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Autore: Ljn    26/08/2013    1 recensioni
Legata a "Respira forte, respira lento".
Sasuke vive una vita senza vita.
"Lanciò un’occhiata distratta verso l’interno della casa, dove un tempo ad aspettarlo ci sarebbe stato una fonte sicura di rumore, e che ora invece era silenziosa come una tomba.
La sua, tomba.
Ogni volta che tornava a casa, questa gli ricordava quanto gli era costata quella libertà di cui ora godeva, ed era così doloroso doverne affrontare il silenzio che quasi si pentiva di non aver venduto o abbattuto o incendiato quella maledetta fonte di sofferenza."
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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Legata a "Respira forte, respira lento" http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1620102 (perdonate il link "esterno", ma oggi questo programma non vuole funzionare e mi blocca tutto se provo a inserire un link in altro modo)
Se volete, potete leggerla, se no ... la storia è abbastanza intuibile anche senza.

Mmmh ... Buongiorno?
Sempre consapevole di essere uccel di bosco con "Anima", non preoccupatevi. Ho qualche incertezza su come far reagire un personaggio. Appena avrò trovato l'illuminazione, pubblicherò.
Parliamo di questa cosa, invece.
Dunque...
Di tanto in tanto, quando non riesco a uscire da un empasse, mollo e scrivo altro per distrarmi. Per vostra sfortuna, ho preso gusto a torturare i poveri personaggi di "Naruto", quindi...eccomi qui.
Qualche tempo fa, in una delle mie fasi "suicidiamoci mentalmente" particolarmente grave, ho visto un bell'oav in inglese, "Code Geass: Boukoku no Akito che trovate qui -> http://www.animefreak.tv/watch/code-geass-boukoku-no-akito-episode-1-online
Ora. Che ha a che fare questo con la storia? Praticamente nulla.
Solo che le parole della canzone di chiusura sono molto belle, e io ero in vena di copiare frasi in romaji. Perciò me ne sono trascritte alcune in attesa di poterle utilizzare come spunto per ... qualcosa.
E qui entra in gioco la mia ultima giornata di depressione. Mi sono ricordata di quelle frasi, e ho pensato che si potevano adattare bene allo stato d'animo di Sasuke dopo la morte di Naruto (ovvero quello di cui parla l'altra storia, per chi non avesse letto. E con questo sapete quello di cui avete bisogno ^^).
Perciò ho tenuto come base una storia già scritta (mia) e sono partita per la via della depressione. ^^
La canzone a cui mi riferisco, la trovate qui http://www.youtube.com/watch?v=moax7giGk14 , con la traduzione in inglese a cui mi sono affidata. In questo caso, vedete pure voi che non ho usato quella italiana, perchè quella trovata (ieri sera, quindi dopo aver scritto il testo), pur molto bella mi pareva meno "evocativa" di quella inglese. Probabilmente perchè io l'inglese lo interpreto, mentre l'italiano lo capisco. =___=
SE volete, questa è la traduzione italiana. http://theaquarionsaga.forumcommunity.net/?t=52890991

Ah, ci tengo a sottolineare che non ho desideri di morte, non sto morendo e non pianifico di morire a breve. Giusto se qualcuno si stesse chiedendo perchè mi sollazzo con storie deprimenti. Piuttosto esorcizzo il cattivo umore scrivendo della sofferenza altrui. ^^ Sì. Sadica...


Jiyuu tte, setsunakunai desu ka? Dokomademo.
Isn’t freedom painful? Endlessly.

-1-
Kimi wa hitori ninattan da ne – now you’re alone, aren’t you?

 
Si tolse la maschera con un sospiro di sollievo.
L’aveva portata così a lungo che i bordi si erano incisi nella carne del suo volto, dandogli l’impressione di aver appena subito un tentativo di asportazione della faccia.
Si massaggiò le tempie. Aveva mal di testa. Succedeva sempre quando usava lo sharingan a lungo, ma questa volta era perfino peggiore.
Lanciò un’occhiata distratta verso l’interno della casa, dove un tempo ad aspettarlo ci sarebbe stato una fonte sicura di rumore, e che ora invece era silenziosa come una tomba.
La sua, tomba.
Ogni volta che tornava a casa, questa gli ricordava quanto gli era costata quella libertà di cui ora godeva, ed era così doloroso doverne affrontare il silenzio che quasi si pentiva di non aver venduto o abbattuto o incendiato quella maledetta fonte di sofferenza.
Varcò la soglia vuota.
Non lo avrebbe mai fatto.
Mai e poi mai si sarebbe liberato del luogo che lo aveva fatto vivere di nuovo.
Mai e poi mai si sarebbe liberato della casa che racchiudeva i suoi ultimi ricordi di … “lui”.
Anche se significava portare una croce per tutto il resto della vita che non sentiva la necessità di vivere. Anche se respirare tra quelle pareti era più difficile che farlo fuori.
Eppure entrava in cucina, e sopportava il ricordo inciso sul pavimento di un corpo inerte, e sentiva sulle labbra delle labbra ferme, e un petto immobile sotto i palmi delle mani.
Perché in salotto aveva scherzato con Naruto.
Nella sala da tè aveva litigato con lui.
Nel giardino sul retro aveva tentato di meditare con lui.
Nel dojo aveva esorcizzato i fantasmi della sua famiglia con lui.
