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Autore: Kary91    24/08/2013    7 recensioni
Sono trascorsi quasi trent'anni da quando abbiamo incontrato per la prima volta Elena Gilbert e i fratelli Salvatore.
A Mystic Falls molte cose sono cambiate da allora; i ragazzi sono cresciuti, gli adulti invecchiati. Nuove generazioni di adolescenti portano il cognome delle famiglie fondatrici, eppure certi dettagli hanno concluso per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno destinati a ripetersi all'infinito ; in un modo o nell'altro la storia si ripete e Caroline Forbes di questo è al corrente, nel momento in cui decide di tornare a Mystic Falls:questa volta per restare.
***
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto, raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo mannaro?”
“Per via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero effettivamente delle balle?”
“Ti risponderei che bevi troppo.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Matt Donovan, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'It calls me home.'
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Chapter 12.

Miss Mystic Falls.

(part 2.)

 

“Hai visto come sono bravo?” esclamò Xander, appoggiando una mano sulla vita di Caroline. La ragazza si strinse a lui, sorridendo divertita. Era da poco terminato il primo giro di danze e le coppie protagoniste del concorso stavano cominciando il secondo in compagnia di alcuni presenti. “So fare perfino il casquet, vuoi vedere?”

Caroline si mise a ridere.

“Sei un bravo ballerino” lo appoggiò, premendo una mano sulla sua spalla. Alexander gonfiò il petto, sorridendo orgoglioso.

“Non si può dire lo stesso di tuo fratello, eh?” commentò, indicando Ricki con un cenno del capo. Il giovane stava ondeggiando a ritmo di musica a fondo pista, suscitando l’ilarità di un gruppetto di ragazze che l’attorniava. Caroline scosse il capo rassegnata: fare il buffone durante gli eventi più formali di Mystic Falls era tipico di suo fratello. Aveva un talento naturale nel riuscire ad attirare l’attenzione e sapeva sempre come ravvivare l’atmosfera, quando le cose incominciavano a farsi noiose.

“E il piccolo teppista dove l’hai lasciato?” chiese ancora Xander, guardandosi attorno alla ricerca di Oliver. Non riuscì ad individuare nemmeno lui.

“A casa con l’influenza” rispose la ragazza, dando una scrollata di spalle. “Mi preoccupa un po’, ultimamente” ammise poi. “Si comporta in modo strano, è sempre nervoso e sembra più distaccato del solito.”

“Ma va, sta benissimo” la rassicurò bonariamente Xander. “Magari si è trovato la fidanzatina. Tra l’altro, a proposito di fidanzati, dame e accompagnatori…” aggiunse, facendo ruotare leggermente Caroline per poterle indicare qualcuno alle sue spalle, “…Sembra che al cavaliere di Harper caschi un po’ troppe volte l’occhio verso di te” osservò, mentre Caroline sbirciava in direzione della coppia. Intercettò lo sguardo di Bryant che le sorrise, chinandosi poi in avanti per sussurrare qualcosa nell’orecchio alla sua dama.  “Il buon vecchio Cooper si è preso una cottarella, mi sa!” proseguì Xander, abbassando il tono di voce. “Mi toccherà fargli il sedere a strisce durante i prossimi allenamenti di hockey!”

“E perché mai?” lo interrogò la ragazza, inarcando un sopracciglio. “Non sarai mica geloso, Xander Bello?”

L’amico le fece la linguaccia

 “Proprio no, nanetta, ma ho promesso a tuo fratello maggiore che ti avrei tenuta d’occhio” spiegò, facendole fare una giravolta. “Et voilat! E poi insomma, stiamo parlando di Cooper” aggiunse, tornando ad appoggiare una mano sul fianco di Caroline. “Dai, quello si spreme il formaggio spray direttamente in bocca! Non va bene per un tipetto schizzinoso come te!”

“Parli proprio tu che odori sempre di biscotti e patatine!” lo rimbeccò Caroline, dandogli un colpetto con il piede.

“Beh, ma quelli sono buoni! Io profumo!” si difese tronfio il ragazzo, prima di abbandonare l’espressione scherzosa. “Ti ho già detto che vestita così stai benissimo, vero?” chiese.

Caroline si sentì arrossire. Distolse lo sguardo, non riuscendo a non sorridere.

“Anche tu sei carino” rispose, analizzando con tenerezza l’aspetto insolitamente curato ed elegante dell’amico, “Anche se ammetto che il tuo crestino un po’ mi manca: non c’è gusto a spettinarti così e non posso nemmeno più chiamarti porcospino!” gli fece notare, improvvisando un broncio infantile. Xander sorrise.

 “Io invece posso ancora chiamarti nanetta bionda, guarda un po’!” commentò scherzosamente. “Mi hai sorpreso, signorina Lockwood” esclamò poi, tornando ad assumere lo sguardo addolcito di poco prima. “Non pensavo che avresti accettato sul serio di partecipare alla cerimonia. È stato bello vederti scendere da quelle scale.”

Caroline sorrise.

 “Sono felice di averlo fatto, sai?” ammise, distogliendo lo sguardo, appoggiando il capo sul petto del ragazzo.

Lo era davvero.

“Sono felice anch’io.”

Xander le sorrise. Si chinò in avanti per posarle un bacio sui capelli e tornò a cingerle la vita, guidandola lungo la pista da ballo. A prescindere da come si sarebbe concluso il concorso, Caroline sentiva di aver già ottenuto una piccola vittoria.

 

***

I'm dying to catch my breath

oh why don't I ever learn

I've lost all my trust that I'm sure we try to

Turn it around

 

All I Need. Within Temptation

 

Dopo l’ennesimo bicchiere di vino e qualche risata strappata ad alcune ragazze che aveva conosciuto quel mattino, Ricki incominciò a domandarsi come se la stesse passando Vicki. La cercò al centro del salone e la trovò intenta a ballare un lento assieme al suo accompagnatore. Sembrava radiosa; per nulla delusa, in apparenza, dalla presenza di Eric al suo fianco, lì dove avrebbe dovuto esserci lui. Il giovane sbuffò, posando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo e si incamminò zoppicante lungo lo spiazzo adibito al ballo. Intercettò l’espressione vivace di sua sorella che stava ridendo di qualcosa che Xander le aveva appena sussurrato all’orecchio. Le fece l’occhiolino e raggiunse Victoria, facendo del suo meglio per non esordire in smorfie di dolore ogni volta che poggiava il piede a terra. Si schiarì la voce e picchiettò una mano sulla spalla di Eric, che gli rivolse un’occhiata incuriosita.

“Ehilà!” esclamò,  stringendosi nelle spalle. “Bella cerimonia, eh?”

 “Che cosa c’è, Ricki?” lo interrogò Victoria. Non c’era rabbia o delusione nel suo sguardo, ma nemmeno il classico brillio di vivacità che era solito ravvivarlo.

“Quindi sei tu Ricki?” chiese l’accompagnatore della ragazza, aprendosi in un sorriso amichevole. “Io sono Eric” comunicò , tendendogli la mano. Ricki la strinse, analizzando circospetto l’espressione imperturbata del giovane. Aveva l’aria di essere una bravo ragazzo e la cosa, stranamente, lo infastidì.

“Sì, molto piacere” rispose sbrigativo, ritirando la mano. “Ti spiace se prendo in prestito la tua dama per un ballo?”

Tornò ad osservare Victoria che sembrò esitare, combattuta tra la sorpresa e il desiderio di opporsi. 

Eric si voltò verso di lei come a volersi assicurare che fosse d’accordo. Vicki gli rivolse un timido cenno del capo che risultò fuori luogo, in contrasto con i modi di fare esuberanti e decisi che la caratterizzavano in genere. Eric si allontanò e Vicki si lasciò guidare da Richard al centro dello spiazzo lasciato libero per le danze.

L’emozione provata nel momento in cui lui la cinse per i fianchi si affievolì in fretta, respinta dal ricordo della delusione di poco prima. Ripensò al proprio sguardo che frugava speranzoso la folla e non riuscì a non rivolgergli un’occhiata di rimprovero, nel sistemargli le braccia attorno al collo.

