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Autore: Notthyrr    26/08/2013    0 recensioni
[Post-Avengers]
Dopo il fallimento a Manhattan, Loki viene riportato ad Asgard e imprigionato. La possibilità di fuga sembra una luce di speranza che può apprestarsi a raggiungere, ma proprio quando tutto sembra andare male si può comprendere quanto in realtà questo male sia niente...
Il Bifrost sbaglia destinazione, Loki e Thor ancora divisi, su mondi diversi e senza un ricordo.
Sembra siano destinati a non ricongiungersi mai...
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cuore in Frantumi

 

Dietro la vasta vetrata che decorava la parte superiore della parete alla sua destra, il sole era già scomparso oltre l’orizzonte, ornato dai pochi alberi che costellavano la pianura chiamata Idavöll.
Il tempo non gli aveva dato la possibilità di spiegare a Thor l’intricata situazione; con Byleistr, invece, era stato lui stesso a non volerlo fare.
Il timore che il gigante finisse nei guai per causa sua se lui avesse tardato e questi fosse andato a cercarlo aveva finito per essere sostituito da qualcosa di più concreto; e rischioso. Bastava solo che Thor lo vedesse prima che lui si ricongiungesse con l’uno o con l’altro e avrebbe pagato caro quel suo accesso di altruismo.
Riflettendoci, disteso sul suo letto a Jötunheim, era sembrato tutto così semplice: fingere di fare ritorno per impadronirsi dello scrigno, fare una piccola deviazione a Midgard per riportare indietro suo fratello e soddisfare così i suoi due più intimi desideri; rimediare al danno arrecato a suo fratello, per colpa del quale avvertiva ancora un bruciante senso di colpa a ostruirgli la gola, e allontanare dalla mente dell’altro fratello – di quello vero – l’idea di conquistare Asgard. Sarebbe bastato solamente riaccompagnare Thor ad Asgard, fingere di non potere niente contro di lui – per quanto doloroso e umiliante fosse – e convincere i giganti a tenersi alla larga dalla Casa di Odino. Avrebbe salvato Jötunheim; avrebbe salvato Asgard; avrebbe salvato persino entrambi i suoi fratelli. Con un po’ di fortuna, avrebbe convinto suo padre a lasciarlo tornare.
Invece, il tempo che a lungo aveva ingannato, come tutti gli altri Asgardiani, sbeffeggiandolo con un aspetto sempre fresco e impeccabile nonostante il passare dei secoli, era riuscito a trarre vendetta su di lui, a scorrere troppo in fretta – per la prima volta se n’era accorto –, mettendogli addosso un’agitazione così forte da farlo tremare, stravolgendo i suoi piani che, come sempre così ben calcolati, finivano distrutti dalla mano di qualcuno più in alto di lui. Meglio quella del tempo… che quella di mio fratello…
Si rese conto di star correndo e rallentò un po’ il passo, cercando di calmare i pensieri che gli pulsavano nelle tempie: bastava solo trovare Thor e spiegargli tutto. No… Non avrebbe capito… Allora l’ideale era che Byleistr, accorgendosi che si era fatto tardi senza che lui tornasse, fosse andato a cercarlo come promesso. Incontrato lui, lo avrebbe allertato con vaghi riferimenti al dio del tuono, convincendolo a riprendere la strada di casa. Ma se non fossi io il primo a trovarlo?
Proseguì a lunghi passi per i corridoi, tornati a essere così familiari: se avesse girato a destra, sarebbe potuto scendere direttamente nel vestibolo, impossessandosi dello scrigno.
Non c’è tempo.
Svoltò a sinistra, i piedi che andavano da sé, quasi sapessero dove dovessero portarlo. Sulle pareti, la sua ombra era scomparsa; dal claristorio di finestre colorate sopra la sua testa non s’intravedeva più nessun raggio di luce, se non il puntino luminoso di una stella solitaria.
Come aveva fatto il giorno della sua evasione, risalì l’ampia scala che portava al pianterreno e seguì il tappeto rosso che si snodava sul pavimento, il coltello bronzeo sempre stretto nella mano nascosta dal mantello nel timore che qualche guardia l’assalisse.