Nella camera che avevano diviso per due anni aveva fatto l’amore con lui.
Nello studio aveva cercato di ucciderlo, quando aveva trovato delle foto di famiglia mezze mangiucchiate dal tempo, e aveva osato prendere in giro il suo splendido fratello.
Davanti a casa lo aveva visto sorridergli e salutarlo, mentre partiva per missioni alle quali a lui non era consentito partecipare.
Dall’entrata lo aveva sentito gridargli “Okaeri” e gli aveva imprecato contro, quando lo aveva raggiunto dall’altro lato della casa, invece di dargli la soddisfazione di rispondere “Tadaima”. Anche se lo aveva sussurrato tra sé e sé tutte le volte. Anche se aveva fatto lo stesso, quando era stato Naruto quello a tornare a casa, e aveva ottenuto ogni volta un “Tadaima” ignaro della cosa, urlato a pieni polmoni.
Faceva così male ricordare! Ma era anche quello che gli permetteva di mantenere la promessa di prendersi cura di sé stesso.
Poggiò la maschera sul tavolino davanti al divano, e la sacca delle armi qualche centimetro più in là. Staccò la katana e la wakizashi* dai sostegni sulla schiena, e appoggiò pure quelle là vicino.
Era stanco. Avrebbe pulito le lame usate più tardi.
Per una volta, non sarebbe cambiato nulla.
Stava per uscire, ed immergersi in un’altra stanza in cui il suo respiro sarebbe stato l’unico rumore a ricordargli che era ancora vivo, quando esitò.
Sospirando, si voltò. Tornò in salotto, prese il necessario dall’armadio vicino alla libreria in cui teneva i rotoli che stava studiando in quel momento, e poi si sedette sul divano, ordinando davanti a sé il necessario per la pulizia delle armi.
Si sgranchì il collo, e iniziò con metodica precisione, svuotando la mente di tutto quello che non era necessario.
L’orologio, sopra il camino del soggiorno all’occidentale che aveva voluto il dobe quando avevano dovuto ristrutturare in seguito ad una lite piuttosto accesa, batteva i secondi con un ritmo assordante.
Fino a qualche anno prima, non aveva mai notato quanto rumoroso potesse essere. Mai.
C’era sempre stato un rumore più forte a coprire quello insopportabile del dannato orologio.
- Ah.
Aveva stretto la lama affilata nel pugno, invece di tenerla delicatamente.
Si fissò accigliato la mano rossa. Sakura lo avrebbe rimproverato.
Frugò nella borsa, fino a trovare una benda per il primo soccorso, e se la avvolse attorno al palmo e alle dita.
Avrebbe dovuto ripulire la lama, pensò, seccato con se stesso. Una volta che il sangue avesse smesso di scorrere, almeno.
Sarebbe dovuto andare da Sakura per farsi curare la ferita.
Là non ci sarebbe stato silenzio.
Storse il naso. No. Meglio evitare.
Anche lei aveva il diritto di staccare dal suo dovere di medico, si disse. Non era corretto da parte sua trattare il suo appartamento come un pronto soccorso aperto ventiquattro ore su ventiquattro.
E poi … il silenzio sarebbe stato ancora di più silenzio, poi.
E lui voleva stare con i ricordi di Naruto. Anche se faceva male. Anche se lo faceva sanguinare.
Non lo avrebbe ucciso, l’esperienza lo rendeva certo di questo, e lui aveva fisicamente bisogno di avvolgersi in quel dolore benigno e caldo.
Era assuefatto ad una vita di ricordi e di spettri. Aveva iniziato a drogarsi di lei ancora da bambino, quindi non trovava nulla di strano continuare per quella strada.
Era l’unica che conoscesse veramente bene, l’unica collaudata, su cui si sentisse davvero a suo agio.
Aveva provato a imparare a vivere nell’aspettativa di ricordi futuri, ma ancora prima che vi si potesse abituare in pieno, quella speranza di memorie da costruire insieme era morta. E allora? Che senso aveva vivere per il futuro, se questo non esisteva?
Si alzò, degnando a stento il divano macchiato del proprio sangue di una veloce occhiata, e si diresse verso il bagno al pianterreno.
Aveva proprio bisogno di una doccia.
Uscì dal salotto, i passi che l’allenamento di decenni avevano resi silenziosi che rimbombavano e riecheggiavano sul pavimento del corridoio come squilli di trombe, a ricordargli ancora, come se ne avesse bisogno, che il silenzio vero non esisteva.
Era uno stato mentale.
Solo quello.
Quello che lui sentiva ora, era il suono della sua vita.
Secco, irrisorio per gli altri, quasi impercettibile ai sensi umani. Ma comunque udibile chiaramente a lui, fantasma di uomo che si trascinava su e giù per questa terra di mortali, nell’attesa che qualcuno di caritatevole si accorgesse della sua presenza errata in questo mondo, e lo rispedisse dove l’altra metà della sua anima si era persa.
O forse era meglio dire che la parte che era lui in quel momento era persa? Come si poteva stabilire quale pezzo fosse quello fermo e quale quello perduto?
Stando alla logica, era il corpo a dare la posizione, perciò il frammento di spirito che animava ancora il corpo sarebbe dovuto essere quello che sapeva dove era, quello che aveva in mano la situazione.
Rise, afono,  dei propri pensieri entrando in bagno.