 Non era la prima volta che le capitava di aspettarlo inutilmente. C’era una parte di lei che aveva l’abitudine di cercarlo ovunque, senza nemmeno sforzarsi di nasconderlo. Alle feste, sugli spalti durante le partite e perfino in giro per casa, quando Jeffrey non era in Florida. Vicki era abituata a non lasciarsi intaccare dalla delusione quando  le sue ricerche non andavano a buon fine, ma quella volta le cose erano andate in maniera diversa. Era stato Ricki a decidere che ci sarebbe stato, a promettere che si sarebbe fatto trovare.  La sua promessa, tuttavia, non era stata mantenuta.

Sospirò, decidendosi finalmente a ricambiare lo sguardo del ragazzo. Avere quegli occhi scuri che la osservavano così da vicino riusciva sempre a provocarle il bisogno di dimezzare ulteriormente la distanza tra di loro. Quel pomeriggio, tuttavia, la sua attenzione venne focalizzata su altro.

“Hai un aspetto orribile” annunciò, alludendo all’aria stanca del ragazzo e al suo aspetto scombinato. Ricki tirò un sospiro di sollievo.

“Grazie per aver aperto bocca. Quando stai zitta troppo a lungo mi inquieti un attimino.”

“Si può sapere che avevi di tanto urgente da fare stamattina?” chiese la ragazza, osservandolo con insistenza. In quel momento Ricki le pestò un piede, ma Vicki non sembrava affatto turbata dai suoi movimenti impacciati sulla pista. “E come mai zoppichi? Sei andato a giocare a calcio?”

“Magari” commentò il ragazzo, prima di intercettare la sua espressione interrogativa. “Intendevo dire… magari ci fossi andato ieri sera. Non parlavo di questa mattina!” si affrettò a specificare. “Il fatto è che ieri, dopo il Grill, ero talmente esausto che mi sono addormentato sul volante. Ho dormito in macchina e mi sono svegliato tardi, così sono corso a casa per cambiarmi. Ho cercato di arrivare qui in tempo, ma ho mancato l’inizio della cerimonia per un  soffio….Scusa!” fu costretto ad aggiungere, quando il suo piede si scontrò accidentalmente con quello della ragazza. Vicki spostò il suo, minimizzando con un cenno del capo.

“Sei senza speranze” commentò poi, lasciando affiorare un sorriso divertito. Ricki diede una scrollata di spalle.

“Sono dannatamente simpatico e incredibilmente sexy, per questo mamma e papà mi hanno fatto goffo: non potevo nascere senza difetti” spiegò, improvvisando un inchino con il capo.

“Sul sexy non ho nulla da ridire” osservò la ragazza, “Ma lo è anche Eric e lui non mi ha mai pestato il piede in tutta la mattinata”  commentò,  rivolgendogli un’occhiata eloquente. Ricki fece una smorfia.

“Beh, questo Eric è sicuramente gay” concluse, rivolgendo al ragazzo un’occhiata di sottecchi.

“Non è gay, Ricki. Te lo posso assicurare.”

 “Dai, hai visto con che genere di abbronzatura se ne va in giro?”

Vicki gli rivolse un’occhiata interdetta.


“Ma che cosa c’entra?”

“E poi balla! Scommetto che a casa ha una collezione di tutù rosa…

“Insegna hip hop, non danza classica”  lo contraddisse la ragazza, pur non riuscendo a trattenere un sorriso. Ricki le rivolse un’occhiata attenta, cercando di scorgere in lei qualcosa che potesse suggerirgli se fosse arrabbiata o meno.

“Quanto mi odi al momento su una scala da 3 a 10?” domandò infine, inclinando appena il capo.  “L’uno e il due non ce li ho messi perché ho immaginato che non ce ne fosse bisogno”  aggiunse poi in tono di voce scherzoso.

Vicki non gli rispose.

“Ti sei ubriacato ieri sera?” domandò invece, senza più sorridere.

Ricki scosse il capo.

 “No, certo che no!”  

La ragazza non sembrava convinta. Ricki sbuffò, fermandosi un istante per far riposare la caviglia dolorante.

“Avevo avuto una serataccia, Vic” commentò in sua difesa, ripensando con un brivido agli avvenimenti della sera precedente. Victoria lo scrutò con attenzione, le braccia ancora allacciate al suo collo .

“In questo momento vorrei tanto sferrarti una delle mie letali piroette rotanti, lo sai?” commentò infine, continuando a sostenere il suo sguardo. La delusione era evidente nei suoi occhi, eppure continuava a sembrare incredibilmente tranquilla. Ricki si era aspettato a più riprese che lo sorprendesse con uno schiaffo o una scenata di qualche tipo, ma intuì presto che Vicki non fosse il tipo da lasciarsi andare a quel genere di comportamenti. L’aveva sempre reputata un po’ infantile, troppo bambina nei suoi modi esuberanti, e per l’assenza totale di vergogna che la spingeva a esternare ogni cosa con semplicità. Eppure, ogni tanto, sapeva dare sfoggio a un certo livello di maturità che non si sarebbe mai aspettato da lei.

 

 “Vieni con me” dichiarò infine, sfilando la presa dai suoi fianchi e porgendole la mano. La guidò oltre le coppie di persone che ballavano, fermandosi a una decina di metri dai tavoli del buffet. Vicki gli rivolse un’occhiata incuriosita, mentre Ricki tornava a mettersi le mani in tasca. “Voglio solo essere sicuro che tu capisca questo: non l’ho fatto intenzionalmente” spiegò il ragazzo, stringendosi nelle spalle. “Sarò anche un cretino patentato, ma non sono uno stronzo. Non fino a questo punto. Non ti avrei mai proposto di farti da cavaliere se non fossi stato sicuro al cento per cento di volerlo fare. E non avrei corso il rischio di combinare un casino rimanendo addormentato in macchina, se non ci fosse stato un motivo più che valido.”

Vicki lo ascoltò in silenzio, tenendo le braccia incrociate sul petto. Lo guardava con espressione attenta, intenzionata ad analizzare con minuzia ogni sua parola ed espressione, per paura di coglierci una falla.

 “E qual è questo motivo più che valido?” chiese infine, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Come?”

“Dicevi che ieri sera hai avuto una serataccia” ricordò ancora Victoria. “Per caso c’entra qualcosa lo sceriffo?”

Richard esitò, colto alla sprovvista.

“Mi devi almeno la verità, Ricki” osservò la ragazza, sostenendo il suo sguardo con determinazione. Richard si sfregò il capo con nervosismo e annuì.

“Stavo aiutando mio fratello” ammise infine, guardandosi poi attorno. Trovò subito Fell: stava parlando con un gruppetto di persone dall’altra parte della sala. Ricki fece una smorfia nella sua direzione e tornò a rivolgersi alla ragazza. “Senti, Vic, la verità è questa. Ci sono delle persone qui a Mystic Falls che hanno delle doti fuori dal normale. E non sto parlando del mio sedere perfetto, ma di roba forte, cose che non si vedono tutti i giorni. E allo sceriffo Fell queste persone non piacciono per niente.”

“Doti fuori dal normale?” ripeté Vicki, scrutandolo con aria improvvisamente allarmata. “Mica starai parlando dei Morgan, vero?”

Ricki le rivolse un’occhiata sbigottita.

“Che diavolo c’entrano i Morgan, adesso?” chiese, tornando a guardare Fell con espressione guardinga. “Io parlavo di Mase” aggiunse poi, abbassando il tono di voce.

Questa volta fu Vicki a sgranare gli occhi.

“Tuo fratello ha un dono?”

Shhhh!”

Ricki si affrettò a zittirla, prima di passarsi con nervosismo una mano fra i capelli.

“Sì, quello di riuscire a rompere le palle come nessuno. Vic, mi spieghi che cosa c’entrano i Morgan in tutto questo?”

La giovane si morse il labbro, visibilmente in conflitto. Era sul punto di rispondere qualcosa, quando Carol Lockwood li raggiunse, interrompendo il loro discorso.

“Victoria, dovresti incominciare a raggiungere le altre concorrenti” spiegò, indicandole la gradinata principale, “Stiamo per comunicare i risultati del concorso.”

La ragazza annuì: tutto a un tratto avvertì le prime avvisaglie dell’agitazione punzecchiarle lo stomaco.

