Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Aura    26/08/2013    4 recensioni
Charlie Weasley si definisce un matto.
Perché solo un matto potrebbe, in un mondo che ancora si riassesta dopo la guerra contro Voldemort, in un mondo che è in procinto di combatterne un'altra, innamorarsi della ragazza di suo fratello.
Perché Hermione sarebbe sempre appartenuta a Ron, era chiaro anche a lui: per cui era solo un matto, a continuare ad amarla.
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlie Weasley, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
quel matto 1






Quel matto sono io
che vorrebbe un cappello più grande
ed un paio di mani più attente
che nascondan bene perfino alla gente
il segreto di quel che son io

(Quel matto sono io, Negramaro)




LUI.


E comunque io le ragazze non le capivo per niente: se ce n'era una che pensavo non fosse bisognosa di gratificazioni era proprio Hermione, e invece sembrava proprio che mi avesse messo il muso perché non le avevo detto che aveva svolto bene il suo lavoro, il compito per cui era lì.
Sì, tra me e me lo sapevo, era stata brava; era riuscita a mettersi in gioco al suo primissimo scontro, dopo poco più di ventiquattr'ore che sapeva dell'Esercito, si era comportata in un modo fenomenale.
Però, se fossi stato nei suoi panni, e non avessi saputo quanto poteva essere difficile per un novellino entrare nel giro, non sarei stato così ansioso di ricevere complimenti, tanto da mettere il broncio con chi non me ne faceva.
Ma io non ero una ragazza, e non ci capivo niente di ragazze: pensavo che almeno dopo averla fatta dormire il più possibile e aver preparato io tutto per la partenza mi sarebbe stata riconoscente, e invece me la vidi tornare dall'angolo bagno ancora silenziosa, limitando al minimo ogni parola che mi rivolgeva.
Partimmo velocemente, lei fu pronta in un lampo, e ci dirigemmo verso le coste dell'Irlanda, la nostra zona di perlustrazione.
Non appena fummo in volo pensò lei agli incantesimi di mimetizzazione, senza che glielo dovessi dire, e per qualche motivo fui seccato dal fatto che era autonoma, sembrava voler dimostrare che in fondo poteva cavarsela anche senza la mia protezione.
Durante il viaggio, però, dovetti costringermi a continuare a pensarla come una cosa fastidiosa, invece di riflettere sul fatto che era proprio quello che mi piaceva di lei.

Che mi tenesse pure il muso, ero strano e lo sapevo, Hermione doveva focalizzare quello, per non accorgersi che i motivi della mia stranezza erano i miei sentimenti per lei.
- Ha mangiato? - Mi disse, a mattinata inoltrata; le prime parole che mi rivolgeva dopo tante ore.
- Ah, non dormi? - constatai, ironico. Non prese bene la mia battuta, perché non ribatté. Mi diedi mentalmente dello stupido, prima di continuare, sperando che lei accettasse la mia muta offerta di pace. - Cacciano durante la notte, quando siamo all'accampamento per evitare che combattano tra di loro li liberiamo uno alla volta, sta sempre uno di noi a fare da guardia. Penso che anche queste bestie capiscano che c'è qualcosa per cui vale la pena combattere, non si è mai sentito di Draghi che si comportano così.
- Infatti, faccio ancora fatica a crederlo.


Le prime sere, una volta arrivati, furono le più difficili, perché dovevamo ancora abituarci l'uno all'altra: io, con Gerard, ero abituato a lunghi momenti di silenzio dove ognuno di noi pensava ai fatti suoi, quasi ignorandoci a vicenda, alternati a più leggere situazioni di cameratismo, dove ridevamo fino a notte fonda raccontandoci aneddoti come se la nostra fosse solo una scampagnata; non avevo previsto di essere affiancato a una ragazza e non ero preparato, e il fatto che fosse Hermione mi metteva ancora di più in difficoltà.
Faticavo ad abituarmi alla sua presenza, che catalizzava la mia attenzione ogni secondo, costringendomi a continuare ad essere conscio della sua esistenza e al tempo stesso della mia pazzia, che mi aveva permesso di provare qualcosa per lei.
Così alternavo momenti di cortesia, in cui cercavo di metterla a suo agio, a improvvisi cambi di umore, dove la trattavo quasi con freddezza, rabbia, perché era lei che incarnava la mia follia, che con lei prendeva forma.

Poi mi sentivo in colpa, e tornavo ad essere gentile, e guardandomi da una prospettiva esterna mi accorgevo che stavo diventando sempre più matto.


