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Autore: wanderjess    26/08/2013    3 recensioni
Ottantacinquesimo giorno dalla battaglia di Marineford.
Edward Newgate è morto e con lui le speranze e la felicità di migliaia di persone, primi fra tutti i componenti della ciurma, i suoi amati figli.
Marco la Fenice ha ormai preso una decisione: prenderà il posto di suo padre e farà risorgere la ciurma dell'uomo più forte del mondo, anche sacrificando se stesso.
Ma cosa accade quando il tormento diventa troppo grande da sopportare, quando la disperazione si fa strada tra le pieghe di un animo già distrutto, quando anche il più piccolo dosso si trasforma in un ostacolo insormontabile?
Il capitano Marco riuscirà a reggere il peso di tutte le responsabilità e delle speranze che grava sulle sue spalle? Riuscirà a ritrovare se stesso e ad avere il coraggio di affrontare un mondo che avanza senza aspettare i più deboli?
*****
[4/01/15: con mia grange vergogna, ho abbandonato la scrittura per mesi interi; chiedo scusa ai lettori ma annuncio che la storia verrà ripresa il più presto possibile]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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AGLI ORDINI, MIO CAPITANO!

Ottantacinquesimo giorno dalla grande battaglia di Marineford.
Erano davvero passati tre mesi? No, non poteva essere trascorso tutto quel tempo.
Quando rimanevo in silenzio e mi concentravo riuscivo ancora a sentirli. Riuscivo ad udire le urla, i lamenti di morte, il cozzare delle spade in battaglia, i rombi dei cannoni e il calpestio degli stivali dei marines sul duro cemento della baia.
Non parevano essere così lontani, quel giorno infausto avrebbe potuto essere ieri.
Eppure qualcosa mi diceva di appartenere ormai ad un altro tempo, così vicino e così distante, così diverso da quello in cui si consumò la strage. Perché quella che era stata progettata come la comune esecuzione di un pirata, si era trasformata in una delle pagine più tremende della storia umana. Nessuno avrebbe mai dimenticato l'ansia, il tremore per ciò che sarebbe successo, la paura per le conseguenze a cui avrebbe portato l'avventatezza del Governo.
Quella stessa mattina, le poche ore che precedevano l'inizio del disastro, chiunque avrebbe potuto percepire qualcosa nell'aria: tutto era teso, in trepida attesa di qualcosa d'importante, qualcosa che, si diceva, avrebbe cambiato le sorti del mondo intero. Il tempo stesso pareva essersi fermato, o aver rallentato la sua corsa per godere degli ultimi istanti di pace prima del caos, per assistere alla tragedia di quegli uomini pronti a morire sul campo di battaglia.
I nostri pirati erano forti, determinati a combattere fino alla fine per l'unità della nostra famiglia, per raggiungere qualcosa che ci era stato portato via con la forza.
Ace. Portuguese D. Ace.
Non solo il comandante della Seconda Flotta della ciurma, non solo uno dei nostri combattenti più forti, non solo una pedina del gioco verso il One Piece, ma un amico, l'amico più leale, più coraggioso, più allegro e, sì, anche più stupido che potessimo mai trovare.
Perché aveva sbagliato. Aveva sbagliato per amore di tutti noi, per l'affetto che provava verso il Babbo e la rabbia nei confronti di Marshall D. Teach. E l'aveva inseguito. Da solo, per dimostrare al mondo che lui valeva, che poteva vendicare l'amico ucciso e fermare almeno un poco il dolore al cuore per non essere stato in grado di impedirlo, per non aver potuto fare niente contro un nemico grande come la morte, o meglio un uomo che ha portato la morte in mezzo a noi. Una morte tanto inaspettata quanto crudele, lacerante.
Satch. L'amico di tutti, al pari di Ace. L'uomo che nella ciurma era in grado di portare un sorriso a chiunque, la persona più buona che conoscessi ci era stata portata via in una notte di tempesta, colpa di un destino che si era divertito a giocare con i desideri e le avidità dell'uomo.
Ci provammo. Tentammo di salvare ciò che ancora ci rimaneva dopo quella tragedia, non sapendo che il vero disastro doveva ancora arrivare. Se solo avessimo potuto vedere cosa sarebbe successo, a cosa avrebbero portato le azioni di Ace, le nostre decisioni prese per avere giustizia, allora avremmo risparmiato al mondo quel giorno tremendo, e ci saremmo risparmiati tutto quel dolore, la perdita di Satch, di Ace, del Babbo e di centinaia dei nostri uomini, così coraggiosi, così leali da non pensarci due volte prima di correre in soccorso di un nostro fratello.
