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Autore: xharrysdimples__    25/08/2013    7 recensioni
Erano due di quelli che i dolori se li tenevano dentro stretti stretti per non farli sentire, per paura di fare troppi rumori. Due gemelli, che non erano mai stati amati da nessuno, avevano paura sbagliare, avevano bisogno di amore, quando gli unici loro migliori amici erano la tristezza, la sofferenza e l'odio...
Genere: Fluff, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Fate come vi pare. Andatevene. Tanto voi due siete stati solo una palla al piede. Mi avete fatto spendere soldi inutili, siete solo degli stupidi ragazzini cresciuti troppo in fretta per i miei gusti!-. Disse bevendo l'ultimo goccio di vino presente nella bottiglia. 


In effetti aveva ragione. Lei che ci aveva concepito, ci sputò in faccia tutto quell'odio che possedeva. Ci aveva sempre odiato. Eppure non eravamo troppo esigenti, non volevamo troppo da lei. Solamente un bacio, un abbraccio, affetto. L'affetto ci era stato sempre negato. Aveva ragione, eravamo cresciuti troppo in fretta. Io e mio fratello gemello avevamo affrontato la vita duramente, senza un'infanzia. Quella donna davanti a noi, si ci aveva partorito e lasciato in ospedale. Per sfortuna, ci riportarono da lei. Avevamo sempre sognato di andare da nostro padre, in America, ma lei ce lo aveva proibito. E quel giorno dopo tante prediche potevamo andarcene. Eravamo  maggiorenni all'incirca da un anno. Avevamo quasi 19 anni e potevamo andare via da quella baracca già da meno di un anno. Ma i viveri scarseggiavano e quindi io e Harry ci rimboccammo le maniche, e lavorammo duramente. L'Italia era un paese di merda, non offriva lavoro, per questo mio padre se ne andò in America, la sua patria di origine, in cerca di più fortuna. Mio padre ci amava, più volte ci aveva portato li da lui, a New York, ma mia madre ci aveva costretto a tornare. I miei ci avevano concepito in una discoteca squallida di provincia, mentre mio padre era venuto in Italia per una vacanza studio. Poi, dopo una settimana se ne andò. Dopo un anno mia madre si presentò a casa sua con noi in braccio. Litigarono, mio padre sapeva com'era mia madre e ci voleva tenere lui, almeno avremo avuto una vita migliore, degli amici, una famiglia normale. Invece quel fottuto avvocato di merda, che poi diventò il marito di mia madre, ci fece rimanere con lei. Nostra "madre" Sonia, italiana di Firenze, si sposò con Lorenzo Morisi, l'avvocato più ricco di tutta Firenze. Io ed Harry avevamo il cognome del nostro vero padre, Robert Styles. Comunque, nell'arco di tempo tra i 18 e 19 anni, lavorammo duramente. Non trovammo dei veri lavori, in Italia regna la crisi. Harry fece come lavoro il tecnico di computer, cellulari e tablet, visto che era bravo un questo campo. Io, all'insaputa sua, feci la spogliarellista in un locale lesbo, anche se io non lo ero. Ci servivano soldi, io guadagnavo 170 euro a serata e mi andava più che bene. Invece Harry pensava che io lavorassi in un bar, ma visto che non era stupido, pensava che 170 euro in un bar era troppo. Mi fece molte domande alle quali io non risposi. 

-Non aspettavamo altro, vaffanculo... -. Dichiarò mio fratello guardandola dritta negli occhi, senza affetto, pieno di odio e rebrezzo. 
Si girò nella mia direzione. 
-Spencer, i soldi li hai tu?-. Disse mettendo un braccio attorno al mio bacino. Annuii.  

Le valige erano pronte. Erano nella nostra camera, troppo piccola per due quasi diciannovenni, con un solo letto, un matromoniale dove dormivamo insieme, abbracciati ogni notte, fin da quando eravamo nati. Io mi prendevo cura di lui, lui di me. Io cucinavo per me e lui, lui lavava i piatti. Io pulivo la casa, lui faceva la lavatrice. Mentre mia madre e suo marito passavano il giorno a scopare come conigli, oppure ad ubbriacarsi, o invece, Lorenzo andava a lavoro. Anche lui ci odiava, ci voleva morti come lo voleva Sonia. Nella stanza c'era solo un comodino e un solo armadio per due persone, una sola scrivania e una sola sedia.  La nostra, un'infanzia distrutta, tra il dolore, i pianti, la tristezza. Andavamo a scuola, ma li le cose non cambiavano. Io e lui stavamo sempre insieme, perché nessuno ci voleva, ci chiamavano 'sfigati' perché non avevamo mai una merenda, oppure nessuno che veniva a prendere all'uscita a scuola. Le cose però, alle superiori cambiarono. Non furono le cose a cambiare ma noi. Iniziammo a reagire a nostra madre. Quando ci picchiava noi rispondevamo con la stessa moneta. Non bisogna picchiare un genitore, ma era per autodifesa. Questo succedeva molto frequentemente, ogni volta che si ubriacava. Alle superiori continuò a picchiare solamente me, perché ero più debole, ma Harry mi difendeva. Lui mi proteggeva. Infatti, dietro quell'aria da duro, da ragazzo alto, muscoloso, tatuato al quale non importava nulla dalla gente, si nascondeva ancora un bambino, quel bambino mai nato in noi, non avevamo mai vissuto l'esperienza di essere piccoli, perché diventammo grandi subito, eravamo piccoli solo di età, perché dentro eravamo dei venticinquenni  già ben sviluppati. Dalle superiori avevamo iniziato a ragionare. Sempre a 14 anni, Harry mi confessò di essere attratto dai maschi, cosa che a me non importava, cioè, se gli piacevano le femmine mi andava bene, invece se gli piaceva il cazzo, idem. Mio fratello era mio fratello, etero o gay che fosse a me non interessava. La cosa però mia madre non l'accettò, prendendolo in giro tutto il giorno insieme a Lorenzo, chiamandolo finocchio, checca, frocio, gay. Però non era una presa in giro alla fine, perché lui veramente era gay, infatti non se ne importava più di tanto. A prensersela ero io, perché non mi piaceva quando torturavano mio fratello. Sempre dalle superiore lui ebbe il suo primo ragazzo, un ragazzo, più grande di lui, che lo fece ragionare sulla sua vita, promettendogli amore, per poi lasciarlo, senza pudore. Da allora, non si affezionò più a nessuno, si dedicò di più all'amore verso di me, sua sorella. Anche alle superiore ebbi il mio fidanzato, solo una cotta, che non ne valse la pena continuare. 


