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Autore: Lothiriel_Indil    24/08/2013    0 recensioni
Matthew perse un battito e si trovò a trattenere il respiro nel riportare la mente a quegli avvenimenti. Il solo ricordare quel passato ormai lontano e l’abbandono avvenuto da parte del francese gli faceva provare un forte dolore al petto, di certo non provocato da un malessere fisico.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ci misero molto a raggiungere il locale scelto dal rappresentante francese. Come aveva previsto Matthew, si trattava di un posto piuttosto appariscente, quasi elegante, e doveva essere di moda dato l’alto numero di clienti che vi erano in quel momento, soprattutto giovani.
Francis si soffermò a parlare con un cameriere che subito condusse le due nazioni in un salottino privato, era meglio rimanere in tranquillità.
Sedendosi al tavolino, Matt, prese a sfogliare il menù nella speranza di trovare i suoi amati pancake. Un’aria crucciata si dipinse sul suo viso e non si accorse dello sguardo che il francese gli stava rivolgendo, sembrava pensieroso.
“Anche da piccolo avevi spesso quell’espressione.”, commentò il biondo attirando così l’attenzione del rappresentante canadese che si trovò a sbarrare gli occhi violetti.
“Come?”
“Quando ti concentravi. In effetti non sei cambiato tanto…”
Matthew non seppe se sorprendersi per quel commento improvviso o rimanere deluso per il fatto che il francese lo stesse considerando al pari di un bambino, cosa che in realtà non era ormai da diversi anni.
“Non è vero…”, mormorò in propria difesa abbassando lo sguardo.
“Oui oui, ti conosco bene.”
In realtà avrebbe avuto molto da ridire a riguardo: Francis conosceva il bambino che aveva portato con sé in Francia, che aveva cresciuto e a cui, una volta adolescente, aveva detto addio senza uno straccio di spiegazione; il Matthew con il quale si trovava a parlare in quel momento poteva anche assomigliare a quel piccoletto indifeso, ma era completamente cambiato in molti aspetti.
“Non è vero…”, ripetè il canadese con un’aria decisa che fece comparire un’espressione sorpresa sul volto del più grande, probabilmente non l’aveva mai visto insistere tanto su una questione.
“Matthew…”, cominciò col suo particolare accento che solitamente rendeva la sua pronuncia più divertente del dovuto, ma in quel momento Canada non aveva la minima voglia di ridere.
“Niente.”, borbottò deluso e amareggiato in modo da troncare sul nascere una sua qualsiasi domanda o spiegazione, sapeva, o almeno credeva, che Francis non aveva ancora capito il motivo per il quale stesse prendendo tanto seriamente quel discorso che all’apparenza, o ad occhio estraneo, poteva sembrare di poca importanza. Ma non per lui.
Fortunatamente ci pensò il cameriere a rendere quell’atmosfera meno tesa, anche se involontariamente, difatti si presentò con un block notes in mano per poter prendere le loro ordinazioni: il canadese, che in quel momento chiuse il menù che non aveva nemmeno sfogliato completamente, chiese i pancake completamente ricoperti di sciroppo d’acero, per il quale aveva una grande passione; il francese invece ordinò un cappuccio con un croissant alla crema.
Una volta che il cameriere se ne fu andato Matthew prese a guardare fuori dalla finestra. In realtà aveva sperato in un’uscita piacevole e non si era minimamente aspettato una svolta del genere. Anche se in parte era stata colpa sua… O del tutto?
Tornando a posare lo sguardo violaceo sulla figura del suo accompagnatore, Matt, si sentì dispiaciuto, Francis era stato gentile con lui e non aveva voluto offenderlo con quelle parole, non intenzionalmente.
“Mi dispiace.”, mormorò riprendendo la sua aria timida e remissiva. Dove era finita quella decisione di poco prima? Semplicemente si era reso conto di aver sbagliato, non si era comportato nel modo giusto e aveva finito per fare l’antipatico.
“Non preoccuparti.”, ma sul viso del francese era comparso un sorriso dolce, uno di quelli che un tempo gli mostrava per tirarlo su di morale o per dargli coraggio. Forse era vero, non era cambiato completamente, diversamente non si sarebbe sentito rincuorato solo per questo. Dopotutto era lo stesso bambino che molti anni prima viveva ancora in territorio francese al suo fianco.

