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Autore: Dicembre    01/03/2008    4 recensioni
Risalire lungo la Via delle Redenzione, per quattrocento lunghi anni, per mettere piede sulla Terra e uccidere chi ha preso ciò che ti apparteneva. Sei un Vendicatore, è nella tua natura. Ma lui, il tuo Notturno, ormai vive da tempo fra questi insulsi mortali, non ricorda te e non ricorda voi. E' la punizione per quello che avete fatto.

"Lo vedo entrare, una, due, tre volte. E lo riconosco sempre. Nonostante il suo aspetto sia cambiato, nonostante l'aria intorno a lui trasudi ira, desolazione e sangue, io mi avvicino. Non è me che vuole, ma io lo stesso, non posso fare a meno di avvicinarmi. E noto il mio capo guardare lo straniero con occhi che non ho mai visto prima. Perchè il capo e lo straniero si conoscono? Perchè me lo porterai via?"
Genere: Dark, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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03. Rosso

 

 

Se qualcuno avesse alzato lo sguardo, quella sera, avrebbe visto Zero seduto sul cornicione del campanile. Aveva la schiena appoggiata all’indietro, ma una delle gambe era lasciata libera di ondeggiare – avanti e indietro – nel vuoto.

Anche i capelli ondeggiavano al vento, ma lui non si muoveva. Lassù non si sentivano bene i rumori della città, ma non era importante. Quella città, i suoi rumori e le sue vittime…Niente era importante.

Lo era solo la sua vendetta, ormai, perché non gli era rimasto nient’altro.

Davvero, sulla Strada della Redenzione aveva pensato che avrebbe potuto portare Ci con sé? Che avrebbe potuto riprenderselo?

Forse. Nei quattrocento anni che gli erano stati necessari per purificare a sufficienza la sua anima per calcare il suolo terrestre e non essere ricacciato all’Inferno, probabilmente per un pochino, aveva sperato che Ci sarebbe tornato con lui.

Aveva sperato che ci fosse una spiegazione al fatto che Ci non avesse dato più notizie di sé, che non avesse cercato di contattarlo. Zero sapeva che Ci non sarebbe potuto tornare all’inferno da solo, ciononostante aveva sperato – forse – in un qualche contatto.

Zero sapeva che l’anima di Ci era stata sigillata per qualche motivo: aveva fatto qualcosa di così grave per cui la sua anima era stata sigillata e punita, impedendole di tornare a casa propria.

I sigilli posti sulla sua anima l’avevano tenuto in carcere. Anche se Ci non era mai stato davvero dietro a delle sbarre, la sostanza non era molto diversa. Non poteva andare da nessuna parte.

Ci era stato obbligato a rimanere sulla Terra, soggiogato dalla volontà di Dio. Non era forse uguale all’essere imprigionato?

Ma avrebbe potuto trovare il modo di comunicare con Zero, di dirgli dove fosse…di dire qualcosa.

E invece non aveva fatto nulla, era semplicemente scomparso.

Con quanta difficoltà Zero era riuscito a scoprire cosa fosse successo a Ci! E con quanta difficoltà aveva abbandonato la parte più profonda dell’Inferno, aveva abbandonato i Vendicatori suoi simili ed era risalito.

Probabilmente quindi, sì, aveva sperato di poter portare Ci a casa.

Ma l’altra sera era stato evidente che Zero era solo un illuso.

Ormai non gli rimaneva nient’altro che il suo istinto, che doveva assecondare: doveva vendicarsi. Poi sarebbe tornato lui solo, a casa.

Sospirò e si alzò in piedi. La veste cremisi venne scossa dal vento che s’era alzato, così come i suoi capelli scarlatti: quella sera ci sarebbe stato un bagno di sangue.