Presto, si stagliò davanti a lui l’alto portone d’ingresso, oltre il quale avrebbe rivisto finalmente il cielo – quel bel cielo asgardiano che, l’ultima volta, era stato squarciato dal raggio bianco del Bifröst.
Non c’erano guerrieri di guardia e Loki tirò un sospiro: se tutto era tranquillo, significava che nessun gigante, tantomeno Byleistr stesso, si era infiltrato nel regno o, perlomeno, non l’avevano ancora individuato. Inoltre, se il sovrano fosse andato alla ricerca del moro dio dell’inganno, questi se lo sarebbe sicuramente incrociato durante la corsa verso l’esterno.
Nascose il pugnale, convinto di dover affrontare soltanto il guardiano del Bifröst e spinse con la spalla destra il pesante portone di legno scuro tempestato di borchie di metallo dorato.
La luce del cielo asgardiano di notte non era paragonabile a quello di Midgard, dove stelle splendenti di un unico colore circondavano il pallido candore della Luna che, per alcuni giorni ogni mese, scompariva, abbandonando il regno per riprendere lentamente a crescere le notti successive.
Ad Asgard, gli astri illuminavano i prati quasi a giorno, tanto che, a volte, era dura decidere dall’interno del palazzo se fuori fosse già calata la notte o meno.
Loki lanciò un’occhiata al lungo ponte dell’arcobaleno: sapeva che Heimdall lo avrebbe visto arrivare e, se anche non fosse stato così, il suo fine udito lo avrebbe avvertito in anticipo. Di fronte alla sala sferica, però, non c’era nessuno e solo scorrendo lo sguardo lungo il cristallo luminescente che segnava la via il dio poté notare che, verso la metà del ponte, due alte figure si fronteggiavano. No: non è corretto…
Agghiacciato dal quella scena, lasciò cadere a terra il pugnale e aprì la bocca per gridare, senza capire se quell’urlo fosse davvero riuscito a superare le sue labbra.
~¤~
Quando la luce verde che Loki aveva evocato per trasportarlo ad Asgard si spense, a Thor occorsero diversi secondi per riprendersi. Aveva lo stomaco sottosopra e la testa gli girava tanto da imporgli di poggiarsi per qualche istante contro la parete per non incespicare sui suoi passi e rovinare al suolo.
Come l’ambiente che lo circondava si delineò smettendo di vorticare in un ciclone di colori, il dio del tuono poté constatare con piacere che – per quanto riguardava quello, per lo meno – Loki non aveva mentito: lo aveva riportato veramente a casa.
Suo fratello era sempre stato ambiguo e raramente si capiva che cosa gli passasse per la testa: a giorni pareva voler far cadere Asgard e con lui tutti i nove mondi; agiva come un folle, proprio come il mese prima a Midgard. Poi se ne usciva con comportamenti simili a quello: cercava di fuggire, ma tutto andava storto e lui rimediava; lo salvava; lo riportava a casa. Si ripromise che, sistemata la questione di cui lo aveva allertato, nulla gli avrebbe impedito di ringraziarlo, a prescindere da qualsiasi divergenza fosse nata tra loro in quei lunghi secoli di odio e affetto. E chissà? Magari Padre Tutto avrebbe chiuso un occhio – suonava alquanto ironico – e avrebbe allentato la morsa del nastro che aveva stretto alla gola del figliastro, col quale lo teneva legato a sé. Certo, le cose non sarebbero tornare come in origine… Quegli sguardi di comprensione, quel… legame fraterno… Ma c’era un’eternità davanti per rimediarvi.
Scuotendosi da quei pensieri, Thor s’accorse di essere giunto in prossimità dell’alto portale d’ingresso e la mano gli corse alla cintura, dove si aspettava di trovare appeso Mjöllnir. Quell’istinto fu deluso dal vuoto che vi trovò quando le dita si accorsero di star stringendo solo aria. La memoria che cercava di frugare in quel piccolo cassettino che aveva celato fino a poco prima i dettagli dello scontro con suo fratello nel Bifröst, rammentò di averlo perduto quando il nucleo centrale del ponte dimensionale era esploso e un groppo gli strinse la gola tanto forte da farlo quasi soffocare.
