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Autore: Angeline Farewell    26/08/2013    7 recensioni
Cross-over Thunderfrost-Hiddlesworth
[...]Con Chris dimenticava persino quella parte fosse mai esistita, non aveva mai sentito come un’urgenza imprescindibile quella di mostrare il suo profilo migliore, mai.
Poi si erano baciati sotto un cielo troppo grande ed un sole troppo caldo, e non una volta aveva pensato fosse stato inopportuno, non una aveva pensato avessero qualche rotella fuori posto entrambi, o lui soltanto, perché baciare Chris era stato come ritrovare la coperta azzurra che non sapeva di aver perduto.[...]
[Questa storia va letta come naturale seguito di Såsom i en spegel, rimando quindi alla lettura della storia per la comprensione degli eventi.
La storia tenta di seguire il filo degli avvenimenti realmente accaduti fino al 17 Aprile 2011, data della Premiere australiana di Thor, da quel momento in poi, è tutto da considerare una mia totale invenzione. Nel primo capitolo, ulteriori ragguagli e warning.
]
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Samskeyti '
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Fandoms: Thor (Movies) RPF, Thor - All Media Types

Relationships: Chris Hemsworth/Tom Hiddleston, Loki/Thor (Marvel), Odino/Frigga

Characters: Chris Hemsworth, Thor, Loki, Tom Hiddleston, Óðinn | Odin, Frigg | Frigga

Additional Tags: Angst, Alternate Universe - Canon Divergence, what if, Sexual Content, Mythology - Freeform, RPF, Incest.

Questa storia è nata come naturale seguito di Såsom i en spegel, consiglio la lettura della storia per la piena comprensione degli eventi. Come si può notare è anche una Thorki, anche se il pairing principale della narrazione sarà Chris Hemsworth/Tom Hiddleston (credo), tutte le scene di sesso descritte (anche se è una parola grossa XD) vedranno SOLO loro due come protagonisti.

 

 

 

Ett

 

Atto I, Scena I.

Susannah(2) non era con lui alla premiere, così come non c’era Elsa. Non sapeva perché Chris non le avesse chiesto di accompagnarlo, ma sapeva benissimo perché lui avesse evitato di invitare la sua, di fidanzata. E poi, non era pronto a presentarla ai suoi genitori, non a suo padre, almeno. Susannah era carina e dolce, ma era nata nella vecchia capitale e si era diplomata in un istituto minore, persino per diventare attrice: suo padre l’avrebbe considerata una perdente due volte e sapeva che avrebbe dovuto odiarlo anche solo perché lo costringeva a simili, bassissime, riflessioni. Probabilmente la loro storia non sarebbe durata, chissà, forse era già finita e non avevano ancora avuto il coraggio di dirselo, ma non voleva correre il rischio si sentisse umiliata da un vecchio scozzese invecchiato troppo presto.

Aveva portato con sé la sua famiglia, così come aveva fatto Chris, che li portava con sé ovunque quando poteva. Lui no, lui non solo non poteva, in realtà, non voleva. Amava i suoi genitori, amava sua madre e le sue sorelle e adorava suo padre, ma il suo era un affetto tanto forte quanto monco, perché sembrava il destinatario non fosse interessato ad accoglierlo: Norman James Hiddleston non regalava tenerezza come non regalava attenzioni o complimenti, persino se meritati.

Non ai suoi figli, almeno, e forse era quello il motivo per cui Sarah aveva scelto di fare la giornalista raccontando le vecchie vestigia di un impero ed era scappata in India, lontana persino da un fuso orario condiviso.

Tom aveva portato alla premiere i suoi genitori, trascinandoli dall’altra parte del globo, in una terra troppo calda per loro abituati alle estati sulle montagne scozzesi, aveva prenotato per loro camere lussuosissime ed una piccola vacanza fuori stagione. Erano elegantissimi e rigidi come tutti i vecchi inglesi davanti ai flash indiscreti di sconosciuti dai quali si erano tenuti pudicamente lontani. Sua madre era naturalmente ritrosa, ma tentava di offrirsi ai suoi abbracci e ai suoi sorrisi nonostante l’imbarazzo. Suo padre guardava perplesso gli Hemsworth che sorridevano e giocavano e si abbracciavano dando in pasto al mondo la loro felicità, la loro bellezza e la loro giovinezza indecente, perché era evidente avessero avuto figli persino prima di avere un pezzo di carta alla parete. Per un uomo che aveva già un principio di stempiatura quando sua moglie era rimasta incinta la prima volta, la loro era stata una scelta da sconsiderati.