 

 

Avevano tutti fra i venti e i trent’anni e ballavano come dei forsennati. La musica era alta e loro ballavano, strusciando i loro corpi sudati, l’uno contro l’altro. C’era un che di orgiastico nella scena che Zero si fermò a guardare, un misto di ingenuo e libidinoso che lo fece sorridere. La terra era stracolma di residui e surrogati di scene e ambienti presenti in Paradiso o all’Inferno, e questa era una. Zero arricciò il naso, infastidito.

Non aveva voglia di perdere tempo: voleva andarsene via.

Non c’era motivo per rimanere lì, fra cose e persone che l’annoiavano. Quattrocento anni per raggiungere questo posto e un attimo per andarsene.

Non prima di aver portato a termine quello che s’era prefissato di fare.

I suoi capelli rosso fuoco e la sua veste catturano gli sguardi curiosi di molte ragazze. Ha una bellezza così ultraterrena, che molte gli si avvicinarono, incuriosite.

“Andatevene subito” l’ordine di Zero fu perentorio. Non erano certo loro il suo obiettivo, ma non si sarebbe fatto nessuna remora a schiacciare chiunque lo avesse anche solo infastidito. Non parliamo poi di chiunque l’avesse rallentato.

C’era un ragazzo, in mezzo alla sala, avvinghiato mani e bocca alla sua fidanzata, che non si era accorto che Zero era entrato in discoteca. Se n’erano accorti tutti, tranne loro due. La musica aveva rallentato, era diventata più fioca, le luci s’erano spente, se non quelle rosse, che riverberavano sugli occhi scarlatti del nuovo arrivato.

La stanza era pregna di un forte odore di sangue, ma nessuno era ancora morto. La musica s’interruppe del tutto, e solo quando fu completamente spenta, il ragazzo e la ragazza se ne accorsero.

“Ehi…” disse, ma poi non disse altro, scioccato dalla scena che gli si presentò davanti agli occhi. Tutti i ragazzi all’interno della discoteca lo stavano guardando, catatonici e immobili, sotto le luci rosse dei fari. E un uomo era così vicino a loro che il ragazzo fu costretto a fare un passo indietro.

La ragazza, però, non accettò nessun buon consiglio suggeritogli dalla ragione e cercò di spingere via Zero.

“Ehi, qui sto ballando col mio ragazzo…”

Che tono petulante e che mani sudice addosso. Perché farsi coinvolgere, quando non era lei che Zero cercava?

Ma il rosso non  era certo in vena di suggerimenti.

Lui odiava quella ragazza, odiava quel posto e quel mondo.

Lui odiava tutto quello che questo rappresentava e quello che gli aveva rubato!

Afferrò la ragazza per la faccia, con una mano, e la scaraventò lontano, contro la parente. Nella stanza silenziosa, si sentirono le sue ossa spezzarsi e il gemito di lei, quando ricadde per terra, immobile. Nessuno si curò di andare a vedere se fosse ancora viva, rimasero tutti immobili.

Uscì sangue dal suo corpo, rosso intenso.

“Che cosa vuoi?” gli chiese il ragazzo e Zero rivolse la sua attenzione verso di lui.

Sorrise prima, poi rise, non riuscendo a fermarsi.

Che cosa voleva…

“Voglio qualcuno che mi ha lasciato” gli disse sinceramente “e voglio ucciderti”.

Il ragazzo non fece in tempo a muoversi, perché un pugno lo colpì in pieno viso. Cadde a terra,  con la mandibola rotta e il sangue che gli usciva dalle labbra.

“Che cosa voglio?” Zero chiese gelido “Innanzitutto ridammi quello che m’hai preso!” Calpestò la pancia dell’uomo con tale violenza da lacerargli l’addome.

“Come siete poco furbi…” disse Zero mentre l’altro gridava dal dolore “Siete così stupidi…”

L’Ectelium s’illuminò di rosso, così come il corpo lacerato del ragazzo, che sgranò gli occhi e smise di gridare.

“Prendere qualcosa che non vi appartiene, vostra madre non vi ha insegnato che non si fa?”

