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Autore: 9Pepe4    27/08/2013    7 recensioni
Trunks lo studiava in silenzio con gli occhi azzurri. Non disse niente, ma tese la mano verso Gohan, offrendogli il biscotto che aveva preso dalla scatola.
Gohan trasalì appena. Quasi con titubanza, accettò quel dono, e il figlio di Vegeta parve notare la sua incertezza, poiché si sentì in dovere di specificare: «È buono».
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mirai!Bulma, Mirai!Gohan, Mirai!Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È più facile mentire

«Ebbene, sei completamente solo contro noi due».
Sotto il tono vellutato e noncurante di C-17, era in guardia la minaccia.
Il cyborg studiò con voluta lentezza il ragazzino che gli stava davanti, soffermandosi sui suoi capelli biondi e sui suoi occhi verde acqua.
«Non hai paura?» domandò poi, pigramente.
Gohan spostò il proprio peso sul piede sinistro, sentendo il cuore rimbombare nelle orecchie.
Sapeva perfettamente di essere in netta inferiorità, e non perché i suoi avversari erano due e lui era da solo.
«No» rispose comunque, sforzandosi di suonare deciso e convincente.
In fondo, ammettere che sì, aveva paura di loro al punto da avere la gola secca, sarebbe stato ancora più difficile.
Difficile come guardarsi attorno e vedere le macerie che un tempo erano una tranquilla cittadina.
«Sei un moccioso impertinente!»
C-18 scattò senza preavviso. Il suo aspetto angelico stonava profondamente con i suoi occhi freddi e la distruzione che li circondava, ma Gohan non ebbe tempo dedicarvi una riflessione.
La mano di lei agguantò violentemente il colletto della sua tuta, per poi sbattere il ragazzino contro uno dei pochi muri ancora in piedi.
All’impatto col corpo del giovanissimo saiyan, la parete sembrò frantumarsi.
A quel colpo, i capelli biondi di Gohan tornarono neri come la pece e l’aura dorata del super saiyan scomparve; subito dopo, il ragazzino venne scaraventato a terra.
Il petto gli doleva e le orecchie gli rintronavano; fu solo all’ultimo momento che si rese conto del fatto che, dietro di lui, il cyborg numero 17 si stava preparando a scagliargli addosso una sfera d’energia.
Facendo appello alle forze che gli erano rimaste, il ragazzino riuscì a scansarsi in extremis, scattando verso destra e nascondendosi dietro le macerie di un’abitazione
L’esplosione fu così potente da far crollare il muro dietro il quale si era riparato.
Gohan si rannicchiò a terra, proteggendosi il capo con le braccia, e lasciò che i mattoni gli cadessero addosso.
Sentiva sulle labbra il sapore del sangue.
Mentre serrava i denti, desiderò con tutto il cuore non trovarsi lì, ma a casa – sui Paoz, con sua madre.
Oppure, avrebbe voluto non essere lì da solo, ma con i suoi compagni.
Con suo padre.
Ma suo padre era morto. Così come Piccolo, Yamcha, Crilin, Vegeta e tutti gli altri.
I guerrieri erano stati uccisi dai cyborg ed era rimasto solo lui. E qualcuno… qualcuno doveva pur caricarsi della responsabilità di difendere il pianeta da quei terribili robot.
Quando i calcinacci smisero di piovergli addosso, Gohan non si mosse, ma attese pazientemente, il cuore che gli martellava tra le costole.
Era snervante non poter percepire l’aura dei suoi avversari.
Gli pareva quasi un handicap fisico: come doversi allacciare una scarpa con una mano sola.
Il ragazzino deglutì, sforzandosi di rimanere immobile.
Aspettò ed aspettò ancora, e si tirò in ginocchio soltanto quando gli parve che fosse trascorsa un’eternità.
Era completamente ricoperto di polvere, ma non vi badò, alzandosi cautamente in piedi.
All’erta, si guardò attorno… ma fortunatamente dei cyborg non c’era più traccia.
Sentendo la stanchezza attanagliargli le membra, Gohan abbassò lo sguardo sulle proprie braccia ricoperte di tagli.
Cercò di non badare al bruciore insopportabile che gli provocavano, e si alzò lentamente in volo. Una volta che si ritrovò sospeso in aria, fissò lo sguardo sulla città distrutta.
Il suo intervento non era servito a nulla.
La nausea gli salì alla gola, costringendolo a portare gli occhi davanti a sé.
