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Autore: Nikki Potter    25/08/2013    2 recensioni
Freddo. Ecco cosa sentivo. E non perchè ero all'aperto, era notte, nevicava ed ero a Londra. No, questo non centrava niente con me.
Il freddo veniva da dentro di me, che mi portava a stare immobile, a respirare piano e con affanno.
Il mio corpo stava parlando ancora una volta per me, come era avvenuto a Dartmoor ormai quasi quattro anni fa.
Il mio corpo mi diceva che stavo soffrendo, anche se mi sforzavo di non ammetterlo, di dire a me stesso che andava tutto bene, che non mi importava di essere di nuovo solo, che John mi avesse voltato le spalle e se ne fosse andato. Per sempre. Così mi aveva detto prima di sbattermi definitivamente la porta in faccia. Un significato simbolico che diceva chiaramente il messaggio: ti sbatto fuori dalla mia vita.
E faceva male. Era la prima volta che mi concedevo di pensarlo dopo quel giorno di tre mesi fa
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock&John- I love the way you lie
FREDDO


Freddo. Ecco cosa sentivo. E non perchè ero all'aperto, era notte, nevicava ed ero a Londra. No, questo non centrava niente con me.

Il freddo veniva da dentro di me, che mi portava a stare immobile, a respirare piano e con affanno.

Il mio corpo stava parlando ancora una volta per me, come era avvenuto a Dartmoor ormai quasi quattro anni fa.

Il mio corpo mi diceva che stavo soffrendo, anche se mi sforzavo di non ammetterlo, di dire a me stesso che andava tutto bene, che non mi importava di essere di nuovo solo, che John mi avesse voltato le spalle e se ne fosse andato. Per sempre. Così mi aveva detto prima di sbattermi definitivamente la porta in faccia. Un significato simbolico che diceva chiaramente il messaggio: ti sbatto fuori dalla mia vita.

E faceva male. Era la prima volta che mi concedevo di pensarlo dopo quel giorno di tre mesi fa.

Avevo sempre finto con tutti, con sorrisi, smorfie tirate e autoconvincendomi che stavo bene da solo, che prima di John lo ero sempre stato e me l'ero sempre cavata alla grande, che anche stavolta ce l'avrei fatta.

Ma non avevo tenuto conto di una cosa: io ero cambiato. Era stato John ad avviare il processo di umanizzazione dentro di me e nei tre anni separati a rincorrere criminali per il mondo la cosa era accelerata in modo direttamente proporzionale alla mancanza che avevo di lui.

Io non ero più in grado di stare da solo. O almeno non ero più in grado di stare senza John.

E lui invece, e giustamente, era andato avanti con la sua vita, aveva incontrato Mary e presto si sarebbero sposati.

Strinsi forte con le mani la pietra del Westminster Bridge fissando sotto di me le acque del Tamigi, dove i fiocchi di neve si infrangevano scomparendo.

Ecco, io ero uno di quei fiocchi, a contatto con John tutte le mie certezze erano demolite, tanto che a momenti stentavo a riconoscermi.

Cercai di inspirare profondamente. Ero lì, fermo da ore da quello che potevo giudicare dal colore del cielo. Era primo pomeriggio quand'ero passato di qui, e adesso dovevano essere circa le undici di sera.

Mi capitava spesso di perdere la cognizione del tempo quando andavo nel mio Mind Palace. John lo diceva sempre. John. John. John.

Scossi il capo scompigliando ulteriormente i miei capelli, sottoposti da ore al vento gelido e alla neve.

Non c'era quasi nessuno in giro, ovvio il 24 dicembre tutti lo passavano con le rispettive famiglie. 

Mycroft probabilmente era davanti al caminetto della sua villa con in mano un whisky di primissima qualità e mamma di fianco a lui che gli stava facendo il terzo grado chiedendogli informazioni su di me.

Sì, probabilmente le cose stavano andando così.

I ricordi mi riportarono crudelmente all'unico natale passato in compagnia di John. E quel momento di serenità era stato rovinato da Irene Adler.

Feci una smorfia amara. Incredibile come adesso anelassi con tutto me stesso un po' di serenità.

I rintocchi improvvisi del Big Ben mi confermarono che erano le undici.

Con movimenti rigidi dovuti alla prolungata immobilità, scavalcai il muro di marmo sedendomici sopra, le gambe a penzoloni sopra il fiume e lo sguardo perso nel ricordare momenti passati con John, le risate, le litigate, i miei bronci infantili, il suo blog. John non aveva più scritto una riga dal giorno della mia caduta, niente di niente, nemmeno per dire che ero tornato.

Un vuoto che significava ancora di più quanto io per lui ormai non contassi più niente.

Notai una goccia d'acqua infrangersi sulla pelle dei miei guanti neri e istintivamente guardai verso l'alto, dove la neve continuava a cadere. Poi mi resi conto, ero io.

