la vampira, sorridendogli rassicurante. “Tu e
Lydia avete fatto un ottimo lavoro con loro.”
Tyler si strinse nelle
spalle.
“Vorrei solo che
stessero bene” spiegò. “Faccio del mio meglio per proteggerli, ma a volte mi
fisso così tanto con questa cosa che finisco per perdermi dei pezzi importanti
per strada. E ho paura di poter diventare come lui.” rivelò, voltandosi verso di Caroline.
“Tu sei migliore di tuo padre” rispose la ragazza in tono di voce fermo.
Tyler la fissò con
intensità con qualche istante, come se stesse cercando di trarre convinzione
dalle sue parole. Infine annuì.
“Grazie per
l’aiuto che ci stai dando” disse infine.
Caroline gli sorrise.
“Mi piace
passare del tempo con voi” rispose.
Istintivamente il suo sguardo tornò a dirigersi
verso di Mase. Il giovane aveva lo sguardo rivolto verso l’alto e sembrava
intento ad analizzare con diffidenza la luna.
Caroline sentì che era arrivato il momento di tirare
fuori qualche verità taciuta a lungo.
Attese che Tyler fosse rientrato in casa e raggiunse il muretto al fondo
del giardino.
“Non guardarla così” mormorò infine, sedendosi di fianco a Mason. Il ragazzo le rivolse un’occhiata distratta prima di tornare a fissare bieco la luna. “Non ti farà più del male. Non questa sera.”
“Ma tornerà a farmene
fra un mese ” rispose il ragazzo, distogliendo lo sguardo dal cielo. La
tranquillità che aveva mostrato quel pomeriggio sembrava essersi dissolta con
l’arrivo del buio. “Ad ogni
luna piena si ripeterà tutto di nuovo. E io ce l’ho fatta a malapena a superare
questa.’
“A lungo andare diventerà
un’abitudine” cercò di rassicurarlo la ragazza; lo osservò rivolgerle
un’occhiata sfiduciata e sospirare, mentre il nervosismo tornava a tinteggiare
di ombre la sua espressione. “Tuo padre ci convive da quando era poco più
grande di te, ci riuscirai anche tu” aggiunse, addolcendo il tono di voce.
“Io però non sono come lui” rispose
asciutto il ragazzo, incominciando a colpire il muretto con il tallone.
Caroline si morse un labbro. Intuì di aver scelto le parole più sbagliate del
mondo per rincuorarlo. “Mio padre è la persona più forte che conosca: può
gestire tutto questo. Io sono solo…”
Mason si interruppe, sforzandosi di
trovare le parole adatte per completare la frase. Infine sbuffò e saltò giù dal
muretto. Era arrossito e la sua espressione sembrava essersi fatta nuovamente
tesa, quasi arrabbiata. Caroline sapeva che avrebbe impiegato poco ad innalzare
nuovamente le sue barriere. Presto sarebbe fuggito, un po’ come immaginava
avesse fatto per anni quando la balbuzie
interveniva nei suoi discorsi, mettendolo in imbarazzo. Se da bambino
balbettava a parole, adesso sembrava che fossero le emozioni ad uscirgli fuori
sfasate. Mason ci inciampava di continuo, bloccandosi alle prime sfumature dei
suoi pensieri, senza mai raccontarsi del tutto. Dopo qualche tentativo si
stancava e la cosa finiva lì.
“Non devi pensare che tuo padre sia sempre
stato come lo vedi ora” riprese il discorso la vampira, per evitare che la
conversazione si estinguesse. “Da ragazzo ti assomigliava molto” aggiunse,
consapevole di quanto si stesse tradendo nel pronunciare quelle parole.
“E tu che ne sai?” ribatté
l’adolescente, rivolgendole un’occhiata infastidita. “Smettila di parlare di
lui come se lo conoscessi.”
