Quel matto sono io
che vorrebbe un cappello più grande
ed un paio di mani più attente
che nascondan bene perfino alla gente
il segreto di quel che son io
(Quel matto sono io, Negramaro)
LUI.
E
comunque io le ragazze non le capivo per niente: se ce n'era una che
pensavo non fosse bisognosa di gratificazioni era proprio Hermione, e
invece sembrava proprio che mi avesse messo il muso perché non le
avevo detto che aveva svolto bene il suo lavoro, il compito per cui
era lì.
Sì, tra me e me lo sapevo, era stata brava; era riuscita
a mettersi in gioco al suo primissimo scontro, dopo poco più di
ventiquattr'ore che sapeva dell'Esercito, si era comportata in un
modo fenomenale.
Però, se fossi stato nei suoi panni, e non
avessi saputo quanto poteva essere difficile per un novellino entrare
nel giro, non sarei stato così ansioso di ricevere complimenti,
tanto da mettere il broncio con chi non me ne faceva.
Ma io non
ero una ragazza, e non ci capivo niente di ragazze: pensavo che
almeno dopo averla fatta dormire il più possibile e aver preparato
io tutto per la partenza mi sarebbe stata riconoscente, e invece me
la vidi tornare dall'angolo bagno ancora silenziosa, limitando al
minimo ogni parola che mi rivolgeva.
Partimmo velocemente, lei fu
pronta in un lampo, e ci dirigemmo verso le coste dell'Irlanda, la
nostra zona di perlustrazione.
Non appena fummo in volo pensò
lei agli incantesimi di mimetizzazione, senza che glielo dovessi
dire, e per qualche motivo fui seccato dal fatto che era autonoma,
sembrava voler dimostrare che in fondo poteva cavarsela anche senza
la mia protezione.
Durante il viaggio, però, dovetti costringermi
a continuare a pensarla come una cosa fastidiosa, invece di
riflettere sul fatto che era proprio quello che mi piaceva di
lei.
Che mi tenesse pure il muso, ero strano e lo sapevo, Hermione
doveva focalizzare quello, per non accorgersi che i motivi della mia
stranezza erano i miei sentimenti per lei.
- Ha mangiato? - Mi
disse, a mattinata inoltrata; le prime parole che mi rivolgeva dopo
tante ore.
- Ah, non dormi? - constatai, ironico. Non prese bene
la mia battuta, perché non ribatté. Mi diedi mentalmente dello
stupido, prima di continuare, sperando che lei accettasse la mia muta
offerta di pace. - Cacciano durante la notte, quando siamo
all'accampamento per evitare che combattano tra di loro li liberiamo
uno alla volta, sta sempre uno di noi a fare da guardia. Penso che
anche queste bestie capiscano che c'è qualcosa per cui vale la pena
combattere, non si è mai sentito di Draghi che si comportano così.
-
Infatti, faccio ancora fatica a crederlo.
Le prime sere, una
volta arrivati, furono le più difficili, perché dovevamo ancora
abituarci l'uno all'altra: io, con Gerard, ero abituato a lunghi
momenti di silenzio dove ognuno di noi pensava ai fatti suoi, quasi
ignorandoci a vicenda, alternati a più leggere situazioni di
cameratismo, dove ridevamo fino a notte fonda raccontandoci aneddoti
come se la nostra fosse solo una scampagnata; non avevo previsto di
essere affiancato a una ragazza e non ero preparato, e il fatto che
fosse Hermione mi metteva ancora di più in difficoltà.
Faticavo
ad abituarmi alla sua presenza, che catalizzava la mia attenzione
ogni secondo, costringendomi a continuare ad essere conscio della sua
esistenza e al tempo stesso della mia pazzia, che mi aveva permesso
di provare qualcosa per lei.
Così alternavo momenti di cortesia,
in cui cercavo di metterla a suo agio, a improvvisi cambi di umore,
dove la trattavo quasi con freddezza, rabbia, perché era lei che
incarnava la mia follia, che con lei prendeva forma.
Poi mi
sentivo in colpa, e tornavo ad essere gentile, e guardandomi da una
prospettiva esterna mi accorgevo che stavo diventando sempre più
matto.
Avevamo acceso un fuoco, fuori dalla tenda, lei si era
seduta, con lo zaino a farle da cuscino e sulle ginocchia una lettera
da scrivere a mio fratello.
Volevo dirle qualcosa, di salutarmelo,
ma sapevo che quelle parole mi sarebbero uscite acide e lei non
avrebbe capito, così preferii lasciarle pensare che ero distratto
dai miei pensieri, come al solito un orso chiuso in sé stesso.