Si tolse il giubbotto, esitò un istante, e poi lo buttò sul pavimento, facendogli subito seguire la maglia aderente, i calzoni e i boxer, creando una piccola pila di abiti sporchi di sudore e sangue.
Aprì il getto di acqua, regolò la temperatura al massimo, e la abbassò distrattamente subito dopo. In modo automatico. Prima di ricordare, come al solito, che non aveva più bisogno di fare docce tiepide perché il Dobe che lo avrebbe raggiunto a metà aveva la pelle sensibile al calore. Cosa alquanto ironica, dato che si portava a spasso un demone di fuoco tutto il tempo.
Non alzò comunque la temperatura.
Forse, prima o poi, il suo corpo avrebbe capito che era il pezzo di anima che lo faceva muovere quello stabile nel tempo e nello spazio. Forse avrebbe capito che non era lui quello perso, ma la parte di spirito che era morta quella sera d’estate. Millequattrocentocinquantanove giorni prima.
Sasuke rabbrividì, entrando nella doccia, e fece una smorfia di insoddisfazione. Odiava l’acqua fredda. Durante il periodo del tradimento, era stata la cosa che più gli era pesata, nel vagare alla ricerca di informazioni e certezze.
La prima volta che aveva potuto fare il bagno di nuovo nell’acqua bollente era stato un evento catartico. Mistico. Epico. Meraviglioso. Si poteva quasi dire che si fosse piegato alla vita da recluso in casa soprattutto per la possibilità di fare lunghi, caldissimi bagni senza doverne rendere conto a nessuno.
… Nessuno a parte un certo biondo che veniva a controllare se era affogato o se si era sciolto nell’acqua, dopo la prima ora senza sue notizie. Ghignò.
Ora avrebbe potuto stare nell’acqua calda tutto il giorno, e nessuno sarebbe venuto a infastidirlo con preoccupazioni assurde.
Il sorrisetto storto che gli aveva piegato le labbra svanì lentamente nella linea sottile che era loro solita.
Non sarebbe arrivato nessuno che una volta accertatosi del suo stato, si sarebbe seduto per terra, sulle piastrelle umide di vapore vicino alla vasca in cui stava lui. Cercando di coinvolgerlo in chiacchiere prive di senso, ridendo anche per lui, arrabbiandosi per un nonnulla, lamentandosi del calore senza però muoversi dalla sua posizione, preoccupandosi della sua salute. Portando pace nella sua mente.
Appoggiò la fronte alle piastrelle fredde della doccia, mentre l’acqua scorreva su di lui.
Ora era libero di fare ciò che voleva. Aveva il silenzio che aveva bramato così tanto.
Batté le palpebre quando l’acqua le superò affogandogli gli occhi.
Si guardò la mano che pulsava, scoprendola ancora rossa di sangue non coagulato.
Per un istante, valutò seriamente l’idea di rimanere nella doccia, ad osservare la sua anima trovare una via di fuga dalla prigione in cui era costretta, ascoltando il rumore della vita che si spegneva attorno a lui.
Prese un asciugamano e se lo avvolse attorno alla mano, poi con l’altra si asciugò sommariamente il corpo dopo aver chiuso l’acqua.
Uscì a cercare qualcosa da indossare, gettando il telo bagnato sopra gli abiti sporchi, indifferente al fatto di essere nudo.
Non ci sarebbe stato nessuno a strillargli “PERVERTITO SENZA PUDORE!”, tanto.
Salì in camera, ignorando la scia di gocce rosse che si lasciò dietro. Aprì l’armadio, cercò un paio di pantaloni arancioni. Se li infilò con qualche difficoltà, impedito nei movimenti dalla mano grossolanamente fasciata.
Poi ridiscese e si diresse in cucina.
Teneva là l’armadietto del primo soccorso da quando Naruto aveva deciso di imparare a cucinare. E lì era rimasto anche dopo che era stato stabilito che a meno di gravi calamità, come per esempio il disinteresse di Sasuke per i pasti, non avrebbe più toccato un oggetto tagliente neppure se minacciato di morte, in casa.
Seriamente. Era ancora un mistero per Sasuke come un ninja abituato ad avere a che fare con lame potenzialmente mortali potesse tagliarsi con un coltello da insalata.
Aprì lo sportello, accogliendo con sollievo il lieve cigolio dei cardini dell’armadietto, e cercò quello di cui avrebbe potuto avere bisogno per fermare l’emorragia.
- SASUKE!
Sobbalzò al richiamo improvviso, sorpreso dal suono di un altro essere umano in casa.
- SASUKE!
Rumori di qualcuno che correva, una voce che chiamava il suo nome in preda al panico.
Li assaporò per un lungo istante prima di muoversi verso la loro fonte.
- Calmati, Sakura. – la voce pacata di Kakashi lo indirizzò verso il bagno al pianterreno.
- COME POSSO CALMARMI?! NON HAI VISTO IL SANGUE?! SASUKE!! SAS … Oh Kami!
Venne investito da un turbine rosa, che cercò di strangolarlo prima di sussurrargli all’orecchio: - Grazie Kami. Grazie! – e poi lo scostò da sé prendendo ad esaminarlo con fare professionale da mamma chioccia, mentre il rumore tornava a riempire la casa con il suo profumo di gelsomino e disinfettante.
