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Autore: Avah    25/08/2013    1 recensioni
Los Angeles, 2000. Una tranquilla famiglia che vive nella grande metropoli americana viene improvvisamente distrutta dal dolore quando un'esplosione porta via con sé una persona fin troppo cara. Le speranze si dissolvono con il passare degli anni, le illusioni sono sempre più frequenti, i miraggi sempre più lontani. Ma sarà veramente così, o c'è sotto qualcosa di più?
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che ci è successo?

-Che… che vuol dire che è tornata?- chiese la donna, non proprio sicura di aver capito bene le parole dell’uomo.
-Lindsay è qui in città, l’ho incontrata poco fa, davanti alla porta di casa- rispose lui, con tono concitato.
Lei lo guardò male, poi sospirò -David, capisco che tu stia ancora male per quello che è successo, ma devi fartene una ragione. Lei è morta, non potrà mai…- non finì la frase perché lui la interruppe.
-No Madison, lei è viva!- esclamò -Era lei, ne sono sicuro-.
-David è impossibile, abbiamo trovato il suo corpo carbonizzato- gli fece notare la donna.
Lui scosse la testa -C’ho pensato anche io. Ma se avessimo trovato il corpo di un’altra? Se ci fosse stata un’altra donna in quel capanno quel giorno?-.
La donna sospirò di nuovo -Non è possibile, David. Chi altro sapeva che quell’uomo si trovava lì se non solo noi? Come ha fatto il capanno a esplodere se non c’era stata una sparatoria prima? Sai anche tu com’è andata- si fermò un momento -E poi, c’era la sua auto ai piedi della collina, l’abbiamo vista tutti-.
-Madison, io non so chi ci poteva essere quel giorno là dentro, né tantomeno posso sapere chi abbia causato la sparatoria, ma so per certo che non c’era Lindsay- vedendo l’espressione della collega, decise di vuotare il sacco -So che sembra assurdo, Madison, ma io sono certo che lei è viva. Prima… mi ha baciato, e non era finzione-.
Lei lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite -L…lei ti avrebbe baciato?-.
L’uomo annuì, senza aggiungere nulla.
-Ok, supponiamo che lei sia viva…- iniziò a dire la donna, ma l’altro la interruppe.
-Lei è viva- sottolineò, scandendo le parole una per una.
-Ok, ok, lei è viva. In qualche modo riesce a sopravvivere all’esplosione e sparisce per dieci anni, poi all’improvviso torna qui, giusto?- disse lei e, a un cenno affermativo del collega, continuò -Qui mi sorge spontanea una domanda: perché dieci anni? E dov’è stata finora?-.
-Non ne ho idea- sospirò lui -Non gliel’ho chiesto. Ha solo menzionato un certo Alex, niente di più-.
-Che vi siete detti esattamente?- volle sapere lei, un po’ incuriosita, anche se era consapevole che quel dialogo stava prendendo una piega un po’ sinistra.
-Mi ha detto che le dispiaceva di essersene andata, di essere sparita, e che non era certo sua intenzione abbandonarci- rispose lui.
-E tu che le hai detto?-.
-Beh, ecco…- balbettò, rendendosi finalmente conto di quello che aveva causato -Le ho detto che non me ne importava niente delle sue scuse, che non volevo più sentir parlare di lei e che doveva uscire per sempre dalla mia vita-.
La donna sgranò gli occhi -Ma ti sei bevuto il cervello?!- esclamò, alzando notevolmente il tono di voce.
Due colleghi che stavano passando di lì smisero di chiacchierare tra di loro e si voltarono verso la donna, guardandola con gli occhi a palla. Lei se ne accorse e rispose con un’occhiataccia, continuando a fissarli finché non girarono l’angolo e sparirono alla sua vista.
-Ma sei scemo o cosa?- riprese poi lei, abbassando il tono -Ti rendi conto di quello che hai fatto?-.
Lui non rispose; rimase lì a testa bassa, senza dire niente.
-Per dieci anni ti sei lamentato del fatto che non avresti più rivisto tua moglie e dicevi che la rivolevi con te- continuò ad attaccarlo -E ora che per qualche strana ragione tutto questo accade tu la mandi a quel paese dicendole di sparire?! Si può sapere cos’hai in quel cervello bacato?!-.
-Ero confuso, d’accordo?- l’uomo rizzò la testa e la guardò dritto negli occhi -Non sapevo cosa dire, ed ero arrabbiato con lei. Volevo solo che non fosse vero- fece una pausa -E poi, come posso sapere che in questi anni non è stata tra le braccia di questo Alex o come diamine si chiama?-.
-Se fosse stato così, perché credi che sia tornata da te?-.
-E che ne so io!- sbottò lui -Magari per i sensi di colpa, perché avevano litigato… Non ne ho idea, Madison!-.
La donna scosse la testa, poi si allontanò di qualche passo -Credimi David, se stavolta lei non tornerà più sarà stata solo colpa tua- disse senza voltarsi verso di lui -Pensaci bene-.