La reazione brusca di Mason le
strappò un sorriso. Solo qualche minuto prima Tyler le aveva espresso le sue
insicurezze per il modo in cui stava crescendo i suoi figli. E adesso Caroline
aveva di fronte quel ragazzo che la guardava storto, pronto a sbraitare contro
chiunque osasse sporcare l’idea che si era costruito sul padre. Era evidente
che fosse il suo eroe. Gliel’aveva letto negli occhi quel mattino, quando Tyler
aveva affermato di essere orgoglioso di lui.
“Ne parlo così, perché io conosco
davvero tuo padre, Mase” ammise infine la vampira. “Lo conosco praticamente da
sempre.”
“Balle” ribatté secco lui, distogliendo lo sguardo.
“Ti sei solo presa una stupida cotta. Per un uomo sposato, tra l’altro.”
La sua espressione seccata convinse
Caroline a cambiare approccio. L’ultima cosa che voleva era fargli credere che si sarebbe messa in mezzo
fra i suoi genitori.
“Ricordi quando mi hai detto di
essere già stato alla riserva naturale?” domandò improvvisamente. Mason le
rivolse un’occhiata diffidente, prima di annuire.
“Lo sapevo già: ci siamo incontrati
lì una volta, quando eri piccolo. Eri in gita con la scuola e penso che ti
stessi nascondendo dai tuoi compagni.”
Mason aggrottò le sopracciglia,
ascoltando diffidente le sue parole. Tutto a un tratto si sentì a disagio; non
amava parlare della sua infanzia. Aveva sempre avuto un rapporto conflittuale
con i ricordi legati al suo passato.
“Non me lo ricordo” concluse poi
asciutto, sedendosi nuovamente sul muretto. Non stava mentendo: gli era tornata
in mente una gita alla riserva in cui si era allontanato dai compagni, ma non
ricordava di aver incontrato alcuna bambina, quel pomeriggio. Solo una coppia
di anziani un po’ burberi e una ragazza che all’epoca gli era parsa quasi
un’adulta. Una ragazza che si era seduta a terra vicino a lui e gli aveva
spiegato cosa significasse essere coraggiosi.
“Ti ho trovato vicino alla
staccionata” aggiunse la vampira, tenendo d’occhio la sua espressione con fare
vigile. “Abbiamo parlato dei lupi. Mi hai detto il tuo nome, prima di tornare
dalle insegnanti.”
Mason scosse il capo, ricominciando ad apparire nervoso: le parole di Caroline lo stavano mandando in confusione. I ricordi di quel pomeriggio alla riserva si erano fatti più vividi, ma non coincidevano con quelli della giovane. Non poteva essere lei la ragazza a cui sei anni prima aveva rivelato la sua paura dei lupi. Caroline non era molto più grande di lui, quindi all’epoca avrebbe dovuto essere poco più che una bambina.
Si accorse di sentirsi inquieto. C’era qualcosa che non tornava, qualcosa che stava incominciando a metterlo in agitazione. Ripensò alle varie annotazioni mentali che aveva raccolto sul conto della ragazza nel corso degli ultimi mesi. Ricordò quanto gli fosse sembrata insolitamente familiare i primi tempi e di come gli avesse rivelato con tranquillità di conoscere il segreto dei Lockwood. Ripensò al rapporto insolito che sembrava aver instaurato con Tyler e al modo in cui ne aveva parlato poco prima.
“Come conosci mio padre?” domandò infine, scrutandola diffidente. “E non rifilarmi la balla delle conoscenze di famiglia, perché tanto non me la bevo.”
Caroline sospirò.
“Eravamo compagni di scuola” rivelò infine, analizzando apprensiva l’espressione del ragazzo. “Io, Tyler, i Donovan e Bonnie Bennett. Andavamo tutti al liceo di Mystic Falls.”
Mason scese d’istinto dal muretto, come a volersi distanziare fisicamente dalle sue parole. Nel farlo si accorse che avevano preso a tremargli le mani: brandelli di supposizioni si stavano scaraventando l’uno contro l’altro nella sua testa, troppo in fretta perché il giovane potesse riuscire a metterli in ordine. La lucidità continuava a minacciare di abbandonarlo mentre cercava di fare ordine fra quegli indizi accumulati un po’ a caso. Cercava disperatamente di trovare qualche risposta in fretta, ma non c’era nulla che gli sembrasse sufficientemente plausibile.
