Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Liz Briel    27/08/2013    0 recensioni
Tratto dal secondo capitolo:
"- Hariel, so quello che ho e che sto facendo, ma ormai non si può tornare indietro.Lilith e io ci amiamo, Lei- indicando la bambina che teneva in braccio Lilith- è nostra figlia, Raphaela- disse Camael sorridendo affettuosamente a sua figlia. La prese in braccio scoprendole il viso.
Scar rimase a bocca aperta. Quella neonata aveva i suoi stessi occhi neri con pagliuzze celesti. Non aveva mai visto nessun altro con quello stesso colore."
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

 

 



Odiava gli ospedali, li detestava da quando aveva messo piede la prima volta, circa dieci anni fa, e da quel giorno gli ospedali divennero la sua seconda casa. Odiava sentire quell’acre odore di disinfettante che le faceva bruciare le narici.
- La famiglia Evans?- chiese una giovane infermiera avvicinandosi a una famiglia che aspettava seduta in quelle scomode sedie verdi. – Si, siamo noi- rispose alzandosi un uomo di mezz’età con lo sguardo stanco osservò di sfuggita la giovane e silenziosamente tutta la famiglia si alzò seguendola. – Mi dispiace, ma il dottore vuole parlare solo con i tuoi genitori- informò l’infermiera alla ragazzina dagli occhi neri come la pece. – Scarlett, aspettaci qua! Cercheremo di fare in fretta- disse la donna alla figlia accarezzandole il capo.
Non era un buon segno quando i dottori chiamavano in disparte i suoi genitori.
Sospirando, si sedette su una sedia e iniziò a guardare un punto fisso davanti a se.
Intanto nella stanza accanto, i signori Evans ascoltavano speranzosi ciò che gli stava per annunciare il medico. Le pareti dello studio erano di un giallo sbiadito e su una parete erano affisse varie lauree e l’arredamento era povero. Erano comodamente seduti su delle poltroncine nere imbottite guardando distrattamente ciò che c’era sulla grande scrivania.
- Signori dopo aver fatto accuratamente tutti gli esami, a malincuore devo ammettere che non sappiamo quale malattia abbia vostra figlia- annunciò l’uomo guardando dispiaciuto i volti delle due persone che aveva lì davanti. Le poche speranze che i coniugi avevano riposto svanirono in un battito di ciglia.
- Ma non c’è nessuna soluzione?- domandò la signora Evans sul punto di scoppiare a piangere. Pensava che questo ospedale fosse quello giusto, che i medici avrebbero capito cosa avesse la loro secondogenita, ma cosi non fu. – Beh, per alleviare il dolore può darle questo- rispose il dottore porgendo alla donna una barattolino pieno di pillole e abbassando lo sguardo aggiunse- Più di così non posso dirle niente. Mi spiace tanto-.
Dopo essersi stretti la mano uscirono dallo studio dove li attendeva una Scarlett speranzosa che appena incontrò lo sguardo dei genitori abbassò la testa già sapendo la diagnosi: malattia sconosciuta. Doveva aspettarselo, dopotutto questo dottore non era diverso dagli altri che l’avevao esaminata e, se avessero avuto l’occasione, anche sottoposta a un’analisi della colonna vertebrale, ma ringraziando il cielo i suoi si erano sempre opposti accontentandosi di quello che gli veniva detto. Le faceva male vedere i suoi genitori così tristi, demoralizzati e devastati dalla stanchezza e dalle mille speranze infrante.
- Tesoro ti va il cinese?- le chiese la madre Susan. Una volta Susan era stata una bellissima donna dagli occhi di ghiaccio e dai capelli neri come la pece che la figlia aveva ereditato. Ma, quando Scarlett nacque, iniziò a trascurarsi e ogni volta che si guardava allo specchio notava sempre una nuova ruga causata dalla stanchezza.
- Va bene- rispose la figlia alzandosi il cappuccio della felba rossa che suo fratello Dave le aveva regalato lo scorso Natale quando era venuto in vacanza nella città natale. – Cosa vi ha detto il dottore?- chiese spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio aspettandosi già la risposta.
- Che non sanno cos’hai, ma il medico ti ha prescritto queste pillole per alleviare il dolore- rispose il padre prendendo da dentro la tasca un barattolino.
Ormai si era abituata a quelle fitte che aveva dietro la schiena, poteva dire di conviverci tranquillamente e, a volte, non sentiva nessun dolore, però questa bella sensazione durava solo un paio d’ore.
- Speriamo che funzioni- disse la ragazza sospirando e avvicinandosi velocemente alla macchina, aprì la portiera e si sedette nei sedili posteriori.
Il viaggio in macchina su accompagnato di un silenzio di tomba. Nessuno fiatava perso nei propri pensieri, c’era chi si chiedeva cosa fare ora, chi si domandava perché c’erano molte domande ma nessuna risposta e chi sapeva che la causa di tutto era lei e la sua ignota malattia.
Guardando fuori dal finestrino si era accorta che non aveva visitato per niente New York. Pensare che chiunque nella sua scuola la stava invidiando e non aspettava altro che ritornasse per sapere com’era la Grande Mela e lei non poteva dire di aver visitato qualche luogo poiché troppo occupata a passare tutto il suo tempo a fare esami in ospedale e a riposarsi.
 