Eravamo sulla soglia della porta e le davano le spalle. La valige al nostro fianco, mezze rotte, contenevano pochi vestiti, bucati oppure troppo usati. Guardavamo la casa, anche se non si poteva chiamare così. Era piccola, stretta, aveva due camera da letto, un salone, un bagno e una cucina. Guardavamo il salone piccolo, con il muro pieno di buchi, rattoppati da chili di stucco. La vernice giallognola era quasi tutta tolta, il pavimento una volta di parquet, era sporco. Non lo lavavo da settimane. Il divano di stoffa imbottita rossa da due posti, era rigorosamente tarlato e bucato. Il tappeto polveroso era tra il divano e il tavolino sgangherato. Quel tavolino intonato con l'ex parquet, a cui mancava una gamba e Harry ci dovette mettere un pezzo di un ombrello, era posizionato in modo orizzontale, aveva sopra delle bottiglie di birra vuote e una miriade di sigarette spente nel posacenere. Erano di mia madre, di Lorenzo, di Harry e mie. Fumavamo tutti, io ed Harry fumavamo più che altro per stress. Davanti il tavolo, una vecchia tv, trasmetteva perennemente lo stesso canale. Al muro, neanche una foto nostra, solo di mia madre e Lorenzo, come se io e mio fratello non c'eravamo mai stati in quello schifo di casa. Era strano che, Lorenzo imballato di soldi, non comprasse una casa nuova, migliore. Harry affermava che 'Stanno aspettando che ce ne andiamo, almeno hanno una casa tutta loro'. Aveva ragione.

-Vedi questa merda di casa?-. Mi disse all'orecchio. 
-Si, è un orrore..-. 
-Spencer, noi non ci metteremo più piede, andremo lontano, dall'altra parte del mondo, da lui che ci vuole bene, da papà. Ti prometto che non verremo mai più qui, mai-. Mi giurò, dandomi un bacio sulla tempia. 
-Grazie di tutto Harry, grazie per esserci stato sempre-. 
-Grazie a te, grazie per avermi fatto da madre...-. 
-Grazie per avermi fatto da padre-. Dicemmo per poi abbracciarci. 

Un applauso finto, ci distrasse. 
-Ma bene, guarda Sonia, questi due stupidi si stanno abbracciando come dei bambinetti! La puttana e il finocchio!-. Sonia e Lorenzo risero di gusto. 

Harry strinse i pugni, facendo venire le nocche bianche. 
-Non chiamare mia sorella, puttana!-. Avanzò verso di lui, mentre Lorenzo lo guardava con aria di sfida. Erano a conoscenza entrambi della forza di tutti e due. 

-Altrimenti che mi fai? Checca!-. Harry lanciò fuoco dagli occhi, tirando un destro in bocca a Lorenzo, sotto gli occhi allibiti di nostra madre. 

-Andiamo Spè-. Disse Harry prendendo entrambi le valige. 
 
Uscimmo fuori, il taxi con dentro l'uomo sulla sessantina ci aspettava. Guardai per l'ultima volta quel giardino incolto, senza fiori e con buchi nel terreno. Le finestre di casa erano oscurate dalle tende gialle. Harry spinse la porta e la chiuse in modo brusco, facendolo tremare. Aveva troppa forza, non riusciva a domarla avvolte. Attraversammo il piccolo vialetto di ciottoli grigi. Entrammo nell'auto, mentre il taxista riponeva le valige nel portabagagli. I comodi sedili posteriori di pelle nera, erano freddi, essendo inverno inoltrato. Precisamente, giovedì 17 gennaio. 

Entrò anche l'uomo. 
-Dove vi porto?-. Disse con il suo insopportabile accento fiorentino.
-All'aeroporto 'Galileo Galilei' di Pisa, grazie-. Disse Harry imitando l'accento di quell'uomo e che non ci riuscì molto. Riuscivamo a  parlare meglio in americano, perché sia mamma che Lorenzo, erano due grandi ignoranti, e non ci capivano quindi avevamo preso l'abitudine di parlare così.

La macchina partì. Avevamo un'opportunità per cambiare vita, almeno ci illudemmo di averla.
  
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