“Mia sorella si chiama come te” mormorò, formulando la frase con lentezza, come se avesse paura di incespicare nelle parole.
Caroline Forbes era andata a scuola con suo padre. Di certo non era un’adolescente e forse non era nemmeno umana. D’un tratto Mase ripensò alla conversazione che aveva avuto assieme ai genitori, pochi giorni dopo la partita di hockey.
“Non era tua madre che usciva con papà” concluse infine. “Eri tu.”
Caroline annuì, sostenendo l’espressione accusatoria
del ragazzo. Gli doveva la verità e filtrarla o alleggerirla in qualche modo
avrebbe solo concluso per peggiorare la situazione.
Mason sbuffò, posandosi una mano dietro la nuca.
Caroline avrebbe voluto avvicinarsi e cercare di confortarlo, ma il modo in cui
il giovane la freddò con lo sguardo glielo impedì. Sembrava arrabbiato e
deluso, più che smarrito o spaventato.
“Come?” si
limitò a mormorare, guardandola con insistenza,
“C-co-come è possibile?”
“Tu sei un lupo mannaro” rispose la ragazza,
scendendo dal muretto. Mase fece un passo indietro. “Le tue ferite guariscono,
hai i sensi iper-sviluppati
e una forza e un’agilità fuori dal normale. Anche io ho qualcosa di diverso”
rivelò, muovendo qualche passo avanti. “Quello che sono mi permette di non
invecchiare mai. Posso crescere, ma non invecchiare.”
Mason rimase in silenzio, limitandosi a scrutarla
incollerito.
“Mi hai mentito!” ringhiò infine, continuando a
tenersi a distanza. Caroline si sorprese di quella reazione improvvisa.
“Non ti ho mentito!” si oppose, scuotendo il capo con decisione. “Avevo
promesso che ti avrei detto tutto subito dopo la luna piena, e infatti…”
“Avevo ragione!” sbottò il ragazzo, impedendole di
completare la frase. “Tutto il tempo che hai passato con me, i pomeriggi alla
riserva, la luna piena… L’hai fatto per papà, solo
perché te l’aveva chiesto papà!”
“Tyler non mi ha chiesto di fare nulla!” ribatté la ragazza in tono di voce fin troppo
alto. Le sue parole incollerite l’avevano lasciata di stucco. Non aveva mai
preso in considerazione l’idea che Mason attribuisse così tanta importanza a
tutto quello che faceva per lui. Il più delle volte sembrava accorgersi a
malapena della sua presenza, come se averla a fianco non facesse alcuna
differenza per lui. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse sempre
stato evidente il contrario. Si era sbagliata.
“Sono stata io a chiedergli se potessi tenerti
d’occhio” spiegò, sforzandosi di lasciar trasparire la sincerità attraverso il
tono di voce. “Ho scelto io di starti vicina.”
Mason scosse il capo e distolse lo sguardo.
“Ma l’hai fatto per lui” ribatté in tono di voce
improvvisamente atono. La nota di accusa di poco prima sembrava essere svanita.
Non c’era più rabbia nel suo sguardo. Solo una delusione intensa e dolorosa che
Caroline faticò a sostenere. Si sentiva in dovere di rassicurarlo come aveva
fatto nel corso degli ultimi due mesi. Aveva promesso a se stessa che se ne
sarebbe presa cura, ma alla fine a
fargli del male era stata lei.
“Forse all’inizio sì” ammise infine, “Sono tornata a
Mystic Falls per
riallacciare i legami con il mio passato e Tyler era uno dei motivi principali
per cui volevo farlo. Ma poi ti ho conosciuto” aggiunse, abbozzando un
sorriso. “Ti ho visto fare a botte alla
partita di hockey e credo di aver pensato che ti avrebbe fatto comodo un po’ di
aiuto. Quando hai scatenato la maledizione
ho capito che starti vicina avrebbe fatto bene a entrambi. Ed è stato
così” si interruppe per riprendere fiato, voltandosi in direzione del ragazzo.