Zero si chinò sul ragazzo immobile, inzuppando la mano nel sangue che usciva copioso dall’ addome. “E prendere qualcosa ad un demone, poi, è così stupido…Perché davvero…Come potete pensare che rimarrà a guardare? Ma ancora di più…” fece una breve pausa per leccarsi la mano insanguinata “Ancora più stupido è rubare qualcosa che appartiene ad un Vendicatore. Come speravi di cavartela?”

Il ragazzo cominciò a piangere.

“Sei ributtante”

Zero trafisse con l’Ectelium il cuore del ragazzo, che rantolò, ma non sfilò subito la lama, nonostante il cuore avesse smesso di battere. Lo squarciò, per esporlo alla luce rossa dei fari che ancora illuminavano la discoteca.

Ci non lo voleva e lui era costretto a vivere col rifiuto dell’unica persona che voleva vicino. Perché questi umani piangevano per così poco?

Da solo, in eterno. Abbandonato. Con solo la Vendetta come compagna e amica e quell’odore di sangue che lo illudeva di avere ancora senso, ora che Ci non sarebbe più tornato da lui.

Per cosa piangevano, questi umani, per cosa gridavano? Per cosa brillava di rosso il loro sangue, quando potevano morire e smettere di pensare. E smettere di soffrire.

Cosa esistevano a fare, nella loro stupidità?

Decapitò il ragazzo, per cercare di non gridare d’ira.

Uscì dalla discoteca e non riuscì a trattenersi, gridò. Gridò stringendosi il capo con le mani. Accovacciandosi a terra. Aveva il fiato corto e rivoli di sangue non suo che gli scorrevano sulle guance.

Ora il suo compito sulla terra era finito, poteva tornare a casa.

 

 

 

Entra nuovamente nella locanda come fosse la prima volta che ci mette piede. E invece io lo riconosco, nonostante sia ancora diverso, coi capelli fulvi e gli abiti color del sangue: io so che è Zero.

Sono sempre più confusa perché non capisco chi sia. E’ Zero, ma di più non posso dire. Le iridi rosse trasudano ira e disperazione. Si avvicina al bancone e nessuno osa toccarlo, le persone nella locanda si scostano in fretta per lasciargli libero il passaggio. Io sono lì, che sciacquo un bicchiere, ma non stacco gli occhi da lui. Temo per la mia vita.

“Le chiavi della mia stanza” mi dice, gelido. Sa bene che l’ho riconosciuto e sa bene che ho paura di lui come non ne ho mai avuta prima. Se blu m’aveva spaventata e derisa, se in bianco quasi avevo frainteso la sua distanza per tenerezza, col rosso non ho dubbi: è sangue. E’ il sangue che lo nutre ed è il sangue che vuole. Di chi sia il sangue, poco importa.
Mi affretto a dargli la chiave numero dodici.

Lui non ordina nient’altro, se ne va e solo in quel preciso istante mi lascia intravedere che non gli interessa nulla, né di me né degli avventori del locale. Non è il mio sangue che vuole, né devo temere per gli altri. Vuole qualcosa che non può ottenere, né che io posso dargli. Lo guardo salire le scale che portano al primo piano e poi scompare. La locanda ritorna ad essere chiassosa come pochi minuti prima, finché m’accorgo che il bicchiere che stavo asciugando è in frantumi sul pavimento.

Devo averlo lasciato cadere, il capo mi sgriderà.

 

 

“Ora uccidimi” il buio della stanza era smerigliato solo da un piccolo lumicino appoggiato sul comodino, ma per Zero non faceva alcuna differenza, perché i suoi occhi erano abituati ad oscurità ben più cupe.

“Uccidimi” ripeté.

La stanza dodici, la sua stanza, non era vuota come l’aveva sempre trovata.

Ci era seduto sulla poltrona nell’angolo, ma Zero non si era girato a guardarlo, si era tolto il cappotto rosso, che aveva appoggiato sulla sedia vicino alla finestra, e aveva disfatto i lacci che tenevano legata la sua Ectelium alla cintura. E poi s’era messo a guardare fuori dalla finestra, dando le spalle all’ospite nella sua stanza.

