Prometti
di restare
“Veronica.”
La porta si apre lentamente e quella voce bassa e profonda rimbomba
nelle sue
orecchie per colpirla allo stomaco, sciogliendo quella tensione
dolorosa che
non si era neanche accorta di aver accumulato in
quelle
dieci settimane di lontananza. Infine i passi fra loro si annullano e
Veronica
si ritrova fra quelle braccia, stretta a quel corpo che conosce
così bene. È
cresciuto ancora e oramai la supera di tutta la testa; Veronica sospira
e cerca
di regolarizzare il respiro mentre lui le passa le mani sulla schiena,
risale
lungo le spalle e le strofina il naso contro il collo. “Mi
sei mancata.”
Vorrebbe rispondere anche tu mi sei mancato da morire.
Ma la voce
semplicemente non esce. Non è mai stata brava con le parole
e con lui non ne
sono mai servite molte. Il loro rapporto è da sempre fatto
di gesti, sguardi, risate. Un modo di comunicare tutto loro e
comprensibile a
pochi. O, forse, ha solo paura che, se le lascia libere, quelle parole
diverranno vere e che la prossima separazione – Veronica non
si illude, sa che
arriverà a breve – la lascerà troppo
dolorante e vuota.
È lui a sciogliere per primo l’abbraccio, a fare
un passo indietro e Veronica
si sente all’improvviso insicura sotto lo sguardo del suo
migliore amico.
Allora deglutisce forte e decide di affrontarlo, alza gli occhi e
ritrova le
sue iridi castane, quegli occhi che ogni volta che la guardano sembrano
diventare
più luminosi e lei si dà della scema e scoppia a
ridere prima di abbracciarlo
di nuovo.
“Credi che riuscirai a dire qualcosa o la mia vista ti ha
troppo
destabilizzato?”
Veronica scuota la testa e gli dà un pizzicotto sul fianco.
“Cretino.”
“Mi aspettavo qualcosa di diverso ma mi accontento.”
Le dà un buffetto sulla guancia e poi lascia che la sua mano
si intrecci con
quella di lei, la guida all’interno della casa, in quella
sala decisamente
troppo grande alla quale
Veronica non riesce ancora ad
abituarsi e si siedono sul divano. A volte le manca la vecchia stanza
di lui,
quella con i poster dei Muse
e della sua squadra di
calcio. Quella con le carte delle merendine e i libri di matematica per
terra e
i boxer buttati sul letto che lui cercava di nascondere quando lei
entrava. Le
mancano i pomeriggi in cui cercava di fargli memorizzare le date della
rivoluzione francese e la madre entrava con la cioccolata calda. Le
manca
trovarlo seduto sul letto con la chitarra in mano e i capelli lunghi
che gli
ricadevano sugli occhi intento a imparare gli accordi di una nuova
canzone.
Veronica si morde l’interno della guancia e poi si volta a
guardare lo schermo
della televisione sorridendo. “Stai guardando ancora
Scrubs?”
Lui si stringe nelle spalle e annuisce. “Il dott Cox
è geniale.”
“Veramente è…”
La mano del suo amico si posa sulla sua bocca, veloce.
“Veronica, sono due mesi
che non ci vediamo, vuoi davvero iniziare la solita
discussione?”
Veronica alza gli occhi al cielo e poi scuote la testa, aspetta qualche
minuto
finché non è di nuovo libera di parlare.
“Ma se tu ragionassi per un minuto
capiresti che…”
Ma lui non l’ascolta, afferra le cuffie poggiate sul
tavolino, le infila e
infine si sdraia sul divano con le mani intrecciate dietro la testa e
un
sorriso ironico sul volto. Veronica sbuffa, lo guarda male e si sdraia
accanto
a lui levandogli le cuffie. “Tanto lo sai che ho
ragione.”
Lui sorride e le bacia la tempia. “Come sempre.”
“Com’è andato il volo?” chiede
mentre le mano destra di lui si sposta sul suo
fianco stringendola di più.
“Pieno di turbolenze ma l’hostess era
carina.”
“Sei un porco.”
“Forse. ” Le fa l’occhiolino e poi chiude
gli occhi mentre Veronica appoggia la
testa nell’incavo del suo collo e gli accarezza i capelli.
“Stanno ricrescendo.” Afferma quasi sovra pensiero.
Ricorda il giorno in cui li
aveva tagliati e quanto era stato difficile non scoppiare a piangere.