Mason era tornato ad appoggiare la schiena al muretto e scrutava impassibile il
retro della tenuta, le braccia conserte sul petto.
“Qui a Mystic Falls non c’era più nulla
che riuscisse a farmi sentire me stessa, ma starti accanto mi ha aiutato.
Spesso mi ha fatto sentire come se non me ne fossi mai andata. Mi sto
affezionando molto a te.”
Mason non rispose. Caroline non aveva mai dato peso
più di tanto ai suoi silenzi prolungati o alle loro conversazioni che calavano
bruscamente nel nulla, ma quella sera l’assenza di risposte da parte si stava
rivelando difficile da sostenere. Cercò di guardarlo negli occhi; vi lesse la
stessa diffidenza marcata che aveva riconosciuto nel suo sguardo i primi tempi.
D’un tratto si sentì agitata. La
impensieriva il pensiero di dover rinunciare ai timidi progressi che la loro
amicizia aveva mosso nell’ultimo periodo.
“Hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me” disse, tornando a sedersi
sul muretto. “Ma ho bisogno che tu mi
creda. Guardami” lo richiamò decisione. “Ti sembra che stia mentendo?”
Finalmente il ragazzo si decise a ricambiare il suo
sguardo.
“Chi sei?” domandò, appoggiando un gomito al
muretto. “Che cosa sei?”
Caroline si lasciò sfuggire un sospiro.
“Un vampiro” rivelò, mordicchiandosi il labbro.
Mase sgranò gli occhi.
“Non devi
avere paura di me” si affrettò ad aggiungere la ragazza. “Non farei mai del
male a te o alla tua famiglia. Convivo con questa cosa da diverso tempo, ormai,
e so controllarmi.”
“Succhi il sangue alle persone?” domandò il giovane,
scrutandola con diffidenza. Il modo infantile in cui lo chiese la fece
sorridere. Sembrava ancora distante, volutamente distaccato, ma in maniera minore rispetto a poco prima.
“Ogni tanto. Il più delle volte mi rifornisco di
sacche ematiche rubate a qualche ospedale” spiegò, continuando a tenere
d’occhio la sua espressione di sottecchi. Notò che Mase era tornato a sedersi
sul muretto come lei e questo la rassicurò leggermente. “Non è la stessa cosa,
ma si finisce per farci l’abitudine. Meglio il sangue umano in sacche che
quello degli animaletti, comunque, su questo non ci sono dubbi. Gusto orrido a
parte, certi hanno dei musetti così teneri e indifesi…”
“Se sei un vampiro significa che sei morta?” domandò
improvvisamente il ragazzo, interrompendo il suo fiume di parole. Caroline
annuì.
“Avevo
diciassette anni” rispose, ripensando con una stretta al cuore alla confusione
e al panico di quella notte.
Mason le rivolse una lunga occhiata che la vampira
non fu in grado di decifrare, prima di distogliere lo sguardo. Sembrava
turbato. Più volte parve sul punto di chiederle qualcosa, ma non lo fece.
“Mio padre ti è stato vicino?” domandò
all’improvviso, riprendendo a colpire ritmicamente il muretto con il tallone.
Nonostante l’atteggiamento impassibile Caroline riuscì ad individuare una punta
di apprensione nel suo sguardo e si sentì attraversare da un moto di tenerezza.
“Molto più di
quanto lui stesso creda” rispose, sorridendogli con dolcezza. “La nostra amicizia ha incominciato a
crescere proprio in quel periodo. Tyler ha scatenato la maledizione poco dopo
la mia transizione in vampiro e questo ha inciso molto sul nostro rapporto.”
Mason aggrottò le sopracciglia.
“Quanti anni hai?” domandò.
Caroline arrossì.
“Ho la stessa età di tuo padre” ammise, portandosi
le mani in grembo. “Non mentivo quando ti ho detto che andavamo a scuola
assieme.”
“Che?” esordì Mason, sgranando gli occhi, allibito.
“Stai dicendo che sei vecchia?”