“Arrivo subito” rispose alla donna, voltandosi poi nuovamente verso di Ricki che sembrava intento ad analizzarsi con imbarazzo la caviglia.

“Ti fa male?” chiese, osservandolo apprensiva. Il giovane diede una scrollata di spalle.

“No, è che credo di essermi messo un calzino al contrario. Ascolta, Vic…” aggiunse poi, tornando serio.  “Dobbiamo decisamente riprendere il discorso sui Morgan, dopo la cerimonia. È importante.” sottolineò, accennando a Fell con un cenno del capo.

Vicki non sembrava molto convinta, ma annuì comunque.

 “Devo andare a raggiungere le altre” dichiarò infine, cercando Caroline con lo sguardo. “Sappi che, comunque, non ti ho ancora perdonato. Ma non sono arrabbiata.”

Ricki assunse un’espressione colpevole.

 “Lo capirei se tu lo fossi”

Vicki si scostò la frangetta dagli occhi e sorrise.

“Dopo tutti questi anni, se non avessi imparato a non prendermela con te, avrei trascorso ogni ballo scolastico ingollando gelato e deprimendomi, di fronte al DVD di Dirty Dancing… Ecco tua sorella!” esclamò poi con un sorriso, facendo cenno con la mano a Caroline. “Vado da lei, prima che incomincino a tremarmi le gambe per l’agitazione!”

Il ragazzo annuì, tornando a infilarsi le mani in tasca.

“Ehi, Vic!” la interruppe poi, trattenendola per il polso. Si chinò verso di lei per assicurarsi che riuscisse a sentirlo, al di là del frastuono generale.  “Grazie per il ballo” le disse all’orecchio, prima di incamminarsi verso i tavoli del buffet con le mani in tasca e l’andatura ancor più zoppicante rispetto a poco prima. Vicki lo osservò allontanarsi in silenzio,  posando poi lo sguardo sulle coppie che ancora danzavano al centro della stanza. I suoi occhi erano tornati a ravvivarsi della solita vivacità.

“Avrei mai potuto dirti di no?” sussurrò  in risposta, consapevole del fatto che Ricki fosse troppo distante per poterla sentire.

 

I tried many times but nothing was real

Make it fade away, don't break me down

I want to believe that this is for real

Save me from my fear

Don't tear me down

 

All I Need. Within Temptation

 

 

                                                                                                                                       ***

 

“Sono un ottimo ballerino, ricordi? Posso tenerti con me?”
Casper. 1995

 

Oliver guidò Anna  in una delle tante salette adiacenti al salone principale. La musica risuonava attutita in lontananza, suggerendo che le tre coppie protagoniste del concorso avessero già incominciato a ballare. Di tanto in tanto la voce di qualche presente li raggiungeva dal corridoio. La preoccupazione di Anna al pensiero che qualcuno potesse sorprendere Oliver a parlare da solo sfumò quasi subito. Era difficile restare impensieriti troppo a lungo in compagnia di quel ragazzo.

“Come mai mi hai portata qui?” domandò incuriosita. Oliver le sorrise.


“Tutte le partecipanti a Miss Mystic Falls dovrebbero aprire le danze contemporaneamente” rispose, sistemandosi di fronte a lei. “Non hai potuto partecipare la prima volta, ma potresti farlo ora.”

Annabelle gli rivolse un’occhiata incredula, senza riuscire ad aggiungere nulla.

“Forse non te l’ho detto, ma sono un ottimo ballerino” proseguì il ragazzo, tendendole la mano. “Ti va di ballare?”

Anna annuì, stringendo la mano che il ragazzo le porgeva. Quel contatto non aveva consistenza, così come il tocco di Oliver sul suo fianco. Le dita del ragazzo erano disegnate sulla sua pelle, sul suo vestito, ma non la sfioravano per davvero.

“Non possiamo toccarci” osservò infine la ragazza, un po’ in imbarazzo. Il sorriso di Oliver si estese.

“Sono un’artista” le ricordò, stringendosi nelle spalle. “Non ho bisogno di sforzarmi più di tanto per immaginare quello che non c’è.”

Annabelle ricambiò il sorriso, stringendosi a lui. Quella frase racchiudeva alla perfezione tutto ciò che pensava di Oliver. Non erano molte le cose che riuscivano a ostacolare il suo ottimismo; aveva la capacità innata di sapersi fabbricare la felicità con poco. Certe volte gli bastavano una manciata di fogli bianchi e una matita, altre un cielo stellato o la scia di qualche aereo solitario. Spesso anche solo un sorriso. Sapeva lasciare in chiunque lo circondasse un’impronta di quella serenità che doveva averlo caratterizzato fin da piccolo.
Anna era grata di aver trovato la sua amicizia. Le piaceva ascoltarlo quando fischiettava qualche vecchia canzone ad un ritmo pacato, completamente sfasato da quello originale, come se anch’esso fosse calibrato a rispettare l’animo tranquillo del ragazzo. Aveva trascorso molti pomeriggi a chiacchierare con lui o ad osservarlo lavorare a uno dei suoi modellini e la sua compagnia l’aveva aiutata a sentirsi meno sola.

 

Every now and then
We find a special friend
Who never lets us down

 

I due ragazzi continuarono a ballare, ignorando il volume basso della musica che proveniva dal salone principale. Oliver non aveva detto una bugia: se la cavava davvero bene come ballerino.

“Sembri felice” osservò improvvisamente Anna. “Più del solito” .

Il ragazzo arrossì leggermente.

“Lo sono, perché ho risolto i miei problemi con Mase” ammise, riferendosi alla conversazione avuta con l’amico quella mattina. “In realtà sono un po’ spaventato per via di quello che mi ha confessato, ma non riesco a preoccuparmene in questo momento. La mattinata è trascorsa benissimo; sembrano tutti sereni e anche tu sorridi di più” aggiunse. Anna strinse le braccia attorno al collo del ragazzo e chinò appena il capo per nascondere l’improvviso filo di malinconia nel suo sguardo.

 “Vi meritate un po’ di tranquillità” disse con decisione, prima di tornare a ricambiare lo sguardo di Oliver.  “Tu e la tua famiglia… I tuoi amici. Sono contenta che non siate più in pericolo.”

“Dovrei ringraziarti per aver cercato di metterci in guardia” osservò in quel momento Oliver. “Sono felice che tu sia venuta da me: ho guadagnato un’amica”  ammise con semplicità. Quelle poche frasi sembrarono alimentare la tristezza tratteggiata nello sguardo di Anna.

 

Who understands it all
Reaches out each time you fall
You're the best friend that I've found

 

“C’è qualcosa che non va?” domandò improvvisamente il giovane, rivolgendole un’occhiata impensierita. “Non sorridi più.”

Lentamente, la ragazza scosse il capo.

“Stavo ripensando alla sera in cui mi hai vista per la prima volta” spiegò infine.“Non avrei mai immaginato che fosse possibile comunicare con te. Quando eri più piccolo mi fermavo spesso a osservare la tua famiglia, sai?” aggiunse, sorridendo della sua espressione incuriosita. “Mi piaceva sedermi accanto a te e a Jeremy per guardarvi disegnare. I tuoi fogli erano sempre pieni di nuvole e aerei di tutti i colori” ricordò, facendo ridere il ragazzo. “In un certo senso credo di averti considerato mio amico sin da allora. Eri sempre sorridente e mi riusciva facile immaginare che qualcuno di quei sorrisi potesse essere rivolto a me.”

 Oliver si strinse nelle spalle.

“Ti avrei sorriso di sicuro, se avessi saputo che eri lì” confessò,  ripensando alle tante serate trascorse a disegnare alla luce delle stelle in compagnia del padre. “Vorrei che tu non avessi quello sguardo” dichiarò a un certo punto, destando la preoccupazione della ragazza.

“Quale sguardo?”

“Lo sguardo di chi sta per andarsene.”

Annabelle gli rivolse un’occhiata colpevole.

“Sapevi che non sarei rimasta ancora a lungo” gli ricordò, avvolgendo in maniera un po’ più salda le proprie braccia attorno al collo del ragazzo. Non servì a molto; l’assenza di consistenza del proprio corpo la faceva sentire come se potesse scivolare via da un momento all’altro. “Forse non dovresti più cercarmi così spesso.”