Era
successo unpaio di anni prima, dopo aver firmato il suo primo contratto
e
Veronica aveva pensato che non fosse rimasto più nulla del
suo migliore amico,
di loro. Era stato duro e doloroso affrontare tutti quei cambiamenti,
il fatto
di non averlo più ad una porta di distanza per raccontargli
tutte le più
piccole cose, il fatto che avesse smesso di andare a scuola e che non
sarebbe
stato con lei il giorno del diploma ma, alla fine, aveva capito che
sotto quei
capelli corti, quei vestiti di marca e quel fisico che diventava sempre
più
asciutto e muscoloso lui c’era ancora.
La stretta intorno ai suoi fianchi si allenta, Veronica alza la testa
dal suo
collo e lo vede sbadigliare. “È meglio se vado a
casa.” Cerca di alzarsi ma lui
la blocca.
“Non voglio che tu vada via.”
“Ma devi dormire.”
“Prometti di restare.”
Lo guarda e, in quel viso quasi adulto, rivede il volto del bambino che
aveva
paura dei tuoni e a cui lei porgeva il walkie talkie per poter parlare
se
fossero diventati troppo forti. Sospira e infine gli sorride.
“Promesso.”
****
Veronica si mordicchia le labbra,
scalcia un paio di scarpe
sotto il letto e cerca il libro di letteratura francese sulla
scrivania. Sa di
non essere pronta per l’esame della settimana prossima,
sfoglia le pagine ma è
come se le parole le passassero nella testa senza riuscire a leggerle
davvero.
Si strofina una mano sugli occhi sbavando tutto il trucco che ha
dimenticato di
avere e impreca fra i denti, finché non sente un bussare
deciso alla porta.
Trattiene il respiro mentre si alza dalla scrivania e apre la porta,
lentamente.
“Mi sono svegliato e non c’eri.”
Si aspettava di vederlo lì, con gli occhiali da sole, il
capellino calato sul
viso e le mani nascoste nella tasca dei jeans ma non si aspettava
quella
sfumatura quasi rassegnata nella sua voce.
Veronica si sposta appena per farlo entrare e lui le passa accanto.
“Mi spiace,” lo dice a bassa voce e lui si blocca,
si avvicina allo specchio
appoggiato alla parete in fondo alla stanza e stacca una delle
fotografie
appesa con le puntine. Veronica lo osserva in silenzio mentre con il
pollice
accarezza i contorni della foto.
“Questa è sempre stata la mia
preferita.” Sorride come assorto in qualche
ricordo lontano e Veronica fa fatica a riconoscere il quel sorriso lo
stesso
ragazzo che vede ritratto nelle riviste. E allora che si decide a
raggiungerlo,
gli prende la foto dalle mani rimettendola a posto, si ferma qualche
secondo in
più stringendo la puntina fra le dita, con il cuore che le
martella troppo
forte, finché non sente le mani di lui sulle spalle che la
fanno voltare.
“Perché?” Non serve che dica altro.
Veronica sa che cosa le sta chiedendo ma sa
anche che non può dargli una risposta, in realtà
ci prova: apre la bocca e la
richiude perché ci sono troppi perché e neanche
uno che possa essere detto ad
alta voce. Perché lei voleva rimanere ma non poteva,
perché sa fin troppo bene
che cosa prova lui per lei, e cosa sente lei quando sono
così vicini, perché
innamorarsi del proprio migliore amico è il
cliché più banale del mondo, perchè
certe cose non finiscono mai come dovrebbero.
Veronica sospira ma lui fa un altro passo e oramai sono così
vicini che lei
riesce a sentire il suo respiro addosso. Alza lo sguardo e vede gli
occhi di
lui, vorrebbe non essere così brava a leggerci dentro ma lo
fa e allora sposta
le mani sul suo petto per allontanarlo ma l’unica cosa che
riesce a fare e
serrare le dita sulla stoffa della sua maglietta azzurra, chiudere gli
occhi e
lasciarsi andare mentre le labbra di lui la fanno sentire a casa.
Quando Veronica si sveglia la stanza
è ancora completamente
buia. Non sa di preciso che ore siano e, anche se i ricordi sono
appannati
della sua mente, quelle mani che le stringono la vita, quelle gambe
intrecciate
alle sue e la barba che le solletica il collo le danno una percezione
precisa
di cosa sia successo. Si volta lentamente e con il dito traccia il
profilo del
suo zigomo fino alle labbra; Anche lui si sveglia e
Veronica
percepisce il suo sorriso anche se non può vederlo. Non
parla ma la preme di
più contro il suo corpo e posa le labbra sulla sua spalla,
risale lungo il
collo e le mordicchia il lobo dell’orecchio, strappandole una
piccola risata.
