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Autore: Yssel    26/08/2013    3 recensioni
Mi mancano quei tempi lontani, quando eravamo ragazzini, quando ancora non c’ era la droga e tu non stavi male. Mi mancano quei tempi fatti di corse sulle strade polverose, niente tappeti rossi o nomi sui giornali, niente persone con macchine fotografiche pronte a scattare il flash sui nostri occhi, niente fama, niente successo. Mi mancano quei tempi semplici, puri, quando le nostre menti non concepivano ancora il male di essere legate in un senso che neanche minimamente sfiorava l’ amicizia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brad Delson, Rob Bourdon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Polvere alla polvere.
 
 

Sai, Rob, un po’ rimpiango d’ essere cresciuto. Mi mancano quei tempi lontani, quando eravamo ragazzini, quando ancora non c’ era la droga e tu non stavi male. Mi mancano quei tempi fatti di corse sulle strade polverose, niente tappeti rossi o nomi sui giornali, niente persone con macchine fotografiche pronte a scattare il flash sui nostri occhi, niente fama, niente successo. Mi mancano quei tempi semplici, puri, quando le nostre menti non concepivano ancora il male di essere legate in un senso che neanche minimamente sfiorava l’ amicizia.
Rob, io e te non siamo mai stati amici, non trovi? Sin dalla prima volta che ci siamo visti, io e te ci siamo capiti. Non ci siamo mai detti che tutto quello che facevamo era sbagliato, sin dalla prima volta che ci siamo abbracciati, che ci siamo baciati.  E non ci siamo fermati, mai, neanche la prima volta che abbiamo fatto l’ amore.
Ricordo i tuoi capelli corti, i tuoi occhi costantemente attenti e critici nei confronti di chiunque, il tuo fare schietto e pacato con le persone, nulla a che fare con come ti comportavi con me. Eri sempre stato dolce, con me. Mi sorridevi, mi stringevi, mi sovrastavi in altezza, mi dicevi che andava tutto bene. Andava tutto bene.
Mi mancavano i tempi passati, sì, perché potevamo stare soli, perché avevamo attimi per noi. Adesso non possiamo fare quasi niente. Adesso ci possiamo guardare in sala prove, possiamo scambiarci un cinque sul palco, possiamo disdire qualche impegno per essere nello stesso letto almeno per una notte, ma mi manca poterci stare sempre, tra le tue braccia.
So, so bene, che il mio “sempre” è azzardato. So che in sé, “sempre”, è una parola pericolosa, ma io e te ci siamo fatti una promessa, anni fa. Faremo durare fino alla fine il nostro “sempre”.
 
