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Autore: Daleko    25/08/2013    3 recensioni
[Mitologia greca]I ricci biondi seguirono il movimento del capo; le labbra vermiglie tirate verso il basso, in un’espressione incollerita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aminia, Narciso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni qualvolta il giovane Narciso si avventurava nella polis trovava qualcuno a fissarlo con occhi adoranti. Per fuggire a quegli sguardi passava molto tempo fra i boschi dell’Eliconia, nella più completa solitudine.
Qualche giorno dopo aver superato i sedici camminava diretto all'uscita della città, intenzionato a restar solo come spesso faceva; un giovane seduto poco lontano si alzò e, dirigendosi verso di lui, lo afferrò per l’avambraccio destro. Suo coetaneo, vestito con la medesima tunica bianca quale indicava eguale casta. «Ché mi fermi?» chiese brusco Narciso, voltandosi e mostrando il volto adirato. I ricci biondi seguirono il movimento del capo; le labbra vermiglie tirate verso il basso, in un’espressione incollerita. Gli occhi color del ghiaccio sembrava volessero penetrare in quelli del giovane, che invece lo guardava come estasiato. «Dimmi qual è il tuo nome; te ne prego» disse lui, parlando lievemente con le rosee labbra socchiuse dall’estasi. «Narciso, ed ora lasciami!» rispose irato il giovane biondo, ritraendo il braccio lontano dall’altro tornando quindi ad incamminarsi fuori dalle mura della città. «Io sono Aminia» lo informò senza alcuna domanda l’altro, seguendolo senza distogliere lo sguardo dal volto di Narciso. «Ti osservo da molto» cominciò quindi, ma venendo presto interrotto dal tono duro dell’altro; «non m’interessa» fu la risposta, che non suscitò alcuna reazione. Oramai fuori dalle mura, il bruno Aminia seguitava imperterrito a parlare. «...da molto tempo; ché ho notato la tua divina bellezza. Quindi dimmi, sei forse un dio?» Il tono adorante sembrava non infondere alcun sentimento nell’animo dell’altro, se non ribrezzo. «Lasciami in pace» fu l’unica risposta che ricevette. Erano oramai arrivati in prossimità del limitare del bosco, dove Aminia tornò a toccare il braccio dell’amato, tentando di fermarlo. «Ho sentito che hai rifiutato molti, fra donne avvenenti e giovani abbienti...» continuò, senza rinunciare né fermare il suo passo. «...perché dunque dovrei concedermi a te?» ribadì seccamente l’amato, voltandosi a guardarlo con spregio e perfidia sul volto. Aminia si fermò lasciando la presa, i verdi occhi improvvisamente velati di dolore. Le labbra si fermarono dunque, come se avesse perso l’uso della parola. Narciso, soddisfatto del dolore dell’amante, lo scacciò in malo modo. «Ripeto, lasciami in pace!» esclamò, prima di sparire tra i fitti alberi. Aminia tornò dunque in città, con la delusione dipinta in viso.

Dopo qualche giorno, Narciso percorreva la stessa strada quando si sentì chiamare dalla voce di un giovane. Era nuovamente alle porte della città, e voltando il viso vide Aminia avvicinarglisi. «Narciso!» esclamò, andando a sfiorargli un braccio con la mano. «Ti stavo aspettando...» gli disse con tono dolce; Narciso lo ignorò, seguitando a camminare. «Ancora tu?» parlò con tono duro che non s’addiceva certo alla sua bellezza, rovinando i suoi delicati lineamenti da fanciullo; ma Aminia non se ne curava, non smetteva di cibarsi della sua bellezza. «Ti supplico, non parlarmi così; s’io t’amo, non è colpa mia ma solamente della tua bellezza e del divino Eros, che si diverte nel farmi soffrire al par tuo» gli rispose con voce greve camminando accanto al giovane, tentando di non restar dietro al passo veloce dell’altro. «Sì veramente m’ami» gli fece l’altro, voltandosi «lasciami libero, ché non m’aggrada la tua presenza!» Detto ciò, quasi furibondo tornò a girarsi coi ricci ribelli che gli oscillavano intorno al capo, per poi dirigersi in solitudine fra il verde attorniante la polis.

Un dì, nel mentre Narciso soppesava al mercato una nuova faretra per le sue frecce, gli si avvicinò il giovane rosso in viso. Si voltò e, ritrovandoselo accanto, gli scoccò un’occhiata beffarda. «Allora, non m’ami poi tanto da starmi lontano!» lo canzonò con una leggera e crudele risata, cui i denti dritti e perlacei donavano ugualmente indicibile fascino. Il ragazzo lo guardò dunque con espressione disperata, e con gli occhi lucidi gli disse: «Te ne prego! Dammi un pegno che m’ami, o dolce amico, ché, senza di te, preferirei morire!» La voce, quanto mai struggente d’amore, non smosse il cuore di Narciso; il quale, cercando con lo sguardo sul banco del mercante, scelse una spada lucente e, pagandola, gliela porse. «Ecco a te» gli disse con voce e sorriso beffardo «ecco il mio pegno! Che, se m’ami, saprai che farne». Detto ciò si allontanò con la sua faretra nuova, lasciando Aminia solo, disperato e con il suo pegno d’amore.

La notte stessa, l’infelice si fermò sull’uscio della casa dell’amato. Il viso rigato dal pianto, la voce colma di dolore. «Oh giovane crudele» cominciò, battendo col palmo della mancina sulla porta. «Non meriti cotanto amore. Non Narciso, ma vanesio doveva essere il tuo nome! Ché un uomo avvenente come te sol se stesso può amare. Ebbene, io faccio buon uso del tuo pegno; ma invoco gli dei sul mio capo! Il mio dolore e quel di tanti altri amanti si riversi in sciagura su di te. Addio!» Alzò dunque la mano destra in cui reggeva per l’elsa la spada donatagli dall’amato; e, seguitando a piangere, trapassò il proprio ventre da parte a parte, inchiodandosi alla porta dell’amato Narciso.

   
 
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