Veronica stringe le mani ai suoi capelli e reclina la testa
all’indietro mentre
la bocca di lui ora è sulla sua gola e lei freme aspettando
quel bacio che non
tarda ad arrivare.
Le sue labbra sono morbide, Veronica ne riesce a cogliere il gusto e le
dischiude per assaporarle ancora di più. Continuano a
baciarsi finché le mani
di lui non si spostano sotto il lenzuolo e trovano il corpo nudo di
lei. Le
accarezza le gambe per poi risalire, talmente lentamente che Veronica
si morde
le labbra quasi impaziente di essere toccata davvero. E i gemiti sono
bassi e i
sospiri lenti ma questa volta nessuno dei due ha paura di svegliarsi,
questa
volta sono consapevoli che non c’è niente di
irreale in quei baci, in quelle
carezze sempre più spinte, nel corpo di lui che ora si
sposta sopra di lei,
nelle sue mani che le aprono le gambe e nel respiro che si spezza
quando le scivola
dentro, spingendo deciso. Veronica si aggrappa alla sue spalle, gli
graffia la schiena
ma lui rallenta il ritmo, si muove lentamente e le afferra le mani
stringendole
con le sue. Ed è come se anche al buio i suoi occhi la
cercassero,
raccontandole tutte quelle cose che a voce fanno troppa paura. E poi
tutto
smette di avere importanza, tutto il tempo si annulla e lui riprende a
spingere
e a muoversi più veloce. E la bacia ancora, le morde le
labbra , il collo, la
spalla; Veronica chiude gli occhi e sente tutto. Il suo corpo che si
muove
all’unisono con quello di lui, la sua pelle sotto le dita e,
infine. l’orgasmo
che la fa gemere più forte. Ancora un'altra spinta e i
muscoli di lui, tesi
sotto le sue mani, si rilassano e Veronica gli bacia la fronte prima
che lui
l’appoggi contro la sua. Le sfiora il naso con il proprio e
sorride baciandola.
“Veronica…”
Ma lei gli passa un
dito sulle labbra e
blocca le sue parole. “Possiamo non dirlo?”
“Per renderlo meno vero?”
“No, per renderlo vero davvero.” Lo bacia e si
stringe più forte a lui, perché
la notte finirà ma ora è ancora presto.
***
Veronica stringe in mano una
maglietta rossa, con il logo
della marca stampato sul petto, lotta contro l’impulso di
affondarci il viso
per sentire ancora il suo profumo, infine la ripiega e la sistema
all’interno
del borsone aperto sul letto.
“Non volevi tenerla tu, quella?”
Quasi sobbalza al suono della sua voce, si mordicchia le labbra e
scuote la
testa.
Lui si allunga oltre la sua spalla e afferra un’altra pila di
magliette e un
paio di jeans sbiaditi. “Allora vuoi questa?”
chiede con la voce divertita,
mostrandole una maglia da calcio con il suo nome scritto dietro la
schiena.
“Non voglio nessuna delle tue magliette.” Si
accorge troppo tardi che il tono
usato è tagliante e risentito invece che sarcastico ma,
quella valigia in mezzo
a loro, le dà l’esatta prospettiva di quello che
l’aspetta.
E all’improvviso quella stanza diventa troppo piccola, la
luce troppo
fastidiosa e le pareti troppo vicine.
Veronica si alza in piedi, corre verso la porta e a passi rapidi
attraversa il
salotto. Sono passati ventidue giorni e non ha idea di come affrontare
gli
altri, quelli senza di lui. Afferra le chiavi della macchina dal
tavolino e
veloce sale i tre gradini che la separano dalla porta
d’ingresso, la apre ma
prima di riuscire a fare quell’ultimo passo una mano la
richiude. Veronica
osserva le sue dita e il tatuaggio sopra il polso sinistro; prova a
girare la
maniglia, a spostarlo ma lui l’afferra per i fianchi e la fa
sbattere contro il
suo petto, Veronica prova ancora a divincolarsi ma lui la stringe
più forte.
“Sono solo tre settimane,” parla contro il suo
orecchio, con la voce distorta
dalla tensione e Veronica si impone di essere forte e di non voltarsi a
guardarlo.
“E dopo diverranno un mese e un altro ancora.”