-Che ti sei fatto? Non ti avevo detto di venire sempre da me quando terminavi una missione? Tsunade-sama non mi aveva detto che ti eri ferito ad una mano! E cosa pensavi di fare sanguinando in giro per casa? Hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere? Guarda qui! – lo fissò negli occhi con fare inquisitorio, prendendogli il viso tra le mani – Hai mangiato? Hai dormito? Hai le occhiaie! E sei dimagrito di nuovo.
- Sakura è appena tornato da una missione. È normale che sia stanco. Perché non ti occupi della sua mano e di quel taglio sul braccio e poi lo lasciamo riposare in pace?
Lei non rispose, ancora impegnata a interrogare gli occhi vuoti che non rispondevano ai suoi. Alla fine inclinò la testa, sospirò, fece una carezza sulla guancia pallida mentre toglieva la mano. Riprese la mano ferita avvolta nell’asciugamano, e la fissò seria, decidendo le sue prossime azioni.
- Andiamo in cucina. Kakashi scalda quello che abbiamo portato per cena mentre io mi occupo di questo taglietto.
Lo trascinò in cucina, e si morse le labbra quando lo vide gettare un’occhiata distratta al pavimento davanti ai fornelli.
Erano passati tre anni. Quasi quattro.
E lui era ancora così … agli altri sarebbe potuto anche sembrare normale, il solito bastardo silenzioso, ma lei la sapeva più lunga.
Il vecchio Sasuke non le avrebbe mai permesso di comportarsi come una madre apprensiva. Non le avrebbe permesso di farsi una copia delle chiavi di casa sua, e usarle quando più le aggradava per immischiarsi nella sua vita.
Ino pensava che fosse normale. Che si fosse abituato, alla fine, alla sua presenza. Rassegnato, se non altro. Ogni persona normale ad un certo punto lo faceva.
Ma Sakura sapeva che non era vero.                                                             
Sasuke non si rassegnava. Non si abituava. Non sopportava. Sasuke non era una persona normale.
Lui agiva, brontolava e teneva il muso. Ghignava e faceva lo stronzo.
- Meglio se lasciamo Kakashi al suo lavoro. Noi andiamo in salotto. – ordinò col cuore stretto prima di raccogliere quello che le serviva e precederlo nella stanza vicina.
Squittì indignata allo spettacolo che l’attendeva.
- Guarda cosa hai fatto! – esclamò. - Il divano è tutto rovinato.
Sospirò, alla constatazione del danno. - Poi tolgo le fodere dei cuscini, e le porto a lavare. Anche se non credo si possa fare molto per la pelle macchiata. Speriamo che si possano recuperare almeno le imbottiture. Se il sangue ha macchiato pure quelle, sarai costretto a cambiare divano.
- No.
Lo fissò sorpresa. Era la prima parola che pronunciava, e la stava sprecando per dirle … - No?
- Non voglio che tu faccia lavare quelle fodere. Non voglio cambiare divano. – annunciò piatto, andando a sedersi sull’oggetto in questione.
- Non puoi tenerti in salotto un divano macchiato di sangue, Sasuke. È antigienico.
- Ho detto che non voglio che venga lavato. – ribatté tagliente.
Sakura si irritò. – È un’assurdità, Sasuke. E poi guarda! Non è neppure solo il sangue! Quando hai fatto lavare per l’ultima volta questi poveri cuscini? C’è ancora la macchia di …  oh. – terminò, smontata.
Lanciò una breve occhiata nella direzione di Kakashi, fermo sulla porta del salotto. Quando lui scosse la testa e ritornò in cucina, Sakura si sedette accanto a Sasuke, appoggiandosi la sua mano inerte in grembo e cominciando a disfare il rozzo involto rosso di sangue.
Silenziosamente, iniziò a disinfettare la ferita aperta, e a dispensare le cure necessarie a chiuderla. Domandandosi se fosse il caso di ricominciare a incoraggiarlo a vivere, invece che semplicemente a vegetare nel ricordo di qualcuno che non c’era più.
Poi pensò alla macchia di ramen che Naruto aveva fatto sul divano qualche giorno prima di morire, durante una delle serate in compagnia che il biondo imponeva al suo compagno per evitargli di ammuffire, come diceva allegramente.
Strinse gli occhi per impedire alle lacrime di scendere.
Si schiarì la gola e iniziò a raccontargli la sua giornata in ospedale, sforzandosi di ricordare tutti gli episodi più strani e divertenti che le erano capitati, mentre fissava le bende attorno alla sua mano, e poi passava a controllare il taglio meno grave sul suo avambraccio.
Lui rimase in silenzio, lasciandola fare docilmente, mentre si beava del suo rumore inaspettato. Diverso da quello di cui aveva veramente bisogno, ma comunque gradito ai suoi orecchi.
- È pronto. Sbrigatevi ad arrivare prima che finisca tutto io! Ho preparato in soggiorno!
Il richiamo di Kakashi li distolse dai loro pensieri.
Sakura sorrise, fingendo che fosse tutto normale. – Vogliamo andare prima che sensei decida di mangiarsi anche la nostra cena?
Non ottenne sbuffi, risposte maleducate e neppure smorfie accompagnate da lievi sorrisi nascosti.
Sasuke si limitò a fissarla, e poi ad alzarsi dirigendosi in soggiorno.
Sospirò sconfortata, prima di seguirlo lentamente.