Pregando in cuor suo che qualcuno – chiunque – lo fosse riuscito a trovare e che Odino lo avesse preso in custodia fino alla sua ricomparsa, ritornò sui suoi passi, ricordando di aver visto appesi a una parete uno scudo e due pugnali, semplici oggetti ornamentali che, però, se nelle mani giuste, non avrebbero mancato di adempiere alla propria funzione. Sfoderò dalla guaina dorata il coltello sulla destra e, tenendoselo premuto al petto, andò a socchiudere il portone d’ingresso, sbirciando fugacemente all’esterno.
Nonostante la luce riflessa dal ponte dell’arcobaleno inizialmente l’avesse accecato, il biondo principe non poté evitare di constatare che una figura dal curioso colorito bluastro si stava spostando a passi rapidi sul ponte, tra le mani, un oggetto luminescente dai contorni d’argento intarsiato.
Per un attimo – uno solo – il dio del tuono ebbe motivo di credere che si trattasse di suo fratello; suo fratello che, come sempre, lo aveva ingannato e stava tentando di fuggire con lo Scrigno degli Antichi Inverni. Poi se ne rese conto: era troppo alto.
Accecato da una furia inarrestabile, non fu più nemmeno in grado di pensare e si lanciò contro il gigante di ghiaccio, tendendo il pugnale verso di lui.
In quel solo, lungo istante, furono due le cose che accaddero, benché il tempo materiale per afferrarle non fosse sufficiente. Il gigante si volse, accorgendosi del suo aggressore e lasciò cadere lo scrigno, che andò in frantumi sul cristallo iridescente del Bifröst, levando verso l’alto gelidi sbuffi di condensa che appannarono per un istante la vista del biondo. Quest’ultimo non poté nemmeno permettersi di riflettere sull’accaduto, quando un grido, forte, secco, acuto, proruppe nell’aria, spazzando via in una frazione di secondo la nebbia che gli offuscava gli occhi e la mente. Non c’erano dubbi: conosceva troppo bene quella voce.
~¤~
L’urlo del fratello lo attraversò come un fulmine, eppure non riuscì ad arrestare la sua corsa, il suo impeto, il suo braccio che disegnava un ampio arco nell’aria e si abbatteva sul petto del gigante di ghiaccio, il pugnale dorato che lacerava senza fatica la pelle e penetrava a fondo la carne cerulea dello Jotun, i cui occhi rossi si dilatarono, la bocca che gli si dischiudeva appena in un gemito incapace di uscire.
Per alcuni lunghi istanti regnò il silenzio, poi l’urlo acuto e strozzato che prorompeva dalla gola riarsa di Loki spezzò quell’incantesimo.
Come a rallentatore, la mente che non riusciva più a seguire cosa stesse accadendo attorno a lui, Thor vide il gigante che aveva davanti scivolare di lato e cadere sulla schiena, mentre suo fratello si precipitava verso di lui, lo spintonava da parte e si gettava sul suo corpo, una ferrea stretta che gli prendeva il cuore ogni volta che guardava il suo volto, ornato da lunghi, inequivocabili capelli neri.
Disperato, incapace di fermare il tremore delle proprie mani, Loki tentò di slacciargli la veste per controllare la ferita, ma i suoi occhi non vedevano, carichi di una tale disperazione che gli anneriva la vista.
«Thor!» chiamò, la voce colma di una rabbia che, in breve, sfociò nel pianto. «Sei un mostro.»
 
 

In the Valley of Deception
There’s a River of Tears

 



 

Note: Ritardo. Abbastanza ^^" Chiedo umilmente scusa e confesso di aver "un pochetto" trascurato questo account...  Comunque, eccoci all'ultimo capitolo, sudato e risudato... Immagino faccia schifo, visto che di solito si contempla qualcosa di simile a un lieto fine, ma una certa depressa disadattata ama le tragedie shakesperiane... *fischietta. La canzone è ancora una volta Lost and Lonely, firmata The Rasmus. (Sei fissata! N.D. Tutti)
Spero abbiate apprezzato comunque,
grazie della lettura,

~Notthyrr


 

 

  
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