- Eccoci arrivati!- esclamò il padre, Matt, per cercare di rompere quel silenzio che si era creato. Scarlett amava suo papà che era sempre accanto a lei senza fargli pesare quella situazione. Cercava in tutti i modi di farla sorridere, perché quando lui vedeva il sorriso della figlia ogni preoccupazione o tristezza se ne andavano via come il fumo spazzato via dal vento.
Davanti a lei c’era l’hotel dove alloggiavano da più di una settimana.
Una lieve brezza d’ inizio settembre le scombinò le ciocche ribelli che le uscivano dal cappuccio.
- Tesoro, vieni dentro che prendi freddo- disse la madre aprendo la porta dell’albergo.
Appena arrivarono nella stanza Scar si coricò sul letto singolo dal copriletto blu notte. Si stava per addormentare quanto lo squillo del telefono la fece sobbalzare dallo spavento. –Vado io- annunciò Matt afferrando il telefono e, attivando il vivavoce, rispose alla chiamata.
- Pronto, chi è?-.
- Ciao papà! Sono Dave, tutto bene?-.
- Si si, a Londra come va?-.
- Certo! Cos’hanno detto i dottori?- a questa domanda Scarlett abbassò lo sguardo triste.
- Le solite cose-
- Ah… Bhe io forse avrei trovato la soluzione-. Dicevano tutti così, tutti pensassero aver trovato la soluzione che poi si scopriva essere una delusione colossale. Ormai aveva perso tutte le speranze.
- Ah si?-.
- Si, Rebecca lavora in una clinica molto rinomata in una città vicino Londra. Potreste venire qui-. Rebecca era la ragazza storica di Dave, stavano insieme dal liceo e dopo essersi diplomati erano andati a convivere. Scarlett pensava che la ragazza fosse una a posto, con la testa sulle spalle e con molta pazienza visto che era da 8 anni che sopportava il rompi scatole del fratello. Reb aveva proseguito gli studi laureandosi in medicina mentre Dave aveva aperto un locale al centro di Londra.
- Che ne pensi Scar?- chiese sorridendo Matt.
- E dai Scary mia, ci divertiremo anche- disse Dave con voce speranzosa. Perché no? Dopotutto non c’era nulla da perdere e Londra l’aveva sempre affascinata.
- Va bene- rispose con un sorriso la mora.
 
Stava ricontrollando e sistemando varie cartelle di alcuni pazienti che ingombravano la sua ampia scrivania. Simone avrebbe scritto sul computer i vari dati, pensò Adam leggendo un foglio per poi rimetterlo in una carpetta.
Il ticchettio dell’orologio lo rendeva nervoso, sapeva che di lì a breve sarebbe arrivata e lui non aveva nessuna voglia di parlare con lei.
- Scusi il disturbo dottore, ma c’è una signora che insiste nel dire che ha deve parlare con lei. Le ho detto che prima deve prendere un appuntamento- disse un’infermiera entrando dentro quel piccolo studio.
- La faccia entrare!- esclamò il dottor Scott cercando di rimettere in ordine quel caos che c’era sulla scrivania. Era in notevole anticipo, constatò osservando il display del telefono che segnava le 8 di sera mentre lui l’aspettava verso le 9.
- Ciao Adam - disse una donna entrando nello studio guardando negli occhi l’uomo davanti a se sapendo che lui aveva paura di lei. Come biasimarlo, chi non aveva paura di una come lei? Era una donna bellissima, dal fisico perfetto e da un carattere spietato.
Dei lunghi capelli neri erano raccolti in un elegante chignon, i suoi occhi grigi come il mare erano contornati da una sottile linea di eyeliner nero e un rossetto rosso risaltava le sue labbra sottili.
- Salve Anne, come stai?- domandò gentilmente Adam cercando di fermare il tremore delle mani.
- Bene. Ora passiamo alle cose più importanti: hai detto quello che dovevi dire?- chiese la donna aggiustandosi la manica del suo tailleur rosso che risaltava la sua pelle scura.
- Certamente- rispose l’uomo sistemandosi nervosamente la cravatta nera che gli aveva regalato la moglie per il loro ventesimo anniversario di matrimonio.
- Hai dato quelle pillole?- domandò la donna ricordandosi di avergli espressamente detto di dare le pillole essendo fondamentali per la trasformazione.
- Si, ma io sarei curioso di sapere a cosa servono?-.
- Sono cose che non ti riguardano. Ora sarà meglio che vada. Hai svolto benissimo il tuo compito.- disse la donna alzandosi dalla sedia e avviandosi verso l’uscita. Non era aveva neanche fatto tre passi che improvvisamente Adam la fermò urlando- Ehi, ti stai dimenticando qualcosa-.
- Ah già- detto questo tutte le luci di quella stanza si spensero.
Un urlo fece sobbalzare Simone che subito si precipitò nello studio del dottor Scott trovando davanti a sé il corpo dell’uomo a terra, ma la cosa più orribile era la sua espressione. Gli occhi erano spalancati dal terrore e la bocca era aperta come se avesse cercato di urlare invano di chiedere, inutilmente, aiuto.


Angolo Autrice.
Salve. E' la prima volta che scrivo una storia originale e spero siate clementi con me. Questa storia era da tanto nella mia testa, ma ho iniziato a scriverla dopo che mi sognavo varie scene di questo romanzo xD
Spero che il capito vi piaccia e che mi lasciate qualche recensione, anche negativa.
Baci.
Liz..
 

  
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