La vampira gli rivolse un’occhiata stizzita.
“Non osare!” lo rimbeccò, dandogli uno schiaffetto
sulla spalla. “Non sono per niente vecchia!”
“Come no! Sei quasi decrepita!”
“Mason!”
Caroline gli sferrò una spintarella, cercando di
sbilanciarlo dal muretto. Mason scoppiò a ridere, sollevando un braccio per
difendersi dai colpi della ragazza.
“Scusa, perché adesso ridi?” lo interrogò la vampira, scrutandolo
indispettita.
Mason scosse il capo.
“Perché è disgustoso!” dichiarò
infine, passandosi una mano dietro la nuca. “Non avrei mai pensato di trovare
sexy una vecchia” ammise infine, abbozzando un sorrisetto malandrino.
Questa volta fu Caroline a
squadrarlo allibita.
“Sexy?” ripeté, inarcando un
sopracciglio. “Ma per favore!” lo schernì, lasciandosi sfuggire a sua volta un
risolino.
“Che hai da ridere tu, adesso?” la interrogò bruscamente il ragazzo.
Caroline
scosse il capo con fare incredulo.
“Rido perché ho quasi
quarantacinque anni, e…”
“Che schifo…”
la stuzzicò Mase, esibendo una smorfia disgustata.
“ …e le
tue uscite da ragazzino con gli ormoni in subbuglio mi mettono in imbarazzo”
proseguì la vampira, arrossendo leggermente. “E se dici ancora una volta ‘che schifo’, giuro che ti butto giù dal muretto!”
“Non oseresti mai” la provocò il ragazzo.
Scartò improvvisamente all’indietro, quando Caroline si allungò in avanti per
strofinargli un pugno sul capo.
“Questo me lo può fare solo Ricki”
si lamentò scontrosamente, cercando di allontanarla. “Levami le mani di dosso!”
“Qualcuno si sta arrabbiando!” osservò la ragazza, sorridendo soddisfatta.
Mason sfuggì alla sua presa e
incominciò a sistemarsi i capelli spettinati con le mani, mentre Caroline al
suo fianco lo osservava in silenzio. Vederlo scherzare così l’aveva rassicurata
e l’agitazione di poco prima si era notevolmente affievolita. D’un tratto
avvertì l’impulso di abbracciarlo. Non lo fece, ben sapendo quanto lo
rendessero incerto i gesti d’affetto spontanei.
“Sexy…” non poté
evitare di ripetere poco dopo, scuotendo
il capo con espressione divertita.
Mason
arrossì.
“Smettila.”
“L’hai capito che ho l’età per
essere tua madre, vero?”
Il ragazzo accennò un sorrisetto
malizioso.
“Beh, sai come si dice…”
commentò, intrecciando le dita dietro la nuca. “…MILF.”
**
Caroline lo squadrò stupefatta.
“Mason!” lo riprese, arrossendo imbarazzata.
“Sei tremendo!”
Il ragazzo si mise a ridere. Cercò di
riparasi dagli spintoni di Caroline, che riuscì senza troppo sforzo a buttarlo
giù dal muretto.
“Una volta, forse” esordì improvvisamente
il ragazzo, sollevandosi da terra. Tornò ad appoggiarsi al muro con la schiena
sotto lo sguardo perplesso di Caroline.
“Una volta cosa?”
“Una volta mi guardavi come se fossi mia madre” si
spiegò meglio Mason. “Ma ultimamente hai
cambiato sguardo.”
Caroline
gli rivolse un’occhiata confusa.
“Che
intendi dire?”
Il giovane non
rispose. Si limitò a dare una scrollata di spalle, scavalcando poi il muretto
per rientrare in giardino.
“Mase!”
lo richiamò la ragazza. “Come ti guardo adesso, scusa?”
Il giovane
abbozzò un sorrisetto.
“Andiamo dentro, inizia a fare freddo”
propose, infilandosi le mani in tasca e
incominciando a incamminarsi verso la tenuta.
