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Autore: misScarlett    27/08/2013    2 recensioni
Klaus Mikaelson non ama parlare di sé. Non è dato sapere come e quando l'amore l'abbia colpito, o se sia proprio questo la causa della sua malvagità. Sembrerebbe senza sentimenti, a un occhio disattento. Incapace di amare.
E se invece avesse amato così tanto, in passato, da non poter più provare un amore tanto forte? Se la perdita di quella donna fosse stato un colpo troppo duro?
E se questa donna comparisse dopo secoli, solo per lui? Chi è lei? Come è fatta? Qual è la loro storia?
E' questa.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nessuna azione sembrava essere quella giusta. Nessuna mossa impediva alla Regina di non essere uccisa da una delle pedine del Re. Lei non vedeva altro che gli occhi di lui, due pozze d'acqua limpida in cui non si specchiava da troppo tempo. Sembravano passare eternità, sembravano fermarsi tutti i cuori di coloro che avevano intorno. C'erano solo loro due, come era stato molto tempo prima.

Inghilterra, 1495:
- E' MIA SORELLA!
- Lo so, Anha.
- Allora perché? Perché vuoi impedirmi di andare a cercarla? E' convinta che tu abbia ucciso la nostra famiglia, quando... quando sappiamo bene che... che non è così.
Il pianto ruppe la sua voce, sbriciolandola. Dianha si portò il viso tra le mani, incapace di pensare al disastro che era la sua famiglia, o perlomeno ciò che ne restava. Katerina. Era lei che teneva la sola scintilla di speranza che Dianha voleva riavere. Si sentì avvolgere da un abbraccio, l'unico che in quel momento potesse accettare. Si strinse a Klaus, in un sacro silenzio. Tra le sue braccia si sentiva perfettamente al sicuro. Nonostante gli anni fossero davvero passati, per lei, era ancora la stessa bambina di qualche anno prima, la stessa diciassettenne che era arrivata a Londra con la sorella maggiore. Quell'unica sorella che aveva perso per sempre, in più modi. Ne aveva perduto l'affetto, la fiducia, l'umanità. Perché Katerina non era più quella che aveva sempre conosciuto, era solo una donna spietata che scivolava in un abisso di odio e rancore, cibandosi di sangue come avrebbe voluto cibarsi di vendetta. Era Katherine Pierce, adesso. E Dianha Petrova non aveva più niente da spartire con lei. Voleva solo ritrovare qualcuno in quella donna, qualcuno che era certo ci fosse ancora. Sciolse l'abbraccio, staccandosi dolcemente e guardandolo negli occhi, con un sorriso triste.
- Non vorrei mai scegliere tra lei e te, Nik. Ma sono costretta a farlo.
Klaus fece un respiro profondo, distogliendo lo sguardo e allontanandosi a grandi passi da lei. Lei i cui occhi erano diventati la cosa più preziosa che avesse, le cui labbra fossero ormai l'unica cosa che desiderasse. Lei, così umana da renderlo debole.
- Ti ucciderà. Non è più chi conoscevi, Dianha.
- Ed è colpa mia.
- Non potevi prevedere ciò che è accaduto.
- E' solo colpa mia! Tu, tu ti sei preso ogni colpa, dovrai convivere con il suo odio per tutta la vita, per colpa mia! - Non sono io a essere in pericolo.
- Appunto per questo ti sto chiedendo di trasformarmi, Nik! Ti prego...

C'era stato un periodo in cui era stata davvero convinta che per Katherine ci fosse qualche speranza. Che la Katerina che conosceva si sarebbe fatta viva prima o poi, che sarebbe tornata da lei, che avrebbe lasciato quella vita fatta di oscurità e brutalità per ricominciarne un'altra, insieme. Ma il Fato aveva ben altri piani per loro due. Incapace di controllare il suo lato più nero, Dianha si era trasformata in un mostro assai peggiore di quello che era diventata sua sorella. La sensazione di onnipotenza l'aveva del tutto disorientata, tanto da farle abbandonare Klaus da un giorno all'altro. Trovare Katerina era ancora un piano nei momenti in cui necessitava di una complice, ma non c'era altro sotto. Perciò erano passati i giorni, i mesi, gli anni, i secoli. Una eterna ventenne che faceva tutto ciò che avrebbe voluto fare senza un solo problema al mondo. Perlomeno era questo ciò che credeva, non accorgendosi che il problema era proprio lei. Lei e il suo fare libertino che la rendeva la persona forse più inconsapevolmente infelice di tutta la Terra. Lei, che come sua sorella aveva perso la sua identità originaria, ma senza abbracciarne un'altra. Era Sharon un giorno, era Georgia un altro. Era stata Amy, Rachel, Elizabeth, Jane, Norah, Phyllis. Era stata tutte e non era stata nessuno. Aveva spezzato cuori e si era cibata di essi. Aveva gettato disordini e caos ovunque andasse. Aveva ferito, aveva torturato, aveva ucciso. Tutto da sola, senza ricordarsi di quella candida ragazzina che era stata, senza ricordarsi nemmeno che proprio l'amore l'aveva spinta a diventare un mostro. Un mostro che credeva di riuscire a controllare.
Non fu così. Girò di città in città, percorse tutta l'Inghilterra, poi l'Europa, sbarcando infine in America, agli inizi del XIX secolo. Non teneva particolarmente a inserirsi nella società, preferendo restarne ai margini. Ma decise di osare di più con il suo arrivo in America, ammaliando questo e quello affinché si fingessero suoi servi e inventandosi una bella storia che la presentasse come una giovane nobildonna dell'alta società inglese. Divenne Dianna Peterson. Ci si potrebbe vedere un primo tentativo di riavvicinarsi alla sua umanità, un cercare di riappropriarsi di quell'anima che aveva abbandonato da tanto, tantissimo tempo. Oppure si potrebbe realizzare come lei stesse solo cercando ancora una volta di dimostrare di essere tutto quello che voleva essere, capace di ottenere tutto ciò che voleva, persino di sfidare sua sorella, scimmiottandole l'inglesizzazione del nome. Così si era - per così dire - trovata una sistemazione, ignara che proprio questo avrebbe riportato a galla pensieri sepolti da secoli.