“Perché?” la interrogò il giovane, smettendo di ballare. “Perché le cose non possono restare così come sono? La tua presenza non fa del male a nessuno.”

Annabelle scosse il capo.

“Sono un fantasma, Oliver” rispose. “Non faccio parte del tuo mondo. Tu vivi nel presente, io sono il passato. Non è mai un bene mescolare le due cose tra di loro troppo a lungo.”

“Non voglio che tu vada via” ammise il ragazzo, raccogliendo le mani di Anna nelle sue. “E non ho paura di fare confusione fra presente e passato. Ho appena scoperto che il mio migliore amico è un lupo mannaro. Penso di potermela cavare anche con un’amica fantasma, no?”

Quell’ultima osservazione fece sorridere la giovane.

“Non me ne andrò” promise, stringendogli le mani.  “Sarò sempre qui quando avrai bisogno di me. Anche le volte in cui non potrai vedermi.”

 

I know you can't stay
A part of you will never ever go away
Your heart will stay

 

Oliver sembrò rassicurarsi al suono di quelle parole. Annuì, portando le braccia della ragazza a cingergli nuovamente il collo.

“Balliamo ancora?” suggerì infine. Annabelle rise. Quando sollevò il capo per  guardare il ragazzo negli occhi non poté fare a meno di evocare il ricordo di un secondo sguardo, un po’ meno limpido, ma tanto intenso quanto quello rivolto a lei in quel momento. Ripensò a un altro giovane Gilbert dal sorriso dolce. A delle dita che si intrecciavano alle sue con la stessa delicatezza di quelle di Oliver.

I due ragazzi tornarono a ballare, questa volta in maniera più sciolta, come se avessero dimenticato di non poter percepire l’uno il tocco dell’altro. Quando Anna spostò lo sguardo oltre le spalle del giovane sobbalzò, notando all’improvviso la figura immobile di un uomo. Qualcuno li stava osservando con sguardo incredulo dal lato opposto della stanza.

Anche Oliver si accorse della sua presenza; i suoi occhi indugiarono apprensivi sulla figura del padre e si soffermarono sulla sua espressione confusa, quasi smarrita. Smise di ballare, la mano ancora intrecciata a quella della ragazza. Jeremy fece qualche passo verso di loro.

“Anna?” mormorò, incapace di distogliere lo sguardo da lei. Il ricordo di Annabelle aveva occupato i suoi pensieri per l’intera mattinata, estraniandolo dal presente e riportandolo mentalmente a un’altra cerimonia di Mystic Falls. All’epoca lui non era poi molto più grande di Oliver. La noia provata al pensiero di dover partecipare a una simile ricorrenza era scomparsa nel momento in cui la ragazza aveva fatto ingresso nel salone principale della Hall. Spazzata via in fretta dal sorriso che Annabelle aveva rivolto a Jeremy quel pomeriggio di venticinque anni prima.

Da tempo pensava che non l’avrebbe più rivista. Anna era da sempre il fantasma di quel passato che ancora gravava sulle sue spalle. Un passato che stava imparando a lasciarsi indietro poco  a poco per non  rischiare di venire schiacciato a terra dal suo peso.

Adesso che lei era di nuovo lì, di fronte a lui, non avrebbe più voluto distogliere lo sguardo. La chiamò ancora, come se temesse di vederla sparire da un momento all’altro.

 

I'll make a wish for you

And hope it will come true

That life would just be kind

To such a gentle mind

 

Annabelle annuì. Continuava a non avere percezione del proprio corpo, ma le sue emozioni si erano fatte improvvisamente nitide, con un’intensità tale da fare male. Per anni la giovane aveva vegliato su di Jeremy in silenzio. Più volte gli aveva sorriso, posandogli una carezza sul capo quando il pensiero delle persone che aveva perso lo opprimeva, spegnendo il suo sguardo all’improvviso. In quei momenti era stato più facile dirgli addio, promettendo a se stessa di non tornare ogni volta. Sembrava tutto più complesso ora che i suoi occhi erano consapevoli di essere attraversati dallo sguardo di Jeremy. Ora che lui la vedeva per davvero.

 

 “Ciao, Jeremy”

 

 La sua voce si incrinò leggermente mentre quel nome scivolava fuori dalle sue labbra, accarezzandole come aveva smesso di fare da tempo. Annabelle lo guardò a lungo, sforzandosi di sorridergli. Gli occhi di Jeremy si erano fatti lucidi e l’espressione spenta che aveva offuscato il suo volto nel corso della mattinata aveva lasciato il posto a una maschera di incredulità e malinconia.

C’erano tante cose che premevano sulle labbra dell’uomo per farsi avanti e venire pronunciate. Talmente tante che alla fine Jeremy scelse di non dire nulla. Tutto a un tratto gli sembrò di aver parlato per ore solo guardandola.

Annabelle scosse il capo, come a volerlo rassicurare. Infine tornò a sorridere. Ciò che Jeremy vide in quel momento fu il sorriso della Anna dei suoi quindici anni; quella ragazza un po’ strana, ma carina che aveva incontrato un pomeriggio in biblioteca.  La  persona che l’aveva risvegliato dal torpore forzato che si era cucito addosso per cercare di sfuggire al dolore.

Rispose a quel sorriso, un sorriso rigato dalle lacrime di lei, e tese la mano in avanti, adagiandola contro quella di Anna. Ancora una volta, come era accaduto anni prima, le loro dita si intrecciarono e Jeremy sentì i propri polpastrelli affondare nel nulla. Per un attimo gli parve quasi di poter avvertire il calore  delle lacrime di Annabelle che scivolano a inumidirgli la pelle.

 

If you lose your way

Think back on yesterday

Remember me this way

 

Fece appena in tempo a sorriderle un’ultima volta e a tenderle la mano libera per asciugarle una guancia, che la ragazza scomparve.

Il panico subentrò con prepotenza, avvolgendogli lo sterno.

“Non c’è più?” mormorò, voltandosi verso il figlio e interrogandolo con lo sguardo. Oliver scosse il capo, rivolgendogli un’occhiata malinconica. Annabelle era ancora lì vicino: la mano di Jeremy le stava sfiorando delicatamente una guancia, ma lui non poteva saperlo. La ragazza annuì flebilmente in direzione di Oliver, senza riuscire a controllare le lacrime che continuavano a rigarle gli zigomi.

“Non se ne è andata” ammise il giovane, avvertendo tutto a un tratto il cuore pesante. “Ma tu non puoi vederla”.

Jeremy aggrottò appena le sopracciglia prima di guardarsi attorno. Sperava di riuscire a scorgere la figura di Anna da qualche parte nella stanza, ma non ci fu nessuno a ricambiare il suo sguardo.

Sapeva che era lì, eppure poteva più vederla.

“Perché?” mormorò, cercando una risposta nello sguardo del figlio. Si passò una mano sul volto, la stessa che poco prima aveva avvolto quella di Annabelle, e a Oliver parve improvvisamente stanco, stanco e affaticato.

 Si chiese quanto avesse sofferto da ragazzino nel vedersi strappare via le persone che amava una alla volta, senza avere nemmeno il tempo di poter dire loro addio. Si chiese quanto ancora avrebbe sofferto e quanto fosse ingiusto il fatto che non potesse fare nulla per aiutarlo a lenire quel dolore.

“Perché vuole che tu sia felice” ammise infine, poggiando una mano sulla spalla del padre.

 

And I'll be right behind your shoulder watching you

I'll be standing by your side and all you do

And I won't ever leave

As long as you believe *

 

Solo in quel momento si accorse che la stanza era piombata nel silenzio. La musica era cessata e la voce di Carol Lockwood era appena percepibile per via della lontananza di quella stanza dal salone principale. Il basso volume non riuscì ad impedire ad Oliver di avvertire distintamente il nome di sua cugina, seguito da un boato di approvazioni: Victoria aveva vinto.

“Dobbiamo tornare di là” riconobbe, muovendosi in direzione delle porte. Solo quando tornò a voltarsi verso il padre si accorse che Annabelle non c’era più.