“Mi
vuoi rispondere?” insistette Caroline, affrettandosi a seguirlo. “Dio, non ti
sopporto quando fai così!”
Mase si mise a ridere. Nonostante la
vampira reagisse con stizza ai modi di fare dispettosi del ragazzo, quella
risata riuscì ancora una volta a strapparle un sorriso.
In fondo non era poi così sicura di voler conoscere
la risposta alla sua domanda.
Even the best fall down sometimes.
Even the wrong words seem to rhyme.
Out of the doubt that fills my mind,
I somehow found you and I collide.
Collide. Howie Day
***
Florida, Jacksonville University.
La piazzetta che ospitava i quattro edifici
principali del campus era gremita di gente, quel pomeriggio. Giovani studenti
intenti a chiacchierare e ascoltare musica riempivano a gruppetti le panchine e
le gradinate, impigriti dal caldo.
Solo tre figure solitarie, quelle di due uomini e
una donna, sembravano poco intenzionate a godersi la giornata soleggiata. Il
trio attraversò spedito il corridoio meno illuminato della biblioteca, sbucando
a pochi metri da un locale semi-deserto.
Una volta dentro le tre persone scelsero un tavolo e lo occuparono. Si
erano sistemate da meno di dieci minuti quando un ronzio e il motivo di qualche
vecchio spot pubblicitario si frapposero alle voci dei presenti nella stanza.
“Non mi
abituerò mai a questi” borbottò uno degli uomini, estraendo dalla tasca il
cellulare. Se lo portò all’orecchio e
ascoltò attentamente le parole dell’interlocutore, mentre gli altri due
occupavano il tavolo da biliardo più vicino.
L’uomo conversò per una manciata scarsa di minuti,
parlando con voce bassa e leggermente rauca.
“Era Zacheria” dichiarò
infine, chiudendo la chiamata. “Ha trovato uno dei ragazzi. Vivono
nell’edificio più a ovest del campus. Possiamo andare a prenderlo non appena
farà buio.”
“Quale dei due?” lo interrogò la donna, chinandosi
sul tavolo per posizionare al meglio la stecca.
“Il mezzo Gilbert” rispose l’altro. “Lockwood sembra
essere ancora in Virginia.”
“Era proprio necessaria questa deviazione?” sbottò
improvvisamente il secondo uomo, guardandosi freneticamente attorno: sembrava
avere qualche problema a mantenere gli occhi puntati su qualcosa troppo a
lungo. “Avremmo potuto incominciare da Mystic Falls e tornare dopo per il ragazzo Non mi piace, qui. C’è
troppa luce.”
“Zacheria dice che può occuparsene lui” proseguì
l’altro in tono di voce secco, ignorando la sua protesta. Si rivolse alla
donna, che aveva abbandonato la stecca sul tavolo e lo stava fissando con
sguardo carico di disappunto. “Se per te andasse bene potrebbe farlo anche ora,
Lyra. Quel bastardo non ha problemi a stare esposto
alla luce del sole.”
La donna sembrava contrariata.
“Dì a ‘Ria
che è un folle e un masochista se spera di riuscire a soffiarmi via la preda”
rispose freddamente, allontanandosi dal tavolo da biliardo. “Non mi importa se
la sua vittima non è più qui. È il mio turno per giocare.”
Si tastò i canini con la lingua, esibendo un
sorrisetto deliziato. Aveva la gola arsa, bramosa di sangue e le mani avide di vendetta.
“I Gilbert sono miei.”
Presto avrebbe estinto entrambi i tipi di sete.
_____________________________
*Remember me this way – Jordan Hill
** MILF – Mom
I’d Like to Fuck. Da Wikipedia:
MILF è un acronimo tratto dal linguaggio gergale anglo-americano che riguarda generalmente donne mature
considerate sessualmente appetibili da maschi più giovani.
Nota dell’autrice.
Ed eccomi
qui, finalmente, con la seconda parte del dodicesimo capitolo.