Se n'erano andati, ci avevano abbandonati senza che noi potessimo fare nulla.
E la guerra non è una cosa da prendere alla leggera. Non si può vedere i propri compagni ed i propri amici morire senza sentire un dolore sordo al centro del petto, un male che sembra poter uccidere all'istante, letale. Non si può combattere, non si può uccidere l'uomo che sta di fronte guardandolo dritto negli occhi, perché allora egli non sarà più un nemico da eliminare, ma solo un uomo come gli altri, con una vita, degli affetti, con la stessa, comune voglia di vivere e togliersi dalle mani quelle armi dispensatrici di morte per guardare il cielo ed essere felice d'esistere.
Perché nessuno al mondo gioisce veramente nello spezzare le vite di altri uomini, così come nessuno gioì quel cupo giorno in cui migliaia di soldati e pirati cessarono per sempre di esistere, quel giorno in cui nemmeno il Sole osò mostrarsi ed elevarsi al di sopra dei nuvoloni grigi che ricoprivano interamente il cielo.
E mentre i miei compagni morivano sotto gli attacchi dei Marines e fiotti di sangue si spargevano sul suolo di pietra, una cicatrice si stava formando piano sul mio cuore, e faceva male. Un male che non avrei mai immaginato, un male che non provai nemmeno gli anni precedenti alla mia entrata nella ciurma, quando ero solo, quando pensavo che niente e nessuno avrebbe mai potuto donarmi la felicità. Ma l'avevo trovata, l'avevo trovata nel Babbo, nelle risate dei miei fratelli, nell'amicizia con Satch, Ace, Vista e tutti gli altri.
E in quel momento la guerra me la stava rubando di nuovo. Quel senso di oppressione un tempo così conosciuto stava tornando, impossibile da bloccare, fuggente come un fumo nero e denso che s'infiltra dentro il corpo, si solidifica, prende possesso del petto ed impedisce di respirare chiudendosi in una morsa d'acciaio. E la cicatrice andava formandosi, lo stiletto incideva il cuore creando un taglio profondo a mano a mano che i miei occhi vedevano i miei amici essere colpiti, urlare di dolore, cadere a terra e chiudere per sempre gli occhi.
Chi mai può sopportare un peso così grande e portarlo dentro per tutto questo tempo?
Chi è in grado di resistere, superare la vista delle peggiori brutture del mondo e continuare a vivere, a combattere?
Non ebbi nemmeno il tempo per piangere la loro scomparsa. La guerra era in atto e il comandante della Prima Flotta doveva lottare, doveva battersi e dimostrarsi più forte dei nemici, più forte del destino.
La morte del Babbo, quello fu il vero colpo al cuore, il punto più doloroso in cui lo stiletto
 colpì. Ace era mio amico da tanto tempo ed io tenevo a lui più che ad un mio fratello di sangue, ma Barbabianca mi aveva accolto nella sua famiglia moltissimi anni prima, nel momento più buio della mia vita.
Mi aveva ridato la speranza, mi aveva offerto un posto dove stare, avevo acquisito dei fratelli e per tutto quel tempo ho sentito di aver trovato il mio posto nel mondo. Vederlo morire sotto i colpi dei marines e di Teach è stata l'esperienza più tremenda di tutte. Nessuno di noi riuscì a trattenere le lacrime quando ci parlò, non c'era membro della ciurma che voleva lasciarlo solo a combattere e morire.
Aveva creato una famiglia, una vera, grande famiglia ed ora, soli senza più un padre, noi tutti ci sentivamo perduti. Io più degli altri, perché oltre all'immenso dolore che la sua perdita aveva provocato, mi ero trovato a dover affrontare le responsabilità che l'essere il nuovo capitano comporta. Ho visto i miei fratelli guardarmi con gli occhi di chi non sa più dove andare e cerca qualcuno che lo guidi. Ma nemmeno io, il membro più riflessivo e calmo del gruppo, avevo più una chiara idea di cosa fare.
Con Babbo a fianco tutto sembrava più semplice, lui aveva sempre una meta, una qualche destinazione da raggiungere. Era una di quelle rare persone capaci di rassicurare solo con lo sguardo, quello amorevole di un padre che si preoccupa per i propri figli.
Oh, come sarei riuscito ad eguagliarlo?
Non sarei mai stato alla sua altezza, non avevo le capacità per capitanare una ciurma di migliaia di pirati, lui era unico.
Avrei dovuto sciogliere la ciurma? Non potevo nemmeno pensarci.
Scegliere un altro capitano? Ma chi tra di noi avrebbe avuto la forza d'animo per prendere il mio posto in quel momento?