“Non posso farlo” rispose Ci e Zero sorrise amaro.

“Mi vuoi condannare di nuovo… Mi vuoi punire perché non condividi ciò che ho fatto, obbligandomi a vivere in un mondo che detesto”

“Puoi toglierti la vita tu stesso”

“Per rientrare all’Inferno dall’Antro dei Suicidi? Davvero mi odi così tanto?” Zero non cercò di nascondere l’amarezza nella sua voce “Quando morirò, ritornerò all’Inferno, ma vi ritornerò come l’anima appartenuta ad un mortale, non come Vendicatore”

“Non ti ci vorrà molto per ritrovare la tua forza, un Vendicatore rimane un Vendicatore, anche se è diventato mortale per un po’”

“Quanto ci metterò? Dimmelo tu Ci. E per quel lasso di tempo mi vuoi obbligare a stare con quelle anime insulse dei suicidi che, senza capire dove si trovano, gridano e corrono alla rinfusa?”

“Non posso ucciderti, Zero…”

Zero sospirò.

“Ho impiegato quattrocento anni per purificare la mia anima a sufficienza per mettere piede sulla terra. Per ritrovarti… Uccidimi, è l’unico favore che ti chiedo. Nessun altro può farlo”

Nessuno dei due parlò, per un po’.

“Hai liberato la mia anima dai tre sigilli” Ci riprese a parlare “Ma nessuno è ancora venuto per legarmi e ricacciarmi all’Inferno”

“Questo perché in questi quattrocento anni la tua anima s’è abituata alla terra e non è più così nera…” Zero sorrise “Che ironia!” disse stringendo i pugni “Non lo trovi anche tu ironico? Un demone, dal più profondo Inferno scompare senza lasciare traccia di sé. Lascia la sua casa senza dirmi niente e solo dopo ricerche affannose, scopro che ha fatto qualcosa di tanto grave da meritarsi una delle punizioni peggiori: avere l’anima sigillata ed essere obbligato a seguire i dettami di Dio. Obbligato a comportarsi come gli viene imposto e obbligato a vivere sulla terra, senza far male a nessuno. Questo stesso demone ora, libero dai sigilli che gli erano stati imposti, non sa neanche più quale sia casa sua e ritiene la Terra un luogo degno dove vivere…”

Ci si alzò in piedi.

“Cosa trovi di ironico in tutto questo” chiese poi spazientito “Che cosa…?
Ma Zero lo interruppe.

“Hai idea di cos’ho dovuto fare per sapere che cosa ti fosse accaduto? Hai idea di come e quanto ti ho cercato? Della mia preoccupazione e della mia paura?”

“Un Vendicatore che ha paura?” chiese Ci sarcastico.

“Risparmiami il tuo scherno, Ci, perché sai bene che vederti scomparire voleva poter dire solo due cose: o eri stato obbligato ad andartene, o te n’eri andato volontariamente. E stupidamente ho subito scartato quest’ultima ipotesi… Stupidamente pensavo che non m’avresti mai lasciato so…”

“Non parlare di ciò che non sai!”

“Di ciò che non so?” il lumicino si spense, sotto l’ira di Zero e il cielo divenne più cupo “Di ciò che non so, dici? Ti ho cercato, Ci. Ero disperato! Ti ho cercato, e tu non eri da nessuna parte”

Ci non rispose.

“Sono risalito fino al confine esterno dell’Inferno, ma nessuno sembrava averti visto, nessuno sapeva di te. Più probabilmente, stupidi come sono, quei demoni inferiori non sanno come si entra nelle grazie di uno più potente di loro”

“E come hai saputo dove fossi?”

“Me l’ha detto Esse”

“Esse?”