Vi
chiedo scusa in anticipo nel caso troviate errori di distrazione/battitura o
altre sviste. So che sono solita
disseminarne diversi pur ricontrollando
di volta in volta i capitoli e questa volta ho revisionato in maniera un po’
frettolosa, perché la prossima settimana mi assenterò da casa e ci tenevo a
pubblicare prima della partenza per non posticipare ancora. Cercherò di
rimediare quanto prima, intanto mi scuso!
In
generale questo capitolo mi ha fatto dannare parecchio. Per ora è forse quello
che mi convince di meno, ma forse è perché avevo in programma di scrivere
alcune di queste scene da molto tempo e credo di essermi creata troppe
aspettative a riguardo xD
Passiamo al mio polpettone nel polpettone.
Sulla
scena Xanderine
non c’è poi molto da dire, si racconta da sola. Per quanto riguarda Ricki e Vicki mi sono accorta in fase di stesura che le dinamiche tra i due
si sono svolte in maniera molto più pacata rispetto al solito. Vicki era
decisamente meno pazzerella di come siamo abituati a vederla, ma ho pensato che
la situazione lo richiedesse. E grazie al casotto combinato da Ricki i due
giovincelli incominciano a scambiarsi informazioni sui rispettivi segreti. Nei
prossimi capitoli scopriremo se la cosa verrà approfondita e se ci saranno
conseguenze di qualche tipo.
La scena
Annaver/Jeranna è un
concentrato di riferimenti al film Casper: non ho potuto fare a meno di inserire un
piccolo tributo a quel film per bambini
che nonostante tutto riesce ad emozionarmi ogni volta che lo guardo xD Inoltre il parallelismo con Anna, Oliver e Jeremy era
troppo calzante per non volerlo inserire.
La canzone che intervalla la scena in questione (Remember me this way di Jordan Hill) è proprio la canzone che accompagna la scena finale del film, in cui Kat balla assieme al Casper
umano.
Nella
scena Annaver c’è anche un lieve riferimento alla canzone She’s
the sunlight
dei Trading
Yesterday, che ho sempre trovato perfetta per
loro due. I versi che mi hanno ispirata sono “she is tomorrow, I am today”.
Purtroppo
non ho potuto dedicare una scena vera e propria alla vittoria di Vicki. Sarebbe venuto fuori un papiro
troppo lungo, perciò ho preferito menzionare la cosa nella scena Annaver/Jeranna.
La scena
Masoline è
forse quella che mi convince di meno assieme a quella Rictoria.
Spero che la contrapposizione fra la prima parte della scena in cui avviene la
rivelazione e la seconda, in cui le cose si fanno più distese e non stoni
troppo. Mase alla fine riesce ad accantonare la sua diffidenza per riprendere i
modi di fare un po’ da stupidotto
del capitolo precedente xD Credo che Caroline alla fine abbia trovato il
modo per rassicurarlo e a questo è dovuto il suo cambio di atteggiamento.
Con
questo capitolo si chiude la prima parte, decisamente introduttiva, di questa
storia – Werewolves.
Dal prossimo avrà inizio la seconda parte, intitolata Vampires. La scena di chiusura
di questo capitolo è un grandissimo indizio per comprendere cosa aspettarsi
dalla futura seconda parte. Chi saranno questi quattro loschi individui che
gironzolano per l’università di Jacksonville? Uno di loro, Zacheria, lo conosciamo già. Dal
prossimo capitolo incominceremo a conoscere di più anche gli altri tre.
Finalmente i prossimi episodi dovrebbero dare più rilievo a quei due pargoli che per ora sono rimasti
un po’ più in disparte: Jeffrey e Julian.
Credo di
aver detto tutto! Sicuramente il nuovo capitolo arriverà, molto in là. Ho
bisogno di un attimo di pausa per plottare al meglio
la seconda parte della storia.
Grazie a
chi ancora continua a seguire questi nove pargoletti, non sapete quanto
significhi per me <3
Ricordo
come sempre che per informazioni sugli aggiornamenti, scleri
vari, anticipazioni, lavoretti grafici e quant’altro mi trovate me e i pargoli
sempre QUI, al gruppo facebook su History
Repeating.
Un
abbraccio!
Laura