Trascorse il resto del pomeriggio in compagnia dei suoi familiari, ammirando orgoglioso il sorriso entusiasta di sua cugina. Vicki gli era sembrata più volte sul punto di mettersi a saltellare per la gioia mentre rimirava affascinata la fascia da Miss che portava al petto.

Oliver non ebbe modo di parlare da solo con il padre fino a sera, quando Jeremy venne a trovarlo in camera sua. Chiacchierarono fino a notte fonda e gran parte dei loro discorsi girarono attorno ad Annabelle. Oliver riferì al padre di come avesse scoperto la sua foto in soffitta e Jeremy gli raccontò del loro primo incontro in biblioteca. Oliver gli fu grato per essersi confidato con lui. Sperava che, ascoltandolo, l’avrebbe aiutato ad alleggerire il peso di quei segreti che manteneva in silenzio da tempo.

Prima di andare a dormire Jeremy chiese al figlio se pensava che Anna sarebbe tornata presto

Oliver rispose di sì.

Eppure, una parte di lui non faceva altro che domandarsi se l’avrebbero ancora rivista.

 

 

Aspetta… Dove vai?”

“Dove posso proteggevi, fino a che non saremo di nuovo assieme”

Casper. 1995

 

***

“Ehi!” esclamò Caroline, non appena individuò Tyler all’ingresso del giardino sul retro. Erano da poco trascorse le otto e i quattro Lockwood dovevano essere appena rincasati. “Come è andata la cerimonia?”

Tyler si strinse nelle spalle.

 “Siamo stati bene” rispose, infilandosi le mani in tasca. “Il titolo l’ha vinto Vicki, ma ho visto mia figlia davvero contenta. Le ragazze si sono divertite parecchio. A voi come andata?”

 “Tutto tranquillo” rispose la ragazza, cercando Mase con lo sguardo. Lo trovò seduto di spalle sul muretto che delimitava il giardino della tenuta . “Tuo figlio mi ha fatto il bagno” non riuscì a fare meno di aggiungere.

Tyler le rivolse un’occhiata perplessa.

“Mi ha tirato l’acqua addosso” specificò Caroline,  non riuscendo a trattenere un sorrisetto. “Ma poi si è calmato: ha passato tutto il pomeriggio a leggere.”

“Questo è già più da lui” osservò Tyler. “Mason legge di continuo. Non lo diresti, ma è piuttosto intelligente e studia volentieri.  A scuola ha una media molto alta.”

“Siamo sicuri che sia tuo figlio?” lo interrogò la vampira, dandogli un colpetto con il gomito. L’uomo scosse il capo con fare divertito.

“La sua condotta però fa schifo, però!” specificò, mettendosi a braccia conserte. “Ha già rischiato di venire sospeso più volte.”

“Ecco, ora riesco a vedere le somiglianze!”

Tyler si mise a ridere.

 “Pensi che stia bene?” domandò poi, voltandosi in direzione del figlio.

 “Io credo di sì” rispose la ragazza con convinzione, guardando a sua volta verso Mase. Lo osservò stiracchiarsi e intrecciare le dita dietro la nuca con il capo rivolto verso l’alto. Si sorprese a sorridere, cercando di indovinare a cosa stesse pensando: i suoi silenzi la incuriosivano. Dentro quella mente in continuo movimento avrebbe potuto esserci davvero di tutto.  Si chiese quanti pensieri dovesse avere accumulato a forza di tenersi dentro ogni cosa.

Quando distolse lo sguardo dal ragazzo si accorse che l’attenzione di Tyler era tornata a rivolgersi verso di lei. Tutto a un tratto si sentì quasi a disagio, come se lo sguardo dell’ uomo l’avesse sorpresa a compiere qualcosa di sbagliato. Fu una sensazione che durò troppo poco per poter essere afferrata a pieno.

“Hai una bellissima famiglia” ammise infine. Lo disse con semplicità, stringendogli affettuosamente un braccio. Prima del suo ritorno a Mystic Falls non pensava che sarebbe mai riuscita a rivolgersi a lui con la scioltezza di una volta. Temeva di aver dimenticato come fare a sorridergli senza sentirsi gli occhi umidi di lacrime. La lontananza aveva rafforzato le sue paure e indebolito il ricordo di quanto ci fosse stato tra di loro ancor prima che diventassero più che amici.  Quando aveva abbracciato Tyler per la prima volta dopo dieci anni si era tuttavia riscoperta forte, molto più incline a fare un passo indietro rispetto che a fuggire ancora una volta e a perdere tutto di nuovo.

 “Sono davvero orgogliosa del padre che sei diventato” aggiunse.

Quando guardava Tyler negli occhi vi leggeva qualcosa che i primi tempi l’aveva messa in soggezione, ma che ormai riusciva solo più a strapparle un sorriso malinconico. Il suo era uno sguardo che la spingeva ad evocare ricordi che nemmeno ricordava più di possedere. Immagini poco nitide di una ragazzina bionda sulle spalle del padre durante la parata di Mystic Falls. Si sentiva piccola di fianco a Tyler. Era davvero un’adolescente che osservava con ammirazione un padre di famiglia e provava orgoglio nei confronti del percorso che aveva fatto.  Era fiera del suo essere uomo, marito e padre. Anche se la donna al suo fianco non aveva potuto essere lei.

Tyler le sorrise, ma la sua espressione si fece meno distesa quando il suo sguardo tornò a sorvegliare i silenzi del figlio minore.

“Non penso di essere poi così in gamba, come padre” ammise. “Certe volte ho perfino paura a guardarli, perché temo di scoprirli arrabbiati o delusi.”

“I tuoi figli ti adorano” osservò la vampira, sorridendogli rassicurante. “Tu e Lydia avete fatto un ottimo lavoro con loro.”

Tyler si strinse nelle spalle.

“Vorrei solo che stessero bene” spiegò. “Faccio del mio meglio per proteggerli, ma a volte mi fisso così tanto con questa cosa che finisco per perdermi dei pezzi importanti per strada. E ho paura di poter diventare come lui.”  rivelò, voltandosi verso di Caroline.

 “Tu sei migliore di tuo padre”  rispose la ragazza in tono di voce fermo.

Tyler la fissò con intensità con qualche istante, come se stesse cercando di trarre convinzione dalle sue parole. Infine annuì.

 “Grazie per l’aiuto che ci stai dando” disse infine.

Caroline gli sorrise.

 “Mi piace passare del tempo con voi” rispose.

Istintivamente il suo sguardo tornò a dirigersi verso di Mase. Il giovane aveva lo sguardo rivolto verso l’alto e sembrava intento ad analizzare con diffidenza la luna.

Caroline sentì che era arrivato il momento di tirare fuori qualche verità taciuta a lungo.  Attese che Tyler fosse rientrato in casa e raggiunse il muretto al fondo del giardino.

“Non guardarla così” mormorò infine, sedendosi di fianco a Mason. Il ragazzo le rivolse un’occhiata distratta prima di tornare a fissare bieco la luna. “Non ti farà più del male. Non questa sera.”

“Ma tornerà a farmene fra un mese ” rispose il ragazzo, distogliendo lo sguardo dal cielo. La tranquillità che aveva mostrato quel pomeriggio sembrava essersi dissolta con l’arrivo del buio. “Ad ogni luna piena si ripeterà tutto di nuovo. E io ce l’ho fatta a malapena a superare questa.’

“A lungo andare diventerà un’abitudine” cercò di rassicurarlo la ragazza; lo osservò rivolgerle un’occhiata sfiduciata e sospirare, mentre il nervosismo tornava a tinteggiare di ombre la sua espressione. “Tuo padre ci convive da quando era poco più grande di te, ci riuscirai anche tu” aggiunse, addolcendo il tono di voce.

“Io però non sono come lui” rispose asciutto il ragazzo, incominciando a colpire il muretto con il tallone. Caroline si morse un labbro. Intuì di aver scelto le parole più sbagliate del mondo per rincuorarlo. “Mio padre è la persona più forte che conosca: può gestire tutto questo. Io sono solo…

Mason si interruppe, sforzandosi di trovare le parole adatte per completare la frase. Infine sbuffò e saltò giù dal muretto. Era arrossito e la sua espressione sembrava essersi fatta nuovamente tesa, quasi arrabbiata. Caroline sapeva che avrebbe impiegato poco ad innalzare nuovamente le sue barriere. Presto sarebbe fuggito, un po’ come immaginava avesse fatto  per anni quando la balbuzie interveniva nei suoi discorsi, mettendolo in imbarazzo. Se da bambino balbettava a parole, adesso sembrava che fossero le emozioni ad uscirgli fuori sfasate. Mason ci inciampava di continuo, bloccandosi alle prime sfumature dei suoi pensieri, senza mai raccontarsi del tutto. Dopo qualche tentativo si stancava e la cosa finiva lì.