Pensava sarebbe andata meglio. Pensava che Sasuke avrebbe superato, col tempo, la perdita di Naruto.
Aveva reagito bene, in fondo, a Gaara. Ed era stato solo a pochi giorni dal collasso di Naruto. Durante l’addestramento per ottenere l’abilitazione come Anbu, si era lamentato che quegli idioti che gli avevano bloccato il chakra per anni avevano fatto perdere al suo corpo la velocità di reazione di una volta. Aveva ghignato, ovviamente divertito dagli insulti che Kiba gli stava elargendo da terra, quando quella sua scarsa velocità di reazione aveva spedito l’Anbu a metà del suo attacco a sorpresa a gambe all’aria, durante uno dei loro allenamenti. Qualche settimana dopo la sua morte.
E al suo matrimonio con Kakashi aveva condiviso con lei addirittura un sorriso appena accennato, ma sincero.
Ma le caute speranze che Sakura aveva osato avere, erano andate affievolendosi sempre di più.
Sasuke aveva perso lentamente le emozioni che aveva recuperato negli anni di convivenza con Naruto. E qual punto, Sakura sospettava che se non fosse successo qualcosa di enorme, si sarebbe trovata a breve a piangere la scomparsa di un altro brandello della famiglia che le era rimasta. Ormai solo con lei manifestava qualcosa di diverso dall’apatia, e anche questo diventava sempre più raro.
- Riesci a mangiare con quella mano ridotta in quel modo?
- Non ti offri mai di imboccare me. Perché non imbocchi me, Sakura tesoro?
Studiò gli occhi seri di suo marito, e stette al gioco. – Perché tu te ne approfitteresti. – gli rispose mostrandogli la lingua.
- Mah mah … così mi ferisci, amore.
- Kakashi sei credibile quanto Gai-sensei che si lamenta dei muscoli doloranti.
Vide il sorriso raggiungere birichino l’occhio visibile di suo marito, e seppe subito di doverlo fermare. – Non dire altro. Non voglio sapere se Gai si è lamentato di dolori muscolari con te.
- Ma il muscolo in questione … -/- Kakashi non continuare se ci tieni a dormire su un letto per le prossime due settimane.
- Non hai senso dell’umorismo, Sakura.
- Mi hai sposato sapendolo, Kakashi. Non ho forse ragione, Sasuke?
Si voltò sorridendo verso di lui. Ma lui non la stava guardando. Si limitava a mangiare, impugnando le bacchette con la sinistra. Gli occhi fissi sul piatto.
Sakura avrebbe voluto scuoterlo. Avrebbe voluto arrabbiarsi con lui. Cercò aiuto negli occhi di Kakashi.
- Sasuke. – disse con forza lui, distogliendo i proprietario della casa in cui stavano cenando dalla piacevole sensazione che gli dava sentire il respiro di altri esseri umani nella sua tomba. Ne sarebbe rimasta l’eco per un po’. E lui forse avrebbe ritrovato in quel breve lasso di tempo la determinazione necessaria ad ignorare un altro mese di sussurri nella notte, e altre decine di centinaia di migliaia di rintocchi di orologio.
- Che c’è.
Era sollievo quello che passò veloce nella pupilla visibile di Kakashi? Sollievo per cosa? Perché aveva risposto al suo richiamo?
Si accorse per la prima volta dello sguardo spaventato di Sakura.
- Come ti sei tagliato la mano, Sasuke?
Pensava forse, Kakashi, che avesse cercato di suicidarsi?
- Perché dovrebbero essere affari tuoi?
Questa volta era certo di averlo visto. Sollievo.
Nella maschera da idiota menefreghista e felice di Kakashi era scivolata veloce un’espressione di sollievo.
- Potresti pure avere compassione della preoccupazione del tuo vecchio sensei per il suo pupillo preferito e rispondere alla domanda, né?
Era tornato leggero e scherzoso. Lo fissò a lungo, indeciso se valesse la pena di sprecare il suo tempo in una sfida di volontà con lui.
Sospirò appoggiandosi allo schienale. Non aveva fame, e il mal di testa lo stava uccidendo.
- Mi sono distratto pulendo la wakizashi. Ho sottovalutato la mia stanchezza.
- Ah! Mi dispiace, Sas’ke … forse avremmo fatto meglio ad andarcene invece di importi la nostra presenza.
Sakura … lei era ancora preoccupata. Si sforzò di tranquillizzarla.
- Vi avrei buttati fuori, infatti, se non avessi avuto fame.
La studiò attentamente mentre allargava gli occhi e poi li socchiudeva prima di ridacchiare, sollevata.
- Hai il tatto di un sasso, Sasuke. Come al solito.
- Lo sai dal primo giorno di scuola, Sakura.
Lei sorrise, inclinando la testa di lato e appoggiandosi col busto al bordo del tavolo, per andargli più vicino.
- Sì. E l’ho sempre trovato frustrante.
Nonostante quello che aveva detto, lo stava guardando con affetto.
Chiuse gli occhi e incrociò le braccia al petto, inalberando una espressione infastidita.
- Tz. Certo come no. Dato che sei qui potresti pure farmi passare l’emicrania, prima che mi impedisca di dormire questa notte.
Il suo sorriso divenne malizioso. – Se me lo chiedi per favore …
 
Quella notte, Sasuke rimase a fissare le stelle con la consapevolezza di non essere l’unico a respirare in casa.