Zero annuì “M’ha detto che avevano posto tre sigilli sulla tua anima, perché eri stato giudicato colpevole per qualcosa che lui non sapeva”

“Solo Lucifero sapeva” Ci scosse la testa “Ma tu hai creduto ad Esse?” c’era un’inflessione, nella sua voce, che tradiva un certo stupore. Sebbene non nemici dichiarati, nessun demone avrebbe mai dato fiducia ad un altro.

“Non aveva motivo di mentirmi” spiegò Zero.

“Esse è un Sobillatore”

“E’ troppo intelligente per mentire senza motivo. E fra noi non ce n’era alcuno. L’informazione è stata debitamente pagata e, come vedi, non era errata”

“Esse ha visto il processo” Ci sorrise amaro “Se così possiamo chiamarlo… Dovevi vedere quanti mortali sono accorsi per accaparrarsi la cura dei tre sigilli che mi erano stato apposti sull’anima. Migliaia. E di loro ne sono stati scelti solo tre. I mortali che hai ucciso non ne avevano colpa, Zero. Se i sigilli non fossero stati dati a loro, qualcun altro li avrebbe presi”

“Non m’interessa!” Zero soffocò a malapena lo sdegno “Non m’interessa! Non doveva presentarsi nessuno. Nessuno può appropriarsi di ciò che è mio. Avrebbero dovuto temere le conseguenze delle loro azioni”

“Conservare un sigillo di un demone rende immortali Zero. Sai come gli umani sono ossessionati dalla morte, quanta paura ne hanno. La possibilità della vita eterna è un aspettativa troppo succulenta per lasciarsela sfuggire”

Zero sorrise “Da quand’è che sei diventato così ragionevole?” Poi gli andò vicino, puntandogli la mano contro il petto “Da quando sei così buono, Ci? Se questo mondo umano ti piace così tanto, rimanici. Vivi e muori come uno di quei dannati umani! Ammazzami. Solo questo” La sua voce si spezzò “Ammazzami e poi ti lascerò solo, come tu hai fatto con me, se è questo ciò che vuoi”

Zero si ritrovò scaraventato contro la parete, con Ci addosso, le braccia imprigionate nei pugni di Ci e gli occhi infuriati dell’altro davanti ai propri.

Non fece nulla per liberarsi da quella stretta piena di rancore, guardò semplicemente l’altro demone in attesa.

Ma Ci non fece niente, combattuto fra troppi desideri e volontà, rimase immobile.

La stanza fu invasa dal silenzio.

Poi Ci prese fra le dita una ciocca di capelli di Zero

“Rossi come il sangue… Ho sempre amato i tuoi capelli e quando ti ho visto entrare per la prima volta, ammantato di blu, ho pensato avessi già vinto, solo grazie a quel colore”

“E’ una guerra quella che stiamo combattendo, Ci?”

“E’ una guerra che io ho perso in partenza”
Zero aggrottò la fronte senza capire.

Ci sospirò “Vuoi sapere perché sono stato condannato?” dovette interrompersi, per riprendere fiato “Vuoi sapere che cos’ho fatto di così terribile da non meritare un processo? Sono stato condannato immediatamente, senza la possibilità di fare nulla. Devo avere davvero fatto qualcosa di terribile…”

Zero annuì.

“Ricordi di cosa parlavamo, il giorno prima che io scomparissi?” Zero annuì, si ricordava ogni parola, ogni gesto. Si ricordava tutto, perfettamente.

“Parlavamo del Ling, la pianta eterna. Delle sue radici, che affondano fin nel centro dell’Inferno, del suo fusto che percorre tutta la Terra, e dei suoi rami che attraversano tutto il cielo”

Ci annuì, allontanandosi da Zero e perdendosi un attimo con lo sguardo alla finestra.

“E ti ricordi che cosa mi hai detto?”

“Che mi sarebbe piaciuto rivederne i fior…” poi Zero s’interruppe di colpo, sgranando gli occhi.