Meravigliosa e strana. Matthew non avrebbe saputo trovare aggettivi migliori per quel territorio ancora sconosciuto che per la prima volta si mostrava ai suoi giovani occhi. La Francia era tanto diversa da quelle praterie dove era nato e cresciuto al fianco di suo fratello e degli indigeni. Grandi “tende” fatte di mattoni costeggiavano le trafficate strade e la cosa strana era che avevano molti piani, come fosse possibile non l’aveva ancora capito.
Inoltre vi erano genti vestite in modo molto diverso: alcune persone con addosso dei semplici stracci e altre vestiti sfarzosi, proprio come quelli che gli aveva procurato quel ragazzo che l’aveva portato in quel luogo.
Delle nuvole grigie ricoprivano il cielo e infinite gocce cadevano su quella città donandole un’aria malinconica.
Per quanto fosse bella non riusciva proprio a sentirsi a suo agio, quel posto non gli apparteneva… Né il luogo né le sue genti.
“Ti piace?”, domandò una voce alle sue spalle. Francis, come i suoi accompagnatori, sembrava più che felice di essere tornato a casa, nonostante sembrasse visibilmente indolenzito per i giorni in mare appena terminati.
Gli piaceva? Non particolarmente, ma si. Non lo amava né l’adorava, ma non nutriva alcun disgusto particolare per quel luogo, anzi…
“Oui…”, ormai si era abituato a rispondere in francese, seppure non conoscesse ancora bene la lingua iniziava ad imparare qualche parola e il più grande sembrava entusiasta dei suoi piccoli progressi.
“Resterai a bocca aperta quando vedrai Versailles! E’ bellissima!”
In realtà il francese aveva definito ‘Bellissima’ ogni singolo aspetto della Francia, gli aveva descritto il tutto così dettagliatamente che a Matthew sembrava di conoscerla da anni.
Socchiudendo gli occhi si concentrò sul rumore degli zoccoli dei cavalli che trascinavano la lussuosa carrozza sul quale si trovavano. Non aveva mai visto nulla del genere, quando si trovava ancora con la sua tribù andava a cavallo con suo fratello, mai gli era capitato di vedere nulla del genere… Probabilmente una volta tornato a casa ne avrebbe portata una alla sua gente.
Ma ci sarebbe mai tornato? Avrebbe mai rivisto quelle grandi praterie dove correva con suo fratello? Avrebbe mai rivisto i cavalli correre liberi per quelle terre selvagge? E le aquile dominare il cielo?
In lontananza vide avvicinarsi una grande cancellata dietro la quale vi era un grande edificio, quello che doveva essere il palazzo reale. Francis gliene aveva parlato molto, soprattutto dei numerosi nobili che lo abitavano, anche se in realtà il piccolo si ricordava i nomi di ben pochi di loro, erano complicati.
Durante quegli ultimi giorni avevano parlato molto, anche se in realtà non era riuscito ad ottenere delle risposte riguardo a ciò che lo preoccupava realmente. Non sapeva che fine avesse fatto il fratello, non aveva la minima idea di quando sarebbe tornato a casa.
“Francis…”, decise di approfittare del momento. Lì dentro c’erano solo loro due e nessuno li avrebbe sentiti.
“Oui, Matthew?”, domandò il francese facendosi curioso. In realtà era la prima volta che si rivolgeva a lui spontaneamente.
“Potrò portare con me una carrozza quando tornerò a casa?”, gli chiese tutto d’un fiato.
Il sorriso svanì dal viso del ragazzo che, affrettandosi a distogliere lo sguardo, si fece pensieroso. Che non sapesse cosa dirgli? Che non fosse a conoscenza della sua sorte?
“Matthew…”, cominciò tornando a posare su di lui gli occhi azzurri, ora malinconici come il cielo che si estendeva sopra la capitale francese,”Certo che potrai portarne una con te. Te ne procurerò una e anche una nave tanto grande da poterla trasportare.”
Per quanto il giovane canadese fosse felice di poter ascoltare quelle parole, in cuor suo sapeva che non era realmente così. Il francese gli aveva detto una menzogna per non rattristarlo… O forse per tenerlo a bada? Per non farlo ribellare?
“Così la potrà vedere anche Alfred!”, esultò cercando di essere fiducioso. Doveva credere in lui, doveva fidarsi della sua parola, dopotutto l’aveva trattato bene fin da subito, no? Mai si era mostrato scontroso nei suoi confronti e, anzi, era sempre stato gentile e disponibile.
“Oui, a Alfred.”, il francese finse di rivolgere lo sguardo fuori dal finestrino per terminare quel discorso. Il silenzio prese a dominare l’interno della carrozza e non una sola parola aleggiò nell’aria prima dell’arrivo. Solo gli zoccoli e il rumore della pioggia raggiungeva le orecchie del bambino che ora si immaginava di trovarsi nella sua tenda a dormire stretto al fratello, proprio come quando fuori vi era il temporale e entrambi si cercavano per scampare alla paura.

 

  
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