 “Non devi pensare che tuo padre sia sempre stato come lo vedi ora” riprese il discorso la vampira, per evitare che la conversazione si estinguesse. “Da ragazzo ti assomigliava molto” aggiunse, consapevole di quanto si stesse tradendo nel pronunciare quelle parole.

“E tu che ne sai?” ribatté l’adolescente, rivolgendole un’occhiata infastidita. “Smettila di parlare di lui come se lo conoscessi.”

La reazione brusca di Mason le strappò un sorriso. Solo qualche minuto prima Tyler le aveva espresso le sue insicurezze per il modo in cui stava crescendo i suoi figli. E adesso Caroline aveva di fronte quel ragazzo che la guardava storto, pronto a sbraitare contro chiunque osasse sporcare l’idea che si era costruito sul padre. Era evidente che fosse il suo eroe. Gliel’aveva letto negli occhi quel mattino, quando Tyler aveva affermato di essere orgoglioso di lui.

“Ne parlo così, perché io conosco davvero tuo padre, Mase” ammise infine la vampira. “Lo conosco praticamente da sempre.”

“Balle”  ribatté secco lui, distogliendo lo sguardo. “Ti sei solo presa una stupida cotta. Per un uomo sposato, tra l’altro.” 

La sua espressione seccata convinse Caroline a cambiare approccio. L’ultima cosa che voleva era  fargli credere che si sarebbe messa in mezzo fra i suoi genitori.

“Ricordi quando mi hai detto di essere già stato alla riserva naturale?” domandò improvvisamente. Mason le rivolse un’occhiata diffidente, prima di annuire.

“Lo sapevo già: ci siamo incontrati lì una volta, quando eri piccolo. Eri in gita con la scuola e penso che ti stessi nascondendo dai tuoi compagni.”

Mason aggrottò le sopracciglia, ascoltando diffidente le sue parole. Tutto a un tratto si sentì a disagio; non amava parlare della sua infanzia. Aveva sempre avuto un rapporto conflittuale con i ricordi legati al suo passato.

“Non me lo ricordo” concluse poi asciutto, sedendosi nuovamente sul muretto. Non stava mentendo: gli era tornata in mente una gita alla riserva in cui si era allontanato dai compagni, ma non ricordava di aver incontrato alcuna bambina, quel pomeriggio. Solo una coppia di anziani un po’ burberi e una ragazza che all’epoca gli era parsa quasi un’adulta. Una ragazza che si era seduta a terra vicino a lui e gli aveva spiegato cosa significasse essere coraggiosi.

“Ti ho trovato vicino alla staccionata” aggiunse la vampira, tenendo d’occhio la sua espressione con fare vigile. “Abbiamo parlato dei lupi. Mi hai detto il tuo nome, prima di tornare dalle insegnanti.”

Mason scosse il capo, ricominciando ad apparire nervoso: le parole di Caroline lo stavano mandando in confusione. I ricordi di quel pomeriggio alla riserva si erano fatti più vividi, ma non coincidevano con quelli della giovane. Non poteva essere lei la ragazza a cui sei anni prima aveva rivelato la sua paura dei lupi. Caroline non era molto più grande di lui, quindi all’epoca avrebbe dovuto essere poco più che una bambina.

Si accorse di sentirsi inquieto. C’era qualcosa che non tornava, qualcosa che stava incominciando a metterlo in agitazione. Ripensò alle varie annotazioni mentali che aveva raccolto sul conto della ragazza nel corso degli ultimi mesi. Ricordò quanto gli fosse sembrata insolitamente familiare i primi tempi e di come gli avesse rivelato con tranquillità di conoscere il segreto dei Lockwood. Ripensò al rapporto insolito che sembrava aver instaurato con Tyler e al modo in cui ne aveva parlato poco prima.

“Come conosci mio padre?” domandò infine, scrutandola diffidente. “E non rifilarmi la balla delle conoscenze di famiglia, perché tanto non me la bevo.”

Caroline sospirò.   

“Eravamo compagni di scuola” rivelò infine, analizzando apprensiva l’espressione del ragazzo. “Io, Tyler, i Donovan e Bonnie Bennett. Andavamo tutti al liceo di Mystic Falls.”

Mason scese d’istinto dal muretto, come a volersi distanziare fisicamente dalle sue parole. Nel farlo si accorse che avevano preso a tremargli le mani: brandelli di supposizioni si stavano scaraventando l’uno contro l’altro nella sua testa, troppo in fretta perché il giovane potesse riuscire a metterli in ordine. La lucidità continuava a minacciare di abbandonarlo mentre cercava di fare ordine fra quegli indizi accumulati un po’ a caso. Cercava disperatamente di trovare qualche risposta in fretta, ma non c’era nulla che gli sembrasse sufficientemente plausibile.

“Mia sorella si chiama come te” mormorò, formulando la frase con lentezza, come se avesse paura di incespicare nelle parole.

Caroline Forbes era andata a scuola con suo padre. Di certo non era un’adolescente e forse non era nemmeno umana. D’un tratto Mase  ripensò alla conversazione che aveva avuto assieme ai genitori, pochi giorni dopo la partita di hockey.

“Non era tua madre che usciva con papà” concluse infine. “Eri tu.”

Caroline annuì, sostenendo l’espressione accusatoria del ragazzo. Gli doveva la verità e filtrarla o alleggerirla in qualche modo avrebbe solo concluso per peggiorare la situazione.

Mason sbuffò, posandosi una mano dietro la nuca. Caroline avrebbe voluto avvicinarsi e cercare di confortarlo, ma il modo in cui il giovane la freddò con lo sguardo glielo impedì. Sembrava arrabbiato e deluso, più che smarrito o spaventato.

 “Come?” si limitò a mormorare, guardandola con insistenza,  C-co-come è possibile?”

“Tu sei un lupo mannaro” rispose la ragazza, scendendo dal muretto. Mase fece un passo indietro. “Le tue ferite guariscono, hai i sensi iper-sviluppati e una forza e un’agilità fuori dal normale. Anche io ho qualcosa di diverso” rivelò, muovendo qualche passo avanti. “Quello che sono mi permette di non invecchiare mai. Posso crescere, ma non invecchiare.”

Mason rimase in silenzio, limitandosi a scrutarla incollerito.

“Mi hai mentito!” ringhiò infine, continuando a tenersi a distanza. Caroline si sorprese di quella reazione improvvisa.

“Non ti ho mentito!” si oppose,  scuotendo il capo con decisione. “Avevo promesso che ti avrei detto tutto subito dopo la luna piena, e infatti…

“Avevo ragione!” sbottò il ragazzo, impedendole di completare la frase. “Tutto il tempo che hai passato con me, i pomeriggi alla riserva, la luna piena… L’hai fatto per papà, solo perché te l’aveva chiesto papà!”

“Tyler non mi ha chiesto di fare nulla!”  ribatté la ragazza in tono di voce fin troppo alto. Le sue parole incollerite l’avevano lasciata di stucco. Non aveva mai preso in considerazione l’idea che Mason attribuisse così tanta importanza a tutto quello che faceva per lui. Il più delle volte sembrava accorgersi a malapena della sua presenza, come se averla a fianco non facesse alcuna differenza per lui. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse sempre stato evidente il contrario. Si era sbagliata.

“Sono stata io a chiedergli se potessi tenerti d’occhio” spiegò, sforzandosi di lasciar trasparire la sincerità attraverso il tono di voce. “Ho scelto io di starti vicina.”

Mason scosse il capo e distolse lo sguardo.