Ci rise, sommessamente “Io sono un Notturno, Zero, e la mia irrazionalità mi guida. E’ un fardello, oltre che una forza e…” fece una pausa, quasi quelle parole gli provocassero dolore “Tu non facevi che aggravarla. Quando io ero con te…” di nuovo, s’interruppe, appoggiandosi una mano sulla fronte.

“Quando tu eri con me, cosa?”

“Io ho invaso il Paradiso” l’amarezza di quelle parole permeò l’aria. Zero s’irrigidì “Perché mi avevi detto che ti sarebbe piaciuto rivedere i fiori di Ling. Io, per te, ho invaso il Paradiso.” Ci si guardò le mani e poi i polsi, dove ancora potevano vedersi i segni delle catene.

“Volevo solo prendere un fiore dall’Eden. Non volevo certo iniziare una guerra… Nella totale irrazionalità di quel pensiero, non m’importava sapere che fosse proibito. Me ne sarei andato subito, non se ne sarebbero neanche accorti…” Ci rise “Avranno sentito la mia aura ben prima che entrassi l’Eden. Non l’avevo certo purificata, né avevo camminato lungo la Strada della Redenzione. Nulla. E mi hanno schiacciato. In Paradiso si è così deboli…”

Ci si girò verso Zero, guardandolo in quegli occhi rossi che non dicevano una parola. “Per rubarti un fiore sono stato condannato. E ora, dopo quattrocento anni, ho imparato a convivere con questo mondo. Ma all’inizio, il supplizio che ho dovuto subire non ha eguali. Mai ho pensato si sarebbe potuto soffrire tanto. Non solo le catene, il dolore, ma la volontà di Dio imposta su di me mi schiacciava ogni giorno. Mi accecava e mi uccideva, per poi farmi rinascere.” Fece una pausa, intrecciando le dita fra i capelli di Zero, ancora. “Dici che la mia anima non è più così nera…E’ stato un obbligo che m’è stato imposto.”

Zero fece per dire qualcosa, ma Ci gli mise un dito sulle labbra “Come potevo, quindi, farti sapere dov’ero? Io non volevo più vederti. Io volevo che tu scomparissi per sempre dalla mia mente. Per te ho fatto una cosa così stupida, così irragionevole. Ho passato gli scorsi quattrocento anni nel tentativo di dimenticarti. Per quattrocento anni ho sperato che scomparissi dalla mia testa e dalla mia pelle” disegnò con il dito la forma delle sue labbra “E ora, invece, ti presenti qui, a casa mia, più bello e atroce di quanto volessi ricordarti, e mi chiedi di ucciderti?”

Zero appoggiò la propria mano su quella di Ci.

“Devi ammazzarmi. Per favore”

“E ora so” continuò Ci come se non avesse sentito le parole di Zero “Ora so che per quattrocento anni hai camminato sulla Via della Redenzione per nessun altro motivo se non quello di ritrovarmi. Proprio tu, che eri felice di respirare nell’oscurità dell’Inferno, sei salito fin quassù…”

Lo baciò. Dovette baciarlo, come fosse l’ultimo bacio di una vita e il primo di quella nuova. E Zero lo lasciò fare, sopraffatto da quattrocento anni che per un istante sembrarono nulli.

Poi si scostò leggermente: “Io non rimarrò qui, Ci, io non posso perdonare”

L’altro lo guardò negli occhi, lasciando che l’oscurità ritornasse, lentamente, in lui.

“Fra un po’ non potrò neanch’io stare più qui”
”A meno che tu non lo voglia”

“Mi serberai rancore, Zero?”

“Non è nella mia natura perdonare. Sono un Vendicatore. Qualunque atto, qualunque cosa…”gli si fermarono le parole in gola “Perché sei stato così stupido da…?”

“Perché ero pazzo, ero irragionevole. Perché sono un Notturno. E portarti un Ling sembrava essere l’unica cosa davvero importante…”

“Mi avessi chiesto aiuto, avrei spezzato prima i sigilli di chi ti tenevano prigioniero”

Ci sorrise, i Notturni non chiedono mai aiuto.