Suo padre aveva la pessima abitudine di giudicare la felicità degli altri perché non era stato capace di costruirsene una propria che durasse almeno più di un ciclo scolastico completo di uno dei suoi figli. Tom aveva il terrore di diventare come lui. Purtroppo, però, temeva soprattutto di non riuscire ad avere la sua approvazione.

Per quel motivo aveva chiesto ad entrambi di accompagnarlo, ma aveva lavorato di filo per convincere soprattutto suo padre, giocando con la sua ventennale passione per il teatro, i vecchi film e Anthony Hopkins.
Perché era riuscito ad ottenere un ruolo da co-protagonista in un film con Hopkins, con un budget hollywoodiano ed un regista pluripremiato, ed era un qualcosa di cui essere orgogliosi, giusto? Tom sperava di sì, e Tony faceva del suo meglio, ma lo scozzese troppo alto e troppo duro di cui stava blandendo il figlio sembrava non cogliere l’orgoglio che persino un padre virtuale provava per quel ragazzo smagrito che se ne stava un passo dietro di lui, in attesa a mendicare un briciolo di considerazione e di affetto.

Tom ci aveva sperato fino alla fine e gli si era spezzato il cuore quando suo padre aveva cambiato discorso riportandolo su un vecchio film di cui non era riuscito a cogliere il titolo, reso sordo dalla delusione. E Tony gli aveva dato corda, troppo stupito per registrare l’amarezza del suo giovane collega.

Alla fine del film sua madre aveva pianto, suo padre gli aveva stretto la mano - l’unico segnale avesse gradito la sua interpretazione - ed aveva chiesto di tornare in albergo. Era dai tempi dell’università che non prendeva più sul serio i suoi progetti artistici, e quel paradosso non smetteva mai di lasciarlo confuso e amareggiato, perché l’unica circostanza in cui suo padre era stato disposto ad ammettere il suo talento era stata quando aveva creduto non avrebbe comunque fatto nulla per coltivarlo. Invece l’aveva fatto e il disappunto aveva ucciso qualunque forma di stima e considerazione suo padre avesse nutrito per lui e per la carriera che pensava avrebbe inseguito.

Quindi aveva finito per bere troppo alla festa che era seguita alla Prima, abbastanza da far allontanare persino Kat(3), che pure gli era stata incollata durante il red carpet e per motivi che esulavano dal marketing, ma lei non amava l’alcol e preferiva non doverne sopportare l’odore. Abbastanza da far sgattaiolare Chris al suo fianco senza che se ne accorgesse. Gli aveva sfiorato il braccio che reggeva il calice e l’aveva invitato a seguirlo verso una balconata deserta, l’aria fresca della notte di Sydney lo aveva riscosso ed era stato con sollievo che aveva capito di non essere poi così ubriaco. Solo stordito, e probabilmente non a causa dell’alcol.

Erano rimasti zitti appoggiati al parapetto mentre dall’interno provenivano risa e musica e il chiacchiericcio continuo di chi parla per non dire comunque nulla. C’era gente famosa, c’erano registi famosi, attori da milioni di dollari a cachet, produttori che maneggiavano quegli stipendi come spiccioli. C’erano stelline in cerca di gloria riflessa e modelle talmente belle da dare l’impressione di essere ancora incastrate nella carta patinata di Vogue, e sembrava tutti sapessero cosa fare e dire.

“Solo tu puoi capire come mi sento in questo momento.”

Chris aveva spezzato il silenzio costringendolo a notare quanto fossero troppi vicini, ma non si era comunque allontanato. Gli aveva sorriso e poi riso piano con lui, perché era vero, in quella sala nessuno avrebbe potuto capire il loro stato d’animo e l’intontimento che ne derivava. Erano gli unici che non avrebbero saputo cosa dire e come muoversi se non avessero avuto degli angeli custodi debitamente pagati per suggerglielo. Non erano i soli debuttanti sotto i trent’anni, quella sera, eppure si sentivano comunque soli e complici: forse perché venivano da luci diverse da quelle di Hollywood e, pur avendole sognate, prima di quella sera non avevano fatto altro che immaginarne pallide eco. La realtà non era luminosa, era abbagliante, e troppa luce rende ciechi come la troppa oscurità.