Kakashi e Sakura si erano autoinvitati a fare colazione a casa sua, con la scusa che lui non aveva avuto il tempo materiale di fare la spesa, e affermando di non avere voglia di attraversare mezzo villaggio per due volte nel giro di appena metà notte solo per il piacere della sua compagnia, si erano impadroniti di una delle stanze per gli ospiti.
Al suo laconico: - Potete pure rimanervene a casa vostra.  – Kakashi aveva iniziato a ridere, e aveva cercato di rompergli una scapola battendogli sulla spalla il suo divertimento fasullo. E si era avviato verso la stanza che avrebbe occupato quella notte.
- Tz. Quel maledetto pervertito impiccione …
- … Non cambierà mai. Ormai dovresti esserti rassegnato, Sasuke.
Lui aveva studiato con fare indifferente Sakura, che gli era al fianco e sorrideva in direzione della schiena del marito.
- Non è nel mio carattere.
- … No. – aveva ammesso lei dopo averci riflettuto sopra per un po’. Poi aveva ridacchiato. – Mi aspetto sempre che un giorno ti stuferai di lui e cercherai di vendicarti.
Non lo avrebbe mai fatto. Lo sapevano entrambi.
Tuttavia, non poteva certo riconoscerlo a voce alta.
- Non darlo come una possibilità. Quando non ne potrò più di lui io MI VENDICHERÒ. Non è che ci proverò e basta.
Un tempo, questa affermazione sarebbe stata completata con “Mica sono il dobe”. E sarebbe stata seguita da un urlo di guerra che sarebbe risuonato per tutta casa. Poi lui e Naruto avrebbero cominciato a litigare, e si sarebbero presi a pugni fino a quando Sakura non fosse intervenuta per dividerli, rimproverarli e poi curarli. Non prima che una parte del mobilio innocente che si fosse trovato sulla loro strada avesse reso l’anima al suo creatore, ovviamente.
Erano anni però che Sasuke evitava di parlare di Naruto con altri. Di agire come se fosse stato possibile sentire ancora un “TEME!!!” indignato risuonare forte nell’aria attorno a lui. Evitava di iniziare i discorsi che avrebbero potuto tirarlo in causa. E gli altri avevano imparato a evitare di parlare del biondo con lui.
Era una forma di rispetto. E lui era loro segretamente grato per portarglielo.
Naruto era … suo. Il suo ricordo era l’unica casa che gli era rimasta. Condividerlo con altri era impensabile.
Anche se questi “altri” fossero stati Sakura e Kakashi. Quello che era rimasto della sua famiglia.
Sapeva che Sakura non approvava il suo modo di pensare.
Per lei, avrebbe dovuto parlare di Naruto il più possibile. Sarebbe così riuscito a … superare la sua morte. Riappacificarsi col passato. Aprirsi una strada per il futuro.
Cazzate del genere.
Non pensava che servisse dirle che una cosa simile non era possibile per lui.
Se non altro, però, lei aveva finito per rispettare quasi sempre il suo desiderio.
Ora che si avvicinava l’anniversario della sua morte, Sasuke sapeva che lo aspettava un altro tentativo di convertirlo al suo modo di pensare. Sakura avrebbe riportato “Naruto” nelle loro vite per un breve periodo di tempo. Era inevitabile. Ma poteva sopportarlo. Poteva ignorarlo, come al solito.
Lei si sarebbe arresa, e lui avrebbe continuato a fare quello che Naruto aveva voluto che facesse.
Sarebbe andato alle riunioni settimanali del suo gruppo di “amici”, avrebbe parlato un poco con loro, sopportato di essere trattato come un malato il più delle volte, come una culla portatile per i loro figli che si mettevano a piangere immancabilmente quando qualche adulto aveva la sconsiderata idea di metterglieli in braccio, il resto del tempo. Avrebbe tollerato le richieste di utilizzo dello sharingan per mettere a nanna i pargoli cocciuti di tutta quella massa di degenerati senza rispetto senza ucciderne neppure uno.
Avrebbe difeso Konoha fino all’ultimo respiro, e sarebbe andato d’accordo per quanto possibile con Tsunade.
Avrebbe concesso a Sakura di prendersi cura di lui. Di immischiarsi nella sua vita. Di riempire il silenzio.
E tollerato le azioni fintamente casuali di Kakashi per dimostrargli che per lui, era come un figlio.
Si sarebbe preso cura di se stesso e di loro.
L’unica cosa che voleva, era che gli fosse concesso di tenere tutti i ricordi di Naruto sigillati dentro di sé.
Non era poi molto, no?
Sentì un corpo caldo avvolgerlo tra le braccia. Una testa dai capelli lunghi e morbidi appoggiarsi sulla sua spalla.
- Non desidero prendere parte ad un atto di adulterio. Trovati qualcun altro.
- Verrai alla commemorazione, quest’anno?
Fosse stato qualcun altro, non avrebbe risposto.
Fosse stato qualcun altro, non gli avrebbe neppure permesso di toccarlo però.
- No.
- Ci saremo tutti. Poi andremo a mangiare ramen e a giocare a fare gli anziani che ricordano i bei vecchi tempi.
- No.
- Sasuke non ti fa bene comportarti così.
Sospirò. Ecco. Era arrivato il tentativo di “farlo andare avanti”. Sapeva che era andata a casa sua per un motivo ulteriore a quello di accertarsi della sua salute fisica.