“Ma l’hai fatto per lui” ribatté in tono di voce improvvisamente atono. La nota di accusa di poco prima sembrava essere svanita. Non c’era più rabbia nel suo sguardo. Solo una delusione intensa e dolorosa che Caroline faticò a sostenere. Si sentiva in dovere di rassicurarlo come aveva fatto nel corso degli ultimi due mesi. Aveva promesso a se stessa che se ne sarebbe presa cura,  ma alla fine a fargli del male era stata lei. 

“Forse all’inizio sì” ammise infine, “Sono tornata a Mystic Falls per riallacciare i legami con il mio passato e Tyler era uno dei motivi principali per cui volevo farlo. Ma poi ti ho conosciuto” aggiunse, abbozzando un sorriso.  “Ti ho visto fare a botte alla partita di hockey e credo di aver pensato che ti avrebbe fatto comodo un po’ di aiuto. Quando hai scatenato la maledizione  ho capito che starti vicina avrebbe fatto bene a entrambi. Ed è stato così” si interruppe per riprendere fiato, voltandosi in direzione del ragazzo. Mason era tornato ad appoggiare la schiena al muretto e scrutava impassibile il retro della tenuta, le braccia conserte sul petto.

 “Qui a Mystic Falls non c’era più nulla che riuscisse a farmi sentire me stessa, ma starti accanto mi ha aiutato. Spesso mi ha fatto sentire come se non me ne fossi mai andata. Mi sto affezionando molto a te.”

Mason non rispose. Caroline non aveva mai dato peso più di tanto ai suoi silenzi prolungati o alle loro conversazioni che calavano bruscamente nel nulla, ma quella sera l’assenza di risposte da parte si stava rivelando difficile da sostenere. Cercò di guardarlo negli occhi; vi lesse la stessa diffidenza marcata che aveva riconosciuto nel suo sguardo i primi tempi. D’un tratto si sentì agitata.  La impensieriva il pensiero di dover rinunciare ai timidi progressi che la loro amicizia aveva mosso nell’ultimo periodo.

“Hai tutto il diritto di essere  arrabbiato con me” disse, tornando a sedersi sul muretto.  “Ma ho bisogno che tu mi creda. Guardami” lo richiamò decisione. “Ti sembra che stia mentendo?”

Finalmente il ragazzo si decise a ricambiare il suo sguardo.

“Chi sei?” domandò, appoggiando un gomito al muretto. “Che cosa sei?”

Caroline si lasciò sfuggire un sospiro.

“Un vampiro” rivelò, mordicchiandosi il labbro.

Mase sgranò gli occhi.

 “Non devi avere paura di me” si affrettò ad aggiungere la ragazza. “Non farei mai del male a te o alla tua famiglia. Convivo con questa cosa da diverso tempo, ormai, e so controllarmi.”

“Succhi il sangue alle persone?” domandò il giovane, scrutandola con diffidenza. Il modo infantile in cui lo chiese la fece sorridere. Sembrava ancora distante, volutamente distaccato, ma in maniera  minore rispetto a poco prima.

“Ogni tanto. Il più delle volte mi rifornisco di sacche ematiche rubate a qualche ospedale” spiegò, continuando a tenere d’occhio la sua espressione di sottecchi. Notò che Mase era tornato a sedersi sul muretto come lei e questo la rassicurò leggermente. “Non è la stessa cosa, ma si finisce per farci l’abitudine. Meglio il sangue umano in sacche che quello degli animaletti, comunque, su questo non ci sono dubbi. Gusto orrido a parte, certi hanno dei musetti così teneri e indifesi…

“Se sei un vampiro significa che sei morta?” domandò improvvisamente il ragazzo, interrompendo il suo fiume di parole. Caroline annuì.

 “Avevo diciassette anni” rispose, ripensando con una stretta al cuore alla confusione e al panico di quella notte.

Mason le rivolse una lunga occhiata che la vampira non fu in grado di decifrare, prima di distogliere lo sguardo. Sembrava turbato. Più volte parve sul punto di chiederle qualcosa, ma non lo fece.

“Mio padre ti è stato vicino?” domandò all’improvviso, riprendendo a colpire ritmicamente il muretto con il tallone. Nonostante l’atteggiamento impassibile Caroline riuscì ad individuare una punta di apprensione nel suo sguardo e si sentì attraversare da un moto di tenerezza.

 “Molto più di quanto lui stesso creda” rispose, sorridendogli con dolcezza.  “La nostra amicizia ha incominciato a crescere proprio in quel periodo. Tyler ha scatenato la maledizione poco dopo la mia transizione in vampiro e questo ha inciso molto sul nostro rapporto.”

Mason aggrottò le sopracciglia.

“Quanti anni hai?” domandò.

Caroline arrossì.

“Ho la stessa età di tuo padre” ammise, portandosi le mani in grembo. “Non mentivo quando ti ho detto che andavamo a scuola assieme.”

“Che?” esordì Mason, sgranando gli occhi, allibito. “Stai dicendo che sei vecchia?”

La vampira gli rivolse un’occhiata stizzita.

“Non osare!” lo rimbeccò, dandogli uno schiaffetto sulla spalla. “Non sono per niente vecchia!”

“Come no! Sei quasi decrepita!”

“Mason!”

Caroline gli sferrò una spintarella, cercando di sbilanciarlo dal muretto. Mason scoppiò a ridere, sollevando un braccio per difendersi dai colpi della ragazza.

“Scusa, perché adesso ridi?” lo interrogò la vampira, scrutandolo indispettita.

Mason scosse il capo.

“Perché è disgustoso!” dichiarò infine, passandosi una mano dietro la nuca. “Non avrei mai pensato di trovare sexy una vecchia” ammise infine, abbozzando un sorrisetto malandrino.

Questa volta fu Caroline a squadrarlo allibita.

“Sexy?” ripeté, inarcando un sopracciglio. “Ma per favore!” lo schernì, lasciandosi sfuggire a sua volta un risolino.

 “Che hai da ridere tu, adesso?” la interrogò bruscamente il ragazzo.

Caroline scosse il capo con fare incredulo.

Rido perché ho quasi quarantacinque anni, e…

“Che schifo…” la stuzzicò Mase, esibendo una smorfia disgustata.

…e le tue uscite da ragazzino con gli ormoni in subbuglio mi mettono in imbarazzo” proseguì la vampira, arrossendo leggermente. “E se dici ancora una volta ‘che schifo’, giuro che ti butto giù dal muretto!”

 “Non oseresti mai” la provocò il ragazzo. Scartò improvvisamente all’indietro, quando Caroline si allungò in avanti per strofinargli un pugno sul capo.

“Questo me lo può fare solo Ricki” si lamentò scontrosamente, cercando di allontanarla. “Levami le mani di dosso!”

 “Qualcuno si sta arrabbiando!”  osservò la ragazza, sorridendo soddisfatta.

Mason sfuggì alla sua presa e incominciò a sistemarsi i capelli spettinati con le mani, mentre Caroline al suo fianco lo osservava in silenzio. Vederlo scherzare così l’aveva rassicurata e l’agitazione di poco prima si era notevolmente affievolita. D’un tratto avvertì l’impulso di abbracciarlo. Non lo fece, ben sapendo quanto lo rendessero incerto i gesti d’affetto spontanei.

 Sexy…” non poté evitare di ripetere poco dopo, scuotendo il capo con espressione divertita.

Mason arrossì.

“Smettila.”

“L’hai capito che ho l’età per essere tua madre, vero?”

Il ragazzo accennò un sorrisetto malizioso.

 “Beh, sai come si dice…” commentò, intrecciando le dita dietro la nuca. “…MILF.” **

Caroline lo squadrò stupefatta.

“Mason!” lo riprese, arrossendo imbarazzata. “Sei tremendo!”

Il ragazzo si mise a ridere. Cercò di riparasi dagli spintoni di Caroline, che riuscì senza troppo sforzo a buttarlo giù dal muretto.

“Una volta, forse” esordì improvvisamente il ragazzo, sollevandosi da terra. Tornò ad appoggiarsi al muro con la schiena sotto lo sguardo perplesso di Caroline.

“Una volta cosa?”

“Una volta mi guardavi come se fossi mia madre” si spiegò meglio Mason.  “Ma ultimamente hai cambiato sguardo.”

Caroline gli rivolse un’occhiata confusa.

“Che intendi dire?”