Si chiese per la prima volta se fosse proprio vero fossero così uguali. Perché la famiglia di Chris era tornata in albergo solo un’ora prima, insieme, e dopo averlo festeggiato. Sua madre invece si era fermata fino all’aperitivo, ma non aveva avuto il coraggio di trattenerla ancora, nonostante, se l’avesse chiesto, sarebbe rimasta tutta la sera. Aveva pregato il suo pubblicista di riaccompagnarla in albergo, non voleva tornasse in taxi da sola a quell’ora della notte. Suo padre probabilmente era rimasto oltre i titoli di coda solo per poter stringere di nuovo la mano a Tony.

Buttò giù il resto dello champagne per stornare il sapore amaro della bile in gola, perché quelle riflessioni Chris non le meritava di certo, così come non meritava quella parte di sé che aveva speso anni a nascondere persino a se stesso, nei giardini di Eton e sul palco del Farrer: sorridi e sii gentile, sorridi e ringrazia, è l’unico modo in cui puoi mostrare i denti, nascondi il ringhio sotto una risata, se ridi non possono vederti piangere.

Con Chris dimenticava persino quella parte fosse mai esistita, non aveva mai sentito come un’urgenza imprescindibile quella di mostrare il suo profilo migliore, mai.

Poi si erano baciati sotto un cielo troppo grande ed un sole troppo caldo, e non una volta aveva pensato fosse stato inopportuno, non una aveva pensato avessero qualche rotella fuori posto entrambi, o lui soltanto, perché baciare Chris era stato come ritrovare la coperta azzurra che non sapeva di aver perduto.

Chris lo aveva riscosso di nuovo sfiorandogli la mano che aveva appoggiato alla balaustra. Ebbe la strana sicurezza che, se fossero stati davvero soli, Chris non avrebbe esitato a stringerla nella sua.

Erano tornati a casa poco prima dell’alba, dopo una festa che era sembrata una maratona. Chris non aveva più lasciato il suo fianco per più di pochi minuti dopo la loro capatina in balcone e Tom gliene era stato talmente grato che lo avrebbe baciato davanti a tutti, zittendo una volta per tutte i pettegolezzi che lo volevano già in dirittura d’altare con Kat, quando non erano riusciti nemmeno a superare la prima fase e il sapore di un muffin al cioccolato.

A casa, non in albergo, perché Chris a Sydney aveva un posticino solo suo che ancora non aveva pensato di cambiare, nonostante potesse ormai permettersi di meglio, quindi avevano disertato le lussuose camere gentilmente offerte dai Marvel Studios per ritagliarsi almeno qualche ora di solitudine: avrebbero avuto due giorni di pace, poi la giostra sarebbe ricominciata per culminare nel grande luna park di Los Angeles.

Non c’era una camera per gli ospiti e non se ne erano preoccupati.

“Quello che ha fatto stasera, non è stato giusto.”

Chris non aveva specificato il soggetto, ma Tom sapeva e aveva capito. Per un istante temette la vergogna l’avrebbe sopraffatto: se la tua famiglia non si prende il disturbo di dimostrare affetto, perché dovrebbe farlo qualcun altro? Se tuo padre non riconosce che sei diventato un uomo degno di stima, quella degli altri ha valore?
Solo per un istante, però. Chris non era gli altri, non lo era stato fin dall’inizio, non c’entrava un bacio – baci - di troppo di cui non avevano mai parlato.
Tom ne spiò il profilo nella penombra dell’alba: non avevano acceso le luci, solo scostato un po’ le tende, erano saturi di luci e presto il sole avrebbe reclamato il suo posto nel cielo, volevano godersi quella parentesi nella dolcezza della mezza luce.
Chris si era tolto la cravatta e la giacca – quando lo aveva fatto? – e la camicia pendeva mollemente fuori dai pantaloni. La luce franca e semplice e buona che aveva sempre negli occhi aveva lasciato il posto a qualcosa che non riusciva a decifrare, l’ombra di una domanda, il barlume di un pensiero. La traccia dell’abitudine.

“Hai bevuto troppo. Pensavo volessi dare un taglio agli alcolici.”

“Non credo di aver bevuto abbastanza. Forse mentivo.”