Avevamo acceso un fuoco, fuori dalla tenda, lei si era seduta, con lo zaino a farle da cuscino e sulle ginocchia una lettera da scrivere a mio fratello.
Volevo dirle qualcosa, di salutarmelo, ma sapevo che quelle parole mi sarebbero uscite acide e lei non avrebbe capito, così preferii lasciarle pensare che ero distratto dai miei pensieri, come al solito un orso chiuso in sé stesso.
- Vado a cacciare, non ti muovere da qui. - l'avvisai, alzandomi.
Hermione sollevò lo sguardo dalla pergamena.
- Perché dovresti cacciare? Non abbiamo finito le provviste, e mi avevi detto che domani saremmo scesi in paese.
Indicai con la testa Moskosky.
- Non per noi, per lui.
Probabilmente capì che l'avrei lasciata sola con il drago, perché notai che si fece più rigida.
- Perché non lo sleghi e lasci che ci pensi lui?
- Hermione, se vuoi che un drago si comporti da animale addomesticato lo devi trattare come tale, e non voglio correre il rischio che qualche cosa risvegli il suo istinto selvatico. Senza contare che vorrei evitare che venga visto in queste zone.
- Ma al campo base avevi detto che li slegavate uno per volta. - ribatté.
- Quella è un'altra situazione, la zona è perennemente sotto controllo, qui siamo da soli e mi occupo io di lui. - Hermione era tornata a dedicarsi alla sua lettera, mentre finii di prepararmi vedevo che di tanto in tanto lanciava delle occhiate a Moskosky. Mi avvicinai a lui. - Prenditi cura di Hermione finché non ci sono, va bene? Non starò via per molto, la lascio nelle tue mani. - Lei sollevò lo sguardo, ascoltando le mie parole, e la salutai strizzandole l'occhio.
Sapevo che non si sentiva ancora del tutto al sicuro con un drago accanto, e immaginavo che allontanandomi il disagio sarebbe aumentato, ma io mi fidavo di entrambi, dovevo fidarmi, o la battaglia era persa in partenza. E prima di allontanarmi mi sarei assicurato di alzare abbastanza incantesimi di protezione, e controllare che il perimetro fosse sicuro; anche se non lo avevo specificato a Hermione: orgogliosa com'era sicuramente avrebbe borbottato che poteva pensare da sola a delle cose tanto semplici, e che era sopravvissuta fino a quel momento anche senza il mio aiuto.

La caccia fu più breve del previsto, per fortuna il pasto preferito del mio drago erano le vacche e a non molte miglia dal nostro accampamento avevo trovato un pascolo.
Ritornando sui miei passi però la sicurezza che mi ero imposto di avere, lasciandoli soli, stava venendo intaccata da una strana sensazione, e così accelerai.



LEI.




In diciotto anni della mia vita non avevo mai visto una Manticora, e ora in una manciata di giorni continuavano a spuntare come funghi: l'ultima volta era andata bene, ma non ero sola; la volta che ne avevo affrontato una da sola, quella no, non era andata bene.
Un ruggito alle mie spalle sembrò volermi ricordare che c'era qualcuno con me, ma non avevo ancora abbastanza confidenza con Moskosky perché la cosa mi tranquillizzasse, anzi: mi sentivo tra due fuochi.
Serrai la bacchetta tra le dita, cercando spasmodicamente di pensare a qualcosa di utile, costringendomi a concentrarmi su qualcosa di razionale, piuttosto che sul battito assordante del mio cuore.
Fu improvviso, contemporaneamente vidi saltare giù da un albero una macchia, in picchiata, e sentii passare accanto a me il drago, pronto a finire la Manticora. La macchia era Charlie, spuntato da chissà dove, era riuscito a mozzargli la coda.

L'adrenalina abbandonò di colpo il mio corpo, le ginocchia si afflosciarono, toccando terra.
- Stai bene? - Charlie corse verso di me, dopo essersi assicurato che la bestia fosse effettivamente morta.
- Mi sento così stupida, e inutile. - dissi, rivolta più a me stessa che a lui. - Ma cosa mi è preso?
Charlie stava sorridendo. Sorridendo. Io ero arrabbiata e spaventata, e lui sorrideva.
Forse capì che stavo iniziando ad indispettirmi del suo atteggiamento, si accovacciò accanto a me, puntellandosi sui talloni, e mi mise una mano sulla spalla.
- Hermione, punto primo tu sei una strega straordinaria, ma non puoi misurare le tue abilità con le Manticore. - disse, con voce calma. - Punto secondo siamo una squadra: se vinciamo lo facciamo insieme.
Non avevo mai conosciuto Charlie fuori dal contesto della sua famiglia, e in quel periodo avevo scoperto che non lo conoscevo affatto: poteva essere divertente, poi cambiare umore e diventare scontroso, poi cambiarlo ancora e diventare gentile e premuroso. Facevo veramente fatica a stargli dietro. Però, in quel momento, i nostri stati d'animo erano in perfetto accordo, e guardandolo sentii il suo rispetto, ma sentii anche che nonostante quello c'era qualcosa in lui che lo spingeva a volermi proteggere. E in quel momento mi tranquillizzò.
Per la prima volta, da quando eravamo partiti, mi sentivo veramente bene, a mio agio.