E tu sai benissimo come fare: tirandomi per una mano, silenziosamente, mentre ti guardi attorno e ti assicuri che nessuno ci veda fuggire dal luogo in cui si tiene l’ intervista di oggi, dritto verso uno dei bagni del personale. Non ti importa se ci cacciano, so cosa vuoi fare.
Lo so perché lo voglio anche io e diavolo, non ci vediamo da troppo tempo, la tua voce al telefono non mi basta più perché non sei tu, non ti ho davanti e non posso toccare le tue braccia come vorrei.
Sei un gatto, Rob. Un gatto nero, di quelli con il passo tremendamente felpato, di quelli che si piegano e si nascondo per tenderti una trappola, di quelli randagi, di quelli che non puoi tenere chiusi in casa. Ed è così che deve essere, io non ti ho mai imprigionato dentro di me, mai lo farò. Tu sei il padrone di te stesso, io non ti ho più, ed è in questo modo che finirà. Verrai comunque a mangiare al mio tavolo, verrai a bere dalla ciotola che tengo in cucina.
So che ci sarò sempre per te.
Non mi guardi nemmeno, ti occupi di trovare un bagno libero e, delicato, mi porti dentro di esso, girando la chiave nella serratura e facendola scattare. Volgi gli occhi a me, e mi sembra di tornare a respirare dopo una lunga apnea passata a scuotermi sotto l’ acqua fredda.
Rimani immobile, la mia gola è secca. Adesso vorrei annegarci nell’ acqua, ma l’ unica cosa che riesco a fare è muovere un passo verso di te. Non riesco a capire cosa esattamente tu mi stia chiedendo, questi tuoi occhi scuri sono un eterno enigma per me.
Alla fine, non fai altro se non carezzarmi una guancia, passare un polpastrello sulla mia barba ruvida e piegarti a darmi un bacio.
Sento le tue labbra sulle mie che premono, non disperate e non affamate ma calme, come se avessero tutto il tempo del mondo ed entrambi sappiamo che non è così. Scivoli piano sulla mia bocca, mi fai adagiare al muro ed io mi chiudo nelle spalle, ti cerco con le mani e ti prendo, intreccio le dita fra i tuoi capelli e le affondo nel tuo collo. Ti piace quando ti carezzo i capelli, ma solo se lo faccio io. Me lo hai detto tu.
Non so cosa viaggia nella tua testa quando mi stringi la maglia sulle scapole, quando tenti di sfiorarmi la schiena ma, come ogni volta, le tue sono carezze possessive. Hai le mani pesanti, Rob, combatti contro questo fatto da anni. Ma non puoi farci niente, e a me piacciono così: la tua presenza su di me rimane per ore, anche se vorrei non sparisse mai.
Mi chiedi senza parole di potermi prendere la lingua ed io te lo lascio fare.
Non penso che, quando mi dici che sono troppo indulgente tu ti riferisca a questo, però sorrido nel pensarlo.
Affogo nel tuo profumo, non più nell’ acqua. Sei asfissiante, sei testardo, sei tante di quelle cose che potrei scrivere pagine su pagine di te, ma ciò che più adoro del tuo essere umano è che il tuo profumo mi inebria. E’ forte, è uomo, è vivo, è diverso da qualunque altro profumo.
Mi piace, mi piaci, ogni secondo di più.
Ora le tue mani si posano sui miei fianchi e cominci a sollevarmi la maglia. È estate, fa caldo, sento il sudore cominciare a gocciolare sulle mie tempie perché tra te che mi baci e mi tocchi e quello spazio claustrofobico in cui siamo fermi non riesco a trarre un respiro. Il mio cuore comincia a balzare nel petto, a ballare una di quelle danze da strada nella mia cassa toracica. Non è salutare, non lo è affatto; e talvolta fa male. Fa tanto male, Rob.
Scendi sul mio collo, saggi la mia pelle, non voglio che ci sentano e stringo i denti in modo che non si accorgano di noi. E’ una lotta perpetua con te, non ti arrendi mai. Mi mordi, tiri la mia pelle, mi fai sentire la tua bocca troppo calda attorno a me, attorno a qualunque lembo roseo l’ aria arrivi a toccarmi e lo fai tuo, rivendichi il tuo territorio. Sono tuo, Rob. Non c’ è bisogno di reclamarmi, sono tuo da tanti anni, ormai.
Trattengo il respiro, tu rimani dove sei. Qualcuno è entrato, qualcuno ci sta cercando. Affondi le dita sul mio bacino, mi tieni inerme di fronte a te e congiungi le nostre guance in una carezza leggera.
“Brad?”
Mi chiamano. È Joe.
“Brad, sei qui?”
Taccio, non mi muovo. Tu fai lo stesso, quasi non vivi. Ti spegni per quelli che sono una manciata di istanti e, dopo lo sbuffare di Joe, ti ritrai dal mio corpo abbandonando la tua presa ferrea sulla mia pelle. Mi guardi di nuovo. Mi sorridi come non fai mai davanti a tutti gli altri.
Sappiamo che non abbiamo tutto il tempo del mondo ma, per adesso, mi bastano questi minuti. Mi bastano questi pochi baci, mi bastano questi pochi tocchi. Me li faccio bastare, so che è diverso ma non mi permetto di aprire bocca.
Mi prendi una mano per l’ ultima volta, poi sgusci via e mi lasci lì, solo, in quel bagno dipinto di rosso. Rosso come il fuoco.
Ma noi due, Rob, non siamo fuoco. Noi due siamo cenere. Come tale, diventiamo polvere.
Sappiamo entrambi dove deve stare la polvere: dove l’ uomo non può trovarla.

 
  
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