- Sakura, abbiamo già fatto questa conversazione. Non cambierò idea.
- Non ti costringerò a parlare di lui. – aspettò un poco una sua replica, e quando non giunse continuò – Ho perso anche io la mia famiglia, quel giorno. Vorrei solo  che quello che ne è rimasto fosse là con me quando la piangerò.
- Non serve a nulla piangere. E avrai Kakashi e gli idioti.
- Forse loro non mi bastano.
- No.
- Io ci sono sempre quando commemori Itachi.
- Non è la stessa cosa.
- Lo è, invece. Naruto è mio fratello, tanto quanto Itachi è il tuo!
Se la scrollò di dosso, scese dal letto e si girò ad affrontarla. – Tu odi Itachi! Certo che non è la stessa cosa!
Sakura si mise più comoda, in ginocchio sul letto. – È la prima reazione sincera che ti ho visto avere da un sacco di tempo, lo sai? – controbatté pacata.
- Non verrò a quella dannata buffonata, Sakura. Smettila di insistere.
- E quando un Uchiha decide una cosa è quella e basta, vero? Perché un Uchiha ha sempre ragione. Un  Uchiha non sbaglia mai. Non ha bisogno di nessuno e  non fa affidamento su qualcosa di così patetico come altri esseri umani. Giusto?
Il suo tono grondava sarcasmo, e Sasuke al sarcasmo sapeva come rispondere. Più che alla preoccupazione. Rilassò i pugni, cancellò ogni emozione dal proprio volto e calmò il respiro.
– Questo discorso è inutile. – disse. Atono.
Lei distolse lo sguardo. – Non è che odi tuo fratello. Capisco che ha fatto quello che ha fatto per proteggere te e il villaggio.
- Che cosa … -/- Però gli porto rancore, questo sì. – lo interruppe riportando lo sguardo su di lui e studiandone la figura illuminata dalla Luna. – Ti può anche aver salvato la vita, ma ha lasciato nella tua anima una ferita che non si è mai del tutto chiusa. Per questo neppure Naruto lo ha mai perdonato.
- Sakura.
Sapeva che non sarebbe riuscito a fermarla. Sakura era cocciuta quanto Naruto, quando ci si metteva. E aveva imparato da lui ad individuare la propria verità ed aggrapparcisi fino a che non fosse stata riconosciuta anche dagli altri.
Certo, lei portava avanti le proprie idee argomentando, ed era fondamentalmente più razionale di Naruto, ma si assomigliavano. Era innegabile.
- Nel periodo in cui voi siete stati insieme, dopo il tuo processo, ho visto Naruto lavorare pazientemente per ricucire quello strappo. L’ho visto stringere i denti e sopportare di essere ferito da quello strappo nella tua anima. Non ho intenzione di permettere che tutti i suoi sforzi vadano sprecati. Non OSARE … non osare sprecare gli sforzi che il mio fratellino ha fatto per te.
Come osava … lei!? Strinse i denti, e ringhiò. Voce bassa e brontolante minacce nascoste che si alzava mano a mano che le parole prendevano forma nel suo cervello e uscivano dalle sue labbra - Perché pensi che faccia quello che faccio? Perché credi che esca con quegli idioti ritardati dei vostri amici? Proteggo il suo villaggio, sopporto i suoi amici, accordo a te e Kakashi il privilegio di intromettervi nella mia vita! Sto facendo del mio meglio per fare quello che voleva che facessi!
- Non è questo quello che Naruto vorrebbe per te! Non vorrebbe vederti mentre ti seppellisci qui dentro e neppure vegetare ogni volta che sei costretto ad interagire con altri esseri umani! Lui vuole … vorrebbe … che tu vivessi!
- E COME! – stavano gridando entrambi. Prese un respiro profondo, massaggiandosi la radice del naso. Forse, se le diceva onestamente come si sentiva, cosa pensava, lei lo avrebbe lasciato in pace. Una volta per tutte.
Continuò. Pacatamente. - Dimmelo, Sakura. Come. Sono … sopravvissuto per molti anni in questo modo. Un obiettivo da conquistare e una strada da seguire per farlo. Questo è il mio modo di vivere. Naruto lo sapeva. È per questo che mi ha lasciato quella dannata lettera. È per questo che non mi ha detto niente. Credevi che non lo avessi capito? Pensavi che non mi sia mai chiesto perché quel cretino si sia preso il tempo di scrivere non una, ma due lettere per me? Credevi avessi supposto che fosse solo per alleggerirsi la coscienza? Per confessare quello che provava per me? Quello lo ho saputo dal primo istante. Era chiaro come il Sole, come ogni altro suo sentimento! Lo ha fatto perché anche quando pensava che a me non fregasse un cazzo di lui, si è sempre preoccupato di ME. Quell’idiota di un dobe ha avuto la faccia tosta di lasciarmi la lista della spesa, perché SAPEVA che avevo bisogno di uno scopo!
- Sei arrabbiato con lui.
- Perché, non dovrei? – la fissò di nuovo, con gli occhi rossi di rabbia. - Quel cretino mi ha riportato indietro contro la mia stessa volontà. Mi ha chiuso in questa gabbia dorata. Mi ha costretto a riavere una casa! E poi che fa quando mi ci sono abituato? Si fa battere da uno stupido veleno del cazzo? E mi obbliga a tirargli fuori dal corpo il demone che lo tiene in vita? Dopo avermi giurato che saremmo morti insieme? Dopo anni in cui non mi ha chiesto assolutamente nulla?!