Philadelphia, Pennsylvania, 1823:
- Miss Peterson, quale piacere! Temevo che non sareste mai giunta.
Quelle visite di cortesia tra vicini non le erano mai andate a genio, ma il signor Wharton era il sindaco, lì a Philadelphia, nonché la persona più importante di tutta la città. Perciò un invito da parte sua non era certo da rifiutare. La domestica l'aveva accompagnata fino al padrone di casa, che come sempre l'aveva accolta con gran gioia.
- Perdonate il mio imperdonabile ritardo, Mr. Wharton. Sono stata spiacevolmente trattenuta da affari... di famiglia.
Sorrise, pensando ironicamente che non era del tutto falsa, la sua affermazione. Le era giunta notizia che una certa Katherine Pierce fosse arrivata al porto di Huntington, nel West Virginia, ma non erano fonti così certe da poterci dare credito. Era qualche anno che aveva iniziato a disseminare spie in giro per il mondo, solo per trovare Katerina. Anche per questo era andata a quella festa. Tra tanti ospiti d'onore avrebbe certamente trovato qualche importante comandante di Marina a cui estorcere informazioni.
- L'importante è che siate presente ora! Venite, voglio presentarvi una persona.
Le offrì il braccio, al quale Dianna si affidò con un misto di curiosità e sospetto, chiedendosi chi potesse meritare tanta attenzione da doverle essere presentato in quel medesimo istante. Robert Wharton la accompagnava attraverso la sala, parlandole di questo uomo misterioso.
- E' arrivato qui in città questa mattina stessa, e subito si è diretto qua, per questioni d'affari con cui non voglio tediarvi. Un uomo davvero rispettabile e dai principi morali ineccepibili, da quanto ho potuto cogliere. Un vero uomo d'onore. Ho pensato subito che avreste avuto molto in comune, dal momento che arrivate entrambi dalla cara vecchia Madrepatria.
Quell'insieme di qualità, poste tutte insieme, la spaventarono. Aveva conosciuto una persona che non avrebbe potuto essere descritta meglio di così, ma non era affatto una di quelle che avrebbe voluto incontrare. I suoi timori si concretizzarono non appena il cortese sorriso dell'uomo non le apparve di fronte, insieme a tutta la sua figura.
- Sono lieto di presentarvi il signor Elijah Mikaelson, colui di cui vi parlavo. Mr. Mikaelson, lei è Miss Dianna Peterson, una cara amica.
- E' come se ci conoscessimo già, Miss... Peterson.

Sotto le forme di Elijah il passato arrivò come una tormenta, un vento gelido che la svegliò dal torpore in cui era rimasta. Era da quel giorno che la sua umanità aveva iniziato a farsi sentire, sebbene ci volle un altro secolo prima che lei smettesse di combatterla. E non era stato facile. Niente era stato facile, e in certi momenti dimenticare di essere stati umani era l'unica cosa semplice, l'unica cosa che sembrava valesse la pena fare. Ma ora, di fronte a Klaus, non sembrava esserci stata cosa più sbagliata. Erano trascorsi secondi, istanti, battiti di ciglia, mentre quei pensieri le passavano la mente come treni in corsa. Scese dallo sgabello sul quale era seduta, ma non fece un passo che gli uomini di Klaus le furono di fronte, bloccandole la vista e il passaggio. Erano novellini, ma non semplici vampiri. Si accorse subito che in loro c'era più di una maledizione. Erano ibridi, poteva esserne certa.
- Non un altro passo.
- Il vostro padrone non vi ha dato ordine di attaccarmi, o sbaglio? Tornate a cuccia.
- Non ne ha bisogno. La tua presenza non gli era gradita, non abbiamo bisogno di sapere altro.
Burattini nelle sue mani. Ne aveva visto decine di persone così. Eppure quella constatazione le fece male, tanto male che abbassò la testa e rimase in silenzio per un attimo. La risollevò subito quando i due presero leggermente le distanze da lei.
- Non farti vedere molto in giro, chi non piace a Klaus non piace nemmeno a noi.
Uno sguardo colmo d'odio riempì gli occhi di Anha, che li fissò entrambi come se volesse ucciderli lì, di fronte a tutti.
- Se sapeste chi sono parlereste diversamente. Tu uccidimi e ti assicuro che sarà l'ultima cosa che farai.
Era certa che Klaus l'avrebbe protetta, e per questo guardò oltre i due mastini. Lui l'avrebbe protetta.
Peccato che non fosse più lì.
  
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