Lo sente sospirare mentre la presa diventa meno decisa. Allora lei
reclina la
testa all’indietro chiudendo gli occhi, cerca di sentire il
battito regolare
del suo cuore e aspetta per dire quelle parole che sa feriranno
entrambi. È
sempre stato lui quello dei grandi sogni e dei progetti
ambiziosi, è sempre stato lui quello
che si sentiva stretto nella loro vita normale. E Veronica ha chiuso
gli occhi,
come quando da bambina la sua voce la trascinava in qualche strana
avventura.
Ha ignorato i giornalisti che scattavano foto fuori dal cinema, ha
sorriso alle
ragazzine che, sotto casa, aspettavano per vederlo passare, ha vissuto
la vita
che lui sognava, perché l’unica cosa che lei ha
sempre sognato invece era lui.
“Ti amo.” Alla fine è lui a parlare per
primo, a far scivolare quella frase fra
loro, a dare un nome a quello che provano da sempre.
Veronica rabbrividisce e vorrebbe solo scoppiare a piangere.
“Anche io.”
“Ma non cambia niente.” La voce di lui rassegnata.
In fondo ha sempre saputo
quando le domande fra loro diventano inutili. È solo una
fredda affermazione
che Veronica sente come una voce che risulta già disperata
nella memoria.
Rabbrividisce ancora ma stavolta lui la lascia andare e lei fa
quell’ultimo
passo fuori dalla sua vita.
***
Come ogni volta l’arrivo
all’aeroporto è un gran casino.
Troppa gente che corre trascinando i bagagli e parlando rumorosamente,
qualche
giornalista appostato e un paio di fans che chiedono
l’autografo. Infila gli
occhiali da sole e si stampa
sul volto un bel sorriso.
Tutti i sogni hanno il loro prezzo. Il cellulare nella tasca dei jeans
suona,
controlla il nome che lampeggia sul display e questa volta il sorriso
sul suo
volto e uno di quelli veri, spontanei. “Amore, sono appena
atterrato. Mi stai
aspettando fuori?” Resta in silenzio e ascolta la sua voce;
ogni volta è come
la prima, con le mani che sudano e il cuore che batte troppo forte.
“Certo, Desy.” Sorride ancora e chiude la chiamata.
A volte ci pensa, un
ricordo, una sensazione che si perde in mezzo a tutte le altre del
passato. Non
si è mai pentito di quello che è stato, anche se
avrebbe potuto essere diverso.
Cambia spalla al borsone e cammina deciso verso la porta scorrevole
dell’aerea
arrivi, il cappuccio della felpa tirato su per non essere fermato
ancora.
Adesso la vuole solo rivedere. Si ritrova a cercare il suo viso, a
sperare di
incrociare i suoi occhi. Perché sa che lei lo sta
aspettando, non importa da
quando tempo sia via.
“Papààààààààààààààààà.”
Desy saltella sul posto e cerca di scappare dalla presa sicura della
madre.
Veronica lo vede, sorride e lascia andare la bambina che corre verso di
lui. Si
butta fra le sue braccia e lui la solleva baciandole la fronte mentre
lei ride,
allaccia le mani al suo collo e lui respira il suo profumo di fragola e
borotalco. “Mi sei mancata tanto, amore.”
“Anche tu,” dice con aria solenne e poi avvicina la
bocca all’ orecchio del
padre e la nasconde con le mani. “Anche alla mamma, ma non
vuole che te lo dico.”
Lui sorride, alza gli occhi verso Veronica e la stringe a se con il
braccio
libero.
Sono passate le tre settimane, i mesi e infine gli anni.
“Prometti di restare.”
“Promesso.”
“Stavolta davvero, però.”
Magliette infilate in valigia e poi risistemate nell’armadio.
“E tu prometti di tornare.”
Le sfiora le labbra e sorride.
“Sempre. Tornerò sempre a
casa.”
Angolo
autrice
In una Domenica di fine Agosto torno
a postare su EFP e per
la prima volta lo faccio senza che la mia Beta abbia
revisionato la
storia. Credetemi, dato che questa è la mia prima originale,
me la sto davvero
facendo sotto.
La storia in realtà si ispira ad un qualcosa di ben preciso
che qualcuno avrà
capito sicuramente, per chi non l’ha fatto il Lui
è lasciato volutamente in
sospeso, personaggio vero o inventato. Può essere chiunque
vi lasci con il
sorriso sulle labbra.
Grazie a Angel, Ania e Ellie che sono lì ad un passo da me.
(purtroppo solo
metaforico).
Alla prossima storia.
Con affetto
Noemi