La donna aprì lentamente gli occhi, cercando di abituarsi alla luce arancione che proveniva dalla finestra alla sua sinistra. Doveva essere pomeriggio inoltrato, ma lei non ricordava assolutamente di essersi addormentata, né ricordava cos’aveva fatto quella stessa mattina. Alzò il braccio destro per passarselo sul volto, ma non appena tentò di muoverlo una fitta di dolore le fece ricadere l’arto sul copriletto.
-Ehi, non devi fare certi movimenti- disse una voce maschile che non riconobbe -Devi stare ferma e riposarti-.
Ignorando quelle parole, cercò di mettersi almeno a sedere, riparandosi gli occhi dalla luce con la mano sinistra, e finalmente riuscì a vedere chiaramente il volto del suo interlocutore. Era seduto di fianco al letto su cui era stesa, e la stava guardando con un’espressione mista tra il sollievo e l’allarmato.
Tentò nuovamente di parlare, ma sentiva la bocca arsa e le labbra aride; notando con la coda dell’occhio una caraffa d’acqua posata sul comodino lì vicino e, cercando di evitare movimenti bruschi, gliela indicò. Lui seguì con lo sguardo la direzione che lei gli stava dicendo e, capendo cosa voleva, versò un po’ d’acqua in un bicchiere e l’aiutò a bere.
-Che… che mi è successo?- chiese lei, quando ebbe bevuto a sufficienza per schiarire la voce.
-Hai avuto un incidente- rispose l’uomo, riponendo sul comodino il bicchiere ormai vuoto -Sei praticamente finita sulla mia strada-.
-Che… che significa?-.
-Non ricordi quello che è successo?- chiese lui di rimando.
La donna fece un cenno negativo con la testa; proprio non ricordava niente. L’ultima cosa che gli era rimasta nella mente era un forte boato, ma non riusciva a capire cosa fosse.
-Ecco, eri nel bosco qui vicino, sulle colline, e sei caduta. Ti ho praticamente visto rotolarmi davanti-.
-Quando è successo?-.
-Un paio di giorni fa- rispose e, vedendo l’espressione d’orrore della donna, aggiunse -Il dottore che ti ha visitata ha detto che probabilmente hai sbattuto la testa, mentre rotolavi lungo il pendio. Hai una leggere commozione cerebrale e un’amnesia, ma niente che il tempo e il riposo non possano guarire-.
-E perché non riesco a muovere il braccio?- chiese lei, in preda al panico.
-Shh, calmati- lui le appoggiò una mano sulla fronte e le accarezzò i capelli -Hai una spalla lussata, e una slogatura alla caviglia. Vedrai che guarirà tutto in fretta-.