“Avresti dovuto…”

“Non potevo fare niente… Questa è la mia punizione, Dio è troppo furbo” disse appoggiando le labbra sulla guancia di Zero. “Fare scomparire i quattrocento anni in un istante. Farmi dimenticare i miei propositi. Permettermi di rivederti e capire che non basteranno quattrocento anni, non basterà un’eternità…Farmi…”
Non c’erano più parole, Zero gliele spense una ad una. Questa volta il suo bacio fu un bacio lungo, di desiderio negato da troppo tempo.

Fu un bacio tremendamente irragionevole, per quanto fosse stato bramato.

E fu un bacio di perdono, se solo un Vendicatore potesse perdonare.

Ci sapeva che aveva già perso in partenza, già prima della punizione, già il giorno in cui aveva incontrato Zero. Perché non aveva avuto scelta e quattrocento anni sulla Terra, sotto la morsa della volontà di Dio non avevano cambiato niente.

Gli slacciò la giacca rossa, che, sotto quei sensi umani, era morbida, ma troppo ingombrante. Poi si fermò di colpo, di fronte ad un nastro carminio, intorno al collo di Zero

Lo prese fra le dita.

“Questo…”

“E’ il mio e il tuo sangue, sì…”

“Pensavo fosse andato perduto”

“Non avevamo detto che finché qualcuno l’avesse indossato, noi saremmo esistiti?”

Ci sorrise “Sei uno stupido sentimentale”

Zero gli passò le mani sul viso, su quegli occhi a mandorla troppo lontani per tutto quel tempo, fra i capelli neri che più volte aveva stretto.

“Ammazzami” gli bisbigliò prima di riportare la sua bocca su quello dell’altro e le sue mani sulla sua pelle “Amm…” Ci era ovunque, un bacio dopo l’altro. L’alito nelle orecchie, il respiro sul collo.

“Am…”

Amami.

 

 

Il vento è cambiato. Non solo il suo soffio, ma il suo odore. E’ acre, in questi giorni. E’ malinconico.

Pulisco i tavoli della locanda ad uno ad uno, accuratamente, è l’alba. Zero non s’è fatto più vedere, dopo quella sera e ormai – da quella sera – è passato molto tempo. Non so chi fosse, né dove sia andato, ma so che non tornerà mai più.

Il mio capo è appoggiato allo stipite della porta d’entrata, con le braccia conserte e guarda lontano. Io so sempre dov’è il mio capo, e anche adesso so che ormai, non è più qui. Lo è il suo corpo, forse, ma i suoi occhi e i suoi pensieri se ne sono andati, lontano. Segue qualcosa – forse…O forse qualcuno. Troppo lontano perché io possa seguirli.

Forse partirà – così ha detto – ma ormai non è più importante perché mi ha già lasciata. Nella brezza che ondeggia fra i suoi capelli cerco di trovare la ragione per cui lui, ormai, non c’è più. Ma non mi è possibile vederla e la nostalgia che provo per una persona che è di fronte a me è così intensa da farmi scendere qualche lacrima. Lui è già lontano.

Si solleva dalla porta e guarda all’interno della locanda, dove ci sono solo io che ormai ho finito di pulire i tavoli. Non mi dice niente, ma cammina verso le scale per andare in camera sua. Io lo guardo perché è l’ultima volta che lo vedo. Lo guardo bene.

Noto al suo polso un nastro. Il capo non ha mai portato bracciali. E’ rosso intenso, pare rosso sangue. Il capo nota che i miei occhi sono fissi su quel nastro, ma non dice nulla, né si ferma.

Il capo se n’è andato.

Sale scale silenziosamente e, nonostante le lacrime, cerco di imprimermi la sua immagine nella mente, per sempre.

Il capo, ormai, è davvero lontano.

 

Fine

  
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