Sarei stato solamente un vigliacco. Babbo aveva voluto che ci fossi io al comando, avrei deluso le sue aspettative e costretto un altro membro ad addossarsi i carichi, le responsabilità, il pesante compito di avere in mano la sorte di tutti i nostri fratelli. No, era meglio che fossi io a soffrire, dovevo dimostrarmi forte per l'affetto che provavo verso loro e verso nostro padre.
Mentre il Sole dell'ottantacinquesimo giorno dalla battaglia di Marineford sorgeva, io sedevo sulla balaustra della Moby Dick e guardavo l'alba rischiarare l'enorme postazione dove Babbo era solito sedere per guardare il mare e bere sake.
Aspettavo di vederlo arrivare per contemplare il nuovo giorno, circondato dall'allegria dei nostri uomini e dall'insistenza delle infermiere preoccupate, aspettavo di vedermi al suo fianco con addosso la solita aria calma ed annoiata, guardandomi attorno alla ricerca del sorriso scanzonato di Ace che parlottava con gli altri comandanti. Un nodo si formò nella mia gola e cercai di trattenere le lacrime che ogni giorno finivano per uscire dai miei occhi, quando mi resi conto che ero solo. Satch, Ace, il Babbo se n'erano tutti andati.
Nemmeno un'ombra si aggirava per il ponte a quell'ora, mentre solo tre o quattro mesi prima esso sarebbe stato colmo di persone in continuo movimento ed un allegro vociare avrebbe dato inizio ad una nuova giornata di sole. Ma in quel momento nemmeno i gabbiani osavano avvicinarsi alla nave stridendo, quasi non volessero rompere il silenzio di lutto ed infelicità del suo equipaggio.
Ormai ogni membro della ciurma preferiva dormire, almeno per quanto ci riuscisse, fino a quando il Sole si faceva abbastanza alto nel cielo, piuttosto che uscire dalla propria stanza ed affrontare di nuovo la consapevolezza della morte del Babbo, le quotidiane notizie sul giornale da parte del Governo. I titoli continuavano a ribadire la vittoria della Marina militare, la devastante sconfitta e la scomparsa della nostra ciurma. Per tutti quei mesi le nostre navi si erano tenute a dovuta distanza dalle grandi isole e dalle rotte commerciali e sotto mio ordine ci limitammo alle obbligatorie soste per i rifornimenti di cibo, acqua e molti liquori.
Eravamo tutti provati dalla dura battaglia e distrutti per la perdita dei nostri compagni e di nostro padre.
Chiunque mi guardasse lo faceva con speranza, quasi fosse sicuro che io avrei trovato la strada, la soluzione che mettesse fine a tutto quel dolore. Sembravano volermi dire "Ti prego, fai che finisca."
Ma come potevo io avere in mano la chiave per guarirli, se in prima persona non sapevo come uscire da quel lungo tunnel nero che mi circondava da tre mesi?
No, non ci sarei mai riuscito, ecco tutto. Babbo aveva sbagliato, non ero in grado di fare il capitano, non ne avevo le capacità ed anche io mi ero illuso pensando di poterlo fare. Dovevo solo reggere ancora, dovevo solo sopportare tutto quel dolore, anche se era troppo. Tutto era diventato troppo grande, troppo difficile per me.
E mentre la familiare morsa d'acciaio riprendeva a stringermi il petto, una lacrima scese finalmente dal mio viso.




Angolo dell'autrice:

Cheers everyone! :)
Tra due giorni festeggio il mio primo anno di iscrizione su EFP, ed ho pensato di cominciare a scrivere la nuova fanfiction su One Piece che avevo in progetto da tanto.. Che dire, è uscito questo qui. Mi piace molto scrivere questi generi; seguo One Piece da una vita e penso che la battaglia di Marineford abbia sconvolto e rattristito me quanto voi, così ho deciso di parlare di Marco la Fenice, che adoro come personaggio. Spero di aver delineato bene la figura, perché è così che mi immagino approssimativamente i suoi pensieri ed i suoi tormenti.
Avviso che per troppi impegni, mi sono fermata agli episodi immediatamente prossimi a Marineford, e per non sbagliare qualcosa nella storia ho dovuto documentarmi sui successivi avvenimenti della Ciurma di Barbabianca. Su Internet le notizie non erano chiare, ma se Marco alla fine non fosse diventato capitano ditemelo pure :)
Questa storia era stata pensata inizialmente come una One Shot, ma alla fine ho deciso di trasformarla in una Long che sarà comunque corta, potrà avere due capitoli come cinque, ma non penso andrà oltre.
Ringrazio tutti voi che avete letto questo fino alla fine.. Detto questo, incrocio le dita e spero in un vostro parere positivo ;)
Ginko

  
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