-Signora?-.
La donna si sistemò meglio la tracolla sulla spalla, e nel farlo passò la mano sulla vecchia ferita ormai guarita da tempo. Ripensò anche al dolore che aveva provato alla caviglia quando aveva cercato di mettersi in piedi, un paio di giorni dopo essersi risvegliata da quella specie di sonno in cui era caduta.
-Signora?-.
Lei rialzò lo sguardo e si ritrovò faccia a faccia con un ragazzo che non doveva avere più di una trentina d’anni, con i capelli biondi e gli occhi chiari; la stava fissando da dietro il vetro della biglietteria della stazione.
-Sì?- rispose lei.
-Mi spiace signora, ma la sua carta di credito è stata rifiutata- il ragazzo fece scivolare verso di lei una tessera magnetica di una banca locale -Il conto collegato a questa carta è stato bloccato-.
-Oh- fece lei, riprendo in mano la tessera -Scusi-.
-Vuole ancora il biglietto del treno per San Francisco?- disse lui, prima di cancellare la prenotazione che aveva già digitato al computer.
-Ah sì. Quant’è?-.
-Sono quaranta dollari e quindici, signora- rispose lui, premendo alcuni tasti sulla tastiera del computer.
La donna ripose il portafoglio all’interno della borsa che portava a tracolla e, nel farlo, notò una busta gialla sepolta sotto altri oggetti. Con una mano riuscì ad aprirla e ne estrasse una banconota da cinquanta dollari, che fece poi scivolare verso il cassiere dietro al vetro.
Lui contò il resto e glielo passò attraverso la fessura in fondo alla separazione di vetro, insieme a un biglietto del treno per San Francisco che partiva di lì a un’ora circa.
La donna fece un cenno con la testa per ringraziarlo, raccolse le monete del resto e il biglietto ferroviario e li depose nel portafoglio, poi si avviò verso una panchina sul binario cinque. Ne trovò una libera vicino al cartellone con gli orari dei treni locali e vi si mise a sedere, pensando che non avrebbe mai più rimesso piede in quella città.
Era stata rifiutata, spinta da parte, allontanata dalla sua vita, e lei non aveva fatto obiezioni. Aveva solo fatto una telefonata all’aeroporto per sapere quando ci sarebbe stato il primo volo per Chicago, ma da lì non sarebbe partito che tra una settimana, mentre ce n’era uno il giorno dopo che partiva da San Francisco. Non c’aveva pensato su due volte: aveva prenotato un posto su quel volo, e in quel momento non le rimaneva che aspettare che quel benedetto treno arrivasse per portarla via una volta per tutte.

La donna rivolse un altro sguardo al computer di fronte a lei, poi tornò ad occuparsi dei fogli che ingombravano la sua scrivania già da alcuni giorni, e che si stavano accumulando a una velocità impressionante.
Lo stava facendo davvero? Si era davvero lasciata convincere dalle fantasie del suo collega? Come le era saltato in mente di mettere sotto controllo delle carte di credito che ormai non venivano usate da anni? Forse lo stava facendo perché un po’ ci sperava, voleva che la sua migliore amica tornasse da lei. Ma lei sapeva benissimo che non sarebbe mai successo, lei se n’era andata tanti anni prima, sapeva cos’era successo quel giorno, e le sue speranze si erano assopite con il passare degli anni.
La donna sospirò, vedendo che non vi erano stati risultati fino a quel momento; lanciò un’occhiata verso il suo orologio e decise che era ora di fare una piccola pausa e mangiare qualcosa; almeno si sarebbe distratta per una decina di minuti e sarebbe tornata più concentrata al lavoro. Non aveva voglia di caffè, né tantomeno di quelle schifezze che si trovavano nelle macchinette, perciò decise di uscire e andare al bar più vicino, dove un caffè non avrebbe avuto il sapore di acqua.
Si stava infilando la giacca quando notò una notifica al computer; avvicinò il viso allo schermo per vedere di che si trattava, e all’istante sbiancò in volto.
-Non è possibile…- mormorò, non potendo credere a quello che vedeva -Non è possibile-.
Di slancio prese la cornetta del telefono fisso posto vicino al monitor del computer, compose un numero e aspettò che scattasse la conversazione.
-Sono io- disse, quando sentì che si era stabilita la connessione -Avevi ragione-.

  
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