"Che sciocco" sussurrai a me stesso cancellando quel momento di debolezza.

John l'avrebbe definita umanità, o sentimenti.

Sentii una frenata improvvisa alle mie spalle e una portiera aprirsi di scatto. Un paio di piedi scendere e avvicinarsi a me, doveva essere un uomo a giudicare dall'andantura.

E sapevo chi si muoveva così, con l'aiuto di un bastone per la zoppia. Lo seppi ancora prima di sentire la sua voce chiamarmi, ma non mi voltai.

"Sherlock, che stai facendo?"

Non mi mossi, l'unica cosa che feci fu stringere maggiormente il bordo del muretto del ponte.

"Sherlock, potresti riscavalcare, per favore?"

Sentii ansia e preoccupazione nella sua voce. Di sicuro pensava che volevo buttarmi di sotto. No, non questa volta, John.

"Sherlock?!" sentii la sua mano serrarsi intorno al mio braccio facendomi sussultare leggermente.

Solo allora mi voltai a fissarlo.

Era leggermente dimagrito dall'ultima volta che l'avevo visto e grazie al cielo si era tolto quei baffi orribili. Ma gli occhi azzurro cielo e i capelli biondo cenere con qualche striatura grigia erano sempre gli stessi.

"Hai paura che mi butti?" replicai con tono duro.

In realtà non volevo rispondergli in quel modo, ma la rabbia era sfociata da sola prima che potessi fermarla. La rabbia e la delusione per essere stato abbandonato, per non essere stato capito e ascoltato soprattutto da lui, la persona che mi conosceva meglio al mondo.

"Non sei divertente" replicò John, stringendo poi le labbra in una smorfia dura.

Mi girai fissando un punto indistinto davanti a me. "Tornatene a casa".

Stavolta il tono che mi uscì fu rassegnato e solo immensamente triste.

"Prima...prima scendi da lì" insistette John.

"Cosa te ne importa?" buttai fuori senza guardarlo.

"Scusa?"

"Se anche mi volessi buttare a te cosa importerebbe?" Con un movimento agile riscavalcai il muretto appoggiando i piedi sulla strada. "Ecco sei contento? Ora puoi anche andartene".

Notai lo sguardo stupito e confuso di John prima di superarlo e andarmene verso Westminster Abbey. Da lì avrei preso la tube e sarei tornato al 221B. Che mi aspettava vuoto come sempre.

Ero quasi arrivato alla fermata quando sentii qualcuno afferrarmi una spalla. Reagii d'istinto buttando a terra con una velocità sorprendente il nemico.

Mi bloccai sconvolto quando vidi John a terra sotto di me, con gli occhi e la bocca spalancati per la sorpresa, il suo braccio stretto fra le mie mani che erano state pronte a romperlo.

Lo mollai di scatto alzandomi inorridito. Sapevo che il mio cervello aveva agito così in seguito a tutte le azioni pericolose che mi erano successe negli ultimi tre anni, ma in quel momento pensavo solo che stavo per fare del male a John.

"Sherlock..." John si alzò in piedi.

"Stammi lontano, John" risposi stringendo le mani che tremavano a pugno prima di correre via, lontano, veloce, via da quell'orrore che stavo per commettere.

Era un bene che John se ne fosse andato, chissà che altro avrei potuto fargli se magari mi svegliava mentre dormivo...avrei potuto strangolarlo già che c'ero.

Mi fermai dopo diversi minuti, un leggero fiatone e la testa ancora piena delle immagini di quello che stavo per commettere. Senza nemmeno rendermene conto tirai un forte pugno contro il muro dell'abitazione che avevo di fianco, spaccando qualche nocca, due a giudicare dal dolore. Notai le gocce di sangue cadere a terra sporcando la neve immacolata. Il contrasto era quasi macabro.

"Sherlock".

Sussultai di nuovo. Perchè mi aveva seguito? Doveva scappare da me, come facevano tutti prima o poi, dopo essersi resi conto di che razza di persona fossi.

Mi voltai a fissarlo col pensiero che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei visto. Anche se non riuscivo a capire perchè mi fosse corso dietro, gettando via il suo bastone e superando ancora una volta la sua zoppia psicosomatica.

Grazie a te mi sussurrò una vocina terribilmente simile a quella di Mycroft nel mio cervello.

John abbassò lo sguardo sulla mia mano prima di guardarmi con rimprovero. "Cos'hai fatto?"

Non risposi.

John sospirò e fece qualche passo verso di me con l'intento di esaminare la mia mano ferita.

Ma io feci di riflesso alcuni passi indietro.

Non lasciarlo avvicinare, ti farà ancora del male.