-
Vado a cacciare, non ti muovere da qui. - l'avvisai,
alzandomi.
Hermione sollevò lo sguardo dalla pergamena.
-
Perché dovresti cacciare? Non abbiamo finito le provviste, e mi
avevi detto che domani saremmo scesi in paese.
Indicai con la
testa Moskosky.
- Non per noi, per lui.
Probabilmente capì che
l'avrei lasciata sola con il drago, perché notai che si fece più
rigida.
- Perché non lo sleghi e lasci che ci pensi lui?
-
Hermione, se vuoi che un drago si comporti da animale addomesticato
lo devi trattare come tale, e non voglio correre il rischio che
qualche cosa risvegli il suo istinto selvatico. Senza contare che
vorrei evitare che venga visto in queste zone.
- Ma al campo base
avevi detto che li slegavate uno per volta. - ribatté.
- Quella è
un'altra situazione, la zona è perennemente sotto controllo, qui
siamo da soli e mi occupo io di lui. - Hermione era tornata a
dedicarsi alla sua lettera, mentre finii di prepararmi vedevo che di
tanto in tanto lanciava delle occhiate a Moskosky. Mi avvicinai a
lui. - Prenditi cura di Hermione finché non ci sono, va bene? Non
starò via per molto, la lascio nelle tue mani. - Lei sollevò lo
sguardo, ascoltando le mie parole, e la salutai strizzandole
l'occhio.
Sapevo che non si sentiva ancora del tutto al sicuro con
un drago accanto, e immaginavo che allontanandomi il disagio sarebbe
aumentato, ma io mi fidavo di entrambi, dovevo fidarmi, o la
battaglia era persa in partenza. E prima di allontanarmi mi sarei
assicurato di alzare abbastanza incantesimi di protezione, e
controllare che il perimetro fosse sicuro; anche se non lo avevo
specificato a Hermione: orgogliosa com'era sicuramente avrebbe
borbottato che poteva pensare da sola a delle cose tanto semplici, e
che era sopravvissuta fino a quel momento anche senza il mio
aiuto.
La caccia fu più breve del previsto, per fortuna il pasto
preferito del mio drago erano le vacche e a non molte miglia dal
nostro accampamento avevo trovato un pascolo.
Ritornando sui miei
passi però la sicurezza che mi ero imposto di avere, lasciandoli
soli, stava venendo intaccata da una strana sensazione, e così
accelerai.
LEI.
In
diciotto anni della mia vita non avevo mai visto una Manticora, e ora
in una manciata di giorni continuavano a spuntare come funghi:
l'ultima volta era andata bene, ma non ero sola; la volta che ne
avevo affrontato una da sola, quella no, non era andata bene.
Un
ruggito alle mie spalle sembrò volermi ricordare che c'era qualcuno con
me, ma non avevo ancora abbastanza confidenza con Moskosky perché la
cosa mi tranquillizzasse, anzi: mi sentivo tra due fuochi.
Serrai
la bacchetta tra le dita, cercando spasmodicamente di pensare a
qualcosa di utile, costringendomi a concentrarmi su qualcosa di
razionale, piuttosto che sul battito assordante del mio cuore.
Fu
improvviso, contemporaneamente vidi saltare giù da un albero una
macchia, in picchiata, e sentii passare accanto a me il drago, pronto
a finire la Manticora. La macchia era Charlie, spuntato da chissà
dove, era riuscito a mozzargli la coda.
L'adrenalina abbandonò di
colpo il mio corpo, le ginocchia si afflosciarono, toccando terra.
-
Stai bene? - Charlie corse verso di me, dopo essersi assicurato che
la bestia fosse effettivamente morta.
- Mi sento così stupida, e
inutile. - dissi, rivolta più a me stessa che a lui. - Ma cosa mi è
preso?
Charlie stava sorridendo. Sorridendo. Io ero arrabbiata e
spaventata, e lui sorrideva.
Forse capì che stavo iniziando ad
indispettirmi del suo atteggiamento, si accovacciò accanto a me,
puntellandosi sui talloni, e mi mise una mano sulla spalla.
-
Hermione, punto primo tu sei una strega straordinaria, ma non puoi
misurare le tue abilità con le Manticore. - disse, con voce calma. -
Punto secondo siamo una squadra: se vinciamo lo facciamo insieme.