Aveva imparato a volare quando aveva solo cinque anni, ma di colpo l’altezza gli sembrava insopportabile… Di colpo, gli sembrava di soffrire di vertigini.
Chiudendo le mani a pugno, Gohan iniziò a volare in direzione della Città dell’Ovest.

Uno spiazzo arido circondava la Capsule Corporation, là dove un tempo c’era stato un giardino verdeggiante.
Quando Gohan atterrò, i suoi piedi sollevarono due nuvolette di polvere.
Il ragazzino si guardò attorno con aria intristita, quasi sofferente, cercando di non pensare a quando tutto era più vivo. Per un istante, gli sembrò che nell’aria aleggiasse la voce svampita della madre di Bulma che gli offriva una fetta di torta.
Cacciando indietro i propri ricordi, il ragazzino si diresse verso la porta, premendo debolmente il dito sul campanello.
Gli sembrava di avere le gambe malferme. Probabilmente, le sue ginocchia avrebbero ceduto da un momento all’altro.
Fortunatamente, il ragazzino non dovette attendere molto prima che la porta venisse aperta, rivelando il volto di Bulma.
La donna aveva un’aria provata. I suoi capelli erano raccolti in una coda di cavallo, ma nonostante ciò alcuni ciuffi ribelli le ricadevano sul volto. I suoi stanchi occhi azzurri si sgranarono nel posarsi sul ragazzino.
«Gohan!» esclamò, e nella sua voce c’era una traccia di sgomento. «Santo Cielo! Che ti è successo?!» E subito dopo, poiché cos’era successo doveva averlo capito da sola: «Come ti hanno conciato!»
Il ragazzino annuì, cercando di non tremare per la stanchezza. «Mi… Potresti prestarmi del disinfettante?» domandò, quasi battendo i denti.
Non capiva nemmeno lui se quei brividi fossero dovuti al freddo, alla paura o alla rabbia.
Bulma sbatté le palpebre. «Certo» si affrettò a dire, mettendosi poi da parte per permettergli di entrare. «Anzi» aggiunse, con inappellabile decisione, «vieni con me, ti medico io».
Gohan annuì nuovamente, questa volta con sollievo.
Dentro di sé, era felice che Bulma non gli avesse domandato perché si era presentato lì invece di andare a casa sua, sui Paoz. Anche se una parte di lui anelava a rifugiarsi tra le braccia di Chichi, sapeva che lei avrebbe sofferto nel vederlo ridotto in quella maniera.
E sua madre aveva già sofferto abbastanza.
Perciò, obbediente, Gohan seguì Bulma dentro alla Capsule Corporation. La donna lo guidò in cucina, dicendogli che per il momento era l’unica stanza in cui fosse acceso il riscaldamento.
Mentre entravano, Gohan si guardò attorno.
La stanza era piuttosto spoglia, ma comunque confortevole.
Trunks, il figlio di Bulma, era seduto al tavolo, davanti ad una scatola piena di biscotti. Il bambino li stava divorando con l’appetito degno della sua natura saiyan, e quando si girò verso la porta rivolse a Gohan un sorriso con la bocca sporca di cioccolato.
«Ciao» lo salutò, con voce infantile.
Il figlio di Goku si sforzò di sorridere, ma non ebbe tempo di rispondere: Bulma lo fece accomodare con decisione su uno sgabello vicino al termosifone; dopodiché si armò di disinfettante e di cotone idrofilo e tornò verso di lui, iniziando a pulire i tagli del ragazzino. Un paio di volte utilizzò una veemenza eccessiva, alla quale Gohan reagì con qualche smorfia e con un gemito.
«Hai la tuta a brandelli» constatò poi la donna, non appena ebbe pulito anche l’ultimo graffio. «Sarà meglio che io vada a vedere se ho qualcosa da farti indossare».
Gohan la guardò, un po’ imbarazzato dal disturbo che le stava arrecando. «Grazie» mormorò.
Bulma, però, agitò la mano e replicò: «Figurati».
Quindi si diresse velocemente verso la porta, uscendo dalla cucina.
Quando la donna se ne fu andata, Gohan abbassò lo sguardo sulle proprie mani e sospirò.
Lentamente, si lasciò scivolare giù dallo sgabello, sino a ritrovarsi seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata al termosifone.
Se Piccolo fosse stato ancora vivo, avrebbe sistemato la sua tuta in un istante. Ma se il namecciano non fosse stato ucciso, molte cose sarebbero state diverse.