Chris aveva sospirato e aveva cominciato ad allentargli il nodo della cravatta – non l’aveva già fatto da solo? – con gesti efficienti, liberandolo di una stretta che stava diventando insopportabile e nemmeno lo sapeva.

“Diana è molto simpatica, piace molto anche a mia madre. E’ dolce.”

“Lo so. La adoro.”

“Le somigli.”

“Non è vero.”

Chris gli aveva posato un dito sulle labbra per zittirlo. E si sentiva ridicolo perché era stato proprio quel particolare a riportarlo alla realtà di una distanza che, fattivamente, quasi non esisteva tra loro. Le sue sopracciglia disegnavano archi scontenti e Tom non credeva di avergli mai visto un’espressione così ferma e indispettita. Non rivolta a lui.
Il sole sembrava non voler sorgere e dalla finestra penetravano ombre violacee che si erano sostituite agli spiragli rosati del sole nascente. Tom non sapeva perché stava notando quel particolare e perché dovesse essere importante, aveva sempre avuto la strana abitudine di registrare dettagli superflui come se fossero essenziali.

Essenziale, invece, era il fatto sentisse il respiro di Chris sul viso.

Quella era una bugia.”

Tom aveva provato a sorridere, ma il dito aveva aumentato la pressione sulle sue labbra e non ne era stato in grado. Chris incombeva su di lui come un immenso bastione, eppure non se ne sentiva intimidito, perché il muro di carne che era il suo corpo sembrava più una barriera che voleva solo proteggerlo, non tagliarlo fuori per l’ennesima volta.

“Non devi sforzarti di sorridere. Non mi piace quando lo fai.”

Aveva cominciato a piovere prima o dopo avessero cominciato a baciarsi?

Tom non lo sapeva e forse nemmeno gl’interessava davvero, nonostante il dettaglio fosse tutt’altro che solito per l’autunno australe, poco avvezzo agli acquazzoni improvvisi fuori stagione.

Quando erano riusciti a raggiungere la piccola camera da letto, fuori si era scatenato un temporale in piena regola, ma Tom ne fu persino, stranamente, contento.
Gocce pesanti come accuse picchiavano contro i vetri delle finestre e gli infissi, ma ogni colpo aiutava a nascondere gesti inaspettati che non avrebbero mai dovuto vedere la luce.

La pioggia cadeva a scrosci sempre più violenti, come violenta era l’urgenza con cui si stavano cercando, Tom non pensava, perché non ne aveva bisogno. Era sicuro fosse la prima volta eppure quante altre aveva assaggiato quella stessa pelle in punta di lingua (quando? Dove?)? Le sue mani seguivano percorsi noti su un corpo mai esplorato, si lasciava percorrere come una mappa muta, solo il frastuono della tempesta si udiva nella stanza, il soffio furioso del vento copriva il frusciare delle lenzuola, ogni goccia di pioggia attutiva la nota di un bacio, un lampo per ogni carezza, un tuono per ogni spinta.

“Dio, quanto mi sei mancato.”

No no no, non doveva palare, Tom gli aveva morso le labbra per ingoiare persino il debole gemito di dolore che era seguito. Non doveva parlare, c’era la tempesta a nascondere ogni rumore e così doveva essere, il perché non aveva importanza, le invocazioni non servivano e gli dei (dei?) dovevano essere lasciati fuori.

Sshh, non parlare, solo il silenzio sa nascondere i segreti.

Lo aveva detto ad alta voce? No. Era stato lui a pronunciare quelle parole? La sicurezza d’averlo fatto non impediva si chiedesse dove e quando.

La pioggia continuava a cadere tanto forte da sembrare inesauribile, come l’energia che li percorreva ad ondate sempre più ravvicinate. Non riuscivano a smettere di toccarsi, mordersi, talmente uniti che Tom non avrebbe saputo dire dove cominciava l’uno e finiva l’altro. Erano pieni di una fame antica che il passare delle ore – ore? Quanto tempo? Quante volte? Era già successo? Era già successo. – insieme, uniti e inscindibili, non riusciva a saziare. O a stancare.

L’aria della stanza era satura di ozono, un odore familiare e buono che Tom aveva inseguito tutta la vita senza sapere perché, ma la stanza ne era piena e Chris si muoveva sopra di lui zittendo persino il respiro nell’incavo del suo collo, e aveva i capelli ancora troppo corti, ma presto… Cosa?