Non
avevo mai conosciuto Charlie fuori dal contesto della sua famiglia, e
in quel periodo avevo scoperto che non lo conoscevo affatto: poteva
essere divertente, poi cambiare umore e diventare scontroso, poi
cambiarlo ancora e diventare gentile e premuroso. Facevo veramente
fatica a stargli dietro. Però, in quel momento, i nostri stati
d'animo erano in perfetto accordo, e guardandolo sentii il suo
rispetto, ma sentii anche che nonostante quello c'era qualcosa in lui
che lo spingeva a volermi proteggere. E in quel momento mi
tranquillizzò.
Per la prima volta, da quando eravamo partiti, mi
sentivo veramente bene, a mio agio.
Moskosky era poco lontano da
noi, a pasteggiare con la mucca che Charlie aveva portato, e noi
mangiammo accanto al fuoco, con una strana serenità e intimità che
aleggiava intorno a noi, a discapito dell'attacco che era appena
avvenuto.
- Grazie. - esordii, rendendomi conto che nonostante
fossimo parte di una squadra, e nonostante il fatto che era la
persona più lunatica che avevo mai incontrato, in fondo lui mi stava
aiutando, e non era tenuto a farlo. Sarebbe stato il mio unico
contatto umano per chissà quanto tempo, e se lui era strano quello
che potevo fare io era cercare di non prendermela troppo, quando ne
avevo la forza.
Charlie sollevò lo sguardo dalla scodella, e mi
strizzò semplicemente l'occhio. C'era qualcosa in lui che non avevo
ancora capito, lo sentivo.
La tenda era vuota, non c'era
traccia di Charlie, così mi azzardai a uscire, rabbrividendo
nell'umido freddo della notte irlandese. Lo trovai in piedi, la spada sfoderata in mano, un piede
appoggiato all'albero dietro di sé.
-
Cosa ci fai qui? - gli chiesi, chiudendo i lembi del maglione in modo
che aderisse meglio alla schiena, scaldandomi.
Quando mi guardò
per un attimo pensai che non mi vedesse davvero, tanto era
concentrato.
- Controllo che sia tutto in ordine, quella Manticora
oggi è riuscita a inoltrarsi fino a qui.
- Quindi da adesso in
poi rinuncerai a dormire? - gli chiesi, sarcastica.
Charlie
strinse la mascella, nervoso.
- Almeno fino a che non sentirò che
sei al sicuro. - disse, continuando a fissare un punto imprecisato
dritto davanti a sé. - Che fai? - mi chiese poi, quando mi sedetti
su una radice accanto a lui. - Torna dentro.
Alzai le spalle.
-
Tu mi vuoi proteggere e io voglio farti compagnia. - lo
liquidai.
Ignorai il suo sguardo severo, presi un rametto ai miei
piedi e iniziai a disegnare sul terreno dei ghirigori senza
significato.
Ero del tutto assorta nei miei pensieri, riflettevo
su come il suo umore fosse cambiato ancora una volta, stavo iniziando
a chiedermi se mi sarei mai abituata a lui, e al tempo stesso intuivo
che doveva esserci un motivo: nessuno della sua famiglia me ne lo aveva mai descritto così.
- Tanto non riuscivo a dormire comunque. - disse,
rompendo il silenzio.
Lo guardai meglio, si sentiva in colpa per
l'attacco, avvenuto proprio quando lui si era allontanato.
Mi
alzai in piedi, e racchiusi la sua mano tra le mie quasi senza
rendermene conto.
- Charlie, non è colpa tua, torna dentro:
Moskosky si è accorto in un nanosecondo della Manticora, e quando
ruggirà ti sveglierai. - cercai di rassicurarlo.
Mi guardò,
quasi sperduto, poi ritirò la mano dalle mie e acconsentì.
-
Torniamo dentro, se ti fa stare buona.
E lo disse come se volesse
offendermi intenzionalmente, scrollarmi via da lui.
Nda:
So di essere in ritardo, ma alcune novità nella vita di tutti
giorni, un contest concluso con dieci storie da valutare, e la mia
"paura" di scrivere questa storia hanno contribuito a rallentarmi.
Forse per me significa troppo, e mi frena: in fondo l'ho ideata ormai
un anno fa, e sono ancora qui, a trattarla con i guanti, guardandola
con timore.
Sapete quando avete in mente una cosa bella, ma poi scrivendola vi
rendete conto che non siete riusciti a trasmetterne l'essenza
principale?
Io vorrei che questa storia fosse bella, ma sono ancora un po' dubbiosa.
Probabimente nei prossimi mesi avrò più tempo per
continuarla e finirla, nel frattempo ascolto Creep, sperando di trovare
il momento adatto per fare dire a Charlie quelle parole.