Moskosky era poco lontano da noi, a pasteggiare con la mucca che Charlie aveva portato, e noi mangiammo accanto al fuoco, con una strana serenità e intimità che aleggiava intorno a noi, a discapito dell'attacco che era appena avvenuto.
- Grazie. - esordii, rendendomi conto che nonostante fossimo parte di una squadra, e nonostante il fatto che era la persona più lunatica che avevo mai incontrato, in fondo lui mi stava aiutando, e non era tenuto a farlo. Sarebbe stato il mio unico contatto umano per chissà quanto tempo, e se lui era strano quello che potevo fare io era cercare di non prendermela troppo, quando ne avevo la forza.
Charlie sollevò lo sguardo dalla scodella, e mi strizzò semplicemente l'occhio. C'era qualcosa in lui che non avevo ancora capito, lo sentivo.


La tenda era vuota, non c'era traccia di Charlie, così mi azzardai a uscire, rabbrividendo nell'umido freddo della notte irlandese. Lo trovai in piedi, la spada sfoderata in mano, un piede appoggiato all'albero dietro di sé.
- Cosa ci fai qui? - gli chiesi, chiudendo i lembi del maglione in modo che aderisse meglio alla schiena, scaldandomi.
Quando mi guardò per un attimo pensai che non mi vedesse davvero, tanto era concentrato.
- Controllo che sia tutto in ordine, quella Manticora oggi è riuscita a inoltrarsi fino a qui.
- Quindi da adesso in poi rinuncerai a dormire? - gli chiesi, sarcastica.
Charlie strinse la mascella, nervoso.
- Almeno fino a che non sentirò che sei al sicuro. - disse, continuando a fissare un punto imprecisato dritto davanti a sé. - Che fai? - mi chiese poi, quando mi sedetti su una radice accanto a lui. - Torna dentro.
Alzai le spalle.
- Tu mi vuoi proteggere e io voglio farti compagnia. - lo liquidai.
Ignorai il suo sguardo severo, presi un rametto ai miei piedi e iniziai a disegnare sul terreno dei ghirigori senza significato.
Ero del tutto assorta nei miei pensieri, riflettevo su come il suo umore fosse cambiato ancora una volta, stavo iniziando a chiedermi se mi sarei mai abituata a lui, e al tempo stesso intuivo che doveva esserci un motivo: nessuno della sua famiglia me ne lo aveva mai descritto così.

- Tanto non riuscivo a dormire comunque. - disse, rompendo il silenzio.
Lo guardai meglio, si sentiva in colpa per l'attacco, avvenuto proprio quando lui si era allontanato.
Mi alzai in piedi, e racchiusi la sua mano tra le mie quasi senza rendermene conto.
- Charlie, non è colpa tua, torna dentro: Moskosky si è accorto in un nanosecondo della Manticora, e quando ruggirà ti sveglierai. - cercai di rassicurarlo.
Mi guardò, quasi sperduto, poi ritirò la mano dalle mie e acconsentì.
- Torniamo dentro, se ti fa stare buona.
E lo disse come se volesse offendermi intenzionalmente, scrollarmi via da lui.








Nda:
So di essere in ritardo, ma alcune novità nella vita di tutti giorni, un contest concluso con dieci storie da valutare, e la mia "paura" di scrivere questa storia hanno contribuito a rallentarmi.
Forse per me significa troppo, e mi frena: in fondo l'ho ideata ormai un anno fa, e sono ancora qui, a trattarla con i guanti, guardandola con timore.
Sapete quando avete in mente una cosa bella, ma poi scrivendola vi rendete conto che non siete riusciti a trasmetterne l'essenza principale?
Io vorrei che questa storia fosse bella, ma sono ancora un po' dubbiosa.
Probabimente nei prossimi mesi avrò più tempo per continuarla e finirla, nel frattempo ascolto Creep, sperando di trovare il momento adatto per fare dire a Charlie quelle parole.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Aura