Il giovane non rispose. Si limitò a dare una scrollata di spalle, scavalcando poi il muretto per rientrare in giardino.

 “Mase!”  lo richiamò la ragazza. “Come ti guardo adesso, scusa?”

Il giovane abbozzò un sorrisetto.

“Andiamo dentro, inizia a fare freddo” propose, infilandosi le mani in tasca e incominciando a incamminarsi verso la tenuta.

 “Mi vuoi rispondere?” insistette Caroline, affrettandosi a seguirlo. “Dio, non ti sopporto quando fai così!”

Mase si mise a ridere. Nonostante la vampira reagisse con stizza ai modi di fare dispettosi del ragazzo, quella risata riuscì ancora una volta a strapparle un sorriso.

In fondo non era poi così sicura di voler conoscere la risposta alla sua domanda.

 

Even the best fall down sometimes.

Even the wrong words seem to rhyme.

Out of the doubt that fills my mind,

I somehow found you and I collide.

 

Collide. Howie Day

***

Florida, Jacksonville University.

La piazzetta che ospitava i quattro edifici principali del campus era gremita di gente, quel pomeriggio. Giovani studenti intenti a chiacchierare e ascoltare musica riempivano a gruppetti le panchine e le gradinate, impigriti dal caldo.

Solo tre figure solitarie, quelle di due uomini e una donna, sembravano poco intenzionate a godersi la giornata soleggiata. Il trio attraversò spedito il corridoio meno illuminato della biblioteca, sbucando a pochi metri da un locale semi-deserto.  Una volta dentro le tre persone scelsero un tavolo e lo occuparono. Si erano sistemate da meno di dieci minuti quando un ronzio e il motivo di qualche vecchio spot pubblicitario si frapposero alle voci dei presenti nella stanza.

 “Non mi abituerò mai a questi” borbottò uno degli uomini, estraendo dalla tasca il cellulare.  Se lo portò all’orecchio e ascoltò attentamente le parole dell’interlocutore, mentre gli altri due occupavano il tavolo da biliardo più vicino.

L’uomo conversò per una manciata scarsa di minuti, parlando con voce bassa e leggermente rauca.

“Era Zacheria” dichiarò infine, chiudendo la chiamata. “Ha trovato uno dei ragazzi. Vivono nell’edificio più a ovest del campus. Possiamo andare a prenderlo non appena farà buio.”

“Quale dei due?” lo interrogò la donna, chinandosi sul tavolo per posizionare al meglio la stecca.

“Il mezzo Gilbert” rispose l’altro. “Lockwood sembra essere ancora in Virginia.”

“Era proprio necessaria questa deviazione?” sbottò improvvisamente il secondo uomo, guardandosi freneticamente attorno: sembrava avere qualche problema a mantenere gli occhi puntati su qualcosa troppo a lungo. “Avremmo potuto incominciare da Mystic Falls e tornare dopo per il ragazzo Non mi piace, qui. C’è troppa luce.”


Zacheria dice che può occuparsene lui” proseguì l’altro in tono di voce secco, ignorando la sua protesta. Si rivolse alla donna, che aveva abbandonato la stecca sul tavolo e lo stava fissando con sguardo carico di disappunto. “Se per te andasse bene potrebbe farlo anche ora, Lyra. Quel bastardo non ha problemi a stare esposto alla luce del sole.”

La donna sembrava contrariata.

 “Dì a ‘Ria che è un folle e un masochista se spera di riuscire a soffiarmi via la preda” rispose freddamente, allontanandosi dal tavolo da biliardo. “Non mi importa se la sua vittima non è più qui. È il mio turno per giocare.”

Si tastò i canini con la lingua, esibendo un sorrisetto deliziato. Aveva la gola arsa, bramosa di sangue e  le mani avide di vendetta.

“I Gilbert sono miei.”

Presto avrebbe estinto entrambi i tipi di sete.

_____________________________

*Remember me this way – Jordan Hill

** MILF – Mom I’d Like to Fuck. Da Wikipedia: MILF è un acronimo tratto dal linguaggio gergale anglo-americano che riguarda generalmente donne mature considerate sessualmente appetibili da maschi più giovani.

 

Nota dell’autrice.

Ed eccomi qui, finalmente, con la seconda parte del dodicesimo capitolo.

Vi chiedo scusa in anticipo nel caso troviate errori di distrazione/battitura o altre sviste.  So che sono solita disseminarne diversi  pur ricontrollando di volta in volta i capitoli e questa volta ho revisionato in maniera un po’ frettolosa, perché la prossima settimana mi assenterò da casa e ci tenevo a pubblicare prima della partenza per non posticipare ancora. Cercherò di rimediare quanto prima, intanto mi scuso!

In generale questo capitolo mi ha fatto dannare parecchio. Per ora è forse quello che mi convince di meno, ma forse è perché avevo in programma di scrivere alcune di queste scene da molto tempo e credo di essermi creata troppe aspettative a riguardo xD
Passiamo al mio polpettone nel polpettone.

Sulla scena Xanderine non c’è poi molto da dire, si racconta da sola. Per quanto riguarda Ricki e Vicki mi sono accorta in fase di stesura che le dinamiche tra i due si sono svolte in maniera molto più pacata rispetto al solito. Vicki era decisamente meno pazzerella di come siamo abituati a vederla, ma ho pensato che la situazione lo richiedesse. E grazie al casotto combinato da Ricki i due giovincelli incominciano a scambiarsi informazioni sui rispettivi segreti. Nei prossimi capitoli scopriremo se la cosa verrà approfondita e se ci saranno conseguenze di qualche tipo.

La scena Annaver/Jeranna è un concentrato di riferimenti al film Casper: non ho potuto fare a meno di inserire un piccolo tributo a quel film  per bambini che nonostante tutto riesce ad emozionarmi ogni volta che lo guardo xD Inoltre il parallelismo con Anna, Oliver e Jeremy era troppo calzante per non volerlo inserire.  La canzone che intervalla la scena in questione (Remember me this way di Jordan Hill) è proprio la canzone che accompagna la scena finale del film, in cui Kat balla assieme al Casper umano.

Nella scena Annaver c’è anche un  lieve riferimento alla canzone She’s the sunlight  dei Trading Yesterday, che ho sempre trovato perfetta per loro due. I versi che mi hanno ispirata sono “she is tomorrow, I am today”.

Purtroppo non ho potuto dedicare una scena vera e propria alla vittoria di Vicki. Sarebbe venuto fuori un papiro troppo lungo, perciò ho preferito menzionare la cosa nella scena Annaver/Jeranna.

La scena Masoline è forse quella che mi convince di meno assieme a quella Rictoria. Spero che la contrapposizione fra la prima parte della scena in cui avviene la rivelazione e la seconda, in cui le cose si fanno più distese e non stoni troppo. Mase alla fine riesce ad accantonare la sua diffidenza per riprendere i modi di fare un po’ da stupidotto del capitolo precedente xD  Credo che Caroline alla fine abbia trovato il modo per rassicurarlo e a questo è dovuto il suo cambio di atteggiamento.

Con questo capitolo si chiude la prima parte, decisamente introduttiva, di questa storia – Werewolves. Dal prossimo avrà inizio la seconda parte, intitolata Vampires. La scena di chiusura di questo capitolo è un grandissimo indizio per comprendere cosa aspettarsi dalla futura seconda parte. Chi saranno questi quattro loschi individui che gironzolano per l’università di Jacksonville? Uno di loro, Zacheria, lo conosciamo già. Dal prossimo capitolo incominceremo a conoscere di più anche gli altri tre. Finalmente i prossimi episodi dovrebbero dare più rilievo  a quei due pargoli che per ora sono rimasti un po’ più in disparte: Jeffrey e Julian.

Credo di aver detto tutto! Sicuramente il nuovo capitolo arriverà, molto in là. Ho bisogno di un attimo di pausa per plottare al meglio la seconda parte della storia.

Grazie a chi ancora continua a seguire questi nove pargoletti, non sapete quanto significhi per me <3

Ricordo come sempre che per informazioni sugli aggiornamenti, scleri vari, anticipazioni, lavoretti grafici e quant’altro mi trovate me e i pargoli sempre QUI, al gruppo facebook su History Repeating.

 

Un abbraccio!

Laura

 

   
 
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