Anche se le Sfere del Drago non sarebbero servite a nulla per suo padre, avrebbero potuto riportare in vita gli altri combattenti.
Immerso in quei pensieri, Gohan si rabbuiò, e il piccolo Trunks iniziò ad agitarsi. Sua madre l’aveva sistemato su una sedia davvero troppo alta per un bambino della sua età, e lui prese a guardarsi intorno con fare smanioso, finché non trovò il punto più adatto per guadagnare il pavimento.
Arraffò un biscotto e scese dalla sedia con una certa goffaggine.
Quindi, con un’andatura un po’ caracollante, si diresse con decisione verso Gohan, il quale, trovandoselo davanti, sussultò e si riscosse dalle proprie riflessioni.
Lui era seduto e il bambino era in piedi, e in tal modo i loro visi erano esattamente alla stessa altezza.
Trunks fissava Gohan con insistenza, come se attendesse che fosse il ragazzino a fare la prima mossa, come se si aspettasse che fosse lui a mostrargli ciò che doveva essere fatto.
Notando quello sguardo, Gohan sentì un groppo alla gola.
A lui piaceva passare del tempo in compagnia di Trunks. Gli piaceva farlo ridere e giocare.
Un giorno, Bulma aveva osservato che il bambino doveva vedere in lui un vero e proprio punto di riferimento.
E a Gohan sarebbe piaciuto… Lui avrebbe voluto essere in grado di guidare quel bambino, ma al momento si sentiva solo un ragazzino sperduto, e non aveva idea di come fare.
La morte di suo padre e l’arrivo dei cyborg avevano completamente ribaltato il suo mondo.
Tanti anni prima, Piccolo gli aveva insegnato come cavarsela da solo, ma adesso gli pareva di dover imparare da capo come fare a vivere.
E i suoi poteri, la responsabilità del destino del mondo che gravava sulle sue spalle… Erano un peso, un macigno che minacciava di schiacciarlo da un momento all’altro.
Trunks lo studiava in silenzio con gli occhi azzurri. Non disse niente, ma tese la mano verso Gohan, offrendogli il biscotto che aveva preso dalla scatola.
Gohan trasalì appena. Quasi con titubanza, accettò quel dono, e il figlio di Vegeta parve notare la sua incertezza, poiché si sentì in dovere di specificare: «È buono».
A quelle parole, Gohan annuì, stringendo il biscotto nel pugno.
Un attimo dopo, poi, si sporse in avanti ed abbracciò Trunks, attirandolo verso il proprio petto. Il bambino non capì a cosa fosse dovuto quel gesto d’affetto, ma lo ricambiò, appoggiando la testa sulla spalla di Gohan.
Quest’ultimo strinse i denti, sentendosi come se tutta la stanchezza accumulata negli ultimi anni gli fosse crollata addosso di colpo. «Come si fa a fare la cosa giusta, quando tutto è sbagliato?» sussurrò, con forza, quasi Trunks potesse davvero dargli una risposta.
Il bambino non rispose, ma Gohan lo sentì muoversi appena, irrequieto, e sciolse l’abbraccio, lasciandolo andare.
Trunks lo guardò in faccia, quindi propose: «Ti do un altro biscotto?»
A quella domanda, Gohan dovette sorridere. «No, grazie» rispose, ma improvvisamente si sentì meglio. «Mangio questo» aggiunse, addentando quello che il bambino gli aveva già dato.
In un certo senso, il piccolo gli aveva dato la soluzione. Era così che si faceva la cosa giusta: continuando a offrire il proprio aiuto agli altri, senza arrendersi, senza desistere nemmeno se loro sembravano non volerlo.
Trunks sorrise a propria volta, mostrando i dentini da latte. Poi, però, un’espressione seria si dipinse sul suo visetto tondo, e il bambino domandò: «È brutto, il mondo?»
Gohan deglutì, inghiottendo il boccone. I suoi occhi neri evitarono quelli limpidi di Trunks, e il ragazzino rispose in tono piatto: «No. Non è affatto brutto».
Certe volte, mentire era più facile.


















Spazio dell’Autrice:
Oggi è il quinto anniversario della mia iscrizione su EFP :D
Così, anche se in questi giorni ho un mucchio da fare (AIUTO), volevo pubblicare qualcosa… ed ho riesumato questa storia dalla mia cartella.
Spero vi sia piaciuta!
  
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