Questo era il messaggio che mi mandava il mio cervello. John era veramente l'unica persona in grado di ferirmi. Era stato l'unico ad esserci riuscito, perchè era l'unica persona di cui mi importasse qualcosa, ecco perchè.

Aveva ragione Mycroft, tenere ad una persona era un enorme svantaggio. Ti rendeva debole, vulnerabile ed esposto a possibili sofferenze.

E io non volevo soffrire, non nel modo in cui stavo soffrendo adesso per lo meno.

Vedere John, sentire la sua voce, erano una stilettata di dolore puro al cuore.

"Sherlock?" John mi fissava interrogativo e confuso.

"Va' da Mary, dovresti passare il natale con lei" risposi solo.

Il natale andava passato con le persone a cui si voleva bene, era logico, per cui perchè John non andava da Mary e mi lasciava alla mia solitudine?

"L'ho lasciata" rispose John fissandomi serio.

Mi irrigidii. Perchè l'aveva fatto? L'unica volta in cui li avevo visti insieme erano felici, John era sereno, per cui perchè? Non aveva senso, ed era inutile che cercassi di capire i rapporti umani. Per me sarebbero sempre stati un mistero.

"Ero passato al 221B per parlartene ma Mrs Hudson mi ha detto che eri uscito verso le tre e non eri ancora rientrato. Ho pensato che avessi un caso per le mani così ho chiamato Greg ma mi ha detto che non stavate seguendo un bel niente, così mi sono preoccupato e sono venuto a cercarti" riassunse John.

Confusione. Era venuto a cercarmi, voleva parlarmi...non riuscivo a capirne il senso. Tre mesi fa mi aveva urlato addosso e sbattuto la porta in faccia, cos'era cambiato?

"Che volevi fare su quel ponte?"

Percepii una lieve nota isterica nella voce di John.

"Riflettere e guardare i fiocchi di neve infrangersi sull'acqua" risposi automaticamente.

"Dai, fammi vedere quella mano" John si avvicinò lentamente.

"Perchè l'hai lasciata?"

Alla mia domanda si bloccò e lo notai esitare in cerca probabilmente delle parole giuste.

"La vita che avevo con lei...ecco non era quella che volevo. Mancava qualcosa, non riuscivo a sentirmi pienamente vivo come quando ero con te".

"Torni al 221B" dedussi.

John si grattò la nuca imbarazzato. "Ecco...beh...sempre se tu lo vuoi".

Avrei tanto voluto dirgli sì di getto, ma le parole che mi uscirono furono altre.

"Non lo so".

John sarebbe andato via di nuovo dopo che io mi ero riabituato alla sua presenza e io avrei sofferto di nuovo. 

Lo notai fissarmi negli occhi e un barlume di comprensione illuminare ancora di più i suoi occhi azzurri.

"Non me ne andrò più via, Sherlock".

Le sue parole mi arrivarono dritte al cuore, colpirono nella ferita che lui stesso mi aveva inflitto cicatrizzandola un po'.

"Come fai a dirlo?"

"In questi tre mesi ho capito una cosa. Non riesco a cacciarti dalla mia vita, per cui mi sono arreso al fatto che dovrò passarla con te. E mi vorrei anche scusare per le cose che ti ho detto, ero arrabbiato e non le pensavo davvero, lo sai che sono un tipo impulsivo, quello riflessivo e che ragiona sei tu" rispose John con un piccolo sorriso.

"Hai già lasciato le valigie in salotto".

John annuì sorridendo. In quel momento il Big Ben suonò la mezzanotte.

"Buon natale, Sherlock".

Abbozzai un sorriso, più che altro sollevai un angolo della bocca. "Buon natale, John".

Notai John avvicinarsi lentamente, con prudenza quasi, e abbracciarmi stretto.

Rimasi per un attimo spiazzato prima di cingerlo con un braccio a mia volta.

"Mi sei mancato" sussurrò John contro la mia sciarpa blu.

"Anche tu" ammisi.

E quel freddo, quel dolore, era sparito in quel caldo abbraccio. Mi chiesi come potesse John, più basso di me, farmi sentire completamente avvolto dal suo calore. Era una sensazione che non avevo mai provato con nessuno, sensazione di casa, protezione.

"Ora fammi vedere la mano, idiota" John sciolse la stretta e prese con delicatezza la mano ferita.

Lo notai infilare una mano nella tasca della giacca ed estrarre un fazzoletto bianco pulito con ricamate in un angolo in blu le sue iniziali. Probabilmente cucite dalla nonna. Me lo avvolse intorno alla mano prima di fermare un taxi che passava per puro caso di lì e dare all'autista l'indirizzo di casa nostra. Di nuovo e per sempre nostra. Per sempre noi due, io e John.



ANGOLO AUTRICE
Scritta in un momento un po' triste. Spero vi sia piaciuta!
Baci
Nikki Potter

  
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