Una spinta più violenta, un tuono più forte degli altri, un dolore dolce come miele. I sensi ottenebrati e finalmente liberi dal fastidioso pungolo dei pensieri.

L’aria odorava di ozono e bruciava d’elettricità statica e Tom ebbe l’improvvisa certezza che il colore dei suoi capelli non era l’unico dettaglio stonato in quella recita di cui stentava a scorgere tutti i personaggi.

 

Atto I, scena II.

Era impossibile giudicare che ore fossero, il cielo continuava a grondare, grigio come sa essere solo negli inverni del nord. La loro pelle era ancora umida e troppo calda, ma non si sentivano pronti a sciogliere l’abbraccio in cui si erano stretti, schiena contro torace.
Chris gli annusava i riccioli scuri senza allentare la presa attorno al suo corpo, tanto stretta che avrebbe temuto di non riuscire a respirare se il fiato non gli fosse già stato portato via. La sottile barriera della pelle non riusciva ad impedirgli di sentire la sua irrequietezza, nonostante il corpo fosse ormai sazio e stremato. Chris non aveva emesso un solo suono, attento persino al fruscio che generava muovendosi. Non aveva detto una parola, ma desiderava farlo, sentiva le sue labbra sul collo muoversi mute in una domanda sospesa.

“Da un po’ faccio degli strani sogni. Poi mi sveglio e ho paura di non ritrovarti.”

Si era sciolto dall’abbraccio il tempo necessario per girarsi così da poterlo guardare in viso, ma si erano stretti di nuovo prontamente l’uno all’altro.

Gli posò una mano sulla guancia sfiorandogli le ciglia con la punta del pollice: i suoi occhi azzurri non erano cambiati e non l’avrebbero mai fatto, il cielo che li illuminava non aveva importanza.

Percepiva i contorni farsi man mano più nitidi e la lingua meno sicura.

Chi aveva detto che si mente anche con un’omissione? Era tale anche quando non si era coscienti lo fosse?

“Sta ancora piovendo. Non è più necessario piova tanto.”

Non aveva senso eppure si erano scambiati un sorriso e l’ennesimo bacio e sapevano entrambi, da qualche parte nel cuore e nella testa, che il sole che aveva cominciato a far capolino tra le nuvole, non era una coincidenza.

 

 

 

Note:

(1) Ovvero, "Che dire della vita dei burattini?" in svedese. Non è che voglio spararmi le pose con titoli impronunciabili, vorrei solo dare un senso di continuità con la storia precedente. Anche i titoli dei capitolo, non sono altro che semplici numeri in svedese. ^^’

(2) Susannah Fielding, attrice, all’epoca fidanzata di Tom: si erano conosciuti sul set della seconda stagione di Wallander. Credo tutti conoscano Elsa Patacki, invece, moglie di Chris.

(3) Kat Dennings aka Darcy, ovviamente: nonostante Tom fosse impegnato (ma lui e la Fielding si lasceranno da lì ad un anno), sul set si vociferava insistentemente di una loro liason. E’ molto probabile si frequentassero semplicemente perché diventati buoni amici e che le voci siano state messe in giro per scopi pubblicitari.

Assicuro poi che non sto facendo bashing sul signor Hiddleston Senior (anche perché descrivere un uomo dal carattere inflessibile non credo sia bashing…), mi limito a descrivere (ed interpretare in modo – credo!- plausibile) situazioni e sensazioni descritte qua e là da Tom Hiddleston stesso in varie interviste, sia cartacee che video: quel che ne ho potuto ricavare è stato appunto il quadro di un uomo severo, che vuole bene alla sua famiglia ma è poco incline all’affettività, pragmatico fino all’estremo e molto poco d’accordo con la scelta di vita del figlio, nonostante il successo mondiale poi ottenuto.
Prima che qualcuno faccia rimostranze, sono sicura i due abbiano un bellissimissimo rapporto e siano una famigliola felice nonostante quel che successo in passato e bla bla bla: tutto quello che è scritto in questa storia è semplicemente una mia interpretazione di quello che ho letto, tra l’atro fissando gli eventi al 2011. Se qualcuno ne ha una diversa, sono felice per lei, è una persona più ottimista e migliore di me.

   
 
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