Sakura abbassò gli occhi, e raccolse le mani in grembo.
- Sono incinta.
Doveva avere sentito male. Batté le palpebre. – Cosa?
Lei rialzò gli occhi ad incontrare i suoi. – Sono incinta, Sas’ke.
- E questo cosa … -/- Non posso argomentare con te le scelte di Naruto. Sono arrabbiata con lui pure io, che credi? Ha lasciato pure me! E centra perché ho bisogno di te. Del tuo “te” vivo. Non di uno che sopravvive solo per dovere. Sarà una gravidanza difficile, Tsunade me lo ha già pronosticato. – mentì senza batter ciglio. Se lui aveva bisogno di uno scopo, allora lei gliene avrebbe dato uno più palpabile. Più raggiungibile. Più … impegnativo. - E io ho bisogno di avere vicino mio fratello. DAVVERO, vicino. Non solo “falsamente”. E non mi servi a nulla a metà. Ti voglio intero.
- Kakashi … -/- Per favore. – fece un gesto di fastidio con la mano - È diverso, e lo sai anche tu. Questo sarà il “nostro” bambino. Di tutti e quattro. Sarà la prossima generazione della nostra famiglia.
Dovette riprendere fiato prima di poter articolare una frase di senso compiuto.
- … Lo sai che mi prenderò cura di lui.
- A me non interessa che ti prenda cura di lui! Lo so già che lo farai. Ma non voglio che il nostro bambino abbia un’infanzia difficile come quella che avete avuto tu o Naruto o Kakashi. Voglio che abbia un padre scemo, che gli insegni a diventare un adulto sano. Voglio che abbia uno zio scorbutico, ma che è pure capace di fargli una carezza sulla testa e lodarlo quando fa una sciocchezza. Voglio che abbia una nonna manesca, che lo abbracci e lo faccia sentire amato, mentre gli insegna a giocare a poker. E voglio pure un cugino inquietante che gli colorerà la vita ogni volta che lo desidererà. Ma per ottenere quello che voglio, Sasuke, ho bisogno che tu ci sia. Che tu sia lo stronzo bastardo che sei sempre stato. Quello che nonostante tutto si sacrifica per un idiota rinunciando ai propri sogni. Quello che si tormenta perché non è stato capace di dire alla persona che amava di più al mondo che era QUESTO per lui. – i suoi occhi lo stavano guardando con ferma compassione. La sua voce si ammorbidì. - Se non quando era troppo tardi per assaporarne la gioia che ne sarebbe derivata. Quello che non ha più lacrime da versare, eppure piange ogni giorno. – le lacrime che ora le bagnavano gli occhi non incrinavano minimamente la determinazione nella sua voce. Se le asciugò, infastidita ma non imbarazzata dalla loro presenza.– E sai perché lo voglio? Perché assieme a me e al resto della famiglia insegnerai a nostro figlio che l’amore fa male come l’Inferno, ma che è una cosa bellissima. Così preziosa e rara da dover essere custodita e difesa oltre ogni ragionevole follia. Così meravigliosa che vale la pena soffrire migliaia di dolori per poterne assaporare un solo attimo.
- … Non esiste una “ragionevole follia”. È una contraddizione in termini.
Lei sorrise, triste e calma. – Tutta la nostra vita, è stata una ragionevole follia. O ha avuto una razionalità folle a volte.
Sasuke sospirò, passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoseli. – Non capisco come tutto questo possa avere a che fare con il mio modo di vivere.
- Tu sei stato una buona parte di quella follia ragionevole. Ecco cosa centra. E ho deciso che se non posso convincerti con la comprensione e la pazienza, lo farò con la costrizione e la forza. In fondo, con Naruto ha funzionato.
Rifletté un istante sulle parole che lei gli aveva appena sussurrato, poi stabilì che era troppo stanco per continuare la discussione.
Si sedette sul letto, e poi vi si lasciò cadere, voltandole le spalle. – Voglio dormire. Torna a far impazzire tuo marito.
Un torace morbido si appoggiò alla sua schiena, un volto vi si strofinò contro, e delle braccia falsamente deboli lo avvolsero come in un bozzolo. – Ho deciso che infastidirò te per questa notte.
- Sei una piattola appiccicosa.
- Lo sai dalla prima volta che sono arrossita davanti a te.
In quelle prime ore di dolore cieco, era stata lei a tenerlo insieme. E sempre lei si era presa cura di lui, ogni volta che la determinazione a seguire la volontà di Naruto si scontrava con il nulla che era diventata di nuovo la sua vita. Le doveva almeno il non farla preoccupare.
Intrecciò le dita con le sue. – Non ho detto che verrò.    
Lei le strinse. – Buona notte, Sasuke.
Non rispose.


Per la cronaca. Mi rendo conto che Sasuke è fuori personaggio.
E questa cosa avrà un altro capitolo. Non credo di più. A meno che la mia nuova fase nera non colpisca entro la fine della stesura. ^^
Siate felici!
La vita è bella!
...
Forse?

E sempre per la cronaca:
* http://it.wikipedia.org/wiki/Wakizashi
   
 
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